“La grande Iside, Madre del Dio, Sothis, Signora delle stelle, Signora del cielo, della terra e del mondo sotterraneo. Nell’anno ottavo sotto la maestà di Horus Toro potente, Sovrano dell’Alto e del Basso Egitto, Signore delle due terre, figlio di Horus amato da tutti gli dei, Figlio di Ra, Signore delle corone Domiziano, che viva eternamente: uno splendido tempio venne costruito per la grande Iside, signora di Benevento, e per la sua Enneade”.
Dagli obelischi che un tempo ornavano l’Iseo di Benevento
A Benevento risiede, per ragioni ancora da appurare fino in fondo, un’eccezionale concentrazione di reperti egizi ed egittizzanti di epoca ellenistica, ivi giunti per volontà dell’imperatore Domiziano1. Si suppone che tale collezione, oggi preservata in gran parte presso il Museo del Sannio, provenga da un singolo centro cultuale che, in relazione al soggetto ricorrente delle raffigurazioni scultoree, è stato identificato in un Iseo. Alla dea Iside, dunque, gli abitanti dell’antica Benevento dovevano volgersi per chiedere grazie e protezioni.
Domiziano e il culto di Iside a Benevento
Il culto di questa divinità egizia in Campania non era una novità: era stato introdotto a Pozzuoli dai mercanti di Alessandria nel II secolo a.C.2, e un importante tempio a lei dedicato sorgeva a Pompei. Tuttavia, a Benevento doveva di certo esistere una nutrita comunità di fedeli dediti ad Iside; non si spiega altrimenti il motivo che spinse Domiziano a far erigere un santuario proprio in questa sede, facendo persino giungere alcune sculture dall’Egitto. La città, infatti, sebbene situata sulla via Appia, non era di rilevanza tale da giustificare un impegno così grande.
In ogni caso, i reperti beneventani attestano la grande devozione dell’Imperatore per Iside. Tacito racconta che Domiziano riuscì a salvarsi dai nemici che stavano incendiando Roma, durante la guerra civile tra Vitellio e Vespasiano (69 d.C.), indossando gli abiti dei sacerdoti isiaci3.
“Domitianus prima inruptione apud aedituum occultatus, sollertia liberti lineo amictu turbae sacricolarum immixtus ignoratusque, apud Cornelium Primum paternum clientem iuxta Velabrum delituit”.
“Domiziano, acquattatosi al primo assalto presso il custode del tempio, riuscì, grazie a un’ingegnosa trovata di un liberto, a mescolarsi, indossando una veste di lino, alla turba dei sacerdoti di Iside e, senza essere riconosciuto, si rintanò nella casa di Cornelio Primo, cliente del padre, dalle parti del Velabro”.
Tacito, Historiae, III, 74
L’imperatore rimase per tutta la vita grato alla dea: dopo l’80 d.C. fece restaurare l’Iseo Campense di Roma4, che Giulio Cesare aveva voluto nel 43 a.C.5, giacché era stato danneggiato da un incendio; quindi troviamo a Benevento testimonianza visibile di quel legame.
Il tempio perduto
Tuttavia, fatto assai misterioso, data la numerosità dei reperti rinvenuti, a Benevento non sono mai state rintracciate le fondamenta di quell’antico edificio dedicato a Iside. Nel corso del tempo le ipotesi sulla sua collocazione si sono accumulate, stratificate come la terra che ne aveva custodito per secoli le preziose testimonianze archeologiche.
Le prime indagini
Almerico Meomartini sosteneva che il Tempio sorgesse nella porzione nordorientale di Benevento6, ossia nell’area dove si colloca ancor oggi l’Arco di Traiano. Sembrava logico, infatti, che il santuario dovesse trovarsi sul limen dell’abitato, in prossimità di uno degli accessi cittadini, in quanto la dea Iside era la protettrice dei viaggiatori. Ivi, inoltre, nei pressi della chiesa di Sant’Agostino, era stata rinvenuta la maggior parte dei reperti, ch’erano riemersi già durante gli scavi del 1903. Tuttavia, nonostante differenti indagini archeologiche condotte nell’area, del Tempio non è stata ritrovata traccia alcuna; tale mancanza ha favorito il rinnovellarsi di molte ipotesi.
Iside a Benevento e l’ipotesi di differenti centri di culto
Hans Wolfgang Müller, curatore di una ricca monografia sul culto di Iside a Benevento7, sosteneva che in città dovevano esservi tre differenti edifici dedicati a divinità egizie: un tempio di Iside Pelagia del I secolo a.C., in stile ellenistico, di cui rimangono la barca marmorea della dea e una raffigurazione del toro Apis in marmo; un santuario di Iside di età domizianea, da cui derivano le sculture egittizzanti; un Canopus per il culto di Osiride e Iside Menuthis, di età più recente e menzionato in un’epigrafe del III secolo, purtroppo perduta, con la quale il collegio dei Martenses Infraforani ringraziava Caio Umbro Audrasto per aver costruito tale edificio8.
