La chiesa di Santa Sofia, a Benevento, nel corso dei secoli è cambiata. Lento lo scorrere del tempo ne ha segnato le mura, terremoti hanno scosso le sue fondamenta, la storia ne ha scalfito la memoria. Eppure, appena oltrepassato l’uscio d’ingresso è possibile percepire ancora gli echi di un’architettura grandiosa, si potrebbe finanche dire epica. Era stato Arechi II, potente Duca longobardo dal 758, a concepire la chiesa come un tempio spirituale per la sua gente.

Santa Sofia a Benevento era stata ideata per essere il solenne centro sacro dei Longobardi, un luogo identitario e di espressione della fede del popolo. In un Praeceptum concessionis del 774 il Duca aveva conferito alcune donazioni a quel tempio, eretto, fece scrivere, “pro redemptione anime mee seu pro salvatione gentis nostre et patrie”, “per la redenzione della mia anima e per la salvezza della nostra gente e della nostra patria”. Erano infatti gli anni in cui il Ducato di Benevento costituiva l’ultimo baluardo dei Longobardi in Italia. Il Regnum Langobardorum con capitale a Pavia era caduto in mano ai Franchi di Carlo Magno, nel 774. Santa Sofia sorgeva dunque come un grande sacrario, custode della memoria storica e spirituale di un popolo intero.
Il Ducato di Benevento
La società dei Longobardi era suddivisa in famiglie. Alcune famiglie, tra loro associate, formavano una fara e più farae insediate in uno stesso territorio davano vita a un ducato, che in genere dipendeva dal re. Così era avvenuto nell’Italia settentrionale al seguito di Alboino nel 568, ma le fonti storiche sembrano suggerire che la presenza longobarda nel Ducato di Benevento fosse piuttosto strutturata intorno a piccoli nuclei di guerrieri, che si mischiarono con la popolazione del luogo. Oggi si è dunque propensi a credere che tale potente dominio della Langobardia minor si originò in modo indipendente rispetto al grande esodo del Nord incominciato da Cividale del Friuli. Paolo Diacono, sommo storico dei Longobardi, si limitò soltanto ad attestare il nome del primo Duca beneventano:
“Il primo duca dei Longobardi di Benevento fu Zotto, che resse il principato per vent’anni”.
Paolo Diacono, Historia Langobardorum, III, 33.
Lo scrittore non fornisce altre informazioni, ragion per cui sulle origini del Ducato si possono fare soltanto delle ipotesi. Sappiamo che alcuni contingenti dì mercenari longobardi erano presenti in Italia da ben prima dell’invasione del 568, giacché avevano difeso i possedimenti Bizantini contro gli Ostrogoti sotto la guida di Narsete1. Nel quadro storico incerto di quel tempo, non è improbabile che a un dato momento tale Zotto (o Zottone) abbia guidato le sue truppe in Campania a discapito dei vecchi alleati. Volendo cercare un riferimento temporale, è possibile che ciò avvenne intorno al 575-5762.
L’ascesa di Arechi II
Come sede del nascente Ducato venne scelta Benevento. La città era collocata in una posizione strategica, ben arroccata tra due corsi fluviali e punto di convergenza delle principali vie romane della regione, la Traiana e l’Appia. Il Ducato raggiunse l’estensione territoriale maggiore sotto Gisulfo I (689-706), espandendosi sino in Abruzzo e nella Calabria settentrionale. E quando nel 774 i Franchi presero Pavia, ponendo fine al Regno longobardo in Italia, Arechi II (758-787) riuscì a mantenere l’indipendenza politica. Il sovrano rimase in carica come vassallo di Carlo Magno ma, non appena gli eserciti franchi si allontanarono, si autoproclamò Princeps Langobardorum et Dux Samnitium, facendo del Ducato di Benevento l’ultima roccaforte dei Longobardi in Italia.

