La piccola chiesa di San Pietro a Gemonio fu fondata, secondo la tradizione popolare, nientemeno che dalla regina longobarda Teodolinda. Si narra, ancora, che Re Liutprando avrebbe poi donato l’edificio di culto ai monaci di San Pietro in Ciel d’Oro in Pavia. Si tratta di un epos consolidato, in questi luoghi del Varesotto – i quali paiono impregnati di vicende ancora da indagare fino in fondo – ciò nondimeno privo di fondamento; la chiesa di San Pietro è emblema vero d’incertezza storiografica.
Tra i suoi muri consunti si intersecano secoli di storia antica e dimenticata, sospiri di culture difficili da rievocare. È questo il substrato del mito, dello scritto-non-scritto, del passato leggendario. Ma la chiesa di San Pietro è anche testimonianza tangibile, reale, di un trascorso che si deve cercare di recuperare. Esso talvolta riappare prepotente, come fosse dotato di vitalità propria, al di là dell’intonaco di un muro o sotto un altare settecentesco che viene traslato. Le pietre si ripresentano nel loro antico splendore, tramandando testimonianze inattese, simboli sopravvissuti.
Cenni storici
La chiesa gemoniese di San Pietro, in origine, era stata concepito a navata unica, a partire da preesistenze longobarde ancora più antiche. Non è chiaro, infatti, l’anno di edificazione di una primitiva cappella, forse appartenente all’epoca liutprandea (VIII secolo). L’edificio subì poi un corposo rifacimento già verso la fine del X secolo1, che gli conferì fattezze architettoniche romaniche. Di pochi anni successivo è l’innalzamento di una seconda navata, e ancora una terza (l’attuale destra) è di fattura quattrocentesca. Il campanile, costruito alla maniera tipica del luogo, massiccio e imperioso con feritoie e monofore, è attestato parimenti al primo quarto del XI secolo.
Le pitture parietali della chiesa di San Pietro a Gemonio
I tesori più importanti della chiesa di San Pietro si celano oltre l’uscio scarno e minimale della facciata a capanna: pitture parietali riemerse dall’ombra, testimonianze di stili e secoli differenti. Dovette essere enorme, infatti, la sorpresa dei restauratori quando, rimuovendo alcuni strati superficiali d’intonaco che ricoprivano le pareti della chiesa, s’iniziarono a scorgere colori e tracce di disegni antichi.
È ormai accertato che l’edificio sia stato adibito a lazzaretto durante la peste del 1631 e poi imbiancato con la calce. Le operazioni di scrostamento delle pareti sono state eseguite a più riprese, protraendosi per quasi cinquanta anni, e hanno riportato alla luce un mirabile tesoro artistico. Tali pitture murarie, anche se appartenenti a epoche e contesti diversi, assumono la valenza di un corpus rappresentativo ben orchestrato.
Agli affreschi medioevali della navata sinistra (X-XI secolo), si contrappongono le pitture rinascimentali dell’abside centrale e della navata destra. Il confronto stilistico è straordinario e permette di ripercorrere idealmente una po’ della storia dell’arte in pochi passi. Gli affreschi di Gemonio rivelano maestrie pittoriche dalla grande sensibilità.
Gli affreschi absidali della chiesa di San Pietro a Gemonio
Eccezionali sono le pitture parietali dell’abside presso la navata centrale, risalenti al XV secolo. Nella porzione superiore risplende Dio Padre al centro; al suo fianco i quattro Dottori della chiesa: (da sinistra rispettivamente San Gregorio, San Girolamo, Sant’Agostino e Sant’Ambrogio). L’ordine inferiore, invece, è impreziosito dalle figure di undici apostoli, San Paolo e San Giovanni Battista.
Gli autori degli affreschi gemoniesi sono purtroppo sconosciuti, ma sono da ricercarsi nelle maestranze locali afferenti all’area lombarda.
Un altare misterioso
Oltre alle eccezionali pitture sacre, ch’erano nascoste lungo le pareti imbiancate, la chiesa di San Pietro a Gemonio custodisce un altro straordinario segreto. Durante i lavori di restauro degli anni sessanta, infatti, mentre veniva rimosso l’altare ligneo barocco, con grande stupore si notò la presenza di una preesistente struttura intonacata in materiale composito. Certo, gli abitanti del paese raccontavano che sotto l’altare fossero nascosti dei cunicoli, e che questi conducessero alla torre fortificata (oggi presso Cocquio Trevisago), ma nessuno aveva dato loro credito. E in verità i leggendari passaggi sotterranei esistevano davvero, e ora riemergevano davanti gli sguardi attoniti degli archeologi. In realtà, essi nient’altro erano che ossari, utilizzati per dare sepoltura ai morti di peste del 1631.
Contestualmente fu rinvenuto il più antico altare della chiesa. La sorpresa fu grande allorché su di esso s’intravidero enigmatici simboli, affrescati di colore rosso.
L’apparato simbolico dell’altare
Il corpus simbologico dell’altare della chiesa di San Pietro a Gemonio è, nel suo complesso, di difficile interpretazione: quattro fiori esapetali, denominati “fiore della vita“, sono rappresentati centralmente, e tra loro v’è un ripetersi di croci e motivi decorativi; ai fianchi, ecco due scale che decorrono per l’intera altezza della raffigurazione.
Sebbene il significato dell’affresco non sia ancora stato chiarito con certezza, la presenza delle due scale e dei fiori della vita potrebbe aiutare a dipanare il mistero. È possibile che proprio qui, ai piedi dell’altare, fossero collocate alcune sepolture di epoca longobarda. Si può immaginare che le scale figurino l’ascesa dell’anima del defunto verso il cielo, mentre l’apparato centrale rappresenti la tomba, la condizione ultima della morte. Ecco spiegata la presenza del fiore della vita che, a partire dall’età paleocristiana, è simbolo della resurrezione. Il fiore esapetalo rappresentava, nell’area alpina dell’Italia settentrionale, e sin dalle sue primissime accezioni simboliche, il narciso, il cui sbocciare preannuncia il ritorno della primavera, e così la rinascita della vita.
Samuele Corrente Naso
Note
- M. Magni, Architettura romanica comasca, Milano, 1960. ↩︎