Il complesso delle Sette Chiese di Bologna

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Il racconto di un pellegrino è il pretesto per rivivere le vicende storiche e architettoniche che hanno interessato il complesso delle Sette Chiese di Bologna. Il brano si sviluppa attraverso tre distinti stili: quello narrativo del protagonista, in prima persona, il quale segue un percorso tanto reale quanto interiore, metafisico, che lo porta ad un’illuminazione finale della coscienza; quello descrittivo relativo ai luoghi della Sancta Jerusalem Bononiensis; infine quello evangelico-esegetico che ripercorre le vicende del Cristo attraverso i simboli della passione.

In cammino verso la Sancta Jerusalem Bononiensis

Anno a Nativitate Domini nostri Jesu Christi MCDIII, die Martis XI mensis Septembris. La via è polverosa e i calzari consunti. Sette giorni dopo la mia partenza da Roma giungo infine in Bologna. Ivi il Santo Padre Innocenzo VII mi ha inviato, come servo umilissimo e indegno della Chiesa, per investigare circa i disordini della devozione che si vanno perpetrando. Sono infatti giunte notizie assai preoccupanti da Bologna.

Si racconta che in Santo Stefano un sarcofago sia stato rinvenuto anni addietro, in prossimità del sepolcro di Sant’Isidoro, e che esso rechi seco la scritta Symon1. Certo, non vi sarebbe nulla di malvagio in ciò, se non fosse che tra il volgo sacrileghe dicerie si diffondono incontrollate. Gli stessi monaci – l’ordine Benedettino risiede tra queste mistiche mura da quattrocento anni – paiono convintissimi che la tomba dell’apostolo Pietro sia qui collocata, e non in Vaticano com’è in verità. A causa di siffatta erronea credenza, migliaia di pellegrini deviano dal giusto tragitto e, soffermandosi a Bologna in questa scellerata adorazione, rinunciano a Roma, ritenendo sciolto il voto.

Il complesso delle Sette Chiese di Bologna

Il complesso delle Sette Chiese di Bologna è il risultato di una lunga stratificazione accorsa nei secoli. Esso sorse su una piccola area cimiteriale che Sant’Ambrogio aveva fatto collocare allorché, nel 392, erano stati rinvenuti i resti dei protomartiri cristiani Vitale ed Agricola. Le spoglie dei due uomini, uno schiavo e il suo padrone, erano state ritrovate all’interno di un cimitero giudaico, e attestavano il martirio subito durante le persecuzioni da parte dell’imperatore Diocleziano nel 304 circa.

I primi secoli

Appena un secolo più tardi, secondo la tradizione, il vescovo Petronio fece edificare un primo nucleo di edifici di culto. La Vita Sancti Petroni del 1180 di anonimo attesta l’intenzione di riprodurre il Santo Sepolcro di Gerusalemme a Bologna. A tal fine, egli ordinò di reimpiegare il dismesso tempio romano di Iside che sorgeva poco fuori le mura cittadine. Fu innalzata così l’originale rotonda di Santo Stefano, a imitazione dell’Anastasis gerusalemita. Qui, presso l’edicola in essa custodita, verranno collocate infine le spoglie mortali dello stesso Petronio. I resti del santo, a lungo dimenticati, verranno riscoperti solo nel 11412 e rimarranno custoditi nel Santo Sepolcro sino al 2000. In quell’anno, infatti, il vescovo di Bologna Biffi ordinò la traslazione delle spoglie presso la Basilica cittadina di San Petronio.

Ai medesimi anni risalgono l’odierna chiesa di San Vitale e Agricola, così denominata dopo che vi furono collocati i resti dei due santi; il cortile di Pilato; la primitiva costruzione del Martyrium, basilica progettata da San Petronio a cinque navate, ma che non fu mai portata a termine.

Nel VIII secolo si aggiunse poi la Chiesa di San Giovanni Battista o del Crocifisso. Di fattura longobarda, l’edificio accoglie per primo i visitatori che intendono recarsi alle Sette Chiese di Bologna. Il complesso di Santo Stefano è quindi menzionato come Sanctum Stephanum qui dicitur Sancta Hjerusalem in un documento ufficiale dell’887 di Carlo il Grosso3.