Arechi II e la chiesa di Santa Sofia
Ad Arechi II si deve anche l’iniziativa di un grande rinnovamento architettonico che coinvolse la città di Benevento. L’ultimo Duca, uomo colto e oltremodo raffinato, fece innalzare la Civitas Nova, con il Sacrum Palatium residenziale e la cappella di San Salvatore, entro mura ben fortificate. E soprattutto volle l’edificazione della chiesa di Santa Sofia, così da proseguire quel percorso di conversione dei Longobardi al Cattolicesimo avviato sin dai tempi della regina Teodolinda.
La consacrazione dell’edificio
Non sono ben chiari i motivi dell’intitolazione della chiesa a Sofia. Erchemperto, cronista del IX secolo, racconta quella che è la versione più accreditata tra gli studiosi: sarebbe stato Arechi II in persona a decidere di dedicare il tempio all’Hagía Sophía, la Divina Sapienza della tradizione bizantina su ispirazione della basilica che Giustiniano aveva eretto a Costantinopoli3. È possibile che l’idea gli venne suggerita da Paolo Diacono, che dal 758 risiedeva a Benevento.
Ora, la dedicazione alla Divina Sapienza è citata dalle fonti solo a partire da quanto scritto da Erchemperto e da una coeva Translatio Sancti Mercurii. Non è escluso che la Sofia titolare della chiesa fosse in realtà l’omonima santa romana del II secolo4. A supporto di questa ipotesi vi è un manoscritto custodito nella Biblioteca Capitolare di Benevento. Il testo, realizzato nel XII secolo nello scriptorium monastico di Santa Sofia, contiene una Passio Sanctae Sophiae5.

Non vi sono certezze nemmeno sulla data di consacrazione, forse da collocarsi subito dopo la metà dell’VIII secolo. È noto dalle fonti che nel maggio del 760 Arechi II fece traslare nell’altare maggiore della chiesa le reliquie dei Santi dodici fratelli martiri, recuperate in varie città d’Italia, ragion per cui l’edificio doveva già essere completato in quegli anni. Nel 768 vennero collocate negli altari secondari le spoglie di San Mercurio, insieme a quelle di altri trentuno martiri e confessori della fede cristiana provenienti da tutta la Penisola6.
Il monastero di Santa Sofia
Santa Sofia in antico era annessa a un monastero femminile. Arechi II vi aveva fatto insediare una comunità di suore benedettine guidate dalla sorella Gariperga, che per prima ricoprì la carica di badessa7. Il complesso era sottoposto al convento maschile di San Benedetto a Xenodochium e ricadeva sotto la giurisdizione dell’Abbazia di Montecassino. Nel 923 le suore furono sostituite da monaci, forse nel tentativo di affrancare il cenobio dal controllo della potente realtà cassinense8. Nel marzo del 1022, come si evince da una bolla di Benedetto VIII, ritroviamo Santa Sofia sotto la diretta giurisdizione del papato9.
La chiesa raggiunse l’apice nel XII secolo, in seguito alla discesa dei Normanni nell’Italia meridionale, anche grazie a una serie di privilegi ed esenzioni concessi da papa Clemente III nel 118910. Ma con gli Svevi, dalla prima metà del XIII secolo, incominciò un lungo periodo di decadenza, segnato da una cattiva amministrazione dei beni e da difficoltà politiche, che si trascinò per i secoli successivi11.
L’architettura di Santa Sofia a Benevento
Santa Sofia appare oggi come il frutto di cambiamenti, distruzioni e ricostruzioni occorsi nell’arco di secoli. Un certo vissuto storico si rivela sin dalla facciata, che non è più quella voluta da Arechi II: il prospetto si mostra in forme barocche mentre il portale d’ingresso è preceduto dai resti di un protiro del XII secolo, un tempo quadrangolare e sorretto da quattro alte colonne con capitelli corinzi. Ad esso apparteneva la lunetta romanica con il bassorilievo di un Cristo in trono tra la Vergine, San Mercurio e un ignoto uomo inginocchiato. Sono state proposte diverse ipotesi sull’identità di tale soggetto. I magistri scultori medievali inserirono nella scena forse Arechi II oppure l’abate Giovanni IV, che ne aveva commissionato la realizzazione.

La facciata venne così ricostruita dopo il devastante terremoto del 5 giugno 1688. Il sisma causò il crollo delle aggiunte medievali, della cupola esagonale e del campanile quadrangolare che risaliva al tempo dell’abate Gregorio II (1038-1056)12. La chiesa appariva talmente malmessa che l’arcivescovo Vincenzo Maria Orsini, il futuro papa Benedetto XIII, la fece rinnovare secondo il gusto dell’epoca. Santa Sofia subì una radicale ricostruzione barocca che ne alterò le antiche forme longobarde. Oltre al completo rifacimento della facciata, venne infatti modificata la pianta, da irregolare a circolare. Le tre absidi furono murate, la cupola riedificata su un tiburio più alto e gli affreschi scomparirono sotto un pesante strato di intonaco.
Riconsacrata il 19 marzo del 170113, la chiesa venne colpita da un altro terremoto l’anno successivo. Il campanile rovinò di nuovo al suolo e per motivi di sicurezza si decise di ricostruirlo in posizione isolata. Nel 1943 il complesso di Santa Sofia fu danneggiato da un bombardamento; durante il restauro si cercò di riportare in vita le strutture dell’VIII secolo.

