I simboli della basilica di San Michele Maggiore a Pavia

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La mole della basilica di San Michele Maggiore svetta imponente al centro di Pavia. È l’anima romanica della città, ancora viva e presente. D’aspetto massiccio, le mura in arenaria ricamate di fregi e simboli raccontano di storia, fede e cultura del Medioevo. Come un compendio illustrato, rivelano un mondo a noi lontano e anche per questo affascinante. L’edificio sorse sulla Via Francigena, il principale cammino che dalla Francia conduceva a Roma, e ne costituiva una tappa importantissima. Presso la Basilica pavese i pellegrini ottenevano ristoro materiale e spirituale. Potevano così affidare il viaggio alla protezione di San Michele, comandante della milizia celeste1 e sauroctono, colui che sconfigge il drago-serpente e quindi allontana il maligno durante il viaggio.

D’altronde, la chiesa si trovava sul luogo di antiche e regali rimanenze dei Longobardi, popolo devoto all’Arcangelo, quando Pavia era la capitale del Regnum Langobardorum. La città costituiva il più importante centro militare del Regno e, da Adaloaldo in poi, nel 603, anche la residenza regia in maniera stabile, sebbene già prima d’allora fosse stata scelta a tal scopo. Il palatium regio di Pavia costituiva il fulcro amministrativo e culturale dell’intera Langobardia Maior2.

La basilica di San Michele Maggiore a Pavia

Il centro religioso di maggior rilievo era invece costituito da un edificio di culto dedicato a Michele Arcangelo, collocato in contiguità al palatium e di cui nulla rimane. Sappiamo dalle fonti che in età carolingia divenne vera e propria cappella palatina e, a partire dal secolo IX, ivi vennero incoronati alcuni re d’Italia. Con certezza vi furono eletti Berengario II e suo figlio Adalberto (950)3, Arduino d’Ivrea (1002) ed Enrico il Santo (1004), sebbene una tradizione non confermata ne annoveri altri, tra cui Berengario I (888)4. Il grande storico dei Longobardi Paolo Diacono attesta la prima basilica già nel 6625, rivelando che il culto di San Michele fosse stato portato a Pavia dal duca di Benevento Grimoaldo per celebrare la vittoria contro i Saraceni a Siponto, nel 650, il cui esito era stato affidato all’Arcangelo della celebre Grotta sul Gargano6.

La basilica longobarda non era ancora quella odierna, voluta invece da Federico Barbarossa dopo il devastante terremoto del 1117 e affidata alle maestranze dei Comacini. Essa fu concepita come uno sontuoso teatro per la sua incoronazione: il sovrano venne benedetto e proclamato re d’Italia nella primavera del 1155, “in ecclesia sancti Michaelis, ubi antiquum regum Longobardorum palatium fuit7. A Pavia ricevette sul capo la celebre Corona Ferrea, antico simbolo del potere longobardo8.

“Roma nominat Papiam et appellat filiam suam. Et sicut Roma coronat imperatorem in ecclesia Sancti Petri cum papa suo, ita Papia cum episcopo suo coronat regem in ecclesia Sancti Michaelis Maioris, ubi est lapis unus rotundus cum quatuor aliis lapidibus rotundis”.

“Roma nomina Pavia e la chiama figlia sua. E così come Roma incorona l’imperatore nella chiesa di San Pietro attraverso il suo papa, così Pavia attraverso il suo vescovo incorona il re nella chiesa di San Michele Maggiore, nel luogo in cui è collocata una pietra rotonda con attorno altre quattro pietre rotonde”.

Honorantie civitatis Papie, rr 8-11, 1020 circa.

Proprio al tema della regalità si rifà gran parte del complesso scultoreo e simbolico di San Michele Maggiore a Pavia.

