Il gioco degli Scacchi ha origini che si perdono nel tempo. Esse sono da ricercarsi forse in India, giacché ivi esisteva il chaturanga, un insieme di regole che avrebbero anticipato quelle odierne. Ma pure potrebbero derivare dal vetusto gioco cinese del xiangqi. Al di là delle ipotesi sulla probabile derivazione, si sa con certezza che gli scacchi si diffusero in Europa dall’Arabia e prima ancora dalla Persia. Testimonianza ne è lo stesso termine fondante che deriverebbe dal Persiano shāh. Nel Vecchio Continente il gioco si diffuse dapprima grazie alla dominazione araba della Sicilia, e in seguito attraverso la mediazione dei crociati di ritorno dalla Terra Santa. Una ferrea tradizione, in tal senso, vuole che sia stato l’Ordine dei Cavalieri Templari il più importante fautore di tale contaminazione. Non a caso, il vessillo degli stessi, il Beauceant, riproduce l’alternanza bianco-nero propria della scacchiera.
In ogni caso, il simbolismo della Scacchiera prese a diffondersi in maniera contagiosa per tutta l’Europa. Nel periodo medioevale esso iniziò ad essere utilizzato persino come elemento decorativo all’interno di edifici religiosi. Importanti testimoni sono la Basilica di Sant’Ambrogio a Milano e la Cattedrale di San Lorenzo a Genova.
La simbologia della Scacchiera
Sin dalla sua primitiva accezione la Scacchiera indica un dualismo, imperniato dal concetto di conflitto cosmico. L’Induismo è la più antica religione al Mondo; essa concilia al suo interno una sostanziale dottrina degli opposti. Per un indiano Dio è il tutto e una parte del tutto, è maschile e femminile, è creazione e distruzione… È evidente come tutto ciò sia esattamente proprio della Scacchiera. Le caselle bianche e nere sono opposte e si alternano, ma nessuna può esistere senza l’altra. La dualità degli opposti compone il tutto, è l’essenza stessa di Dio.
In Cina la filosofia degli opposti (nel Confucianesimo e Taoismo) può essere espressa, con simili sfaccettature, attraverso la dottrina dello yin (nero) e yang (bianco). Lo yin e lo yang sono l’ombra e la porzione luminosa di una stessa collina; vale a dire sono i contrari che si complementano, come peraltro è evidente dal simbolismo connesso. Seppur opposti, nessuno potrebbe esistere senza l’altro: esprimono nell’insieme l’idea di una ciclicità insita nelle leggi naturali.
Nella Grecia antica è la dottrina dei contrari di Eraclito ciò che più incarna il concetto simbolistico legato alla Scacchiera. Secondo tale filosofo, il Mondo sarebbe governato da una legge segreta che risiede proprio nella coesistenza degli opposti. Essi, in quanto tali, combattono tra loro ma sono allo stesso tempo inscindibili. Non può esistere, infatti, l’uno senza l’altro.
La Scacchiera vuol figurare la contrapposizione primordiale tra l’oscurità e la luce, il bene e il male. Ed è in tal senso che va compresa la diffusione degli scacchi durante il Medioevo. Per i Cristiani vige un’eterna lotta tra Cristo e il demonio. Tuttavia, essa si concluderà con la vittoria del figlio di Dio durante la venuta ultima, la Parusia: “portae inferi non praevalebunt”.
Una leggenda indù
Una famosa leggenda induista [1] ci svela, poi, un ulteriore livello simbolistico. Quest’ultimo esprime la significazione del sacrificio e del distacco. Un re indiano era riuscito a vincere una sanguinosa battaglia, dovendo pur tuttavia sacrificare suo figlio. Per molto tempo non riuscì a darsi pace in nessun modo, finché alla sua porta bussò un sacerdote indù, che si faceva chiamare Lahur Sessa. Egli presentò al re il gioco degli scacchi; cosicché, a furia di giocare, quegli si convinse che non avrebbe potuto fare altrimenti che sacrificare suo figlio. Il re, finalmente sereno, disse al sacerdote di chiedere qualsiasi cosa ed egli glielo avrebbe concesso. Lahur Sessa domandò semplicemente un chicco di grano per la prima casella della scacchiera, due per la seconda, quattro per la terza, e così via. Il re sorrise a quella bizzarra richiesta, essendo convinto che se la sarebbe cavata con poco grano. In realtà, si rese ben presto conto che non sarebbero bastati ottocento anni di raccolti per soddisfare la richiesta ricevuta [2].
Il mistero del sacrificio
È interessante notare come ricorra qui il tema del sacrificio. Il re indiano è costretto a sacrificare suo figlio per la vittoria. Inoltre, la sua ricompensa, che parrebbe inizialmente qualcosa di banale, si snoda per l’eternità (simbolicamente un tempo molto lungo, come ottocento anni). La leggenda racchiude in sé la vera essenza degli scacchi. Nessuno può vincere una partita senza sacrificare qualche pedina.
Volendo traslare il racconto indù alla realtà cristiana, e pertanto al simbolismo medioevale della Scacchiera, vi sono molteplici analogie. Anche in questo caso il re (Dio) è costretto a sacrificare suo figlio (Gesù Cristo) per donare all’umanità una ricompensa eterna. È lo stesso Cristo a esplicitare bene il concetto:
“In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” [3].
Curiosamente, il sacrificio ricapitola pur sempre in un chicco di grano.
Samuele Corrente Naso
NOTE
[1] Malba Tahan, L’uomo che sapeva contare
[2] Lahur Sessa aveva chiesto 264 – 1 chicchi di grano, essendo la scacchiera composta di 64 caselle: si tratta di un numero incredibilmente alto.
[3] Gv 12,20 e seguenti