L’arrivo dei Benedettini

I Benedettini vi si insediarono a partire dal 9834. Gran parte dell’odierno aspetto del complesso delle Sette Chiese di Bologna si deve, infatti, all’opera di ricostruzione dell’abate Martino nel XI secolo, resasi necessaria in seguito alle devastazioni barbariche degli Ungari nel 902. A lui sono attribuiti l’attuale forma ottagonale del Santo Sepolcro, la cripta posta inferiormente alla Chiesa del Crocifisso, il chiostro medioevale, la risistemazione del Martyrium.

Il chiostro benedettino

Con l’insediamento dei Benedettini fu avviata la costruzione di un chiostro sul modello delle abbazie dell’epoca. Esso è a duplice loggiato: l’ordine inferiore è antecedente all’anno Mille, mentre quello superiore risale probabilmente al XII secolo ed è opera di Pietro d’Alberico. Secondo la tradizione, Dante Alighieri si recò qui per trarre ispirazione mentre componeva la Divina Commedia. Di grande interesse sono infatti due capitelli del loggiato superiore, i quali riproducono figure mostruose: l’uno ha i tratti di un uomo con il capo ruotato all’indietro, in posizione innaturale, l’altro sorregge con gran fatica un enorme masso.

“Così, rotondo, ciascuno il visaggio drizzava a me, sì che ‘n contrario il collo faceva ai piè continuo viaggio”

Inferno, Canto XVI, Divina Commedia5

“Come per sostentar solaio o tetto, per mensola talvolta una figura si vede giugner le ginocchia al petto”

Purgatorio, Canto X, Divina Commedia6

All’interno del chiostro, inoltre, è presente una Triplice Cinta lungo i muretti che sorreggono le arcate.

I restauri otto-novecenteschi

Il complesso ha infine subito numerosi restauri tra la fine del 1800 e i primi decenni del XX secolo. Se da una parte gli interventi hanno contribuito a ristabilire l’originale armonia romanica, che era stata alterata da inopportune aggiunte architettoniche, dall’altra sono stati condotti in maniera piuttosto arbitraria. In particolare, essi hanno alterato definitivamente le forme del cortile di Pilato e del Martyrium. Ciò è dovuto ad un’errata interpretazione storica: l’originale complesso di Santo Stefano riproduceva il Santo Sepolcro costantiniano di Gerusalemme; i restauri otto-novecenteschi si basarono, invece, sulle forme dell’attuale sepolcro in Terra Santa, fatto ricostruire dapprima dall’imperatore bizantino Costantino Monomaco e poi dai Crociati.

Sancta sanctorum

Sancta sanctorum. La scritta appare nitida sull’archivolto del portale di San Giovanni Battista. V’è qui un recesso sì sacro e mistico alla maniera dell’antico Tempio di Salomone, dove l’Arca dell’Alleanza e i suoi cherubini alati riposavano? Si cela oltre quell’uscio la vivida immagine della Sancta Hjerusalem che gli scritti dei dotti tramandano? Non voglia il Signore che il suo tempio sia divenuto simile a una spelonca di ladri, dove si vendono menzogne e si comperano false devozioni.

Ed entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e comperavano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si portassero cose attraverso il tempio. Ed insegnava loro dicendo:

«Non sta forse scritto: la mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti? Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri

Marco 11,15-17

Tali pensieri mi travolgono mentre scruto, non lontano dalla soglia, il complesso di Santo Stefano. L’architettura è essenziale nella sua intimità, è d’infinita mitezza il prospetto edificatorio che accoglie i pellegrini come in un caldo abbraccio d’inverno. Il mio animo si rinfranca, e una pace intransigente s’insinua tra gli anfratti delle mie più oscure immaginazioni. Il vento, imperterrito, solleva una nube di polvere; poi, di scatto, fuggendo con un sibilo sotto il cielo terso di Bologna, mi sospinge a varcare l’uscio.

