San Galgano e la spada nella roccia, l’origine del mito

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Un cavaliere di grande virtù, il Santo Graal, una spada conficcata nella roccia e… Camelot… anzi, la Toscana! Tra incantevoli paesaggi naturali, in un luogo ammantato d’una mistica essenziale e dalla straordinaria importanza storica, sorge l’Eremo di Montesiepi. Ivi si cela un grande arcano: una spada leggendaria fu da un santo incastonata nella roccia. E poco più in là, il firmamento e la terra s’incontrano davvero, non solo nelle menti e nei cuori dei visitatori, ma tra le immaginarie volte, a cielo aperto, dell’Abbazia di San Galgano, centro sacro da cui i monaci Cistercensi scrissero la storia culturale della regione.

La spada nella roccia

Nel profondo entroterra senese vi sono luoghi straordinari. Laddove la via conduce verso infiniti paesaggi dalle verdi sfumature, e l’incedere indugia compassato tra le meraviglie della natura, si cela un’illuminazione; una sublime sensazione che d’impeto sorge innanzi all’ignoto, frammista a smarrimento e gratitudine. Ciò sperimenta il visitatore nello scoprire quell’arcano gioco di magia che incatena l’Eremo di Montesiepi e l’Abbazia di San Galgano a una dimensione eterea e immaginifica. Strette sono le stradine collinari che conducono all’antico monastero; strette sono le vie della verità e del coraggio di un cavaliere.

Il viaggio non può che incominciare ai bordi di una scarna roccia, all’interno della cappella di San Galgano a Montesiepi. Si tratta di un masso come tanti nella zona, ma che possiede una particolarità eccezionale: una spada di metallo vi è conficcata quasi fino all’elsa.

Ma come è possibile che una spada si trovi incastonata all’interno di una roccia… nel bel mezzo della Toscana? Proveremo a rispondere a questa domanda attraverso una storia incredibile, che oltrepassa il tempo e il mito.

San Galgano Guidotti

Le agiografie medioevali – prima fra tutte l’Inquisitio in partibus, contenente gli atti del processo di canonizzazione del 11851 – attestano che Galgano Guidotti, un cavaliere di nobili origini nato a Chiusdino tra il 1148 e il 1150, e che aveva vissuto una gioventù dissoluta, ebbe una visione mistica. Egli osservò, come in un sogno, San Michele Arcangelo chiedere a sua madre, Dionigia, di farlo divenire un soldato. Destatosi da quella sorta di rapimento estatico, Galgano corse subito dalla genitrice e le riferì quanto veduto:

La madre, dopo aver riflettuto in silenzio, colma di grande felicità disse: “Questa visione è buona, figlio mio, ed è per te portatrice di un messaggio di immensa gioia. Noi infatti, io vedova e tu orfano, saremo affidati a san Michele, al quale molto devotamente si dedicò tuo padre”.

Inquisitio in partibus, 1185

Dionigia rivela che la famiglia di Galgano fosse particolarmente devota all’arcangelo Michele. In effetti, il padre Guidotto, morto nel 11782, era stato un cavaliere, e combattenti dovevano essere stati i precedenti avi3: appare naturale che il protettore del casato fosse proprio il comandante delle milizie celesti. D’altronde, il borgo natale di Galgano, Chiusdino, aveva origini longobarde, ed è nota la dedicazione di siffatto popolo di guerrieri a San Michele Arcangelo.

La seconda visione di San Galgano

Né Galgano né sua madre, tuttavia, avevano compreso a fondo la natura della richiesta divina. San Michele domandava l’adesione totale alla milita Christi, il distacco dai beni materiali della vita. E così, dopo anni di dubbi e incertezze, Galgano ricevette una seconda visione dell’Arcangelo, che lo esortava a seguirlo. Il giovane si ritrovò in sella a un cavallo, che lo condusse sui passi di un lungo percorso. Egli attraversò, non senza difficoltà, un ponte sopra un fiume e vide un mulino in funzione… si rammentò così dello scorrere del tempo e del passare di tutte le cose.

È facile intuire il significato mistico nascosto nel fiume, nel mulino e nel ponte.

