La Sacra di San Michele e il Portale dello Zodiaco

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Sulla sommità del Monte Pirchiriano, come un vetusto custode a guardia della vallata, sorge la meravigliosa Sacra di San Michele. È un luogo di fede antichissimo e mirabile, tale abbazia, che svetta a 962 metri di altitudine, e sembra quasi protendersi verso il cielo: la si può raggiungere solo attraverso un’irta salita. L’ascesa è un cammino metaforico di mistica spiritualità che conduce il viandante dalla bassa val di Susa sino alle porte del Paradiso.

Le origini del culto micaelico

La diffusione del culto di San Michele Arcangelo in Italia, e contestualmente nella val di Susa, si deve ai Longobardi. Quando, infatti, la regina Teodolinda (589-626) convinse la gens Langobardorum a convertirsi al cristianesimo, vi fu una graduale rivisitazione dei riti e degli dei appartenenti alla vecchia religiosità. Il popolo guerriero dei Longobardi adorava la divinità norrena Odino, protettore dei soldati e accompagnatore dei defunti nell’aldilà (psicopompo): fu naturale, pertanto, riconoscere questa figura in San Michele Arcangelo. D’altronde egli era colui che, con le schiere di angeli, vinse le forze del male scacciandole dal cielo [1]. Epicentro del culto fu il santuario di San Michele Arcangelo in Puglia, da dove si diffuse in tutta la penisola italica. La venerazione giunse in Piemonte per opera del re Grimoaldo (662-671) [2].

Il culto di San Michele doveva essere ben presente, quindi, anche in val di Susa, dove l’arcangelo era invocato come protettore delle fortezze poste a difesa delle chiuse del Moncenisio [3]. Sul Monte Pirchiriano, in epoca longobarda (VI secolo), vi era una rocca difensiva e, con ogni probabilità, una primitiva cappella dedicata al santo. Proprio in questo luogo sorgerà uno dei più importanti santuari micaelici d’Europa: la Sacra di San Michele. Essa rappresentava la prima tappa della via Francigena in Italia, lungo la variante che traversava il valico del Moncenisio (Via Sacra Langobardorum). L’abbazia era situata, inoltre, a circa metà del camminamento che da Mont-Saint-Michel, in Normandia, conduceva fino al santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano.

La linea sacra di San Michele

È interessante notare come queste tre mete siano disposte lungo un’ideale linea retta che congiunge, invero, sette luoghi di culto micaelico [4]: il monastero di Skelling Michael in Irlanda; Saint Micheal’s Mount in Cornovaglia; Mont Saint-Michel in Francia, la Sacra di San Michele in Val di Susa, il Santuario di San Michele sul Gargano; il monastero di Symi in Grecia e infine il Monastero del Monte Carmelo in Terra Santa. Secondo la tradizione cristiana il tracciato, detto “linea sacra di San Michele”, rappresenta il colpo di spada con cui l’Arcangelo ricacciò il diavolo negli inferi.

Certo, è probabile che la linea sacra dipenda dalla numerosità dei santuari dedicati in Europa all’Arcangelo, tale per cui vengono scelti solo quelli più allineati [5] – e altri ve ne sarebbero, come il Tempio di San Michele a Perugia – eppure la sua definizione appare notevole e suggestiva.

L’edificazione della Sacra di San Michele

I lavori per la costruzione della Sacra di San Michele sul Monte Pirchiriano incominciarono alla fine del X secolo. A tale periodo risale, infatti, l’eremitaggio sul vicino Monte Caprasio di Giovanni Vincenzo (998), che fece ampliare il primitivo sacello longobardo dedicato all’Arcangelo. A darne testimonianza è il monaco Guglielmo, che visse alla fine dell’XI secolo in questo cenobio [6], nella sua Chronica Coenobii Sancti Michelis de Clusa.

