La soglia che dà accesso al Tempietto di Cividale del Friuli non soltanto separa gli spazi della materia, ma figura altresì quel particolare momento di transito, nella storia e nelle arti figurative, che accompagnò l’epopea dei Longobardi in Italia. Presso l’antico borgo romano di Forum Iulii si colloca il limen oltrepassato da Alboino nel 568 per insediarsi nella Penisola e occupare i possedimenti bizantini. Il sovrano aveva stabilito a Cividale il primo ducato della Langobardia Maior, con a capo suo nipote Gisulfo. A quel tempo, tuttavia, il popolo di Alboino era costituito da nomadi e guerrieri. Inoltre era ancora poco avvezzo alla ricerca del bello, se non nell’oreficeria. Dovettero trascorrere quasi due secoli prima che si concretizzasse la volontà di plasmare le arti figurative secondo un proprio Kunstwollen, attraverso un gusto che si potesse definire a pieno titolo longobardo.
“Di lì Alboino, dopo aver varcato senza nessun ostacolo i confini della Venezia, che è la prima delle province d’Italia, ed essere entrato nel territorio della città o piuttosto del castello di Forum Iulii, cominciò a considerare a chi fosse meglio affidare la prima provincia che aveva conquistato. […] Per questo, come abbiamo detto, Alboino, riflettendo su chi dovesse stabilire come comandante in quel territorio, decise di mettere a capo della città di Cividale e di tutta quella regione Gisulfo, a quanto si dice suo nipote, uomo sotto ogni aspetto idoneo”.
Paolo Diacono, Historia Langobadorum, II, 9
Non è un caso che ciò avvenne proprio a Cividale. Sul limitare del Tempietto di Santa Maria in Valle confluirono sensibilità variegate, conseguenza della volontà regia di Astolfo e Giseltrude e di quel fermento locale che, alla metà dell’VIII secolo, esprimeva lo spirito artistico della rinascenza di Liutprando. Il Tempio di Cividale, con le sue decorazioni e gli stucchi monumentali, si poneva su un piano di confine tra citazione e inventio. Alla volontà di riportare in auge i modelli dell’arte classica si associava il rinnovellarsi di forme bizantine, e finanche arabeggianti.

Le origini del Tempietto longobardo
Presso la località chiamata “Valle”, su uno sperone roccioso che scende a precipizio sul fiume Natisone, sorse il Tempietto di Cividale del Friuli. Un tempo l’area insisteva a ridosso delle mura romane di Forum Iulii, ma la città era stata distrutta dal sopraggiungere degli Avari nel 610. Così, i Longobardi innalzarono una nuova fortificazione e soprattutto ivi insediarono la Gastaldaga, sede di rappresentanza governativa del re, che risiedeva a Pavia; di ciò abbiamo testimonianza in un diploma di Berengario I, giuntoci in una trascrizione cinquecentesca1.
Presso il sacrum palatium fu dunque concepito anche il Tempietto, a pianta rettangolare con ingresso a ovest, che fungeva da cappella palatina2. Tale evidenza è testimoniata dai ricchissimi corredi funebri recuperati al suo interno, oggi custoditi al Museo Archeologico Nazionale di Cividale. Un documento del 1533, l’Inventio reliquiarum, attesta invece che nel 1242 fu rinvenuta una cassa “multum antiqua et modo extraneo fabricata” che conteneva reliquie. È probabile, pertanto, che il Tempietto fu impiegato in seguito come oratorio, e adibito a ospitare spoglie e frammenti di santi.
In quanto oratorio privato, il Tempietto non venne citato da Paolo Diacono nell’Historia Langobardorum, sebbene l’illustre storico fosse nato proprio a Cividale. Né tantomeno compare in un diploma degli imperatori carolingi Lotario e Lodovico II, datato all’anno 830, con il quale il patriarca di Aquileia assumeva la giurisdizione sul monastero di Santa Maria in Valle3, sorto alla metà dell’VIII secolo per ospitare le nobili longobarde destinate ai voti. Soltanto a cavallo tra il IX e il X secolo, infatti, tale cenobio accorpò anche il Tempietto, sino ad allora dipendente dalla Gastaldaga.