La chiesa di San Giovanni Battista m’apre il suo cuore con fierezza, dietro al portale consunto da mille e mille battiti. La grande navata profuma d’incenso, e s’innalza con eleganza il presbiterio. Un crocifisso di pregevolissima fattura è ad esso sopraelevato, mentre inferiormente v’è la cripta. Un sant’uomo ripose qui una colonna della medesima altezza di nostro Signore Gesù Cristo.

La chiesa del Crocifisso

La chiesa del Crocifisso è il punto di partenza della visita del pellegrino al complesso delle Sette Chiese di Bologna. Di fattura longobarda (VIII secolo), essa si compone di un’unica navata con soffitto a capriate lignee. L’area presbiteriale, sopraelevata, ospita un crocifisso trecentesco realizzato da Simone dei Crocifissi.

Di particolare interesse è la cripta del XI secolo. Al suo interno, in due piccole urne collocate sull’altare, sono custoditi oggi i resti di Vitale ed Agricola.La cripta si articola in cinque navate. Tra le colonne che sorreggono le volte ve n’è una di particolare pregio. La tradizione afferma che l’altezza corrisponda perfettamente a quella di Gesù Cristo (un metro e settanta circa). La cripta è inoltre decorata con affreschi quattrocenteschi e cinquecenteschi che riproducono, rispettivamente, la Madonna della Neve, attribuita a Lippo di Dalmasio, e il martirio dei santi Agricola e Vitale.

Una presenza inaspettata

Pochi passi separano l’uomo dalla perdizione o dalla salvezza. Incerto è il cammino del viandante: senza sandali né calzari la sua unica sicurezza è la luce della Parola di Dio. Ed ecco provenire un bagliore soffuso da un anfratto laterale della chiesa, il tremolio di un lume di candela appena accennato, timido come un riflesso d’aurora. E dietro d’esso si delinea un viso con occhi scrutatori. I severi tratti, come la folgore, pian piano emergono dalla penombra, avvolti da un nero saio di mistica essenza, e si volgono alla mia figura. Una voce ferma, appena scalfita da un suono di campane in lontananza, esclama: “Non est ibi. Cosa cerchi?”.

«Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto».

Matteo 28,6

Detto questo si alzò e subito scomparve dietro l’uscio di un passaggio laterale, che dalla Chiesa del Crocifisso conduce verso il vano attiguo. Sopraffatto da timore subito mi accingo a seguire quella figura ammantata di mistero. Pochi passi ed eccomi transitare da un edificio all’altro del complesso, la Chiesa del Santo Sepolcro mi accoglie impreparato di fronte a tanta bellezza. Dalla penombra emergono colonne imponenti, si dice rimanenze di un tempio pagano perduto secoli e secoli or sono. Esse paiono proiettare l’animo mio verso il cielo ma una cupola possente ne riconduce alla terra l’ardire.

La porta stretta

Ed ecco, al centro, è innalzata un’edicola che riproduce grandemente il Santo Sepolcro della città di Gerusalemme. L’edicola idealmente accoglie il sepolcro vuoto di Nostro Signore e solo un piccolo pertugio ne permette l’ingresso o l’uscita. Potenti risuonano nelle mie membra le parole del Salvatore:

«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno».

Luca 13,24

L’edicola non è solo il simulacro vuoto della resurrezione di Cristo, ma essa accoglie anche le spoglie del santo patrono di Bologna, Petronio. Tutt’intorno le mura ottagonali, segno dei sette giorni della creazione e del giorno eterno, circondano questo luogo simbolico.

L’Anastasis del complesso delle Sette Chiese di Bologna

Anticamente la chiesa del Santo Sepolcro a Bologna era un tempio pagano dedicato ad Iside, evidenza archeologica confermata dalla presenza di una fonte sorgiva in loco. Soltanto nel V secolo il vescovo Petronio reimpiegò sette delle preesistenti colonne di epoca tardo-antica nella nascente rotonda. L’edificio era adibito inizialmente a battistero cristiano e la sorgente d’acqua rappresentava idealmente il fiume Giordano.