La leggenda della fondazione

Come gran parte dei santuari micaelici sparsi per l’Europa, anche alla Sacra è stata attribuita un’origine leggendaria. La tradizione del luogo narra che San Giovanni Vincenzo avesse ricevuto un’apparizione dell’Arcangelo Michele [7] e che volesse costruire una cappella sul Caprasio, poiché era questo il monte sul quale si era ritirato in preghiera. Tuttavia, non appena furono avviati i lavori per l’edificazione, cominciò a manifestarsi un fatto curiosissimo: i materiali da costruzione che il santo faceva raccogliere durante il giorno, la notte sparivano. Fu così che l’eremita decise di vegliare per risolvere il mistero e, con grande meraviglia, vide uno stuolo di angeli trasportare il materiale sulla vetta del Monte Pirchiriano. Secondo la leggenda, San Giovanni Vincenzo allora comprese che quello fosse il luogo gradito a Dio per l’edificazione della sua Casa.

L’opera di papa Silvestro II e Hugues de Montboissier

Il passaggio dal piccolo cenobio di San Giovanni Vincenzo all’imponente abbazia che oggi è possibile osservare fu dovuto al nobile Hugues de Montboissier, governatore di Aurec-sur-Loire nell’Auvergne. Pare che il francese fosse un gran spendaccione e per espiare questa peccaminosa attitudine si fosse recato in pellegrinaggio a Roma dal papa. Per una fortuita coincidenza anche il pontefice proveniva dall’Auvergne, il nome di Silvestro II era Gerberto di Aurillac, e forse i due personaggi si conoscevano già. Il papa propose a Hugues due alternative: scontare la penitenza con sette anni di esilio oppure costruire un’abbazia per il Signore. Giacché il nobile preferì la seconda opzione, Silvestro II gli affidò l’edificazione di un monastero sul Monte Pirchiriano.

La scelta del luogo non era affatto casuale; Gerberto di Aurillac era stato il successore di Giovanni Vincenzo alla cattedra arcivescovile di Ravenna dal 998, e doveva ben sapere che l’eremita stesse ivi realizzando una cappella dedicata all’Arcangelo Michele. Tra l’edificazione del cenobio di Giovanni Vincenzo e il successivo ampliamento dovettero trascorrere, pertanto, solo pochi mesi giacché Gerberto di Aurillac divenne papa nell’aprile del 999. È plausibile che già a partire dal medesimo anno Hugues de Montboissier finanziava l’aggiunta di un nuovo cenobio per i monaci e per accogliere i pellegrini che transitavano lungo la via Francigena.

I successivi ampliamenti della Sacra di San Michele

Il nobile affidò il monastero all’abate Adverto di Lezat della diocesi di Tolosa e solo in seguito ai benedettini. Da questo momento si sono succeduti i numerosi lavori di ampliamento e rifacimento che hanno contribuito alle sembianze architettoniche dell’odierna Sacra di San Michele. Negli anni a cavallo tra il XII e il XIII secolo ebbe inizio l’edificazione di una chiesa più ampia (1110-1255), su un vecchio progetto dell’architetto Guglielmo da Volpiano, e del cosiddetto “Monastero Nuovo” (1099-1390). Se della chiesa è ancora possibile ammirare interamente la commistione stilistica tra il romanico normanno e i successivi innesti gotici, dovuti a un corposo rifacimento del XIII secolo, poco rimane del monastero. Il complesso, infatti, che comprendeva in origine le celle, le cucine, una biblioteca, delle officine e un refettorio, andò in rovina a causa del passaggio delle truppe francesi nel 1629 e dell’assedio di Torino del 1706.

Il Monastero Nuovo è oggi articolato solo in una spoglia, ma affascinate, serie di ruderi incastonati nella montagna. Tra di essi spicca la Torre della Bell’Alda, così detta giacché, secondo una leggenda, da essa una fanciulla si gettò nel vuoto per sfuggire alla cattura di alcuni mercenari. Fu così che gli angeli, per pietà, l’afferrarono durante il volo e dolcemente la posarono al suolo. Ma la giovane, per la vanità di dimostrare ai suoi amici quanto fosse successo, si gettò nuovamente e perse la vita [8].