Il Tempietto di Cividale tra citazione e inventio
Poco rimane dell’apparato decorativo che un tempo ornava l’edificio, nondimeno tanto basta per intuirne l’originale splendore esornativo. Le pareti interne del Tempietto di Cividale erano rivestite di stucchi e marmi policromi. Le volte a crociera della copertura ammantate di mosaici con foglia d’oro. Il pavimento era costituito in opus sectile con esagoni neri e triangoli bianchi. Le soluzioni architettoniche adottate avevano lo scopo di dilatare lo spazio e di conferire verticalismo alla struttura. Il Tempio misura in pianta solo 10,02 metri di lunghezza e 6,24 metri di larghezza. Lo slancio prospettico che avvolgeva i fedeli con ostentata eleganza si evidenzia ancor oggi nelle decorazioni a stucchi della parete occidentale. Qui si apre il portale che dalla curtis regia longobarda di Cividale permetteva di accedere all’aula del Tempietto. Il vano di forma quadrata era onnesso a un presbiterio tripartito.
L’emiciclo che sormonta l’ingresso è ornato con stucchi traforati, i quali riproducono modelli vegetali e intrecci di vitigni con grappoli d’uva. Si tratta di un’opera di grande maestria, realizzata come citazione dell’antico in quanto rimanda alla tradizione scultorea romana e presenta tangenze con i fregi dell’Arco che l’imperatore Galerio volle a Salonicco nel 3104. Al contempo, tuttavia, si manifesta l’inventio delle forme, lo stile è classicistico solo in apparenza. I tralci si sviluppano lungo il peculiare motivo a doppia S rovesciata; i petali delle campanule abbracciavano ampolle di vetro dai colori vivaci. La sintassi figurativa tende al riempimento ordinato degli spazi, di materia quanto di significato, in accordo con il senso di horror vacui, vero tratto distintivo dell’arte alto-medioevale di matrice longobarda.
Le figure di sante
L’attitudine dei Longobardi a reinterpretare il bello antico, secondo un gusto a loro contemporaneo, si rivela ancora nella teoria di sante e martiri addossate alla parete occidentale. Una cornice marcapiano è impreziosita da un fregio con rosette che ospitavano perle vitree. Essa separa lo spazio inferiore del Tempietto, adibito alle funzioni liturgiche della chiesa pellegrina in terra, da quello superiore, simbolicamente celeste e metafisico. Qui si stagliano sei statue-colonne femminili in stucco lavorato ad altorilievo, alte quasi due metri. Le sculture sono equamente suddivise da una finestra con arco a tutto sesto. L’apertura è incorniciata da un’edicola con colonne corinzie e archivolto, la cui modanatura a gigli pare rivisitare il tema classico del kyma lesbio.

Le sante sono vestite alla maniera greca con himation e chitone. Talune indossano diademi e collane di perle, e rivelano la manifesta ispirazione ai modelli classici e bizantini, stante la postura ieratica e la posa delle gambe. Ciò nondimeno, anche qui si manifesta l’inventio longobarda nel senso volumetrico più accentuato e nel verticalismo monumentale dei panneggi.
In origine le sculture dovevano essere dodici ma le altre, collocate sulle pareti adiacenti a gruppi di tre, crollarono forse durante un terremoto nel 1222-12235. Le statue ci appaiono oggi di un bianco candido eppure erano provviste di una vivace colorazione, come rivelano le sparute tracce dei pigmenti residui6; si dovette perdere la policromia a causa del cedimento strutturale che espose gli stucchi agli agenti atmosferici. Solo venti anni dopo, a partire dal 1242, la badessa Gisla de Pertica riuscì ad eseguire i lavori per il ripristino del tetto e delle volte7.


Il presbiterio e la cantoria
Sulla parete opposta all’ingresso si sviluppa il presbiterio, struttura dalle forme caratteristiche che richiama i modelli architettonici cristiano-orientali con coro tripartito. Le navatelle, con volte a botte, sono delimitate da colonne di reimpiego in marmo proconnesio, sì da formare una sorta di piccola loggia provvista d’iconostasi. Anche gli architravi di connessione provengono da preesistenti costruzioni di età imperiale. I capitelli corinzi in pietra d’Istria furono invece scolpiti ex novo e adattati alle misure dei fusti. La scelta di utilizzare del materiale di spoglio oppure di imitare, ossia di realizzare un arredo di sana pianta, dipendeva soprattutto dai costi. Talvolta il solo trasporto di una colonna richiedeva dispendiosi sforzi economici.

