I complessi simbolismi di Pavia

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Pavia fu capitale del Regno Longobardo d’Italia, instaurato a partire dall’invasione del 568 ai danni dell’Imperatore bizantino Giustiniano, sino al 774. In tale data Carlo Magno, al comando dei Franchi conquistava definitivamente la città. Il patrono dei Longobardi era San Michele Arcangelo, l’inviato di Dio per ricacciare l’avversario Lucifero nelle tenebre. Non è un caso che il popolo germanico invocasse la protezione del guerriero per eccellenza, essendo nomade per intrinseca natura e, pertanto, soggetto a frequenti dispute con nazioni avverse.

La Basilica di San Michele Maggiore a Pavia

Ciò spiega l’edificazione in epoca Longobarda, a Pavia, proprio di una primitiva chiesa dedicata a San Michele, le cui menzioni più antiche risalgono al 642 d.C. [1]. Tuttavia, come accadeva assai di frequente nel periodo storico considerato, i nuovi edifici di culto andavano a sostituirne altri dedicati a precedenti credenze. Così, è possibile che la chiesa di San Michele Maggiore sorgesse sui resti di un più antico tempio pagano. L’edificio longobardo andò distrutto nel 1004 a causa di un incendio e l’attuale basilica risale soltanto al XII secolo. Essa costituirà, da quel momento, un impressionante manifesto del Romanico europeo, tanto quanto la Cattedrale di Notre Dame a Parigi, o il Duomo di Milano, lo saranno per il successivo gotico. L’edificazione della Basilica di San Michele Maggiore fu completata nel 1155 [2], ad opera degli espertissimi maestri lombardi Comacini, i quali fusero gli innovativi elementi romanici con talune rimanenze di pregevole fattura longobarda.

Architettura e simbologia

All’interno della basilica romanica di San Michele Maggiore si può constatare l’incredibile simbiosi tra gli elementi architettonici propri dell’edificio e quelli più strettamente legati alla simbologia. Lungo la pianta a croce latina con matronei si innestano i pilastri che sorreggono le volte a crociera, suddividendo gli spazi in tre ampie navate. Qui, all’altezza dei capitelli e delle basi, si ritrovano straordinari fregi, opera dei maestri Comacini, i quali non lesinarono interessanti simbolismi.

Tra questi, è necessario citare la ripetuta rappresentazione della sirena bicaudata, nell’accezione medioevale della diabolica tentazione della carne e dell’infedeltà. L’inquadramento simbolistico così ottenuto è universalmente riconosciuto per l’epoca considerata, sebbene è assai probabile che la figura fosse in origine ben connessa alla ritualità antica e pagana della dea madre.

Il tema appare tanto più rilevante quanto maggiore è la riproposizione di tale ibrida figura di donna e pesce, le cui origini mitologiche devono essere fatte risalire verosimilmente alla letteratura greca [3]. Il simbolismo appare, infatti, persino sulla morbida (e deteriorante) arenaria della facciata a capanna, sul capitello scolpito del portale sinistro.

Qui, a livello delle strombature di ben tre portali, appaiono altresì rilevanti gli straordinari motivi fitoformi, intervallati talvolta da ripetizioni seriali del Nodo di Salomone o spiraliformi.

Eccezionale è poi la simbologia situata presso il capitello destro del portale principale: il diavolo, nelle sembianze di drago e serpente, è fermato sull’uscio dalla figura di un vescovo. Esso non può entrare all’interno della basilica, poiché vi è la forza protettrice della Chiesa attraverso la sua gerarchia.

Ciò nondimeno, nodi e diavoli si ripetono costantemente pure all’interno e presso gli ingressi della graziosa cripta.

Il labirinto di Pavia

Un attento approfondimento merita l’elemento simbolico più importante dell’intero edificio. Si tratta di uno straordinario mosaico a labirinto, situato presso il presbiterio, e dalle travagliate vicende.  