In seguito alle devastazioni ungariche del X secolo l’abate Martino fece ricostruire l’edificio nelle attuali forme, a pianta ottagonale irregolare. Egli conservò le colonne del tempio isiaco ma accoppiandole con supporti in laterizio. Il peristilio è oggi pertanto dodecagonale: intorno ad esso decorre il deambulatorio e superiormente poggia il matroneo. Questo si apre verso l’interno attraverso dodici bifore, un tempo murate, ed esteriormente attraverso sei differenti aperture. La chiesa del Santo Sepolcro termina con un tiburio che racchiude una cupola a padiglione.

L’edicola del Santo Sepolcro

La chiesa racchiude al suo interno un’edicola, la quale riproduce il Santo Sepolcro di Gerusalemme. L’attuale struttura ettagonale fu realizzata tra il XIII e XIV secolo e soggetta a rimaneggiamenti in epoca successiva. Tre piccole scalinate conducono verso la porzione frontale; inferiormente essa presenta una piccola apertura, ideale rappresentazione della resurrezione. Al suo interno erano custodite le sacre reliquie di Petronio. L’edicola è decorata con scene scultoree della Visitatio: sulla porzioni sinistra e destra sono rappresentate rispettivamente le tre Marie e i soldati dormienti, mentre centralmente è raffigurato l’Angelo della Resurrezione. La struttura è infine corredata di un ambone con i simboli del Tetramorfo ed è sormontata da una mensa eucaristica con pregevole croce astile.

Lungo il cammino che i pellegrini percorrevano all’interno del complesso delle Sette Chiese di Bologna, proprio a fianco dell’edicola del Santo Sepolcro, è innalzata una colonna dall’importantissimo valore simbolico: è questa la colonna della Flagellazione. In marmo nero, essa è scalfita da vere punte di flagello, a ricordare la vicenda di Cristo, forse testimonianza di rappresentazioni sacre.

I simboli della Passio Christi

La figura d’uomo oltrepassa l’edicola e quell’antro di celeste significazione, con movenze aggraziate e passo silenzioso. L’abate di Santo Stefano non ha statura imponente, ciò nonostante la sua presenza è carismatica, come se da egli si effonda una divina aura d’essenza spirituale. Il monaco, soltanto per un istante, rallenta il suo passo e con riverenza si inchina alla colonna del flagello.

Poi, con uno scatto insospettabile, si lancia verso il cortile antistante la chiesa del Santo Sepolcro. Si tratta del litostroto di Pilato: un elegante ambiente esterno circondato da portici, luogo di riflessione e contemplazione della Passione. Un catino d’epoca antichissima simboleggia l’atteggiamento di Pilato di fronte alla folla inferocita che voleva mettere a morte Cristo. I miei pensieri sussultano d’una costrizione profonda al ricordo delle umiliazioni che egli dovette subire per la nostra salvezza.

«Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell’acqua, si lavò le mani davanti alla folla: “Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!”»

Matteo 27,24

Appena più in là, a riempimento di una graziosa monofora del portico, v’è la scultura di un gallo, segno delle parole profetiche di Cristo e del rinnegamento di Pietro:

«E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: “Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte».

Luca 22, 60-61

Il Cortile di Pilato

Il cortile con portici di Pilato si inserisce all’interno del percorso che collega la chiesa del Santo Sepolcro con quella del Martyrium. La denominazione dello spazio rimanda al litostroto, il luogo in cui Gesù Cristo fu condotto innanzi al governatore Pilato. L’episodio è richiamato vividamente da un catino posto al centro del chiostro.