I santuari beneventani, secondo Müller, sorgevano presso l’area della Cattedrale di Sancta Maria de Episcopio, un tempo sede del foro romano. Qui sono stati rinvenuti due obelischi in granito rosso con dedica all’imperatore Domiziano, alti più di tre metri, oggi collocati in Piazza Papiniano e presso il Museo del Sannio. L’ubicazione stessa della Cattedrale potrebbe essere un indizio della preesistenza di culti in questo luogo in quanto espressione di una volontà di reinterpretazione delle credenze pagane, com’era d’uso frequente nella prima età del Cristianesimo. In ultimo, anche l’area del foro si trovava su un luogo di transito. Si trattava invero di uno snodo viario fondamentale, posto all’incrocio tra la via Latina e la via Appia.
Gli obelischi e l’ipotesi di un tempio unico
Le iscrizioni leggibili sulle quattro facce degli obelischi rinvenuti, le medesime per entrambi, sembrano però suggerire che tutti i culti confluirono infine presso un unico e imponente edificio, innalzato sotto Domiziano. Fu questa dall’88-89 d.C. la casa di Iside, che i geroglifici onorano con il titolo di “signora di Benevento”. Tale attributo attesta come il culto della dea fosse già diffuso e radicato nella città campana.
I) Horus, “il forte giovane che conquista con potenza”, l’aureo Horus “ricco di anni, forte in vittoria”, Sovrano dell’Alto e del Basso Egitto, “Autokrator Kaisaros”, figlio di Ra “Domiziano”, che viva eternamente;
II) La grande Iside, Madre del Dio, Sothis, Signora delle stelle, Signora del cielo, della terra e del mondo sotterraneo. Egli innalzò un obelisco di granito per lei e per gli dei della sua città di Benevento, per la salvezza e il ritorno in patria del Signore delle due terre, Domiziano, che viva eternamente. Il suo nome è Rutilio Lupo, che abbia lunga vita e gioia.
III) Nell’anno ottavo sotto la maestà di Horus “Toro potente”, Sovrano dell’Alto e del Basso Egitto, Signore delle due terre, figlio di Horus amato da tutti gli dei, Figlio di Ra, Signore delle corone “Domiziano”, che viva eternamente: si costruì un nobile tempio per la grande Iside, signora di Benevento, e per la sua Enneade, da Rutilio Lupo per la salvezza e la prosperità del Signore delle due terre.
IV) La grande Iside, Madre degli dei, Occhio del sole, Signora del cielo e di tutti gli dei. Egli fece per lei e per gli dei della sua città di Benevento questo monumento per la salvezza e il ritorno in patria del figlio di Ra, Signore delle corone, Domiziano, che viva eternamente. Il suo nome è Rutilio Lupo, che abbia lunga vita e gioia.
Müller riporta la traduzione fatta da A. Erman9, che viene qui aggiornata sulla base della traduzione di F. Colin10
Le iscrizioni testimoniano, infatti, che “si costruì un nobile tempio per la grande Iside, signora di Benevento, e per la sua Enneade”. Esse sembrano riferirsi, pertanto, a un unico complesso monumentale, tutt’al più contraddistinto da differenti fasi temporali o ambienti separati. De Caro ha suggerito che tale costruzione sorgesse in contiguità del teatro ellenistico del I secolo, al pari di quanto si osserva a Pompei11.
Ancora, un’altra porzione di reperti sono riemersi nell’area di Piazza Cardinal Pacca dove, in prossimità del foro, sorgeva la chiesa di Santo Stefano. È interessante notare che in altri luoghi, come nella vicina Pozzuoli, v’era già stata una sovrapposizione del culto del protomartire cristiano a quello isiaco. Inoltre, ciò sarebbe coerente con quanto riferito dall’iscrizione sul Canopus dei Martenses Infraforani, che proprio qui dovevano essere collocati.
Gli attributi di Iside
La dedicazione di un culto dedicato a Iside Pelagia è invece ipotesi plausibile, giacché era questa la manifestazione della divinità connessa alla navigazione e al commercio in età ellenistica. Nelle arti figurative si rappresentava la dea mentre guidava una barca notturna, utilizzando il suo mantello come vela. Nel II secolo a.C. Iside Pelagia fu accolta in Campania forse per mezzo dei commerci con l’isola di Delo, in cui sorgeva un’importante santuario a lei dedicato.