I lavori di Alfredo d’Andrade

Tra la fine del XIX secolo e l’inizio di quello successivo si resero necessari alcuni interventi di consolidamento della struttura. Ai lavori fu incaricato l’architetto Alfredo d’Andrade che realizzò gli imponenti archi rampanti neoromanici, che decorrono lungo il fianco meridionale dell’Abbazia. D’Andrade ebbe il merito di riuscire a garantire una maggiore stabilità architettonica, attraverso l’inserimento di elementi in armonia stilistica con il resto del complesso. D’altra parte, i suoi lavori hanno alterato il contesto originale di alcuni ambienti, e reso molto più complicata l’interpretazione stilistica dei manufatti in essi contenuti. Come vedremo in seguito, questa difficoltà coinvolge anche l’opera artistica più importante della Sacra: il Portale dello Zodiaco dello scultore Niccolò.

La Sacra di San Michele tra arte e simbologia

Duecentoquarantatré scalini conducono il pellegrino al culmine vertiginosamente santo, come fu definita la vetta del Monte Pirchiriano dal poeta rosminiano Clemente Rebora (XX secolo). La cima della montagna, infatti, è inglobata all’interno del complesso architettonico, dove costituisce il basamento di una delle colonne portanti della chiesa.

Il viandante è così chiamato a percorrere un cammino in ascesa, non senza fatica, che possiede un forte significato simbolico e spirituale. In quanto monte il Pirchiriano è innanzitutto centro sacro, un luogo d’elezione per l’incontro con Dio. Il percorso ascensionale è, in senso figurato, la conversione alla santità, che dalla materialità della terra conduce l’uomo sino alle porte del Paradiso. Esso è la Scala Santa della visione di Giacobbe [Genesi 28, 17]. Persino l’ammontare dei gradini potrebbe non essere casuale: la somma delle cifre restituisce il numero nove, nella simbologia associato a Dio e alla Trinità.

Terribilis est locus iste! Haec domus Dei est et porta coeli.

Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo.

Genesi 28, 17

L’ingresso alla Sacra

Dopo aver percorso un leggiadro sentiero boschivo, la Sacra si erge d’improvviso innanzi al pellegrino, ammantata di celeste e possente austerità. Ivi, si viene quasi pervasi da una sensazione di incontrollata vertigine alla vista dell’imponente facciata. Il prospetto, alto più di quaranta metri, è singolare nella sua disposizione stilistica; contiene il portale d’ingresso strombato, come ci si aspetterebbe, ma esso è sormontato dalla porzione absidale del complesso, in un peculiare rovesciamento architettonico. Un’elegante loggia semicircolare (“dei Viretti”) è adagiata sull’abside, come fosse una corona celeste.

Una statua di San Michele che sconfigge il diavolo, alta più di cinque metri e scolpita da Paul dë Doss-Moroder, libera idealmente dal male il pellegrino che si accinge a compiere l’ascesa.

Lo Scalone dei Morti

Attraversato il sobrio portale d’ingresso si accede a una ripida scalinata che decorre tra le pareti di vani altissimi, ricamati d’archi e di volte a crociera. Lo Scalone dei Morti accarezza con vertiginoso ardire i pilastri possenti, uno dei quali alto più di diciotto metri, e le rocce che qui riposano da tempi lontanissimi. Persino il nome è evocativo di un passaggio spirituale: dalla morte alla vita, dal peccato alla redenzione, dalla terra al cielo. L’ascesa è irta in quanto è difficile il cammino della conversione, da un momento all’altro si può ricadere indietro a causa della tentazione.

Dalla morte alla vita

Fino al 1936 nelle nicchie parietali, lungo i bordi dello scalone e persino assisi sui gradini, erano collocati gli scheletri dei monaci defunti e alcune tombe. Se ciò da una parte dà ragione del nome di scala dei morti, dall’altra ben esplica il significato simbolico dell’ascesa, vero passaggio attraverso la morte.

Questa scala è sostenuta da un enorme pilastro centrale: qua e là le rocce contro le quali l’edificio è costruito, appena fuori, e porzioni di sepolcri sono vagamente visibili. In cima c’è un grande arco, pieno di cadaveri essiccati. Fino a poco tempo fa, questi cadaveri erano collocati seduti sui gradini della scala; e quando si saliva alla chiesa, si doveva passare tra le orribili file di queste sentinelle.

