Nora, luogo di incontro tra civiltà antiche del Mediterraneo

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Venti d’oriente, gentili come la brezza del mattino o con l’impeto d’un mare in tempesta, e vele e barche da Tiro e Sidone verso terre lontane. Verso porti di civiltà misteriose sospese tra il mito e l’orizzonte. Così Nora, che lo storico Pausania ricorda come la città più antica della Sardegna, fondata dall’eroe eponimo Norace1. I mercanti fenici, sin dagli albori dell’Età del ferro, avevano orientato la prua in direzione degli angoli più remoti del Mediterraneo. Dagli empori marittimi della terra di Canaan originavano ricche rotte commerciali dirette a Cipro e alle sue miniere di rame, al Delta del Nilo, all’Africa settentrionale e nondimeno all’Occidente. Le navi levantine mettevano in collegamento il Medio Oriente con l’Iberia, fungendo da vettori culturali e politici.

I Fenici ripercorrevano le vie marittime dei Micenei e delle grandi potenze egemoniche che, al declinare dell’Età del bronzo, erano state travolte dalla crisi. Da quel momento di collasso politico e culturale, cui avevano contribuito non a caso gli Sherdana e gli altri popoli predoni del mare, si erano generate nuove dinamiche, nuovi attori adesso cavalcavano i flussi del Mediterraneo. Oggi sappiamo che le civiltà dell’Età del bronzo e del ferro non erano racchiuse in compartimenti stagni ma interagivano tra loro in maniera proficua, si influenzavano a vicenda, talvolta adottavano modelli condivisi. In questo quadro d’incontri e di scambi la Sardegna fungeva da strategico crocevia e Nora, situata sul promontorio della stretta penisola che delimita a ovest il golfo di Cagliari, possedeva un ruolo di prim’ordine.

La città di Nora e l’arrivo dei Fenici in Sardegna

Gli Iberi, dopo Aristeo, si trasferirono in Sardegna sotto la guida di Norace e da essi fu fondata la città di Nora, e tramandano che questa fosse la prima città dell’isola. Si dice che Norace fosse figlio di Ermes e di Eritheia figlia di Gerione.»

Pausania, Periegesi della Grecia, X, 17,5

Nonostante i racconti di Pausania e quelli successivi di Solino, che afferma la provenienza di Norace dalla mitica città iberica di Tartesso2, le rimanenze archeologiche di Nora raccontano un’altra realtà. Le prime evidenze, invero sparute e riferibili a materiale fittile, sono datate tra la fine del IX e la metà dell’VIII secolo a.C., e soprattutto attestano una frequentazione fenicia dell’area3. Ciò pone un problema interpretativo delle fonti antiche. Si potrebbe infatti dedurre che i fondatori descritti da Solino fossero in realtà i Fenici di ritorno dai commerci in Iberia. In effetti, la mancanza di strutture abitative, fatta eccezione per poche buche di palo relative a costruzioni in materiali deperibili, fa pensare che Nora sorse in principio solo come emporio marittimo. Si tratta di un quadro coerente con quanto rilevato in altre località fenicie della Sardegna, tra cui citiamo Karalis, Sant’Imbenia, Sulky e Tharros.

Nuragici e Fenici, un incontro tra civiltà

Notevole interesse suscita il nome dell’ecista eponimo Norace, figlio del dio Ermes e di Eriteide. Non sfugge infatti una derivazione dalla medesima radice linguistica nur, forse preindoeuropea, da cui il termine nuraghe4. Doveva pertanto esservi già una qualche connessione tra i colonizzatori e gli abitanti locali. D’altronde, la civiltà nuragica era in quel momento all’apogeo della sua storia e partecipava attivamente ai ferventi commerci nel Mediterraneo. Nei porti sardi giungevano merci preziose come i lingotti oxhide da Cipro, monili dal mondo levantino e manufatti della metallurgia iberica. Anche grazie alle sollecitazioni dall’esterno molte cose erano cambiate. Quando i Fenici giunsero in Sardegna i nuraghi già non si costruivano più e sull’Isola iniziavano a germogliare culti rinnovati. Nella società nuragica si andava affermando un’aristocrazia desiderosa di pregiati beni d’importazione.