Una basilica romanica

Gli esperti Magistri cumacini, seguendo una tradizione architettonica ormai ben consolidata nell’area lombarda, a Pavia edificarono la basilica di San Michele Maggiore in uno stile romanico maturo e di grande impatto. La pianta a croce latina è provvista di tre navate corte e abside semicircolare. All’incrocio con il transetto, corpo autonomo e sovrastato da una volta a botte, si innesta un tiburio ottagonale. Le quattro volte con costoloni sulla navata centrale, invece, furono ricostruite negli anni 1488-1491 per sostituire quelle più antiche, che apparivano pericolanti. Le campate sono scandite da possenti pilastri a fascio, che hanno il compito di sostenere gli stretti matronei, i quali si aprono all’esterno attraverso sobrie bifore.

I capitelli lungo le navate sono scolpiti con raffigurazioni di scene sacre, tra cui una Morte del Giusto e un Sacrificio di Caino e Abele, incentrati sul tema del peccato e della redenzione. Il presbiterio è rialzato a causa della cripta sottostante. Una cappella mediana posta sul braccio meridionale del transetto ospita il pregevole affresco di una Dormitio Virginis del XII secolo9. In tal modo si ricavava una sorta di sacello la cui funzione è tuttavia ignota.

Di grande impatto visivo è la cripta situata al di sotto del presbiterio. L’ambiente, a tre navate con volte a crociera, ospita pregevoli capitelli scolpiti. Alcuni di essi, ornati con motivi vegetali, sono di reimpiego e rimontano forse alla preesistente chiesa longobarda. Tra le decorazioni realizzate in età romanica, riconoscibili da una maggiore plasticità dei bassorilievi, si distinguono alcuni draghi alati tra loro intrecciati.

Le sculture e i simboli del prospetto di San Michele Maggiore a Pavia

La facciata a capanna, tripartita, è inquadrata da spessi contrafforti angolari che, oltre alla funzione propriamente strutturale, incorniciano i tre portali e le sobrie aperture costituite da bifore, monofore, oculi e una croce. Gli elementi sono in tutto nove, in accordo alla simbologia che vede in questo numero il segno della divinità. Il prospetto è coronato da una loggetta con colonne e archi a tutto sesto.

Di grande rilevanza è l’apparato plastico della facciata che, sebbene compromesso a causa del degrado dell’arenaria di cui è costituito, rivela ancora una grande forza espressiva e simbolica. Per intuirne i significati bisogna innanzitutto rammentare a chi fosse rivolto: ai pellegrini sulla Via Francigena, certo, ma anche ai semplici cittadini di Pavia che nel prospetto della basilica di San Michele dovevano vedere manifesta la potenza dell’imperatore Federico Barbarossa. Si può così tenere traccia almeno di una duplice finalità, ossia da una parte costituire un’esposizione di vizi e virtù, che potremmo definire pedagogica ed edificante per il fedele in cammino, dall’altra celebrare la regalità in tutti i suoi aspetti. Eppure, si ha il sentore che l’iconografia dovesse spingersi ancora oltre, trasmettere una conoscenza complessa, un messaggio purtroppo oggi impossibile da decifrare e recuperare.

La figura dell’Arcangelo Michele

È interessante notare come la figura di San Michele costituisca il garante di una riflessione medievale che si esprime attraverso termini contrapposti: sull’essere un pellegrino mendicante e sull’essere re, sulla vita e sulla morte. L’Arcangelo è comandante della milizia celeste, Princeps per eccellenza che sconfigge il diabolico drago-serpente, e quindi indiscusso patrono di ogni sovrano. Nondimeno è anche l’intermediario per il popolo tra la sfera del divino e quella della terra. A San Michele ci si rivolge per ottenere grazie spirituali e guarigioni dai mali che affliggono il corpo. Egli è parimenti psicopompo, colui cui si chiede di accompagnare le anime in paradiso dopo la morte.