Gli interni: una chiesa longobarda
I lavori di ripristino, affidati ad Antonino Rusconi, rivelarono la vera anima della chiesa di Santa Sofia. L’edificio possedeva delle caratteristiche architettoniche particolari e costituiva uno scrigno d’arte di grande bellezza. Si scoprì, ad esempio, che in antico possedeva una pianta a forma di stella, una scelta originale e innovativa per l’epoca14. Le absidi, ch’erano state ormai dimenticate, vennero liberate. Qui, dietro uno spesso strato di stucco, tornarono alla luce i lacerti di un ciclo di affreschi dell’VIII secolo che, si può immaginare, si estendeva con sfarzo lungo tutte le pareti della chiesa di Arechi II. Presso l’abside sinistra ecco riapparire dopo secoli le Storie di San Giovanni Battista, con l’Annuncio dell’Angelo a Zaccaria. In quella destra venivano disvelate le Storie della Vergine con l’Annunciazione e la Visita a Santa Elisabetta. Gli affreschi di Santa Sofia furono opera di ignoti artisti di formazione siro-palestinese15.
Gli spazi interni della chiesa sono ancora oggi scanditi da una serie di sei possenti colonne in granito, di reimpiego, con gli originali capitelli. Le colonne sorreggono le volte di copertura e delimitano il tiburio esagonale su cui poggiava la cupola. Non è difficile ipotizzare che furono prelevate dal perduto Tempio di Iside, l’edificio di culto voluto a Benevento dall’imperatore Domiziano alla fine del I secolo d.C.

L’esagono costituito dalle colonne interne è inscritto in un decagono più ampio, delimitato da otto pilastri quadrati. Nel corso dei lavori di ampliamento del XII secolo i due pilastri d’ingresso furono sostituiti da colonne di reimpiego.
Il chiostro di Santa Sofia a Benevento
Tra il 1142 e il 1176 l’abate Giovanni IV fece ampliare anche il complesso monastico, come rivela un’epigrafe posta su una colonna del chiostro16. A quest’epoca risale l’aggiunta delle celle per i monaci e degli altri locali necessari alla vita comunitaria, nonché di quel famoso scriptorium rinomato in tutta Europa che contribuì all’ideazione della scrittura beneventana.

Il chiostro quadrangolare si apre con quattordici quadrifore e una trifora, formate da archi a sesto rialzato d’ispirazione moresca17. Le colonnine di sostegno, in granito, calcare o alabastro, sono sormontate da capitelli e pulvini. In un caso si può notare una bella colonna annodata, mentre un’altra è tortile.

I capitelli e i pulvini ospitano un’impressionante ciclo scultoreo plasmato da differenti maestranze chiamate il “Maestro dei Mesi”, il “Maestro dei Draghi” e il “Maestro del Rotondo”. La decorazione del chiostro di Santa Sofia, opera di mani esperte, non ha eguali in Italia, costituisce un unicum anche nella scelta dei temi figurativi. Poche, infatti, sono le scene di carattere sacro, tra cui appena quattro momenti dell’Infanzia di Cristo, tutti su uno stesso pulvino, ed esigue rappresentazioni di un Tetramorfo, dell’Arcangelo Michele, di Eva e della lotta di Sansone contro il leone.

I duelli e i combattimenti del chiostro
Gran parte delle scene sono invece di carattere profano: duelli tra cavalieri, feroci mostri e animali del bestiario medievale prendono vita tra giochi di luci e ombre lungo i corridoi del chiostro. Il cervo, simbolo di purezza, è aggredito da una serie di belve immonde, figurazione del peccato. Un bue, azzannato da canidi, è metafora del sacrificio di Cristo, mentre un asino è allegoria dell’uomo che rifiuta la verità. Non mancano i rimandi alla figura biblica del diavolo, ora sotto le vesti di un serpente strangolato, ora come un drago minacciato dalle frecce di un arco, ancora nelle sembianze di un leone affrontato da un soldato con una lancia.