Rolando Pisano, Legenda Beati Galgani

Dopo il ponte vi era un prato “coperto di fiori bellissimi, che diffondevano un profumo meraviglioso”. Galgano entrò poi in una caverna sotterranea e solo dopo giunse a Monte Siepi, dov’era edificata una casa rotonda. Ivi riconobbe i dodici apostoli, che gli diedero un libro affinché lo leggesse, ma poiché egli non vi riusciva, alzò lo sguardo al cielo e intravide l’immagine di una maestà divina. Gli apostoli, allora, gli comandarono:

Costruisci qui una casa in onore di Dio, della santa Maria e di san Michele Arcangelo e dei dodici Apostoli. E starai qui, per moltissimi anni.

Inquisitio in partibus, 1185

L’interpretazione simbolica della visione

La visione di Galgano racchiude molteplici archetipi della leggenda medioevale, che si esprimono attraverso immagini simboliche codificate. In primis, il santo compie un difficile cammino inizatico, nell’accezione di giungere a un livello superiore di consapevolezza: il lungo e insidioso ponte è metafora del transito terrestre; il fiume dello scorrere del tempo e della vacuità delle cose materiali; il mulino è qui una Ruota della Fortuna, allegoria della mutevolezza del mondo, in cui predomina il caso. Galgano giunge poi in un prato fiorito, ma esso non è la meta, è piuttosto lo stato intermedio della coscienza che segue la conversione. Ma l’ultima sfida dell’uomo prima di incontrare il divino è il passaggio tra la vita e la morte, e difatti Galgano attraversa una grotta, spazio simbolico oscuro e sconosciuto.

Il santo giunge infine presso gli apostoli e rifiuta di leggere il libro. È questa un’immagine potente e controversa. Il gesto di Galgano indica il rifiuto dell’intermediazione delle Sacre Scritture e degli ordini monastici esistenti – il libro della visione è la Bibbia – a favore di una contemplazione della maestà divina attraverso un’esperienza diretta, eremitica.

La conversione

Ecco che il santo cominciò a ingegnarsi su come esaudire la richiesta divina, Monte Siepi era un luogo impervio, difficile anche solo da ipotizzare come dimora. E infatti, l’Inquisitio in partibus attesta che nessuno sembrò prenderlo sul serio: gli amici, malgiudicando il suo progetto, controbattevano bruscamente “tu vuoi raccogliere denaro e truffare. Vattene oltremare” – che peraltro ci fornisce una nitida immagine di ciò che si pensava delle Crociate – e persino la madre iniziò ad accampare scuse, in quanto “il freddo è eccessivo, la fame intensa, il luogo quasi inaccessibile: come vi andremo?”. Come se non bastasse, a partire dal XVI secolo, le agiografie di Galgano rivelano che egli avesse una promessa sposa, la nobile Polissena di Civitella. Dionigia, insomma, tentò in tutti i modi di convincerlo a contrarre matrimonio, abbandonando i propositi di eremitaggio.

Galgano, chissà, cercò di obbedire al volere genitoriale e nel dicembre del 1180 si mise in viaggio sulla via per Civitella; a un certo punto, tuttavia, il suo cavallo si imbizzarrì, e non vi fu più verso di proseguire. Il santo lasciò libere le briglie e si abbandonò alla volontà di Dio: l’animale lo condusse a Monte Siepi, presso il luogo della visione mistica. Galgano indossò quindi un saio, che aveva ricavato stracciando il proprio nobile mantello, e qui si ritirò in preghiera.

E sguainata la spada, non essendo in grado di fare una croce dal legno, piantò subito la stessa spada in terra, come croce. Ed essa, per virtù divina, si saldò in modo tale che né lui né altri, con qualunque sforzo, fino ad ora poterono mai estrarre.

Inquisitio in partibus, 1185

In quel preciso istante la spada mutò di significazione: da segno di morte qual era, essa prese le fattezze della Croce salvifica di Cristo.

La lotta di San Galgano contro il diavolo

Galgano costituì presso Montesiepi una piccola comunità di frati (fratres religiosi sancti Galgani), probabilmente retta dall’osservanza di una regola orale. Nella primavera del 1181, mentre egli si recava da Papa Alessandro III, forse per chiedere l’approvazione di questo cenobio, tre persone, mosse dall’invidia, tentarono di estrarre la spada dalla roccia; non riuscendoci in nessuna maniera, la spezzarono in due. 