Il culto di Iside, tuttavia, era molto più antico e le origini della sua figura si perdono nella notte dei tempi. Già nell’Antico Regno egizio (2700-2100 a.C. circa) si diffondeva il mito di Osiride in cui la dea veniva rivestita di un ruolo fondamentale. Le prime menzioni si rinvengono nei Testi delle Piramidi: Iside e Osiride erano sposi e fratelli, figli del cielo (Nut) e della terra (Geb), e insieme governavano il mondo con saggezza, insegnando agli uomini l’agricoltura.
Il primo attributo della dea era dunque la regalità, evidenza che si riscontra finanche nel nome poiché tra i geroglifici del cartiglio vi era la figura di un trono12. Iside era poi la divinità associata alla fertilità, la madre suprema della nascita e della rinascita. La sua potenza generativa si manifestava sulla terra come nell’oltretomba, possedeva cioè la funzione di psicopompo in quanto traghettava con la sua barca le anime dei defunti verso l’aldilà.
Il mito di Iside e Osiride
Il mito narra che il malvagio Seth uccise Osiride per invidia e ne smembrò il corpo in quattordici parti, gettandole nel Nilo. Tuttavia, Iside riuscì a recuperare quasi tutti i pezzi: tanto bastò affinché il marito potesse risuscitare per un breve tempo, durante il quale i due si unirono13. Nacque così Horus, il dio-bambino destinato a sconfiggere Seth per vendicare il padre. Osiride sopravvisse invece nell’Oltretomba, divenendone il sovrano per l’eternità.
Sul piano figurativo il mito veniva trasposto nella raffigurazione della dea Iside che, a partire dalla XXVI dinastia (72-525 a.C.)14, stringeva tra le braccia l’infante Horus.
L’architettura del tempio di Iside a Benevento
Del culto della dea a Benevento conosciamo molto poco in quanto, in età ellenistica, esso aveva carattere misterico. Solo i sacerdoti erano iniziati ai segreti isiaci e poche sono le fonti storiche che aiutano a comprenderne gli aspetti rituali. Brevi cenni fa Apuleio nelle Metamorfosi15, e Clemente Alessandrino si limita a descrivere la gerarchia della casta sacerdotale16.
Più plausibili, invece, sono le ricostruzioni della struttura templare che ospitava tale culto, soprattutto sulla base di comparazioni stilistiche e architettoniche con analoghi edifici che sono sopravvissuti sino ad oggi.
Il dromos
Il rinvenimento dei due obelischi e di almeno dieci sfingi, attribuibili all’età domizianea in relazione a un’analoga scultura dei Musei Capitolini17, suggerisce che l’Iseo beneventano fosse provvisto di un corridoio d’ingresso a dromos non dissimile da quello dei tempi egizi. Le sfingi, raffigurazioni del sovrano sotto le sembianze di leone, fiancheggiavano il viale d’ingresso, demarcando la separazione tra lo spazio sacro e quello profano. Era in uso, inoltre, porre una coppia di obelischi ai fianchi dell’accesso templare come ornamentazione, con incise le iscrizioni dedicatorie alla divinità.
La cella
Il santuario beneventano fu dunque voluto da Domiziano a imitazione di quelli egizi, seppur in stile ellenistico, al pari di quanto fatto a Roma nell’Iseo Campense18. Sappiamo che egli si paragonava a Horus giacché, tale identificazione del sovrano con il dio, è resa manifesta sulle iscrizioni degli obelischi. Pertanto, l’Imperatore acquisiva il titolo regale di figlio di Iside. È possibile che due raffigurazioni statuarie del sovrano fossero collocate innanzi alla cella della divinità. Così si osserva, ad esempio, in un’illustrazione romana del I secolo rinvenuta a Ercolano, e oggi custodita al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (inventario 8924). Il tempio non doveva essere dissimile da quello che si osserva a Pompei, ossia prostilo tetrastilo su podio19.
All’interno della cella era collocata la statua della divinità in trono, con ogni probabilità visibile anche dall’esterno. A tale simulacro si fa appartenere una frammentaria testa di Iside custodita al Museo del Sannio. Il rivestimento dell’Iseo era in marmo, con bassorilievi alla maniera egizia. Gli archeologi hanno rinvenuto almeno due frammenti riferibili agli interni – parte di una raffigurazione del sovrano che presenta l’offerta alla divinità e parte di una scena in cui Iside protegge il Dio toro Apis con le sue ali – e uno, perduto, appartenente agli esterni dell’edificio.