L’esempio di Sant’Imbenia

La colonizzazione fenicia delle aree costiere della Sardegna, e Nora non fa eccezione, fu pertanto un fenomeno del tutto pacifico e indirizzato verso un reciproco interesse. Di ciò abbiamo un valido esempio a Sant’Imbenia-Alghero dove, negli stessi anni, si sviluppò un importante approdo marittimo, punto di contatto tra i mercanti levantini e le comunità indigene stanziate nell’area. Qui si trasferì un nucleo di genti fenicie per la gestione amministrativa e materiale dell’emporio, convivendo con i Nuragici e importando ricchezza in tutta la regione della Nurra. I commercianti potevano avere accesso alle merci locali, come i raffinati bronzetti della metallurgia e i prodotti agricoli.

In particolare è documentata a Sant’Imbenia la produzione di anfore ovoidali e brocche askoidi, destinate ad accogliere il vino, con tecniche e tipologia levantine5. Questi contenitori sono stati rintracciati a Cartagine come a Huelva, Cadice, Mozia e Creta, segno che i prodotti della Sardegna erano richiesti e diffusi in vari luoghi del Mediterraneo. La presenza di genti fenicie si deduce ancora da una certa produzione metallurgica che, discostandosi dalle tradizionali iconografie dei bronzetti figurati, riproduce soggetti di tradizione orientale. È il segno di una vivace commistione culturale se non di vere e proprie collaborazioni a livello di bottega. Le interazioni tra Nuragici e Fenici definiscono finanche nuovi spazi sociali: a Sant’Imbenia il modello di villaggio “chiuso”, in auge in Sardegna nell’età del Ferro, è superato in favore di un’articolazione urbana con una piazza pubblica e vani specializzati per il commercio6.

La stele di Nora

All’originario emporio fenicio era forse associata un’area sacra, la cui presenza è stata desunta dall’unico vero manufatto documentale della città che ci è giunto di quei secoli. La stele di Nora7, custodita al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, è un blocco d’arenaria recante un’iscrizione in caratteri dell’alfabeto fenicio. Si tratta dunque, almeno in potenza, di una fonte di primaria importanza per ricostruire la storia dell’insediamento e di tutta la Sardegna.

Ma l’epigrafe, composta da poco più di quaranta lettere, rappresenta un tremendo rompicapo. Basti pensare che ad oggi non esiste una traduzione condivisa tra gli studiosi. La metà circa delle lettere che compongono l’iscrizione non sono di facile lettura. Inoltre mancano i segni di interpunzione tra le parole, fattore che dà vita a una molteplicità di interpretazioni differenti. Il professor G. Hintz di Cagliari rinvenne la stele di Nora nel 1773 in un muretto a secco eretto vicino la chiesa di San Raimondo8, ragion per cui nemmeno il contesto archeologico può essere d’aiuto. Pertanto, se l’origine fenicia del reperto è indiscussa – su base paleografica gli studiosi hanno proposta una datazione tra la fine del IX secolo e l’VIII a.C.9 – lo stesso non si può dire per il suo contenuto.

In questa sede non è utile affrontare il dibattito storiografico che concerne le numerose traduzioni proposte; ci limiteremo a fornire solo qualche suggestione da accogliere cum grano salis.

L’iscrizione fenicia

Delle otto righe che compongono l’iscrizione la prima è quella meglio leggibile: btršš potrebbe indicare un luogo (b tršš), forse Tarshish-Tartesso10, ossia la patria da cui gli storici antichi fanno discendere i fondatori di Nora, oppure Tharros in Sardegna. Ma potrebbe trattarsi anche del riferimento al “tempio del promontorio di…” o al “tempio principale” (bt rš š)11.

La seconda riga per alcuni autori contiene il nome proprio Nogar/Naggâr12 “che si trova…” oppure “che è…” (ngr š h’). Di seguito l’epigrafe riporta le lettere šrdn š precedute dal complemento di luogo b, e quasi all’unanimità si riconosce in questa sequenza la più antica menzione del nome della Sardegna. Pertanto, Nogar/Naggâr, in Sardegna, potrebbe essere il nome del promontorio in cui era collocato un tempio sacro13. Ciò nondimeno non mancano gli studiosi che ricollegano questo nome a quello dell’eroe eponimo Norace, il quale da Tartesso sarebbe giunto in Sardegna come vuole il mito14.