Di grande rilievo sono i duelli cavallereschi, trasposizione figurativa di quei romanzi del ciclo arturiano e della Chanson de Roland, in voga nel Medioevo. Bisogna tener presente che Benevento era percorsa dai crociati che, imboccando la via Traiana, raggiungevano i porti della Puglia da cui si imbarcavano per Gerusalemme. Quel mondo cavalleresco fatto di ideali, di lotte e di conquiste era ben noto ai maestri che realizzarono il chiostro di Santa Sofia. Un pulvino mostra un cavaliere con scudo crociato fuggire dalla carica di un unicorno, racconto mitico del combattimento contro il nemico musulmano in Terra Santa18.

Due soldati a cavallo si affrontano armati di lance. Sono vestiti con una cotta di maglia e indossano elmi ovali con lungo nasale, e scudo a forma di mandorla, un armamento in uso presso i Normanni. Sul versante opposto dello stesso pulvino un cavaliere sta inseguendo un cinghiale. Le scene scultoree del chiostro di Santa Sofia rappresentano una grande allegoria del combattimento escatologico che attende ogni cristiano, di quel santo cammino della salvezza costellato da insidie e tentazioni, nel Medioevo incarnate nelle immagini di mostri e belve terribili.
Samuele Corrente Naso
Note
- Nel 552 avevano combattuto la battaglia dei Busta Gallorum a Gualdo Tadino in Umbria. ↩︎
- M. Rotili, I Longobardi: migrazioni, etnogenesi, insediamento, in I Longobardi del Sud, Roma, 2010. ↩︎
- Erchemperti Historia Langobardorum Beneventanorum, in Monumenta Germaniae Historica, Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX, ed. Georg Waitz, impensis Bibliopolii Hahniani, Hannoverae, 1878. Erchemperto scrive: “infra Beneventi autem moenia templum Domino opuletissimum ac decentissimum condidit, quod greco vocabulo Agian Sophian, id est Sanctam Sapientiam, nominavit”. ↩︎
- L. Esposito, Il culto di santa Sofia matrona nella Benevento longobarda, in M. Rotili, Tra i Longobardi del Sud. Arechi II e il Ducato di Benevento, Il Poligrafo, 2017. ↩︎
- Passio Sanctarum Sophie et filiarum eius, ms. 1, Benev 1., Biblioteca Capitolare di Benevento. ↩︎
- Herbert Bloch, Montecassino in the Middle Ages, I, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 1986. ↩︎
- Chronica Monasterii Casinensis, herausgegeben von Hartmut Hoffmann, in Monumenta Germaniae Historica, Scriptores, XXXIV, impensis Bibliopolii Hahniani, Hannoverae, 1980. ↩︎
- O. Bertolini, Gli Annales Beneventani: contributo allo studio delle fonti per la storia dell’Italia meridionale nei secoli IX-XII, in Una nuova edizione degli Annales Beneventani e del Catalogus Beneventanus Sanctae Sophiae, Bullettino dell’Istituto storico italiano per il
medio evo e Archivio Muratoriano, 42, 1923. ↩︎ - Ibidem nota 4. ↩︎
- W. Holtzmann, Il privilegio di Clemente III per S. Sofia, Samnium, XXXIV, 1961. ↩︎
- O. Vehse, Benevent als Territorium des Kirchenstaats bis zum Beginn der avignonesischen Epoche, Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken, XXIII, 1931-1932. ↩︎
- Bulla readificationis seu restaurationis, 1701. ↩︎
- S. Borgia, Memorie istoriche della pontificia città di Benevento dal secolo VIII al secolo XVIII, Salomoni, Roma, 1763-1769. ↩︎
- A. Rusconi, La chiesa di Santa Sofia di Benevento, estratto dal XIV Corso di cultura nell’arte ravennate e Bizantina, Ravenna 1967. ↩︎
- Ibidem nota 2. ↩︎
- M. Messinese, I combattimenti del chiostro di Santa Sofia, in Archivio Normanno-Svevo, Testi e studi sul mondo euromediterraneo dei secoli XI-XIII
del Centro Europeo di Studi Normanni, 4, 2013/2014. ↩︎ - E. Galasso, Il chiostro di Santa Sofia. Il simbolico, il mostruoso, l’ambiguo, Benevento, 1995. ↩︎
- Ibidem. ↩︎