Presso la volta dell’abside centrale è collocato, unico superstite dell’originale decorazione con pitture e mosaici, il pregevole affresco di un Cristo in mandorla. Il Pantocratore è affiancato da un’Adorazione dei Magi e da raffigurazioni di vari santi: Maria Maddalena, Giovanni Battista, Sant’Elisabetta, Sant’Antonio Abate e San Benedetto.
Nel XV secolo la badessa Margherita della Torre fece aggiungere una cantoria in legno per dare posto alle monache di Santa Maria in Valle. In tal modo, tra il 1371 e il 1402 furono innalzati gli stalli lignei e si provvedette a sopraelevare il pavimento.
Il Tempietto di Cividale, uno scrigno pieno di problemi
Non può esservi definizione più accurata, per esprimere le incertezze storico-artistiche sorte nei riguardi del Tempietto friulano, di quella utilizzata da Tavano, ossia di “uno scrigno pieno di problemi”8. Il coniugarsi della citazione e dell’inventio longobarda, innescata dalla rinascenza promossa sotto re Liutprando (730-740 circa), generò negli studiosi dei secoli scorsi non poche difficoltà interpretative.
A quale età appartiene il Tempio di Cividale? A Michele della Torre, fondatore del Museo archeologico cividalese, il reimpiego di alcuni elementi classici aveva fatto credere che fosse stato in origine un edificio di culto romano dedicato alla dea Vesta9. Per Cattaneo esso doveva collocarsi dopo l’anno mille10, mentre Rivoira distingueva il momento della costruzione, collocandolo all’VIII secolo, da quello della realizzazione degli stucchi, che sarebbe stato successivo di almeno tre secoli11. Carlo Cecchelli sostenne invece che l’edificio appartenesse in toto all’età carolingia, in particolare ai primi decenni del IX secolo, soprattutto sulla base degli elementi figurativi in esso contenuti12.
Un capolavoro longobardo
Tuttavia, solo grazie agli studi di Hjalmar Torp, Hans Peter L’Orange e Ejnar Dyggve, presso l’Università di Oslo, fu possibile intuire il confine sottile su cui si collocava quell’unicum stilistico tanto inafferrabile13. Sulla base di numerosi raffronti stilistici, il Tempio di Santa Maria in Valle veniva infine riconosciuto come un capolavoro d’arte e architettura tardo-longobarda, riferibile alla metà dell’VIII secolo. E proprio in quanto pienamente longobardo esso definiva una fase di mezzo, di transizione. Costituiva un punto di contatto mirabile tra il vecchio e il nuovo, tra l’antichità classica e le nascenti arti figurative dell’Alto Medioevo. In seguito alla caduta del Regnum Langobardorum del 774, infatti, saranno proprio le sopravvissute maestranze longobarde ad animare, nei decenni successivi, i cantieri italiani dell’età carolingia.

I committenti
Se è ormai appurato che il Tempio di Cividale si debba ascrivere a una volontà longobarda, allo stesso tempo ci si chiede chi fossero i suoi facoltosi committenti. La scritta dedicatoria a loro rivolta, che decorre lungo il presbiterio, è purtroppo giunta a noi incompleta e non è più possibile leggerne i nomi. Ma l’iscrizione, in esametri latini, mostra lettere sontuose e ben realizzate, dipinte di bianco su un fondo rosso porpora. Si tratta di uno stile in voga presso la corte imperiale di Costantinopoli e suggerisce che il Tempietto fu voluto da regnanti longobardi. Secondo Torp e gli altri studiosi norvegesi poteva trattarsi di Astolfo e Giseltrude, che furono re d’Italia tra il 749 e il 75614, ma soprattutto che erano originari proprio di Cividale.
I due monarchi avevano compreso che l’arte potesse essere uno strumento mirabile per suscitare rispetto nei sudditi, e così legittimare il potere. Per mezzo della pittura, della scultura e dell’architettura il re si poneva come erede dell’Impero Romano e dell’antichità classica, età d’oro magnifica e perduta che bisognava riscoprire e rinnovare. Così pure la conversione al cattolicesimo promossa da Teodolinda e ufficializzata da Ariperto I nel 652, la fondazione di numerosi monasteri e l’evergetismo permettevano di appianare i contrasti tra vinti e vincitori, le differenze religiose e culturali tra Longobardi e Romani.