La vasca marmorea del manufatto è di origine longobarda mentre il piedistallo è cinquecentesco. Il supporto, infatti, fu fatto aggiungere dal cardinale Giovanni de’ Medici nel 1506. L’originale uso longobardo della vasca è ancora oggi oggetto di dibattito: si ipotizza, in particolare, che esso potesse essere adibito a raccoglitore delle offerte. Potrebbe essere letta in tal senso l’importante epigrafe che decorre lungo il bordo del manufatto: “Dell’umile plebe le offerte votive accogli, o Signor dei Signori al tempo in cui erano re Liutprando e Ilprando e don Barbato era vescovo della santa Chiesa bolognese. Qui pel il provvedimento della chiesa e per i lumi Essi (i re e il vescovo) diedero i loro precetti di ciò di cui doveva essere riempito questo vaso per la Cena del Signore Salvatore. E se accadesse che qualche parte delle offerte venisse ad essere sminuita il preposto tempio ne chiederà ragione”7.

Si tratta solo di una possibile interpretazione, giacché l’epigrafe presenta alcune tachigrafie (segni di abbreviazione in latino) di difficile lettura8.

Altro riferimento alla Passio Christi è la scultura di un gallo in pietra, posta su una colonna all’interno di una monofora del portico. La scultura risale al XIV secolo ed è meglio nota come il “Gallo di Pietro” in quanto ricorda l’episodio evangelico del rinnegamento dell’apostolo.

Sacri simboli

La facciata della chiesa del Santo Sepolcro che volge verso il cortile di Pilato è adornata di simboli evocativi. Ma quale sia il loro significato non lo comprendo ancora pienamente.

I simbolismi della chiesa del Santo Sepolcro

Il complesso delle Sette Chiese di Bologna è ricco di significati ascrivibili tanto alla sua composizione architettonica quanto ai numerosi simboli che ne decorano gli spazi più reconditi. Presso la chiesa del Santo Sepolcro, lungo il prospetto che dà sulla piazza, si possono individuare un fiore della vita, simbolo di rinascita e richiamo alla resurrezione; alcuni Nodi dell’Apocalisse, figura della Merkavah ebraica e dello Spirito Santo, su un pannello scolpito a fianco del portale centrale; un grifone, iconografia della duplice natura di Cristo, terrena e celeste, oppure figurazione del diavolo; una lastra di pietra con la figura del drago, simbolo del maligno; un Nodo di Salomone, simbolo di unione eterna e indissolubile tra l’uomo e Dio.

La facciata che dà sul cortile di Pilato, invece, è ricca di scacchiere, rimando simbologico al dualismo, nell’accezione di eterna lotta tra Dio e il demonio; una serie di motivi ornamentali a stella.

Sotto la Croce

Il cortile di Pilato è racchiuso dall’antistante chiesa del Martyrium. Ivi è collocata una croce di grandezza pari a quella che ebbe nostro Signore. L’ambiente è permeato di luce soffusa e la proiezione d’ombra del patibolo pare avvolgere la terra come un manto di tenebroso giudizio. La visione della croce sconvolge il mio animo, già segnato da molti pensieri e dubbi morali.

«Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”!».

Marco 15, 39

Mentre attraverso il cortile intravedo la figura dell’abate inginocchiata sotto la croce. Più mi addentro all’interno del complesso di Santo Stefano, più tutto diviene confuso e nebuloso. Le mie certezze vacillano, il mio cuore diviene pesante: e se davvero i monaci di questo luogo avessero rinvenuto le spoglie di Pietro?

La croce del Martyrium mi sia testimone, tuttavia, che sono stato inviato a Bologna per una santa missione. Preso tutto il coraggio che nel mio spirito permane mi rivolgo all’abate, quasi con un grido di liberazione: «Ti intimo di dirmi la verità in nome del Santo Padre! Dove sono custodite le spoglie di San Pietro?». L’abate bisbiglia le ultime parole di una fugace preghiera innanzi alla croce e tosto si rizza in piedi. Il suo volto si lascia andare ad un sorriso benevolo. «Seguimi!», mi dice.

Il Martyrium del complesso delle Sette Chiese di Bologna

La chiesa della Trinità o Martyrium presenta una struttura non conforme alle intenzioni originarie del vescovo Petronio. Infatti, il progetto prevedeva l’edificazione di un impianto basilicale a cinque navate dotato di abside e di facciata orientata verso est, in accordo con il modello del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Ciò nondimeno, probabilmente a causa della mancanza di fondi, l’opera non venne mai realizzata.

