Le colonne ofitiche, funzioni e simbologia

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Il sentir parlare di colonne potrebbe, a primo impatto, sembrare una noiosità. Cosa può mai esserci oltre la funzione strutturale di quest’elemento architettonico a sezione circolare? Certo, sovvengono alla mente i suoi impieghi artistici, specie in relazione all’eredità culturale vitruviana degli ordini classici1. Ma è più difficile immaginare, invece, la profondità dei significati simbolici che si possono celare dietro il concetto di colonna. Tali accezioni hanno acquisito nel corso del Medioevo sfaccettature complesse, divenendo interpreti e generatrici di mondi culturali in divenire. Si rimane folgorati, ad esempio, nel ritrovarsi innanzi a delle colonne ofitiche presso il pulpito di una chiesa, o un fusto tortile all’interno di un chiostro abbaziale. Si tratta di schemi compositivi fuori dall’ordinario, per noi oggi del tutto inattesi. Ma il loro significato, intriso di simbolica conoscenza, era ben noto agli uomini cristiani medioevali.

Colonne ofitiche e colonne tortili

In epoca romanica, l’impiego delle colonne ofitiche – la cui etimologia si fa derivare dal greco òphis, serpente – ebbe notevole diffusione, ma le origini di tale elemento architettonico annodato sono da ricercarsi in tempi più remoti. È necessario interrogarsi su quale sia il substrato culturale che generò l’idea di scolpire un nodo lungo il fusto. E soprattutto quale fosse la sua valenza simbolica e rappresentativa a quel tempo.

Le colonne ofitiche non erano un mero espediente decorativo: lo studio dei rinvenimenti ha messo in evidenza una specificità d’uso, che ben si correla con una funzione di tipo apotropaico. Esse si possono osservare soltanto in edifici di culto e, in particolare, lungo un limen sacro, sia esso un portale d’ingresso, una bifora perimetrale, un’iconostasi o lo spazio contemplativo del chiostro. Una prima deduzione è che le colonne annodate avessero, con ogni probabilità, la funzione simbolica di proteggere lo spazio dedicato al culto, di tenere lontani gli spiriti del male.

In effetti, la tradizione cristiana riconosce l’archetipo delle colonne nelle mitiche Jachin e Boaz del Tempio di Salomone a Gerusalemme, le quali delimitavano il vestibolo dell’edificio sacro per eccellenza2. A esse rimandavano differenti modelli stilistici dell’antichità e, soprattutto, le colonne tortili della pergula che sormontava la tomba di San Pietro nella perduta Basilica costantiniana a Roma. In tale manufatto vanno ricercate le basi della vivida tradizione di colonne tortili che si sviluppò dal Medioevo all’epoca Barocca.

Il significato cristologico delle colonne ofitiche

Ora, noi sappiamo dalle fonti bibliche che Cristo è egli stesso tempio, che avoca a sé il concetto di sacro, giacché:

Rispose loro Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Gli dissero allora i Giudei: “Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”. Ma egli parlava del tempio del suo corpo.

Vangelo di Giovanni 2, 19-21

E ancora, egli è colui che sconfigge il diavolo, che cioè incarna pienamente quella funzione apotropaica evocata presso il limen sacro. La colonna ofitica è dunque immagine di Cristo, è lui il vero nodo, che unisce la terra e il cielo attraverso la sua duplice natura, umana e divina.

Il nodo di Ercole

Ci si potrebbe interrogare sul perché venisse utilizzato a tal scopo proprio un nodo, e non qualche altro elemento figurativo. D’altronde il bestiario medioevale abbondava di simboli cristologici. È evidente che il nodo facesse già parte del substrato culturale da cui attingevano gli scultori dell’epoca, e che il suo significato fosse condiviso e sedimentato nella società dei secoli XI e XII. Numerosi studi sulla colonna ofitica ne hanno attribuito la diffusione ai maestri Comacini e ai Cistercensi. Ciò nondimeno, non a essi si deve ascrivere la sua paternità: si conoscono illustrazioni di colonne annodate sin dall’epoca bizantina3.

La particolare tipologia di nodo impiegata dalle maestranze romaniche, dunque, era ben nota sin dall’antichità. Raffigurazioni romane mostrano l’eroe Ercole che, al termine della sua prima fatica, si annodava intorno al collo la pelle del leone di Nemea. L’intreccio rappresentato, detto giustappunto erculeo, è esattamente quello impiegato in tutte le colonne ofitiche. In quanto nodo di Ercole, esso possedeva già una funzione apotropaica e veniva rappresentato nelle case e in battaglia per allontanare il pericolo e le forze del male. Appare chiaro, a questo punto, che tale credenza ebbe una continuità lungo i secoli e che essa fu revisionata in concomitanza con l’avvento del Cristianesimo, pur mantenendo intatta l’originale accezione apotropaica.

Samuele Corrente Naso

Note

  1. Marco Vitruvio Pollione, De Architectura, 15 a.C. circa. ↩︎
  2. I Re 7,15-22. ↩︎
  3. I. Kalavrezou-Maxeneir, The Byzantine Knotted Column, in Vryonis, S. jr (ed.), Byzantine Studies in Honor of Milton V. Anastos, Mal-
    ibu, Undena Publications, 1985. ↩︎

Autore

Samuele

Samuele è il fondatore di Indagini e Misteri, blog di antropologia, storia e arte. È laureato in biologia forense e lavora per il Ministero della Cultura. Per diletto studia cose insolite e vetuste, come incerti simbolismi o enigmatici riti apotropaici. Insegue il mistero attraverso l’avventura ma quello, inspiegabilmente, è sempre un passo più in là.

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