Pavia fu crocevia di ben due fondamentali camminamenti del Medioevo, la via Francigena e quella Micaelica, presso i cui luoghi la figurazione del labirinto appare ancora oggi piuttosto frequente. Si pensi al corpus simbolistico della Cattedrale di San Martino a Lucca, agli esemplari di San Pietro a Pontremoli e di San Savino a Piacenza.

Il mosaico del presbiterio di San Michele Maggiore è certamente risalente alla fine del XII secolo. Esso voleva rappresentare il mito greco di Arianna, Teseo ed il Minotauro, oltre alla personificazione dei dodici mesi dell’anno. Anche in questo caso si osserva una riproposizione cristiana di una narrazione ellenica. Originariamente, il significato del labirinto non doveva essere dissimile dalla concezione esoterica di una iniziazione gnostica, al pari della più quotata ricerca della Pietra Filosofale alchemica. Ciò nondimeno, nel Medioevo cristiano, esso assunse i connotati di un camminamento spirituale verso Dio, quasi una metafora del pellegrinaggio che ogni uomo deve compiere verso la sua Terra Santa, la salvezza dell’anima.

Il labirinto di Pavia appare oggi incompleto. Nel corso dei secoli le tessere del mosaico opus vermiculatum presero a staccarsi, sino a compromettere buona parte dell’opera. Ciò che oggi appare visibile lo si deve ad una fortunata combinazione di fattori. È noto, infatti, che la porzione superiore del labirinto rimase per secoli schiacciata sotto il peso del gigantesco altare maggiore. Ciò ne impedì il disfacimento accidentale, ma pure volontario: nel 1500-1600 si ritenne troppo complicato spostare l’altare per il rifacimento del pavimento. In tal modo la porzione superiore del mosaico è giunta sino a noi.

L’opera originale

Ciò che resta del labirinto non è oggi visitabile liberamente, ma solo attraverso la sapiente guida dei volontari della basilica. L’opera completa e originale è, invece, conservata in alcune antiche copie situate presso l’Archivio Segreto della Biblioteca Vaticana [4]. La ricostruzione più fedele è tuttavia ad opera di Maurizio Costa (1982).

Dalla ricostruzione si evince che il mosaico dovesse occupare l’area di un quadrato di circa 4 metri e mezzo di lato. La figura è occupata centralmente dal labirinto propriamente detto, all’interno del quale si staglia la figura del Minotauro. Questo è ferito a morte dall’eroe Teseo, che lo colpisce alle spalle. Si tratta di un elemento di ambiguità simbolica; il Minotauro era, infatti, un mostro della mitologia greca. La rappresentazione è infine correlata dalla dicitura teseus intravit monstrum (que) biforme necavit (Entrò Teseo e uccise il mostro biforme).

Il mito del Minotauro

Il mito vuole che Minosse, re dell’Isola di Creta, non fosse molto amato dai suoi sudditi. Per questa ragione, si mise a pregare il dio Poseidone affinché questi gli inviasse un dono che ne legittimasse la regalità. Poseidone, esaudendo la richiesta, inviò a Minosse uno splendido toro bianco, a patto che l’animale venisse sacrificato durante un rito misterico in suo onore. Il re di Creta, tuttavia, apprezzando più del dovuto il valore del possente toro bianco, decise di sacrificarne un altro. Ciò scatenò l’ira di Poseidone e, parimenti, una esemplare punizione. La moglie di Minosse, infatti, veduto il toro se ne innamorò perdutamente e, attraverso un travestimento, riuscì infine a giacere con esso. Dall’unione della moglie del re e dell’animale nacque il Minotauro (minos, re e taurus, toro).

Quando il Minotauro fu cresciuto, Minosse fu costretto a rinchiuderlo all’interno dell’intricato labirinto di Cnosso affinché non potesse compiere del male. Il mostro era, infatti, dominato dalla bestialità dell’essere animale, in quanto possedeva la testa di toro e solo il corpo dell’uomo.  Il mito si conclude con l’uccisione del Minotauro ad opera dell’ateniese Teseo che, grazie ad un gomitolo regalategli dall’innamorata Arianna, riuscì a superare il complesso labirinto.