Nella Vita Sancti Petroni si riporta che l’edificio avrebbe dovuto simboleggiare il Golgota, e proprio per tale ragione il vescovo vi fece apporre una croce avente le stesse dimensioni di quella sulla quale fu appeso il Cristo. Nelle epoche successive il Martyrium fu soggetto a tentativi di rifacimento secondo le intenzioni originarie ma invano in quanto, nel frattempo, anche il Santo Sepolcro di Gerusalemme era stato ricostruito. Oggi la chiesa, in stile neoromanico, è articolata in cinque cappelle con volte a crociera e facciata antistante il cortile di Pilato. Questa è la disposizione derivante dagli azzardati restauri otto-novecenteschi.

L’uomo con incedere sicuro, non v’è in lui ombra di titubanza alcuna, mi conduce alla chiesa in cui il sepolcro di Symon è custodito. Esso è adagiato nell’area del presbiterio, in modo che i pellegrini vi si possano approssimare percorrendo le navate. La chiesa mostra un’età antica; la sua struttura geometrica è permeata da una luce soffusa capace di trasporre lo spazio a una dimensione eterea.

La basilica dei santi Vitale e Agricola del complesso delle Sette Chiese di Bologna

La chiesa dedicata ai protomartiri bolognesi Vitale e Agricola costituisce il nucleo più antico dell’intero complesso delle Sette Chiese di Bologna. Essa fu eretta nel IV secolo per accogliere le spoglie dei due santi, che oggi riposano invece nella cripta della chiesa del Crocifisso. Ad impianto basilicale con tre navate, la chiesa presenta una facciata a salienti orientata verso la piazza principale. Al centro del prospetto si rileva la presenza di una mattonella scolpita con le rappresentazioni di Vitale, Agricola e Cristo. All’interno della chiesa giacciono preziose rimanenze di un’epoca antica: è possibile infatti ammirare i resti di un pavimento musivo di epoca romana. Due sarcofagi, secondo la tradizione appartenenti ai due santi, sono decorati con figure di animali, tra cui cervi, pavoni e leoni. Un’ara pagana è posta centralmente all’area del presbiterio e funge oggi da altare cristiano.

All’interno della chiesa, al termine del XIV secolo, fu trovato un sarcofago di epoca paleocristiana su cui era incisa la scritta Symon9. Si diffuse dunque la falsa credenza che quella fosse la tomba di San Pietro. In ogni caso, il complesso delle Sette Chiese divenne meta di numerosi pellegrini, i quali si recavano a Bologna piuttosto che a Roma. Papa Eugenio IV, mal sopportando la questione, intimò ai monaci di nascondere la presunta reliquia. Di fronte all’inadempienza dei Benedettini, ordinò quindi di far interrare la chiesa e di abbandonarla in quello stato. L’edificio rimase semidistrutto per sessantadue anni finché nel 1493 papa Alessandro VI, facendo seguito alle richieste dell’arcivescovo Giuliano della Rovere, lo fece restaurare e adibire nuovamente alle funzioni ecclesiastiche, a patto che fosse consacrato a Vitale e Agricola. L’episodio è attestato dall’iscrizione posta sulla porta laterale che recita “JUL. CARD. S. P. AD VINC. RESTITUIT“.

I simbolismi della chiesa dei Santi Vitale ed Agricola

Tra gli elementi decorativi del portale laterale della chiesa dei santi Vitale ed Agricola è scolpita una sirena, simbolo della lussuria.

Alla base di una colonna, che separa le navate interne, qualcuno ha invece inciso in tempi remoti una Triplice Cinta, possibile rappresentazione del Tempio di Gerusalemme, nonché figurazione della Trinità e della potenza della Parola di Dio.

