Agli albori della civiltà l’uomo era schiacciato tra la propria volontà e il destino, tra finito e infinito, tra pensiero e azione. L’imprevedibilità degli eventi generava paura e al contempo il desiderio del controllo, di mettere ordine al grande caos che governava il cosmo. Come in una partita di dadi, tutto appariva incerto e in balia di forze oscure e sconosciute. Ma col tempo nacque una consapevolezza nuova, l’idea che il sacro potesse essere in qualche modo incasellato entro regole certe e percorribili dalla ragione. L’invenzione degli scacchi, gioco di strategia millenario che impiega una scacchiera di 64 caselle come tavoliere, rispondeva al tentativo di prevedere e controllare le potenze sovrumane, di gettare lo sguardo al di là di questo mondo.

La storia degli scacchi
Le origini degli scacchi si perdono nei meandri della storia. Il gioco come oggi lo conosciamo venne ideato nell’India settentrionale intorno alla prima metà del VI secolo1, ma da molto tempo esisteva già una versione più antica chiamata chaturanga2. Il termine sanscrito significava “suddiviso in quattro” perché l’esercito indiano si componeva di quattro differenti armate: fanteria, cavalleria, carri ed elefanti3. Gli scacchi giunsero quindi in Persia e li troviamo citati nel racconto del Kar-Namag con il nome di Chatrang, sotto il regno del sasanide Cosroe II (590-628)4. Un testo medievale del 1140, il manoscritto di al Ta’qubi, riferisce invece che i Persiani li importarono dall’India ancor prima, sotto Cosroe I (531-579)5. Nel VII secolo gli Arabi invasero quella regione e ne assimilarono alcuni usi e costumi. Tra questi, il gioco degli scacchi, che rinominarono nella loro lingua Shatranj.
Dal Medio Oriente esso giunse in Nord Africa e infine nell’Europa cristiana, dapprima grazie alla dominazione araba della Sicilia, poi attraverso i crociati di ritorno dalla Terra Santa. Una parte della tradizione vuole che i Cavalieri Templari siano stati importanti fautori di questa contaminazione culturale. Il Beauceant, lo stendardo dell’Ordine, era bipartito di bianco e di nero al pari della scacchiera, manifesto simbolico della lotta tra bene e male. Dall’espressione persiana “shāh māt!“, “il re è morto!”, derivò il latino ludus scacchorum, quindi il nome moderno del gioco, tanto che ancora oggi si esclama “scacco matto!”.

Il valore educativo degli scacchi
Oltre l’aspetto ludico, gli scacchi possedevano sin dal loro concepimento un importante valore educativo. La scacchiera ospitava due eserciti disposti in modo verosimile, secondo l’ordine di battaglia in uso nell’India di quel tempo. In tal modo i principi apprendevano l’importanza della riflessione e della strategia nella guerra, della pazienza e della temperanza. I giovani imparavano a soppesare ogni decisione, veniva loro mostrato attraverso la finzione che nessuna battaglia può essere vinta senza sacrificare delle pedine. Ragion per cui è sempre preferibile la pace.
Sono questi gli insegnamenti fondamentali che si tramandavano sin dalle origini, leggendarie, del gioco. Esistono infatti numerosi racconti mitici che tentano di spiegare da dove derivarono gli scacchi. La maggior parte di essi è opera di scrittori nei primi secoli dell’Islam. Le versioni più antiche tramandano che essi furono creati dal bramino Sissa Ibn Dahir per un re indiano, il quale rimase così entusiasta che disse all’inventore: “chiedi qualunque cosa desideri!”6. Sissa Ibn Dahir domandò soltanto che gli venisse dato un chicco di grano per la prima casella della scacchiera, due per la seconda, quattro per la terza, in modo che tale quantità raddoppiasse ogni volta. Il re fu sorpreso da quella richiesta, in apparenza così modesta, e accettò di buon grado. Tuttavia, si rese ben presto conto che non sarebbero bastati ottocento anni per raccogliere il grano necessario7.
In una delle versioni più popolari della leggenda, si narra anche che il re indiano fosse riuscito a vincere un’importante battaglia solo grazie al sacrificio di suo figlio8. Il sovrano non riusciva a darsi pace finché il sacerdote Lahur Sessa lo convinse attraverso gli scacchi, da lui ideati, che non avrebbe potuto fare diversamente.

Il significato simbolico della scacchiera nel Medioevo cristiano
Quando gli scacchi giunsero in Occidente si rivestirono di simbologia cristiana. L’alternanza delle caselle bianche e nere rappresentava una perfetta metafora della lotta escatologica tra bene e male, luce e tenebre, vita e morte. Sulla scacchiera, immagine ordinata del cosmo, si scontravano le potenze celesti e quelle degli inferi. Ma poiché il trionfo ultimo di Cristo è predetto dalle Sacre Scritture, il tavoliere era l’immagine della vittoria e della redenzione. La scacchiera veniva talvolta raffigurata all’esterno degli edifici di culto, spesso con valore apotropaico. Il maligno era così confinato fuori dallo spazio sacro, in quanto destinato a soccombere nella battaglia contro Cristo. Con tale significato la scacchiera si trova apposta, ad esempio, su un muro della cattedrale di San Lorenzo a Genova (XII – XIII secolo), o sul prospetto principale del Duomo di Crema.

A Milano, presso la basilica di Sant’Ambrogio, la scacchiera si osserva sulla facciata, nella navata sinistra e soprattutto costituisce la spalliera del trono del Salvatore presso il mosaico della semicalotta absidale (XII secolo). Nella basilica di San Savino a Piacenza il simbolo, rappresentato all’interno del mosaico presbiteriale del XII secolo, invitava i cristiani a ricercare intelligenza e temperanza, virtù necessarie per la redenzione, in contrapposizione alla stoltezza dei dadi e del peccato che conduce alla morte. La scacchiera era pertanto immagine non solo di una lotta escatologica universale, ma del combattimento che ogni cristiano affrontava per raggiungere la salvezza.
Samuele Corrente Naso
Note
- H. E. Bird, Chess history and reminiscences, London 1830-1906. ↩︎
- H. J. Murray, A History of Chess, Oxford University Press, 1913. ↩︎
- G. Ferlito, A. Sanvito, Guida per l’archeologia scacchistica. Protoscacchi 400 a.C.-400 d.C., in Scacco, luglio-agosto 1990. ↩︎
- A. Panaino, La novella degli scacchi e della tavola reale. Un’antica fonte orientale sui due giochi da tavoliere più diffusi nel mondo eurasiatico tra Tardoantico e Medioevo e sulla loro simbologia militare e astrale. Testo pahlavi, traduzione e commento al Wizarisn i catrang ud nihisn i new-ardaxsir. La spiegazione degli scacchi e la disposizione della tavola reale, Milano, 1999. ↩︎
- M. Leoncini, La grande storia degli scacchi, Le due torri, 2020. ↩︎
- Ibidem nota 2. ↩︎
- Lahur Sessa aveva chiesto 264 – 1 chicchi di grano, essendo la scacchiera composta di 64 caselle: si tratta di un numero incredibilmente alto. ↩︎
- M. Tahan, L’uomo che sapeva contare, Adriano Salani Editore, 2001. ↩︎