La tradizione narra che Dio castigò duramente i peccatori: uno morì colpito da un fulmine e un altro annegò in un fiume; l’ultimo dei tre stava per essere sbranato dai lupi ma invocò il perdono divino e fu risparmiato. Tuttavia, le belve fecero in tempo a strappargli le braccia, e quegli stessi arti, leggenda vuole, furono conservati in una teca, come monito per gli anni a venire. Fonti del XIV secolo identificarono negli invidiosi il rettore della pieve di Chiusdino, l’abate e un converso dell’abbazia benedettina di Serena, i quali temevano che a Montesiepi potesse nascere una nuova e più potente comunità monastica, come in effetti succederà.

Il Signore comandò a Galgano Guidotti di ricomporre la croce-spada, che tosto si risaldò, e da allora nessuno osò mai più tentare di estrarla5. Da quel momento, persino il diavolo cominciò a temere la santità di Galgano:

[…] una notte, mentre era nel bosco e si riparava fra due carpini, udì il diavolo che veniva contro di lui. Volendo che quello non lo opprimesse in quel luogo, uscì fuori da lì per affrontarlo coraggiosamente. E il diavolo, vedendo la tenacia dell’uomo, si allontanò da lui con un ululato.

Inquisitio in partibus, 1185

La morte e la sepoltura

Dopo la conversione, Galgano seguì una vita semplice e di meditazione, in contrasto con le violenze e gli scontri politici che imperversavano nella regione, compiendo numerosi miracoli6. E soprattutto, il santo eremita adottò uno stile di preghiera genuino e libero, senza prendere l’abito di uno degli ordini religiosi già esistenti. L’Inquisitio in partibus, la fonte temporalmente più vicina ai fatti narrati, non ne fa menzione alcuna. Il 30 novembre del 1181 una forte luce annunciò la morte a Galgano; i confratelli lo seppellirono accanto alla sua spada, come si addiceva a un cavaliere, un cavaliere di Cristo.

[…] subito vidde la cella illuminata di tanto splendore che parbe per mille forami uno razo di sole e di luce risplendesse come fuoco, et entrasse nella cella dov’elli era. Et di questa luce escì una boce chiara che dixe: “Galgano mio, tè quello che seminasti”… Fatta ch’ebbe questa oratione, l’anima sua si partì dal corpo e meritò di pervenire a la patria celestiale.

Leggenda di Santo Galgano Confessore, anonimo in volgare (XIV secolo)

Tuttavia, le spoglie di Galgano non rimasero lì a lungo: durante il processo di canonizzazione furono traslate in un luogo sconosciuto. La testa del santo, invece, fu posta in un reliquiario e condotta a Siena; essa è oggi collocata presso la prepositura di San Michele a Chiusdino.

L’Eremo di Montesiepi

Le spoglie di Galgano Guidotti divennero ben presto oggetto di grande venerazione, soprattutto a causa dei miracoli che gli venivano attribuiti dalla gente di Chiusdino. Il crescente pellegrinaggio verso Montesiepi attirò la curiosità del vescovo di Volterra, Ugo Saladini, che decise di condurre una prima indagine sugli accadimenti. Ordinò quindi la costruzione di una cappella circolare, al fine di custodire la spada di Galgano e la sua sepoltura. Nel 1185 il nucleo originario dell’edificio era già completo e nel XIV secolo fu aggiunta una cappella laterale7, affrescata da Ambrogio Lorenzetti. Nel XV secolo venne infine aggiunto un piccolo campanile a vela.

La Cappella di Montesiepi

La Cappella dell’Eremo di Montesiepi può essere facilmente raggiunta attraverso un grazioso sentiero. La camminata boschiva evoca il percorso spirituale dell’eremita Galgano.

La Cappella, edificata in chiaro stile romanico-senese, è detta “Rotonda di Montesiepi” a causa della sua forma cilindrica. L’edificio è inferiormente costituito in travertino, mentre la porzione superiore e la cupola sono contraddistinte da un paramento bicromo a bande chiare e laterizio. 

La Rotonda è preceduta da un pronao con arco a tutto sesto, al di sopra del quale svetta lo stemma della famiglia fiorentina dei Medici.

La spada di Montesiepi

All’interno della Rotonda di Montesiepi è collocata la spada nella roccia di Galgano. La reliquia è protetta da una teca di vetro che fu aggiunta nel XX secolo, dopo che alcuni vandali nel 1960 e nel 1991 la estrassero imprudentemente. Ebbene sì, non bastò nemmeno il monito della divina punizione!