Gli artefici del Tempietto di Cividale
Ecco che presso il Tempietto di Cividale lavorarono maestranze di differenti origini e culture. Non più nemici né lontani, ma parte di un mondo che aspirava a ripercorrere i fasti e i modi dell’antica Roma. Se nell’opera di artigiani locali si può riconoscere una certa originalità, tratto distintivo longobardo, l’impronta di maggior rilievo è di formazione bizantina. Forse a causa della persecuzione iconoclasta di Leone III l’Isaurico, si rifugiarono in Friuli alcuni artisti provenienti dall’Oriente. Di loro ci è giunto un solo nome, Paganus, con ogni probabilità il capomastro, che si firmò in prossimità di una delle finestre. Ancora, tra i differenti stili che caratterizzano il Tempietto, si riconosce nei volti in stucco delle sante e nelle decorazioni l’influenza della coeva scultura omayyade, suggerendo la presenza di maestranze siro-palestinesi nel cantiere di Cividale15.
Il re Longobardo come figura di Cristo e il significato simbolico del Tempietto
Molto è stato discusso sull’originarietà delle decorazioni a stucco e degli affreschi del Tempietto di Santa Maria in Valle, ma tale tesi sembra oggi essere universalmente accettata16. La cappella, in buona sostanza, fu concepita secondo un progetto unitario che comprendeva tanto le declinazioni architettoniche della struttura, quanto quelle figurative e simboliche delle pitture parietali. Gli affreschi furono realizzati secondo un preciso programma iconografico, oggi in parte gravemente compromesso, che rispecchiava il sentire e le aspirazioni dei suoi regi committenti.
Il ciclo iconografico degli affreschi del Tempietto di Cividale
La parete occidentale preserva ancora sulla lunetta del portale un consunto Cristo tra gli Arcangeli Michele e Gabriele. Il figlio di Dio è raffigurato come Pantocratore, benedicente attraverso la nota loquel digitorum di tradizione bizantina. Il volto di Cristo, imberbe, rimanda invece alle raffigurazioni del sacer vultus dell’imperatore romano Costantino.

Sullo stesso registro si sviluppa una fascia decorativa, che decorre lungo le pareti sino al presbiterio. Vi si riconoscono figure di santi, tra cui un vescovo e cinque martiri guerrieri. Di uno di essi è persino possibile riconoscere il nome, scritto a lettere ancora leggibili. È Sant’Adriano, soldato martire al quale era dedicato un santuario appena fuori la capitale longobarda Pavia. Astolfo e Giseltrude chiedevano ai martiri guerrieri di intercedere per le sorti del Regno, in quegli anni travolto da incerti tumulti bellici.
Lacerti di affreschi s’intravedono anche sulla parete settentrionale, con una vergine Hodighitria, che “mostra la via” in quanto indica con la mano il figlio che regge in braccio17. Ai suoi lati si stagliano ancora le figure degli Arcangeli Michele e Gabriele, entrambi con scettro e globo. Manca completamente, invece, l’affresco un tempo ornante la parete sud, che Torp ipotizza potesse essere un San Giovanni tra Elisabetta e Zaccaria18, giacché proprio al Battista era dedicata la cappella.
Cristo, vera luce
Se dunque l’architettura, gli affreschi e gli stucchi del Tempietto di Cividale furono realizzati in maniera contestuale, in accordo a un disegno iconografico preciso e minuzioso, qual era il significato simbolico che si voleva tramandare? Quale il messaggio che i longobardi Astolfo e Giseltrude desideravano trasmettere con la realizzazione di una cappella nella Gastaldaga regia?
È osservando la teoria di sante, presso le decorazioni a stucco della parete occidentale, che si può scovare la chiave di lettura iconologica dell’opera. Il corteo di statue, che reggono delle corone, si rivolge verso la finestra centrale. Da qui proviene, infatti, la luce che illumina il Tempietto, figura di Cristo “Lux Vera, Lux Hominum”, come recita il prologo del vangelo di Giovanni. La fonte luminosa, che dirada le tenebre, promana dall’ordine superiore del Tempio e investe l’antistante presbiterio, luogo dove si compie la liturgia.
“In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta”.
Vangelo di Giovanni 1, 1-5
Le sante, dunque, donano le corone del martirio a Cristo, che è luce in quanto logos, verbo incarnato. Si vuole così sottolineare nell’iconografia la doppia natura del figlio di Dio.