John Murray, Murray’s Handbooks for Traveller, 1847

Lo Scalone dei Morti non assolveva soltanto a una funzione spirituale, ma la sua costruzione rientrava nell’ambizioso progetto di estensione architettonica della Sacra di San Michele, e fungeva da spazio d’accesso per la nuova chiesa che sarebbe stata costruita nel prospetto superiore dell’edificio sacro [9].

Il Portale dello Zodiaco

Una luce che abbaglia, mentre si sale avvolti dalla ricercata oscurità dello Scalone dei Morti, promana da un’apertura sulla cima. Qui un portale misterioso attende il pellegrino. Lungo i suoi stipiti sono scolpite le raffigurazioni dei segni zodiacali e delle costellazioni.

Il Portale dello Zodiaco è certamente l’opera più celebre e importante della Sacra di San Michele. I suoi rilievi sono stati realizzati dal maestro romanico Niccolò intorno al 1130 [10], durante l’epoca dell’abate Ermengardo, e da almeno altri due scultori. Attraverso raffronti stilistici è stato possibile identificare questi artisti nel cosiddetto Maestro di Rivalta e in Pietro di Lione, che aveva già lavorato presso la cattedrale di San Giusto a Susa [11]. Che il Portale dello Zodiaco sia opera di Niccolò abbiamo la certezza, in quanto egli incise il suo nome su uno stipite. Ciò attesta l’eccezionale qualità scultorea che si volle ottenere presso la Sacra di San Michele. La storia dell’arte ci rammenta che Niccolò fu uno dei più importanti maestri di epoca romanica, e i suoi lavori si possono rintracciare in alcuni rinomati cantieri dell’epoca a Piacenza, Verona e Ferrara.

Il Portale dello Zodiaco è un assemblaggio di differenti elementi

Affrontando lo studio del Portale dello Zodiaco non si può scindere l’aspetto artistico da quello simbolico. Ciò attiene alla stessa mentalità dell’epoca in cui fu realizzato, quando i saperi erano tra loro correlati in una concezione unitaria della realtà, e per la quale v’era una stretta relazione tra religione e astrologia, conoscenza e raffigurazione, macrocosmo e microcosmo. Per questa ragione sarebbe di fondamentale importanza esaminare l’opera nel suo originale e complessivo programma iconografico, e non solo nei singoli dettagli. Tuttavia, ciò non è possibile giacché il Portale che oggi osserviamo è, con ogni probabilità, il risultato di un assemblamento posticcio di differenti elementi. La suddetta costatazione si evince da marcate anomalie artistiche e architettoniche, come gli architravi rotti, le colonne lisce e tortili, i capitelli di diversa fattura.

La più evidente stranezza è che gli stipiti del portale, sui quali sono scolpiti i segni dello zodiaco e di altre costellazioni, si rinvengono nella sua porzione interna, vale a dire quella che volge verso lo Scalone dei Morti. Si tratta di una collocazione abbastanza singolare, poiché lo stile romanico ci ha abituato a raffigurazioni poste sul lato esterno dei portali per una moltitudine di ragioni simboliche e figurative. Si è portati a immaginare, pertanto, che i rilievi dello zodiaco debbano essere osservati in una logica di ascensione spirituale: si leggono dall’interno in quanto coronano la salita dello Scalone dei Morti, e segnano il passaggio tra l’oscurità e il cielo aperto delle costellazioni.

Alcuni dubbi in proposito

Questa interpretazione può essere solo parzialmente vera, al più fu propria di chi riassemblò il portale: prima degli interventi di consolidamento del d’Andrade è certo che esso immettesse in un ambiente chiuso. Di tale sala si è persa ogni traccia storica, e non è possibile determinare se fosse già presente quando furono apposti i rilievi dello zodiaco, proprio a causa dei lavori di rifacimento novecenteschi.

[…] due immagini fotografiche realizzate intorno al 1907 e riprese dallo scalone, ci mostrano oltre la porta un ampio vano quadrangolare voltato, con apertura assiale a quella dello Zodiaco e ad essa sorprendentemente simile per schema costruttivo se non anche decorativo.