Il cammino del pellegrino verso la salvezza

Per qualche ragione a me sconosciuta l’edificio è deserto a quest’ora e il suono dei respiri si infrange al rimbombo di echi lontani e profondi. Così, non appena l’abate volge a me la parola, la sua voce sembra scaturire da nubi in tempesta o ardenti roveti della fede: “È qui ciò che cerchi, non è vero?”. “Innanzi ai miei occhi c’è solo un finto simulacro, io sono in cerca della verità” replico con tono fermo. E l’abate prosegue: “Che cos’è la verità? Non è essa il solo Cristo, figlio di Dio che morendo è risorto dopo tre giorni? Perché cerchi la verità in cose che appartengono agli uomini? E adesso dimmi: cosa hai osservato da quando sei giunto in Santo Stefano?”.

La domanda inattesa penetra placidamente sino al mio cuore: “Ho visto i luoghi della Passione di Cristo, qui a Bologna riprodotti per il culto”. “Certamente”, mi risponde l’abate con amore: tu non hai veduto i veri luoghi, non ve n’è bisogno alcuno, infatti. Ciò che conta è la resurrezione di Cristo e il suo memoriale, non dove essa sia avvenuta; il segno della vera croce, non se essa ancora esista. Sono nel cuore i luoghi della Passione, e soltanto lì assumono la dimensione della verità”.

D’improvviso la mia mente si apre ad orizzonti nuovi e solo allora incomincio a comprendere cosa l’abate vuole comunicarmi. “Qui tutto ha un valore simbolico, nulla è reale ma tutto lo è per chi ha fede. Cosa importa se le ossa consunte di questo sarcofago davvero appartengano a San Pietro, oppure no? Cambia forse la salvezza dell’uomo se esso si reca a Bologna piuttosto che a Roma? Ricorda, non la meta fa di un uomo un pellegrino, ma il suo cammino”.

Samuele Corrente Naso e Daniela Campus

Mappa dei luoghi

Note 1

  1. G. di Gio, B. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna ossia storia cronologica de’ suoi stabili sacri, pubblici e privati, Volume V, Bologna, Tipografica Militare, già delle Scienze,1873. ↩︎
  2. Sermo de inventione Sanctarum Reliquiarum. ↩︎
  3. S. Guazzotti, S. Fazio, L’immagine della Gerusalemme celeste: il complesso di Santo Stefano a Bologna, in Le rotonde del Santo Sepolcro. Un itinerario europeo, 2005. ↩︎
  4. G. Cencetti, Le carte bolognesi del secolo X, 1945. ↩︎
  5. Il canto XVI dell’Inferno si svolge all’alba del Sabato Santo nel terzo girone del settimo cerchio, dove sono puniti coloro che hanno commesso violenza contro Dio, la natura e l’arte. La loro pena è quella di correre senza sosta su una sabbia rovente su cui cade continuamente una pioggia di fuoco. ↩︎
  6. Nel canto X del Purgatorio viene descritto l’incontro con gli spiriti dei superbi, la cui pena è quella di camminare curvi sotto il peso di un macigno. ↩︎
  7. “† VMILIB VOTA SVSCIPE DNE DDNNR LIVTPRANTE ILPRANTE REGIB ET DN BARBATV EPISC SC HECCL BNNSS HIC IHB SVA PRECEPTA ORTVLERUNT VNDE VNC VAS INPLEATVR IN CENAM DNI SALVATS ET SI QVA MVNAC MINVERI TDS REQ“. In Una storia ultramillenaria. Il bacile longobardo della chiesa di Santo Stefano a Bologna. Un patrimonio storico da tutelare e salvaguardare, Rotary Club Bologna Est e Università di Bologna; F. Galletti, Il Catino di Pilato e le Sette Chiese: la Simbologia gerosolimitana in Santo Stefano di Bologna. ↩︎
  8. F. Mazzucchelli, P. Odoardi, Memorie del sacro nell’architettura religiosa. Trasformazioni e stratificazioni nella basilica di Santo Stefano a Bologna, 2007. ↩︎
  9. Ibidem nota 1. ↩︎

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