Nel 2001, un’equipe coadiuvata dal professor Luigi Garlaschelli del CICAP ha voluto accertare che la spada fosse davvero conficcata nella roccia, e che la sua datazione fosse coeva a San Galgano. Sebbene la sua esistenza a Montesiepi sia attestata da differenti dipinti e opere sin dal XIII secolo, non ultimo l’affresco del Lorenzetti nella cappella laterale, l’indagine ha confermato che la reliquia sia ancora quella originale.

La spada risultava spezzata in due, come in effetti tramanda la tradizione: una breve perforazione della roccia ha permesso di rilevare la parte anteriore della lama. Da essa sono stati estratti alcuni campioni di ferro, che l’Università di Pavia ha analizzato con Spettroscopia di Assorbimento Atomico e il centro di ricerca LENA con l’Attivazione Neutronica. L’analisi della composizione del metallo ha escluso l’impiego di leghe moderne, e pertanto è plausibile un’origine medioevale del manufatto. Lo stile della spada è, in effetti, ascrivibile alla fine del XII secolo, in accordo con la classificazione di Ewart Oakeshott8.

Tracce dei Cavalieri Templari

Galgano Guidotti non fu solo un grande santo, ma un vero e proprio rivoluzionario. Attraverso il suo gesto, di un significato simbolico enorme, egli incarnò gli ideali monastici e cavallereschi che animavano il suo tempo; divenne l’archetipo dell’uomo giusto medioevale, del nobile combattente che poneva la spada al servizio di Dio. Appare naturale, pertanto, che la sua figura riscosse tosto un grande successo, e fu portata in gloria in special modo dagli ordini gerosolimitani impegnati nelle Crociate. Nel senese erano particolarmente attivi i Cavalieri Templari, giacché qui transitava la via Francigena, lungo la quale essi possedevano numerose magioni. Inoltre, San Galgano aveva abbracciato la regola monastica dei Cistercensi, ch’erano fratelli nella fede della militia Templi poiché condividevano con essi l’impronta teologica di San Bernardo di Chiaravalle.

Anche presso la Rotonda di Montesiepi, pertanto, è possibile rinvenire alcune tracce dei Cavalieri Templari.

La presenza storica dei Templari a Montesiepi ha suscitato nel tempo alcune questioni di non facile definizione, sospese a metà tra verità e leggenda. D’altronde, una spada conficcata nella roccia non può che richiamare alla mente l’epopea arturiana dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Attraverso un’ardita analogia, qualcuno ha fantasticato che i Templari fossero in possesso proprio della preziosa reliquia descritta nei romanzi di Chrétien de Troyes e Robert de Boron, il Santo Graal, e che l’avrebbero nascosta a Montesiepi per preservarla… Al di là del mito, è affascinante immaginare che l’Ordine del Tempio avesse rinvenuto a Gerusalemme il santo calice da cui bevve Gesù nell’Ultima Cena, e che lo tenesse custodito proprio nel bel mezzo della Toscana.

L’Abbazia di San Galgano

Essendo vissuto come un semplice eremita, e non avendo aderito a nessuna regola monastica, la figura di Galgano Guidotti venne contesa, negli anni successivi alla morte, tra i Cistercensi e gli Agostiniani9. Entrambi gli ordini, nei secoli XIII e XIV, ne promuovevano la santità: di questo periodo esiste un’agiografia di mano agostiniana (Vita beati Galgani10) e un’altra redatta da un anonimo cistercense (Vita Sancti Galgani de Senis11).

I favori dell’Imperatore Enrico VI caddero sui monaci bianchi di Cîteaux, che nel 1191 furono inviati a Chiusdino per organizzare una comunità meglio organizzata. Chi meglio dei Cistercensi di Bernardo di Chiaravalle, che aveva sostenuto la necessità della spada (De laude novae militiae, 1128), poteva essere degno di risiedere a Montesiepi?

Tuttavia, un documento del 1196 ci racconta che essi non fossero proprio i benvenuti. I frati che avevano condiviso con Galgano il primo cenobio, infatti, e che avevano vissuto una spiritualità più libera, mal digerirono l’imposizione della rigida regola cistercense e decisero di trasferirsi. Ciò è attestato dal sorgere di differenti insediamenti eremitici, intitolati al santo, in altri luoghi della Toscana12. Tali fraternità – San Galgano di Catasta, San Galgano di Fidentio in Funticellis, San Galgano di Vallebuona, Santi Giorgio e Galgano della Spelonca – erano infine confluite proprio nell’Ordo Eremitarum Sancti Augustini (1256), per espressa richiesta del pontefice Alessandro IV.

