Il Fiore della vita, simbolo di rinascita

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È un viaggio affascinante quello che si compie sulle tracce del “Fiore della vita”, termine moderno con cui si suole indicare la rappresentazione geometrica di un fiore esapetalo appartenuto a epoche e civiltà differenti1. Simili raffigurazioni sono state rinvenute in Europa, in Medio Oriente e nell’antico Egitto. Di tale simbolo non sempre è possibile ricostruirne a pieno il significato, soprattutto nei contesti culturali più antichi che avevano in esso un importante complemento ai rituali e alle cosmogonie mitiche. La sua ampia diffusione suggerisce, tuttavia, che fosse l’immagine di un qualche archetipo comune a tutta l’umanità, connesso a concetti di rigenerazione e di nuova vita.

Le prime attestazioni nell’Età del Bronzo

In Europa rinveniamo il Fiore della vita già presso la civiltà micenea nella tarda Età del bronzo. Il simbolo venne apposto su alcuni dischi d’oro, collocati all’interno delle sepolture nella Tomba circolare A di Micene del XVI secolo a.C., per propiziare il passaggio dei defunti nell’aldilà. Come i fiori dei campi, infatti, si credeva che anche i morti dovessero rinascere a nuova vita dalla nuda terra. Non a caso sui medesimi supporti ritroviamo il polpo, animale capace di far ricrescere i propri tentacoli, e la spirale, figurazione della potenza generatrice della natura.

In contemporanea il simbolo era in uso nel nord dell’Iran: a Marlik sono stati rinvenuti manufatti risalenti al XV secolo a.C. con inciso il Fiore della vita2. I reperti facevano parte del corredo funebre che accompagnava i defunti di circa cinquanta sepolture appartenenti alla cultura locale.

Il Fiore della vita e gli antichi Egizi

Una splendida composizione con il Fiore della vita fu poi realizzata su un pilastro di granito del Tempio di Osiride (Osireion) ad Abydos, edificio voluto dal faraone Seti I nel corso del XIII secolo a.C.4. Osiride era per gli antichi Egizi proprio la divinità della morte e della rinascita, fatto che suggerisce una certa continuità del significato associato al simbolo tra le varie culture. Il mito narra che il dio venne ucciso dal fratello Seth, quindi smembrato e gettato nel Nilo. Ma la moglie Iside, con l’aiuto di Nefti e delle arti magiche, lo riportò in vita, sebbene per un breve tempo5. Iside, infatti, riuscì a ritrovare i pezzi del defunto marito e ne ricompose la mummia, così da avere il tempo di generare con lui Horus, dio-bambino destinato a vincere il malvagio Seth. Pertanto, in Egitto Osiride era il signore dell’oltretomba.

Il Fiore della vita e le culture dell’Età del ferro

Nel corso dell’Età del ferro il Fiore della vita si diffuse in Europa e in Medio-Oriente attraverso le rotte commerciali che traversavano il Mediterraneo. Il simbolo si rinviene quindi sul fondo di una coppa dell’VIII-VII secolo a.C., con scene mitologiche, proveniente da Idalion a Cipro e custodita al Museo del Louvre.

In Assiria, durante le ultime fasi dell’Impero, il Fiore della vita venne apposto su numerosi reperti oggi collocati al museo archeologico di Baghdad. Ma soprattutto fu utilizzato per decorare il pavimento del palazzo del re Assurbanipal a Dur Šarrukin, che risale al 645 a.C.7. È possibile che in Assiria la rappresentazione del simbolo fosse connessa al culto di Baal, divinità solare della fertilità e quindi legata al concetto di rinascita della natura.

Presso gli Etruschi esso fu rappresentato su un’urna a Civitella di Paganico e sulla Stele di Auvele Felùske dell’antica Vetulonia, entrambe del VII secolo a.C. La stele funeraria era collocata in posizione eretta e fungeva da segnacolo per la tomba del defunto. Auvele Felùske, raffigurato come un fiero guerriero armato di bipenne e di uno scudo circolare, sul quale è ancora in bella vista il Fiore della vita, costituiva un membro facoltoso della propria comunità.

Il simbolo era in uso anche presso i Dauni, popolazione stanziata nel corso dell’Età del ferro sui territori della Puglia settentrionale. Al pari degli Etruschi essi lo collocarono sulle proprie stele funerarie, datate in un periodo compreso tra l’VIII e il VI secolo a. C. e preservate nel Museo nazionale di Manfredonia.

Il fiore celtico e il Sole delle Alpi

In Italia Settentrionale la tradizione popolare tramanda di tale fiore il nome di Sole delle Alpi. Lungo tutto l’arco alpino è facile imbattersi in raffigurazioni del simbolo ridi salenti agli ultimi secoli, in particolare all’interno di edifici di culto o sui portali di abitazioni private nei borghi cittadini. Il folclore vuole che le origini dell’usanza si debbano rintracciare presso i Celti un tempo stanziati nelle regioni del Nord Italia. Di ciò non abbiamo evidenze archeologiche inconfutabili, sebbene sia probabile che il Fiore della vita venne in qualche modo introdotto nell’arte di tali popoli, che faceva largo uso di decorazioni vegetali a nodi e intrecci.