La doppia simbologia del labirinto

Al di là delle innumerevoli sfaccettature che il mito greco racchiude, e custodisce come in un lucido sogno, è interessante analizzare la correlazione che intercorre tra il simbolismo del labirinto e quello del Minotauro.

Per quale ragione viene raffigurato un labirinto, per di più con un mostro al suo interno, in una cattedrale manifesto del Romanico medioevale cristiano?

Tale raffigurazione del labirinto non è l’unica rinvenuta. Lungo le stesse vie italiche già menzionate, la via Francigena e la via di San Michele si incontrano differenti rappresentazioni. Per citare un esempio: ad Alatri, nel Lazio, al centro del labirinto vi è la figura di Cristo.

Perché questa doppia rappresentazione, che pare a primo acchito essere totalmente contraddittoria? Il labirinto con il Minotauro appartiene forse a un differente corpus simbolico?

La risposta è insita nel mito e, per quanto appaia di difficile lettura, assolutamente coerente a un contesto cristiano e cristocentrico. Il Minotauro era dominato dalla bestialità, che appare perfetta metafora della condizione dell’uomo. Quest’ultimo è, infatti, dotato di spirito e intelletto, ma parimenti possiede una natura animale da cui non può fuggire. La tentazione e il peccato, in accordo con la teologia cristiana, conducono pertanto al centro dell’invalicabile Labirinto di Cnosso. Questa è la naturale collocazione del Minotauro: ogni uomo è destinato alla prigione della sua carnalità, dei suoi istinti primordiali. Chi può liberarlo da tale schiavitù, se non Cristo che ha vinto la morte, che ha natura umana e parimenti divina?

In definitiva, è l’uomo stesso che sceglie il suo percorso. Nella misura in cui segue la sua bestialità si addentra in un labirinto nel quale non incontrerà altro che un mostro (se stesso, ma persino il diavolo).  Ma se l’uomo cerca invece Dio, ecco che il labirinto è un percorso di elevazione, dove al centro c’è Cristo, la salvezza.

I dodici mesi e il Re Anno

Il mosaico del presbiterio era completato da raffigurazioni di animali reali e mitologici (tre pesci, un cavallo alato, un drago, una capra a cavalcioni su un lupo), che non si esclude possano alludere a costellazioni celesti, e dalla personificazione dei dodici mesi. Essa è la porzione superiore della pavimentazione, corrispondente a quella ancora visibile. In posizione centrale rispetto ai mesi, si staglia la personificazione del Re Anno. Vestito di una tunica rossa, esso impugna lo scettro con una mano e il globo terrestre con l’altro.  Sul lato sinistro del mosaico, in basso, doveva in origine trovarsi una rappresentazione della lotta tra Davide e Golia, di non facile contestualizzazione.

L’Arca di Sant’Agostino presso la Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro

Pavia, nel corso della sua storia, ha vantato la presenza di numerose basiliche. Alcune di esse sono andate perdute, come la chiesa di Sant’Ambrogio o quella di San Giovanni Battista, altre si ergono ancora a memoria dei gloriosi fasti di un tempo. Tra queste ultime vi è la già “visitata” San Michele Maggiore, San Teodoro, ed anche la prossima tappa del nostro investigare: San Pietro in Ciel d’Oro. Antichissimo edificio di culto, si dice consacrato nel 743, era così chiamato per via dei suoi soffitti dorati “in coelo aureo”.