Daniela Biancolini Fea, in La Sacra di San Michele. Storia. Arte. Restauri, a cura di G. Romano, Torino, 1990.

La possibile collocazione originaria

Tutto ciò, sebbene posto in un’ottica di totale incertezza storica, fa sorgere il legittimo dubbio che il Portale dello Zodiaco potesse essere, in origine, collocato da qualche altra parte. Il più rilevante intervento di rifacimento che interessò la Sacra di San Michele nel periodo Medioevale, dopo gli anni in cui vi lavorò Niccolò, fu quello di transizione dal romanico al gotico (XIII secolo). Gli scavi archeologici realizzati da Alfredo d’Andrade hanno portato al rinvenimento dei resti di un edificio preesistente, a tre navate e tre absidi. È attestato che nel 1255 la chiesa, ricostruita secondo i nuovi stilemi e mediante il rovesciamento del prospetto, fu solennemente consacrata.

Non è difficile ipotizzare che a questo periodo si deve lo smembramento del portale originario e la ricostituzione nella sua attuale sede. Si trattava forse del portale d’accesso alla chiesa, collocato nel punto più alto del percorso ascensionale, e ciò giustificherebbe il tema dello zodiaco e delle costellazioni. D’altronde doveva essere proprio quello il punto privilegiato per l’osservazione della volta celeste.

L’omogeneità stilistica e il dualismo cosmico

Non è chiaro nemmeno se il Portale dello Zodiaco vide il riassemblaggio di tutti gli elementi costitutivi del progetto originario. In ogni caso sussiste una chiara omogeneità stilistica che fa supporre una comune provenienza. Il Portale dello Zodiaco si compone di due lesene, che fungono da stipiti, e di sette colonnine con capitelli. Gli stipiti sono decorati esternamente a tema cosmologico con i simboli dei segni zodiacali (destro) e di altre costellazioni (sinistro). Sul versante interno, invece, mostrano raffigurazioni di tralci vegetali, bestiame e figure umane.

È interessante notare il marcato dualismo simbolico delle lesene. Lo stipite destro contiene i segni dello zodiaco inscritti in tralci circolari: il cerchio è infatti figura della sfera celeste. Ogni costellazione sull’altro stipite, al contrario, è avviluppata da un motivo vegetale che corrisponde a un quadrato. Era questo, nel Medioevo, il simbolo della materialità delle cose e della loro natura terrestre. In buona sostanza i due stipiti intendono rappresentare la concezione del tutto universale, in cui si inserisce l’opera salvifica di Cristo.

Le iscrizioni sugli stipiti

A tal proposito, leggendo le iscrizioni che Niccolò ha inciso sul Portale dello Zodiaco è possibile cogliere qualche indizio. Presso lo stipite destro è riportato:

  • Vos qui transitis sursum vel forte reditis, vos legite versus quos descripsit Nicholaus (Voi che salite, o per caso ridiscendete, leggete i versi che scrisse Niccolò).

Mentre, sullo stipite delle altre costellazioni Niccolò ha inciso le seguenti parole:

  • Hoc opus intendat quisquis bonus [exit et intrat]. (Volga la sua attenzione a questa opera chiunque, capace, esca ed entri). La scritta, qui incompleta, si trova identica presso la cattedrale di Piacenza, dove lavorò Niccolò, e sulla base di quella è stata completata.
  • Flores cum beluis comixtos cernitis (Separate i fiori dalle bestie). È da intendersi con ogni probabilità come un’esortazione a separare i peccati dalle virtù cristiane.
  • Hoc opus hortatur saepius ut aspiciatur (Quest’opera spinge a osservarla ripetutamente).

Gli stipiti del portale

Lo stipite destro racchiude i clipei con le raffigurazioni di dodici segni zodiacali e, a fianco, l’indicazione del nome in latino: Chapricorn[u]s; Sagitarius; Scorpius; Libra; Virgo; Leo; Cancer; Gemini; Taurus; Pisces; Aquarius. Bisogna specificare che anticamente lo Scorpione e la Bilancia appartenevano alla stessa costellazione, e quindi sono qui raffigurati insieme.

