Nella storia dell’umanità il simbolo della ruota, significazione dei cicli vitali del cosmo e della natura, ha avuto una presenza costante e rivelatrice. L’idea di un continuo ritorno, di un tempo ciclico che tutto rigenera, appare radicata nelle credenze di un ordine metafisico sin dai primordi. Si pensi ad esempio alle antiche simbologie solari della svastica, della spirale, o alla rosa camuna. D’altronde le stelle scompaiono e riappaiono nel cielo, le stagioni si avvicendano di anno in anno, il buio cede il passo alla luce dell’aurora ogni mattina, l’inizio e la fine coincidono. Così, il tempo era percepito nel ruotare infinito degli astri attraverso fasi prestabilite del divenire: nascita, crescita, decrescita e morte.
Allo stesso modo gli antichi credevano che i moti ciclici del cosmo – Aristotele li aveva definiti traslazioni in cerchio1 – fossero la causa di tutti gli eventi, e di riflesso delle umane vicissitudini. Da qui il concetto di fortuna, di un principio volubile e inintelligibile che governa il mondo, imprevedibilità negativa dell’esistenza a cui ciascuno è sottomesso. Questo corpus di conoscenze, noto come ruota della fortuna, si arricchì nel Medioevo di espressioni figurative e di significati propri della teologia cristiana.

La simbologia medioevale della ruota della fortuna
Si può rintracciare l’espressione simbolica della ruota della fortuna già negli scritti di stampo teologico e filosofico di San Severino Boezio. Boezio (480-524) contribuì in maniera determinante alla definizione del concetto di fortuna in senso cristiano. Così, infatti, egli scriveva nel trattato De Consolatione philosophiae: “il caso è il prodotto di quell’ordine che, procedendo per inevitabile connessione, discende dalla provvidenza disponendo le cose in luoghi e in tempi determinati”2. Per Boezio il caso non esiste come nella moderna accezione, in termini probabilistici o stocastici. Esso è tale soltanto in apparenza, giacché non se ne conoscono la cause. La volubilitas dell’esistenza è piuttosto l’espressione di una precisa volontà di Dio, che lascia il mondo in balia della fortuna affinché sia manifesto che tutto è vanità. L’uomo è chiamato, dunque, a distaccarsi dai beni e dalle glorie della terra, per mirare invece all’eternità del cielo.
“E tu, invece, ti sforzi di trattenere la ruota della fortuna che gira vorticosamente? Ma, o stoltissimo tra tutti i mortali, se la sorte comincia a fermarsi, cessa di essere tale”.
Severino Boezio, De Consolatione philosophiae, libro II
L’iconografia della ruota della fortuna
L’iconografia medioevale della ruota della fortuna è l’esatta rappresentazione di questa visione teologica. Una ruota raggiata ospita differenti figure: un uomo è a essa aggrappato mentre procede verso il culmine, ove si trova in genere l’effige di un re; un altro sta invece precipitando verso il basso.

È evidente il richiamo alla concezione del tempo, che scandisce tanto il movimento degli astri quanto i cicli della vita dell’uomo. La ruota segna i momenti cardinali che corrispondono alle fasi del divenire: nascita-primavera-alba, maturità della crescita-estate-mezzogiorno, vecchiaia-autunno-tramonto, morte-inverno-mezzanotte. In modo altrettanto evocativo essa è figurazione della fortuna giacché la sorte dell’uomo cambia inaspettatamente, il bene è commutato in male e viceversa, senza riguardo di alcuno. Questa legge non risparmia nemmeno i regni dei potenti. Anche quel re che fiero siede sul trono della ruota dovrà rimettere, al momento debito, le cose della terra. E sovente i momenti cardinali della fortuna sono accompagnati dalle scritte, declinate in tempi verbali differenti, regnabo, regno, regnavi, sum sine regno3 a sottolineare la caducità della gloria terrena. La simbologia del numero dodici o dell’otto, quanti sono i raggi della ruota, esplica che la totalità delle cose e degli uomini è soggetta al divenire.
Samuele Corrente Naso