Non stupisce che il posto d’onore al centro del prospetto della Basilica pavese, appena sopra il portale maggiore, sia destinato a un bassorilievo dell’Arcangelo. San Michele veglia sulla Basilica pavese, segna il confine tra lo spazio esterno e il sacro della casa di Dio, impedendo al maligno, in tutte le sue accezioni, di potervi entrare.

Temi e motivi decorativi

Attorno alla figura di Michele, lungo tutta la facciata, su bande orizzontali si dispongono fregi e sculture. Così come ricchi di decorazioni sono i portali, specie a livello delle strombature, degli archivolti e lungo le fasce dei capitelli. Si tratta, queste ultime, delle sculture meglio conservate giacché furono realizzate nella più resistente pietra calcarea. Infatti, a causa degli agenti atmosferici nel corso dei secoli, non è più possibile ricostruire l’iconografia del prospetti in maniera esaustiva. Con fatica si riconoscono un Agnus Dei accanto al portale maggiore, una raffigurazione del Peccato originale di Adamo ed Eva, scene indistinte di pesca, caccia e di combattimento.

Tralci, girali e motivi fitomorfi rappresentano l’eredità stilistica di una tradizione altomedievale che tuttavia si rinnova con inediti slanci naturalistici. A livello delle strombature dei portali in bella mostra si osservano Nodi di Salomone e vari motivi spiraliformi.

Il bestiario di San Michele Maggiore

E ancora immagini di viandanti, musici, fabbri e cavalieri avvolte e travolte da mostri, abomini di ogni sorta o pie silhouettes di vescovi. È proprio in queste sculture che si può leggere la più intima essenza del romanico lombardo. Allegorie di vizi e virtù, monizioni penitenziali ed esempi di conversione sono rivolti ai pellegrini in un linguaggio codificato e simbolico. Si incontrano inquietanti sculture della sirena bicaudata, come sul capitello del portale sinistro. La figura ibrida di donna e pesce, le cui origini mitologiche devono essere fatte risalire verosimilmente alla letteratura greca10, è nel Medioevo un rimando alla tentazione lasciva della carne.

Numerosi sono gli animali tratti dai Bestiari, manoscritti illustrati dove gli attributi morali degli uomini venivano trasposti nelle figure animalesche. Se il drago è metafora del diavolo, come vuole l’Apocalisse di Giovanni11, il leone assume una caratteristica ambivalenza di significato: immagine di Cristo regale in Terra oppure bestia ferina, a seconda della lettura contestuale dei bassorilievi. Invece l’aquila, uccello che si libra in volo con ali poderose, esprime del Messia la sua dimensione celeste. Queste due nature, terrestre e divina, che in Cristo convivono, si riassumono nella figura del grifone, animale fantastico dalla testa di rapace e il corpo di leone. Nelle fasce dei capitelli presso i portali, i mostri e le bestie sono confinati all’esterno da ieratiche figure di vescovi. Posti a guardia degli usci, essi sono espressione della forza protettrice della Chiesa attraverso la sua gerarchia.

I portali laterali e la cerimonia di incoronazione

Il portale che si apre sul braccio settentrionale del transetto ospita sull’architrave una pregevole rappresentazione di Cristo entro un clipeo, sormontato da due angeli alati e i busti dei santi Ennodio e Nicola. Era questa la porta collocata lungo la Via Francigena, ragion per cui la cerimonia di incoronazione del sovrano incominciava dalla piazzetta antistante. È stato ipotizzato che la prima basilica longobarda di San Michele potesse occupare proprio quest’area del transetto. L’area pubblica aveva la funzione di connettere la Basilica al palatium, così da accogliere il corteo imperiale.