In ogni caso, la denominazione di Sole delle Alpi rende evidente come esso abbia conservato nel tempo il significato connesso alla vita e alla fertilità, la quale dipendeva proprio dai movimenti del sole nel corso dell’anno. L’equinozio di Primavera, ad esempio, segnava il risveglio della natura e, primo fra tutti, nella Alpi sbocciava il narciso, non a caso fiore esapetalo molto simile al Fiore della vita.

Possediamo invece vari indizi di un suo utilizzo in altre aree d’Europa soggette all’influenza celtica. Ad esempio, i Cantabri usavano scolpirlo sulle stele funebri nel corso del I secolo a.C. In Galizia gli archeologi lo hanno riscoperto all’interno dell’oppidum di Santa Tegra, insediamento che si sviluppò nei secoli successivi alla conquista romana della regione, associato alla cosiddetta Castrocultura.

Il Fiore della vita presso i Romani

Anche i Romani si imbatterono nel Fiore della vita attraverso le raffigurazioni che di esso facevano i popoli della penisola italica. Il simbolo divenne in breve tempo un ricercato motivo decorativo nelle pavimentazioni musive delle abitazioni private, soprattutto in età imperiale. Così lo ritroviamo nelle Domus dell’Ortaglia a Brescia, utilizzate tra il I e il IV secolo d.C. e oggi inglobate nel complesso di Santa Giulia. La frequenza di impiego fa sospettare che, oltre all’aspetto puramente estetico, il simbolo possedesse un valore più profondo, forse apotropaico o di buon auspicio. È possibile che il Fiore della vita venisse apposto a garanzia dell’esistenza, affinché la vita degli abitanti della domus fosse come il sole che ogni giorno tramonta alla sera e risorge al mattino, o come il narciso che sboccia all’inizio della primavera.

Reinterpretazione cristiana del Fiore della vita

Con l’affermarsi del Cristianesimo in Europa il Fiore della vita non poteva che divenire metafora di Cristo, colui che era morto e poi risuscitato. Allo stesso modo, il simbolo continuava a essere impiegato in contesti di culto o funerari in quanto prefigurazione della resurrezione che attende tutti gli uomini alla fine dei tempi. Abbiamo importanti testimonianze del fiore esapetalo in complessi paleocristiani, come presso la Basilica patriarcale di Aquileia, e anche nell’arte dei Longobardi in Italia. Nella chiesa di San Pietro a Gemonio, in Lombardia, esso fu dipinto su un altare risalente, è stato ipotizzato, all’età liutprandea (VIII secolo).

Nel Medioevo il Fiore della vita raggiunse il culmine della sua popolarità in quanto venne adottato da alcuni ordini monastico-cavallereschi, tra cui i Cavalieri Templari. La presenza del simbolo si osserva così presso la chiesa templare di San Bevignate a Perugia e in numerosi altri edifici di culto sparsi in tutta Europa.

Il Fiore della vita e Leonardo da Vinci

La geometria del Fiore della vita continuò ad affascinare il mondo anche nelle epoche successive. Illustri scienziati e uomini colti intravidero nel simbolo la perfezione delle forme e l’armonia universale. Tra di essi vi fu il genio di Leonardo da Vinci che ne studiò le proprietà matematiche nel Codex Atlanticus, prezioso manoscritto oggi conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano.

Leonardo dovette intuire nella costruzione geometrica del Fiore della vita una valenza sacra, tanto che lo realizzò in molte pagine della sua opera. Il disegno poteva essere ottenuto tracciando con un compasso un cerchio, metafora di perfezione e della totalità delle cose, e altre sei circonferenze intersecate con esso. Sembrava, tale procedimento, rassomigliare alla creazione divina, la quale si era compiuta proprio in sette giorni e aveva dato vita al cosmo. D’altronde, non era quel Fiore esapetalo simbolo di rinascita e di generazione? In esso si manifestava la relazione tra macrocosmo e microcosmo, le sue corrispondenze numeriche rivelavano i segreti dell’Universo.

Samuele Corrente Naso

Note

  1. D. Melchizedek, The Ancient Secret of the Flower of Life, 1999. ↩︎
  2. G. N. Kurochkin, Archeological search for the Near Eastern Aryans and the royal cemetery of Marlik in northern Iran, in South Asian Archaeology 1993, ed. A. Parpola and P. Koskikallio, vol. 1, Helsinki, 1994. ↩︎
  3. Foto: 1985 Photo RMN / Pierre et Maurice Chuzeville. ↩︎
  4. P. J. Brand, The Monuments of Seti I: Epigraphic, Historical and Art Historical Analysis, Brill, 2000. ↩︎
  5. C. Lombardi, Il Grande Inno ad Osiride della Stele di Amenmose (Louvre C 286): la dea Iside, 2010. ↩︎
  6. Inventario N3454. ↩︎
  7. G. Perrot, C. Chipiez, A History of Art in Chaldæa and Assyria, London, 1884. ↩︎
  8. Di Marko Manninen – Opera propria, CC BY-SA 4.0, immagine. ↩︎
  9. By David Raúl Esteban Redondo – Own work, CC BY-SA 3.0, immagine. ↩︎
  10. By Froaringus – Own work, CC BY-SA 4.0, immagine. ↩︎

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