L’edificio fu voluto dal re longobardo Liutprando nel luogo in cui era sepolto il filosofo San Severino Boezio, reso martire dall’Imperatore Teodorico il Grande. Lo stesso Liutprando sarà sepolto alla sua morte nello stesso luogo. E ancora, presso la basilica di San Pietro in Ciel d’Oro sono accolte le spoglie mortali dell’apologeta e dottore della Chiesa Sant’Agostino d’Ippona (354-430). Esse sono adagiate all’interno di un’importante opera scultorea di particolare interesse. Si tratta dell’Arca di Sant’Agostino, dalle eccezionali fattezze gotiche (1362) e dall’ignoto autore, sebbene parte della critica la attribuisca al maestro Giovanni Balduccio [5].

La basilica di San Pietro in Ciel d’Oro fu ricostruita alla fine del XII secolo, andando a costituire, insieme a San Michele Maggiore, il più alto esempio di Romanico Lombardo. In origine si trovava situata entro una cinta muraria che doveva fungere da cittadella difensiva per il vicino Castello Visconteo.

Le vicende dell’Arca di Sant’Agostino

San Pietro in Ciel d’Oro dovette subire delle burrascose vicende (e con lei la preziosa arca) allorché giunsero a Pavia le truppe napoleoniche nel 1796. La basilica fu sconsacrata e utilizzata come deposito, finché l’intera navata destra cedette. Soltanto l’attenta opera di restauro, conclusasi nel 1896, consentì di riosservarne l’antico splendore.

Anche l’Arca di Sant’Agostino dovette subire lo stesso trambusto. In seguito all’arrivo dei Francesi, il monumento venne smontato e accatastato presso la sagrestia del Duomo di Pavia, dove rimase semi-dimenticato per anni. Soltanto in seguito fu ricondotto presso la sua originaria collocazione.

L’Arca di Sant’Agostino e i simbolismi della Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro

L’opera si snoda su più registri, a partire dal basamento verso l’alto:

  1. Statue di santi e apostoli, rappresentazioni delle virtù
  2. Una cella, sostenuta da pilastri con raffigurazioni di papi e vescovi, all’interno della quale è scolpito il corpo di Sant’Agostino.
  3. Dieci riquadri con momenti della vita del santo, sormontati da timpani regolari che racchiudono i Miracoli dello stesso.

Da un punto di vista simbologico, degne di nota sono le raffigurazioni di San Michele che opera la psicostasia (pesatura delle anime) e di Cristo all’interno della Vesica Piscis. Posteriormente all’Arca, sul pavimento, è adagiato poi uno splendido mosaico (V secolo) proveniente da Ippona, la città di Sant’Agostino.  Le tessere compongono centralmente un Nodo di Salomone.

Infine, similmente a quanto accade presso San Michele Maggiore, sul portale dell’edificio sono presenti alcune eleganti raffigurazioni della sirena e del drago-serpente.

Samuele Corrente Naso

Note

[1] Età di Grimoaldo (662-671).

[2] Nello stesso anno san Michele Maggiore, appena terminata, ospitò l’incoronazione di Federico Barbarossa.

[3] «Tu arriverai, prima, dalle Sirene, che tutti gli uomini incantano, chi arriva da loro. A colui che ignaro s’accosta e ascolta la voce delle Sirene, mai più la moglie e i figli bambini gli sono vicini, felici che a casa è tornato, ma le Sirene lo incantano con limpido canto, adagiate sul prato: intorno è un mucchio di ossa di uomini putridi, con la pelle che raggrinza» [­Odissea XII, 39-46. Traduzione di Giuseppe Aurelio Privitera].

Tuttavia, va esplicitato che, nella mitologia greca, le sirene erano idealmente un ibrido tra una donna e un uccello. Soltanto nell’epoca medioevale, grazie a influenze della letteratura nord-europea, esse assumono le connotazione che le accomunano ancora oggi.

[4] Giovanni Ciampini, Vetera Monimenta, 1699; Codice Barberiniano Lat. 4426 citato da E. Müntz

[5] Rodolfo Majocchi, L’autore dell’Arca di S. Agostino in San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia, 1901.

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