La fine del Tempio di Iside a Benevento
Il culto di Iside ebbe ampia diffusione in tutto l’Impero: Apuleio nel II secolo d.C. definiva Roma come “sacrosanda civitas” della dea20 e Caracalla ne promuoveva le celebrazioni pubbliche. Ma con l’editto di Tessalonica del 380, con cui Teodosio proclamava il Cristianesimo religione di stato, la devozione alla dea veniva bandita, al pari di altre credenze pagane. Questo atto segnò, con ogni probabilità, anche la fine del santuario isiaco a Benevento. Esso, similmente ad analoghi luoghi di culto, dovette essere distrutto. I materiali di spoglio furono reimpiegati nella costruzione di edifici civili, di chiese e delle mura longobarde, come testimoniano i ritrovamenti sparsi in città.
L’arrivo dei Longobardi e la conversione al Cristianesimo
Alla metà del VI secolo giunsero a Benevento i Longobardi, i quali stabilirono in città un importante centro amministrativo, sede dell’omonimo ducato della Langobardia minor e, in seguito allo loro conversione al Cristianesimo, anche religioso. Ad essi bisogna ascrivere, infatti, l’edificazione del complesso di Santa Sofia.
Una leggenda dei secoli IX-X, la Vita sancti Barbati episcopi Beneventani, vuole che fu San Barbato a convertire i Longobardi alla nuova fede, convincendoli ad abiurare i riti pagani che ancora persistevano in città. Secondo il testo agiografico, il duca Romualdo chiese al vescovo Barbato di intercedere per la salvezza di Benevento, temeva infatti che le truppe dell’imperatore bizantino Costante II potessero assediarla. Il santo e il duca si recarono quindi ai piedi di un vecchio noce, con l’intenzione di abbatterlo: era quello il luogo dove i Longobardi, di stirpe germanica ed eredi delle tradizioni celtiche, svolgevano le cerimonie pagane. Ed ecco apparire tra le radici dell’albero un serpente aggrovigliato, simbolo della dea Iside.
Le cerimonie pagane prevedevano lo svolgimento di sacrifici, danze rituali e falò notturni alla maniera degli antichi culti misterici. Vi partecipavano figure femminili in estasi: sacerdotesse che avevano il compito di invocare le divinità ma, nella tradizione popolare, streghe. Così nasce il mito delle janare, eredi di quei riti che i Longobardi officiavano attorno al noce, e della dea Iside, signora di Benevento.
Samuele Corrente Naso
Note
- R. Pirelli, Il culto di Iside a Benevento, in Il culto di Iside a Benevento, Milano 2007. ↩︎
- M. L. Nava, L’eredità egizia del mito di Iside, Catalogo della mostra Mater, Parma 2015. ↩︎
- Tacito, Historiae, III, 74. ↩︎
- Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, VII.23.5. ↩︎
- Cassio Dione, Storia romana, XLVII.15.4. ↩︎
- A. Meomartini, O. Marucchi e L. Savignoni, Benevento, in Notizie degli scavi di antichità, vol. 1, 1904. ↩︎
- H. W. Müller, Il culto di Iside nell’antica Benevento, in Saggi e studi del Museo del Sannio. Traduzione di Silvio Curto e Donatella Taverna, Benevento, Officina grafica Abete, 1971. ↩︎
- M. R. Torelli, Benevento romana, Roma, L’Erma di Bretschneider, 2002. ↩︎
- Adolf Erman, Obelisken roemischer Zeit, in Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts. Römische Abteilung, Roma, Loescher, 1893. ↩︎
- F. Colin, Domitien, Julie et Isis au pays des Hirpins, CIL IX. 1153 et l’obélisque de Bénévent, in CE 1993. ↩︎
- S. De Caro, Lo sviluppo urbanistico di Pompei, in Atti della Società Magna Grecia, 1992. ↩︎
- M. Tosi, Dizionario enciclopedico delle Divinità dell’Antico Egitto, vol. 1, Torino, Ananke, 2004. ↩︎
- C. Lombardi, Il Grande Inno ad Osiride della Stele di Amenmose (Louvre C 286): la dea Iside, 2010. ↩︎
- Ibidem nota 2. ↩︎
- Lucio Apuleio, Metamorfosi, II secolo d.C. ↩︎
- Clemente Alessandrino, Stromates VI.36.2. ↩︎
- K. Lembke, Das Iseum Campense in Rom. Studie über den Isiskult unter Domitian, Heidelberg, 1994. ↩︎
- A. M. Roullet, The egyptian and egyptianizing monuments of imperial Roma, Leida, 1972. ↩︎
- Ibidem nota 1. ↩︎
- Ibidem nota 15. ↩︎