La processione penetrava poi all’interno dell’edificio attraverso il portale e assisteva al rito di intronizzazione vero e proprio, costituito da una solenne liturgia. Il cerimoniale si svolgeva presso cinque pietre circolari poste a metà della navata centrale. Durante la primavera, momento dell’anno in cui venivano tradizionalmente officiate le incoronazioni regali, la luce procedeva dalle finestre absidali del presbiterio sino a quel punto esatto. Finita la liturgia, il corteo imperiale usciva dalla Basilica dal lato opposto del transetto, ove si colloca la Porta Speciosa. Tale portale è contraddistinto dal tema della Traditio legis et clavum, in cui Cristo consegna la legge a San Paolo e le chiavi a San Pietro. L’ingresso, oggi tamponato, era posto in diretta relazione con il sacello della Dormitio Virginis.

I mosaici del presbiterio e il labirinto di San Michele Maggiore a Pavia

Il presbiterio di San Michele ospita i resti di uno straordinario tappeto musivo risalente alla fine del XII secolo. L’opera, un tessellato policromo e istoriato, appare oggi incompleta ma in origine ricopriva l’intera area del presbiterio per mezzo di un raffinato programma iconografico. Vi si possono scorgere una teoria di mesi con il re Anno e la porzione superiore di un grande labirinto. Ciò che resta del mosaico presbiteriale pavese lo dobbiamo a una circostanza fortuita: intorno al 1592 il grande e pesante altare maggiore venne spostato su di esso, evitando che le tessere si staccassero col tempo.

Il litostrato di San Michele rappresenta il picco più alto dell’arte musiva pavese e rivela l’impiego di botteghe specializzate dalla tecnica pregiata e raffinatissima. Su una fascia superiore orizzontale, incorniciata da meandri e altri motivi geometrici, vi è la personificazione dell’Anno in veste di sovrano. Il re, vestito di una tunica rossa, è assiso in trono mentre regge lo scettro e il globo terrestre.

Ai suoi lati, sotto eleganti arcate, si dispongono i Mesi, identificabili tramite opportune iscrizioni e le consuete attività agricole. Nella rappresentazione di Gennaio un uomo anziano si scalda le mani su un fuoco; in Febbraio un paletto viene appuntito in preparazione della primavera; Marzo soffia su due corni ricurvi; Aprile regge due mazzi di fiori; Maggio estirpa l’erbaccia; Giugno raccoglie due rami di ciliegie; Luglio miete il grano con una falce; Agosto sta lavorando una botte per il vino.

Completano la scena ancora visibile tre riquadri con animali contenenti un cane e due volatili. Appena più in basso si riconosce il tracciato di un labirinto unicursale e, presso gli angoli, le immagini fantastiche di una capra a cavalcioni su un lupo e di un uomo che cavalca un’oca.

L’opera originale

Dell’originale e completa composizione musiva che ricopriva il presbiterio di San Michele, fortunatamente, ci è giunta testimonianza attraverso un disegno ritrovato nel Codice Barberiniano Latino 4426 della Biblioteca Vaticana12.

Si scopre così che gli angoli rimanenti della porzione centrale, intorno al labirinto, erano occupati dalla raffigurazione della lotta tra un uomo e un drago e da un cavallo alato. Ora, è possibile che vi fosse almeno un rimando alle costellazioni celesti, la cui posizione astrale scandisce le stagioni e i periodi dell’anno. Sul lato sinistro del mosaico, invece, si trovava il combattimento tra Davide e Golia; a destra era rappresentato un mare pescoso.

Il labirinto

La ricostruzione mette in evidenza l’affascinante labirinto circolare con undici spire, disposto entro un quadrato di 4,4 metri circa, al centro del quale era visibile la scena mitologica di Teseo che uccide il Minotauro con una lancia avvelenata. Tutt’intorno si disponeva la scritta didascalica:

Teseus intravit monstrum [que] biforme necavit“.

Entrò Teseo e uccise il mostro biforme”.