Una nuova abbazia

Allorché il vescovo Ugo perì nel 1185 – sarà dichiarato santo anche lui – gli succedette Ildebrando, che apparteneva alla potente famiglia filoimperiale dei Pannocchieschi. Ora, se c’era stata una figura di paladino, nobile cavaliere e in vita scevro dall’influenza degli ordini ecclesiastici, quegli era stato certamente Galgano Guidotti. Ildebrando, pertanto, decise di dare seguito al culto del santo, e per affermare il modello di un santo cortese alla maniera ghibellina13 e per dare prestigio alla chiesa di Volterra nei confronti della borghesia in ascesa. Già nell’agosto del 1185, egli richiedeva al pontefice Lucio III l’indizione del processo di canonizzazione per Galgano.

Inoltre, giacché i pellegrini che giungevano a Montesiepi erano divenuti troppo numerosi, presso la piana della Merse sottostante l’Eremo, fu predisposto il cantiere per la costruzione di un’imponente abbazia cistercense14. Nel 1262 i lavori erano già quasi terminati e pochi anni dopo la chiesa abbaziale poteva già essere consacrata (1288). La comunità dei monaci Cistercensi che qui risiedeva, figlia di Casamari, divenne col tempo una vera e propria potenza economica, e Montesiepi il primo monastero in Toscana per importanza politica e culturale.

Persino la potente città di Siena dovette inchinarsi alla maestria dei lavoratori cistercensi. Nel 1257 il monaco Ugo divenne capo della Biccherna, l’Ufficio delle Entrate della Città toscana. Inoltre proprio i monaci Cistercensi di San Galgano costruirono buona parte del Duomo senese di Santa Maria Assunta.

Il declino

A partire dalla seconda decade del XIV secolo per l’Abbazia e l’Eremo di Montesiepi iniziò un periodo d’inesorabile decadenza: una violenta carestia, la peste del 1348 e infine alcuni saccheggi misero in ginocchio la comunità monastica. Tale processo ebbe il suo culmine nel 1474, quando i Cistercensi di San Galgano abbandonarono completamente il monastero e si trasferirono a Siena. Dal 1503 il complesso venne affidato a una serie di abati commendatari, la cui gestione fu disastrosa. Per rendere l’idea, l’abate Giovanni Andrea Vitelli Ghiandaroni (1538 al 1576) lasciò che venisse smantellata la copertura in piombo della Rotonda di Montesiepi (e non della chiesa abbaziale come erroneamente creduto); il metallo fu probabilmente impiegato per la fabbricazione di proiettili15.

Da questo momento l’Abbazia cominciò ad andare rapidamente in rovina. Nel 1786 il campanile fu abbattuto da un fulmine e, nel precipitare, trascinò con sé la copertura lignea della chiesa16. Per secoli l’Abbazia di San Galgano fu lasciata all’incuria e delle splendide vetrate di un tempo non resta oggi alcuna traccia. Soltanto agli inizi del XX secolo si decise di operare finalmente un restauro conservativo delle strutture rimanenti. 

L’architettura cistercense dell’Abbazia di San Galgano

L’Abbazia di San Galgano rispecchia la sobrietà statuita da San Bernardo di Chiaravalle17. In accordo con la pianta-tipo dell’architettura cistercense, essa si compone di una chiesa abbaziale, a croce latina su tre navate, un chiostro e una sala capitolare.

La chiesa abbaziale possiede un fascino particolarissimo e trasmette una sensazione di vivida nostalgia; si è in grado di percepire l’antica gloria del monastero, ma essa è oggi perduta, l’architettura è in rovina. La mancanza della copertura rivela la linearità formale del verticalismo gotico, permettendo di proiettare lo sguardo ben oltre la dimensione dello spazio, verso l’infinito. 

La facciata, spoglia di decorazioni, si apre su tre portali con arco a sesto acuto e archivolto bicromo; superiormente attraverso due grandi monofore. Il solo portale centrale presenta un architrave decorato con fregio a foglie d’acanto. Addossate alla facciata, inoltre, sono presenti quattro semicolonne. È probabile che dovessero sostenere un portico d’ingresso, che tuttavia nessuno mai realizzò.