I rilievi dello stipite sinistro sono scolpiti con i segni di diciannove costellazioni [12] – sei dell’emisfero boreale e tredici di quello australe – alcune raggruppate nello stesso riquadro, e anch’esse affiancate dall’indicazione del nome in latino: Hydra; Ara; Nothius; Cetus; Centaurus; Eridanus; Pistrix; Anticanis; Canis; Lepus; Orion; Deltoton; Pegasus; Delfinus; A[quila]. Non tutti i nomi delle costellazioni sono presenti, bisogna aggiungere al computo la Freccia, il Corvo e il Cratere, e il rilievo più in alto è andato purtroppo perduto.

Una ricerca storiografica

La mancanza di tale costellazione non è di poco conto, e a lungo gli studiosi hanno cercato di comprenderne l’identità. D’altro canto, la corretta identificazione di tutti i segni, zodiacali e non, è funzionale alla decifrazione simbolica e artistica dell’intero Portale dello Zodiaco. Il sospetto, confermato poi dalle ricerche storiografiche, è che Niccolò avesse attinto da un manuale antico di astrologia per la realizzazione iconografica dell’opera. Si trattava di una pratica comune nel Medioevo, ed è probabile che l’artista avesse copiato le costellazioni da un volume presente all’epoca nella biblioteca dell’Abbazia.

Per molto tempo si è creduto che siffatto manuale comprendesse i Phaenomena di Arato [13], ma più recentemente la fonte di ispirazione di Niccolò è stata rintracciata nel De Astronomia di Igino [12]. Di esso se ne conoscono differenti copie e versioni, ma una di queste, l’Opusculum de ratione spere del XI secolo, contenuto nel manoscritto Digby 83 presso la Bodleian Library di Oxford, appare estremamente plausibile. Il compendio di Oxford contiene nell’esatto ordine tutte le costellazioni indicate da Niccolò; inoltre, rivela che il rilievo perduto raffigurasse il segno dell’Auriga.

I motivi simbolici dei capitelli

Lungo i lati interni del Portale dello Zodiaco sono disposte sette colonne in pietra bianca, quattro a destra e tre a sinistra, poggianti su un basamento dello stesso materiale dello Scalone dei Morti. Esse appartenevano con ogni probabilità a un unico programma figurativo poiché la loro altezza (233 cm) e quella dei capitelli (34 cm) è la medesima. Le sculture, tuttavia, non furono eseguite tutte dallo stesso autore, ma solo alcune sono di fattura qualitativa superiore. Un capitello che mostra due litiganti, ad esempio, potrebbe essere stato realizzato da Niccolò – la scritta Hic locus est pacis causas deponite l[itis] invita a mettere da parte i rancori prima di entrare in chiesa [12] – mentre gli altri dai suoi collaboratori.

Al Maestro di Rivalta viene attribuito il capitello con le sirene bicaudate, ammonizione contro i peccati della carne e forse retaggio degli antichi culti pagani per la fertilità, e il capitello con Sansone e Dalila [10]. Su un’altra colonna sono raffigurate alcune donne che allattano dei serpenti, i quali con ingratitudine mordono loro le caviglie: si tratta di un’altra immagine della lussuria [14].

L’interpretazione del ciclo figurativo

È stato peraltro suggerito che l’intero ciclo decorativo potesse rappresentare le storie di Sansone [9], in base alla ricorrenza dell’elemento simbolico del leone, e di altre scene bibliche, come l’assassinio di Abele. La presenza di queste figure veterotestamentarie è da intendersi come prefigurazione alla venuta del Cristo: Abele anticipa il tema della morte del giusto; Sansone che uccide i Filistei, invece, il sacrificio volto alla salvezza di tutti. I peccati, le cui raffigurazioni sono addossate allo stipite sinistro, come ci si aspetterebbe in quanto proprie della dimensione della carne, sono allontanati dall’opera salvifica di Cristo. Essa ha valore cosmologico: tutto l’Universo è redento, ciò che è sulla Terra e ciò che appartiene alle sfere celesti.