La riproduzione del mito di Cnosso a Pavia si può certo spiegare in relazione alla figura di Michele, santo titolare della chiesa. La vittoria di Teseo sul Minotauro può essere vista come una trasposizione della lotta tra l’Arcangelo e il maligno. Tuttavia, tale interpretazione non è sufficiente a dare ragione della complessità di questo tema iconografico nel Medioevo, specie se esaminato non solo come fenomeno locale, ma su più larga scala. Quello di Pavia non era l’unico labirinto collocato in un edificio di culto cristiano. Se ne trovano altri esemplari nella Cattedrale di Chartres in Francia, a Pontremoli, nel Duomo di Lucca, ad Alatri e uno, oggi perduto, adornava la basilica di San Savino a Piacenza.

Questi dedali, dipinti, incisi, o in forma di mosaico, sempre unicursali, si incontravano lungo le vie di pellegrinaggio per Roma e Gerusalemme, come la Via Francigena sulla quale insisteva la basilica pavese di San Michele Maggiore. Il labirinto era pertanto metafora stessa del lungo cammino da affrontare per giungere nelle città sante. Al contempo esso simboleggiava il percorso spirituale e penitenziale che il pellegrino doveva affrontare per ambire alla salvezza, un dedalo interiore, fatto di rinunce al peccato, alle passioni della carne e ai beni materiali così da volgere lo sguardo al cielo. Chi invece sceglieva il labirinto del mondo e le sue perdizioni, dimora del diabolico Minotauro, era destinato a restarvi intrappolato per sempre.

Samuele Corrente Naso

Note

  1. Lettera di Giuda, 9. ↩︎
  2. P. Majocchi, Pavia città regia. Storia e memoria di una capitale altomedievale, Roma 2008. ↩︎
  3. Chronicon Novaliciense, XI secolo. ↩︎
  4. I Gesta Berengarii imperatoris non citano nessuna chiesa in particolare. R. Cassanelli, P. Piva, Lombardia romanica, i grandi cantieri, Jaca book, Milano, 2010. ↩︎
  5. V. Lanzani , La Chiesa pavese nell’alto medioevo: da Ennodio alla caduta del regno longobardo, in Storia di Pavia, II, l’alto medioevo, Pavia, 1987. ↩︎
  6. Paolo Diacono, Historia Langobardorum. ↩︎
  7. Ottone di Frisinga, Gesta Friderici I. ↩︎
  8. P. Majocchi, Papia civitas imperialis. Federico I di Svevia e le tradizioni regie pavesi, in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria, n. 105, 2005. ↩︎
  9. S. Lomartire, La pittura medievale in Lombardia, in La Pittura in Italia. L’Altomedioevo, Milano, 1994. ↩︎
  10. Odissea XII, 39-46, traduzione di Giuseppe Aurelio Privitera: “Tu arriverai, prima, dalle Sirene, che tutti gli uomini incantano, chi arriva da loro. A colui che ignaro s’accosta e ascolta la voce delle Sirene, mai più la moglie e i figli bambini gli sono vicini, felici che a casa è tornato, ma le Sirene lo incantano con limpido canto, adagiate sul prato: intorno è un mucchio di ossa di uomini putridi, con la pelle che raggrinza”. Tuttavia, va esplicitato che, nella mitologia greca, le sirene erano idealmente un ibrido tra una donna e un uccello. Soltanto nell’epoca medioevale, grazie a influenze della letteratura nord-europea, esse assumono le connotazione che le accomunano ancora oggi. ↩︎
  11. Apocalisse di Giovanni 12. ↩︎
  12. G. Ciampini, Vetera Monimenta, 1699; Codice Barberiniano Lat. 4426, Biblioteca Vaticana. ↩︎

Autore

Samuele

Samuele è il fondatore di Indagini e Misteri, blog di antropologia, storia e arte. È laureato in biologia forense e lavora per il Ministero della Cultura. Per diletto studia cose insolite e vetuste, come incerti simbolismi o enigmatici riti apotropaici. Insegue il mistero attraverso l’avventura ma quello, inspiegabilmente, è sempre un passo più in là.

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