Dalla vista laterale della chiesa è possibile osservare i due ordini di finestre e il pregevole prospetto del transetto.

L’Abside fu probabilmente la prima porzione costruita, poiché è quella che più pienamente rispecchia i canoni dell’architettura cistercense.

Di notevole interesse è ciò che rimane del chiostro, parzialmente ricostruito nel XX secolo con materiali originali. Oggi è possibile ammirare solo alcune arcate, sufficienti, tuttavia, a far intuire la bellezza architettonica di un tempo.

La sala capitolare è un ampio vano suddiviso da sei colonne che sorreggono volte a crociera. Vi si può accedere dal chiostro attraverso un portale con arco a sesto acuto.

Simbologia

Poco prima dell’ingresso per la chiesa, all’interno di una nicchia esterna del chiostro, si osserva una raffigurazione parietale della Triplice Cinta. L’esemplare, la cui simbologia, diffusa nel Medioevo dai Cavalieri Templari e connessa al Tempio di Salomone, è insolito in quanto posizionato verticalmente, anziché in orizzontale come di consueto.

Presso la sala capitolare sono invece di interesse i resti delle decorazioni originali, che comprendono alcuni nodi, un Fiore della Vita e il simbolo del Centro Sacro:

San Galgano come Re Artù?

La vicenda terrena di Galgano Guidotti, e della spada conficcata nella roccia, non può che richiamare all’immaginazione un’altra storia, mitica e letteraria, con la quale condivide inequivocabili somiglianze. È questa la matière de Bretagne, che si sviluppò oltremanica sin dall’Alto Medioevo, ma la cui prima stesura organica gli storici riconoscono nell’Historia Regum Britanniae (1135-1137) di Goffredo di Monmouth.

Il ciclo arturiano giunse in Italia soprattutto attraverso l’ampio filone di letteratura che si sviluppò in Francia. Al successo della materia di Bretagna contribuirono in modo determinante i romanzi di Chrétien de Troyes, il quale per primo introdusse i personaggi di Lancillotto (Lancelot ou le Chevalier à la charrette, 1170-1180) e di Parsifal, ma soprattutto il termine con cui, da quel momento in poi, verrà indicato il Graal (Le Roman de Perceval ou le conte du Graal, 1175-1190). La dimensione cristiana del Santo Graal compare, invece, nella successiva opera di Robert de Boron (Giuseppe d’Arimatea) e così pure la spada che Artù estrasse dalla roccia per divenire Re (Merlin).

Il confine tra leggenda e realtà

Le somiglianze tra le agiografie di Galgano e la materia del ciclo Bretone non possono essere dettate dalla casualità. A cominciare dal gesto evocativo del Cavaliere Galgano Guidotti, Artù rovesciato, che anziché estrarre la spada dalla roccia, ve la conficca. Il nome “Galgano” rassomiglia poi a quello di “Galvano”, uno dei Cavalieri della Tavola Rotonda, nipote di Artù. Non bisogna dimenticare, tuttavia, che già un vescovo di Volterra era stato chiamato allo stesso modo prima di lui (1150-1171). I dodici apostoli della visione del Santo presso la Rotonda di Montesiepi evocano, invece, i dodici cavalieri della Tavola Rotonda. E ancora, alcuni studiosi hanno posto un paragone tra la madre di Galgano e quella di Parsifal, entrambe vedove. Si potrebbe continuare all’infinito…

Una tradizione che parte da lontano

Certamente dovette esservi una contaminazione tra le fonti arturiane e le agiografie di Galgano, ma non è affatto semplice ricostruirne le dinamiche. Il problema è, prima di tutto, temporale: la diffusione del romanzo francese in Italia avvenne decenni dopo la vicenda del santo, e si potrebbe pertanto immaginare che abbia preso spunto da essa; tuttavia, alcuni temi evocati sia a Montesiepi che nella materia di Bretagna sono certamente antecedenti e facevano parte, con ogni probabilità, di un substrato culturale comune18.