Il re longobardo, immagine della luce
Allo stesso tempo Cristo si manifesta in terra per mezzo di un rappresentante, che nella visione di Astolfo corrispondeva al regnante longobardo. Sul piano simbolico il Tempietto di Cividale rimandava dunque a quel processo di cristianizzazione del culto imperiale già elaborato a partire dai tempi di Costantino. Come visto, proprio all’effige di tale imperatore si ispirava la raffigurazione stilistica del Cristo presso la lunetta del portale. Non a caso, Eusebio di Cesarea vedeva in Costantino “l’immagine vivente del Logos, luce del Mondo”19, associazione simbolica rievocata nell’aspirazione longobarda di un dominio che fosse riconosciuto come espressione della volontà divina.
Ciò non poteva che collidere con il potere temporale del papa che, già da molti secoli, era per diritto Vicarius Christi. Ben presto la disputa si spostò finanche sul piano militare. Le mire di Astolfo riguardavano l’Italia intera, e quando il re longobardo accerchiò il Ducato Romano nel 751, Stefano II invocò l’aiuto di Pipino il Breve. Fu l’inizio del declino: gli eserciti franchi discesero più volte nella Penisola. Infine, al seguito di Carlo Magno, conquistarono Pavia nel 774, decretando la fine delle grandiose ambizioni dei re barbari.
Il Tempietto di Cividale del Friuli aveva così calcato un limen ideale dal quale l’epopea dei Longobardi in Italia aveva preso avvio storicamente, dove si era manifestata la volontà artistica del Regnum Langobardorum e infine, sul piano metafisico-simbolico, si rivelavano i presupposti della sua caduta.
Samuele Corrente Naso
Note
- L. Schiaparelli, I diplomi di Berengario I, Roma 1903. ↩︎
- P. De Vecchi e Elda Cerchiari, I Longobardi a Cividale, in L’arte nel tempo, vol. 1, tomo II, Milano, Bompiani, 1991. ↩︎
- B. M. de Rubeis, Monumenta Ecclesiae Aquileiensis, Argentinae 1740. ↩︎
- E. De Franceschi, Cividale e la rinascita liutprandea, in Arte in Friuli. Dalle origini all’età patriarcale a cura di P. Pastres, Società Filologica Friulana, 2009. ↩︎
- E. Percivaldi, Il Tempietto delle Meraviglie, in Medioevo, n. 217, febbraio 2015. ↩︎
- A. Cagnana, A. Zucchiatti, S. Roascio, P. Prati, A. D’Alessandra, Indagini archeometriche sui materiali da costruzione del “Tempietto” di Santa Maria in Valle di Cividale del Friuli in Archeologia dell’Architettura, VIII, 2003. ↩︎
- Ibidem nota 5. ↩︎
- S. Tavano, Il Tempietto longobardo di Cividale, Udine, 1990. ↩︎
- M. della Torre, Descrizione del tempio interno, o sia chiesetta esistente nel Monastero di Santa Maria in Valle, 1807. Appunti conservati presso I’Archivio di Stato di Udine. ↩︎
- R. Cattaneo, L’architettura in Italia dal secolo VI al mille circa, Venezia, 1888. ↩︎
- G. T. Rivoira, Le origini dell’architettura lombarda e delle sue principali derivazioni nei paesi d’oltr’alpe, I, Roma 1901. ↩︎
- C. Cecchelli, L’oratorio delle monache Iongobarde (tempietto longobardo), Memorie Storiche Forogiuliesi XVl, 1920; Arte barbardica cividalese, Memorie Storiche Forogiuliesi XVll, 1921. ↩︎
- H. Torp, Lo sfondo storico-iconografico dell’immagine di Cristo nel Tempietto Longobardo di Cividale, Acta ad Archaeologiam et Artium Historiam Pertinentia 28:73, 2018. ↩︎
- H.P. L’Orange, H. Torp, Il tempietto longobardo di Cividale, Roma 1977. ↩︎
- I. Vaj, Il Tempietto di Cividale e gli stucchi omayyadi, in Cividale Longobarda. Materiali per una rilettura archeologica a cura di S. Lusardi Siena, 2002. ↩︎
- Ibidem nota 13. ↩︎
- Vangelo di Giovanni 14, 5-6: “Io sono la via”. ↩︎
- H. Torp, Il problema della decorazione originaria del tempietto longobardo di Cividale del Friuli, Quaderni della Face, 1959. ↩︎
- Eusebio di Cesarea, Vita Constantini 1,6. ↩︎