La chiesa nuova e il culmine vertiginosamente santo

Superato il Portale dello Zodiaco si percorre una breve scalinata esterna, traversando gli archi rampanti del d’Andrade, e si giunge alla cosiddetta “chiesa nuova”. Vi si accede attraverso un portale strombato con colonnine e capitelli scolpiti.

Di particolare interesse è l’effige di un monaco con berretto frigio, forse simbolo della congregazione di scalpellini che realizzò la Sacra. Appena sopra il portale, sulla sinistra, è collocata una lastra tombale romana utilizzata come materiale di reimpiego; la presenza di simboli cristiani è dovuta ad un’aggiunta successiva di epoca longobarda.

Gli interni della chiesa comprendono il Coro Vecchio, retaggio della precedente fase costruttiva, e di un impianto a tre navate senza transetto. L’originale copertura crollò nel XVI secolo e fu rimpiazzata da una volta a botte così pesante da minare la stabilità dell’edificio; si rese necessaria, pertanto, la realizzazione dell’attuale volta a crociera, i cui lavori terminarono nel 1937.

La successione dei pilastri a colonna e dei pilastri a fascio presso le ultime due campate, nonché la presenza contemporanea di archi a tutto sesto e a sesto acuto, dimostra la graduale transizione dal romanico al gotico che avvenne nel corso del XIII secolo. È qui che alla base del primo pilastro sulla sinistra è collocato il culmine vertiginosamente santo del Monte Pirchiriano.

Da un portale laterale della chiesa, detto “dei Monaci”, infine, è possibile accedere a una terrazza che consente la vista della sottostante vallata. In questo luogo sospeso Niccolò, in una notte di un buio mai più così profondo, posò lo sguardo sul rifulgere delle costellazioni celesti, e intravide Dio.

Samuele Corrente Naso e Daniela Campus

Note

[1] Apocalisse di San Giovanni, 12, 7-8.

[2] J. Jarnut, Storia dei Longobardi, Torino, Einaudi, 2002.

[3] P.De Vecchi, Elda Cerchiari, I Longobardi in Italia, in L’arte nel tempo, Vol. 1, tomo II, Milano, Bompiani, 1991.

[4] Kether, La linea del Drago tracciata da San Michele Arcangelo, in L’Archetipo, n. 3, marzo 2018.

[5] St. Michael Alignment is England’s Most Famous Ley Line. But is it Real?, su Big Think, 16 agosto 2011.

[6] I. Aulisa, La Chronica monasterii sancti Michaelis Clusini a confronto con altre tradizioni micaeliche, in “Vetera Christianorum” 33, 1996/1.

[7] Chronica monasterii Sancti Michaelis Clusini.

[8] R. Bordone, La leggenda della bell’Alda, La Sacra di San Michele simbolo del Piemonte europeo, Torino, EDA, 1996.

[9] C. Tosco, Nuove ricerche sul Portale dello Zodiaco alla Sacra di San Michele, in “La trama nascosta della Cattedrale di Piacenza, Atti del seminario di studi”, a cura di T. Fermi, Piacenza, 25 ottobre 2013.

[10] E. Pagella, I cantieri degli scultori, in La Sacra di San Michele. Storia. Arte. Restauri, a cura di G. Romano, Torino, 1990.

[11] G. Romano, I cantieri della scultura, in Piemonte romanico, a cura di Idem, Torino, 1994.

[12] S. Lo Martire, Testo e immagine nella Porta dello Zodiaco, in “Dal Piemonte all’Europa: esperienze monastiche nella società medioevale. Relazioni e comunicazioni presentate al XXXIV Congresso storico subalpino nel millenario di S. Michele della Chiusa”, Torino, 27-29 maggio 1985.

[13] C. Verzar, Die romanischen Skulpturen der Abtei Sagra di San Michele: Studien zu Meister Nicholaus und zur “Scuola di Piacenza“, Basler Studien zur Kunstgeschichte, 10, 1968.

[14] J. Leclercq-Marx, La sirène dans la pensée et dans l’art de l’Antiquité et du Moyen Âge: du mythe païen au symbole chrétien, Bruxelles, 1997.

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