In effetti, in Italia esistono alcune testimonianze artistiche del ciclo arturiano che attestano l’esistenza di racconti orali addirittura precedenti all’opera di Goffredo di Monmouth. A Modena, ad esempio, un abilissimo maestro scolpì la Porta della Pescheria presso il Duomo, tra il 1110 e il 1120. Sull’archivolto sono magistralmente raffigurate alcune scene cavalleresche, i cui protagonisti sono indicati con nomi bretoni latinizzati (Galvaginus, Corrado, Isdernus, Winlogee, Burmaltus e Artus de Bretania). Sono essi nomi familiari ai lettori del ciclo bretone, e i rilievi della porta sembrerebbero raffigurare la liberazione della principessa Winlogee (Ginevra), tenuta prigioniera in un castello.

Il cavaliere perfetto

È evidente, pertanto, che in Italia esistesse già un sottobosco narrativo tramandato oralmente, che si era diffuso, con ogni probabilità, lungo le direttrici della via Francigena tra Roma e Canterbury. Qui i pellegrini e i crociati, coadiuvati da numerosi cantastorie, si raccontavano le vicende mitiche di re Artù.

A partire da questa tradizione orale Goffredo di Monmouth scrisse la sua celebre opera, Chrétien de Troyes diede avvio al romanzo francese, e il cavaliere Galgano Guidotti compì la sua missione eremitica. Anch’essa, almeno nella forma che ci è tramandata dalle agiografie, può essere osservata come il compimento materiale di un mito, di una narrazione che ne aveva gettato le basi culturali. Galgano incarnò l’essenza stessa del racconto cavalleresco, egli fu personificazione dell’eroe cristiano medioevale, che fa un tutt’uno della croce e della spada, della virtù e della rinuncia, della realtà e della leggenda. In ogni caso, una sola cosa è certa: la spada nella roccia, l’unica davvero reale, non è in Britannia, ma si trova in Toscana.

Samuele Corrente Naso

Mappa dei luoghi

Note

  1. Inquisitio in partibus, dal processo di canonizzazione (1185) come trascritto da Sigismondo Tizio in Historiae Senenses, Cod. Chigi G. I. 31; F. Scneider – Analecta toscana, IV, Der Einsiedler Galgan von Chiusdino und die Anfaenge von S. Galgano – in Quelle und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken, XVII (1914-1924). ↩︎
  2. Giuseppe S. Costantini, Vita di san Galgano, Compagnia di San Galgano, Chiusdino, 1904. ↩︎
  3. Rolando Pisano, Legenda Beati Galgani. Da Mario Moiraghi, L’enigma di san Galgano. La spada nella roccia tra storia e mito, Milano, Ancora, 2003. ↩︎
  4. Di Sailko – Opera propria, CC BY 3.0, immagine. ↩︎
  5. Ibidem nota 1. ↩︎
  6. Ibidem nota 1. ↩︎
  7. Massimo Marini, Chiusdino. Il suo territorio e l’abbazia di San Galgano, Siena, Nuova Immagine editrice, 1995. ↩︎
  8. E. Oakeshott, The Archaeology of Weapons: Arms and Armour from Prehistory to the Age of Chivalry, 1960. ↩︎
  9. A. Gianni, La fortuna di san Galgano: l’iconografia e il culto dal XII al XIX secolo. ↩︎
  10. Codice Laurenziano, XV secolo; E. Susi, La memoria contesa: il dossier agiografico di san Galgano, in La spada nella roccia. San Galgano e l’epopea eremitica di Montesiepi, a cura di A. Benvenuti, Firenze 2004. ↩︎
  11. Codice di Veroli, XV secolo. ↩︎
  12. A. Conti, La diaspora dei Consocii beati Galgani e le memorie galganiane in Val di Chiana, in Garfagnana e in Maremma, Accademia di San Galgano, 2004. ↩︎
  13. Ibidem E. Susi in nota 10. ↩︎
  14. E. Repetti, Dizionario geografico, fisico, storico del Granducato di Toscana, Firenze, 1833-1846. ↩︎
  15. V. Passeri, Documenti per la storia delle località della provincia di Siena, Cantagalli, Siena 2002. ↩︎
  16. A. Canestrelli, L’abbazia di S. Galgano. Monografia storico-artistica con documenti inediti e numerose illustrazioni, Alinari, Firenze 1896. ↩︎
  17. Bernardo di Chiaravalle, Apologia ad Guillelmum Abbatem, 1225. ↩︎
  18. F. Cardini, San Galgano e la spada nella roccia, Siena 2000. ↩︎

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