Le righe successive dell’iscrizione indirizzano le interpretazioni della stele su binari anche molto differenti. Si possono riconoscere due principali scuole di pensiero. La prima afferma che il reperto di Nora contenga la commemorazione di una spedizione militare:

btrššwgrš h’bšrdn šlm h’ šlm sb’ mlktn bnšbn ngdlpmy

“Da Tarshish – egli venne condotto – in Sardegna – trovò rifugio – le sue truppe trovarono rifugio – Milkûtôn figlio di – Šûbôn il comandante – A Pmy”.

B. Peckham, The Nora Inscription, in Orientalia, volume 41, n. 4, 1972.

Per un altro gruppo di studiosi essa è invece la dedicazione di un tempio a una divinità15, forse la cipriota Pummay/Pigmalione.

bt rš š – ngr š h’ – bšrdn š – lm h’ šl – m sb’ m – lkt bdrtš bn ngrlpmy

“Tempio principale che – Naggâr che è – della sardegna ha – completato. Lui completò – la serie di lavori – nel santuario – edificato da Naggâr – a Pummay”.

A. van den Branden, L’inscription phénicienne de Nora, in Al Machriq, vol. 56, 1962.

L’insediamento punico di Nora

Alla fine del VI secolo a.C. la città fenicia di Cartagine aveva raggiunto ormai quell’egemonia politica e militare che gli consentì di sottomettere le altre colonie del Mediterraneo occidentale16. Tale fu anche il destino di Nora, mentre le parti interne della Sardegna rimasero sotto il controllo dei Nuragici. L’insediamento iniziò pertanto ad avere maggiore consistenza, il tessuto urbano si espanse verso ovest, dove si collocava l’insenatura portuale, e comparirono le prime abitazioni in materiali non deperibili.

Il passaggio tra l’età fenicia e quella punica è evidente nel cambiamento delle modalità di sepoltura presso la necropoli cittadina, collocata fuori dal centro abitato17. Le più antiche tombe a cista litica, espressione del rituale fenicio dell’incinerazione, andarono in disuso in favore di grandi camere ipogeiche a pozzo per inumare i defunti.

Nora venne poi monumentalizzata attraverso l’erezione di aree santuariali sulle principali alture. Alle pendici del rilievo del Coltellazzo v’era un tempio con terrazza, e altre costruzioni erano apposte sul promontorio di Sa punta ’e su Coloru e sul “colle di Tanit”. Quest’ultimo è così chiamato per via del ritrovamento di una pietra piramidale che gli archeologi hanno interpretato come l’immagine aniconica della dea18. Presso la propaggine di Sa punta ’e su Coloru sorgeva invece un importante santuario dedicato al dio della salute Esculapio. Non è un caso che il nome del promontorio, “la punta del serpente”, richiami proprio l’animale simbolico di tale divinità. Del tempio punico di Esculapio sopravvivono pochi resti murari in arenite e un bell’architrave decorato con urei e disco solare, proveniente da un’edicola sacra, oggi al Museo archeologico di Cagliari.

Il tofet

A monte della città sorgeva invece il tofet, i cui resti furono rivelati da una mareggiata alla fine del XIX secolo. Entro un’area recintata a cielo aperto, deposte nella sabbia, gli archeologi rinvennero numerose urne con ossa combuste di bambini. Le spoglie degli infanti erano talvolta accompagnate da stele votive e non di rado mescolate con resti di piccoli animali sacrificali.

Sull’effettiva funzione del tofet si è molto discusso. In passato era ferma la convinzione che i Cartaginesi usassero officiare dei sacrifici umani a una presunta divinità chiamata Moloch, questo sulla base di un’errata interpretazione sia delle fonti storiche che delle iscrizioni sulle stele votive. L’equivoco nasce dalla lettura di Diodoro Siculo19, il quale narrò gli eventi dell’assedio di Cartagine da parte del tiranno siracusano Agatocle nel 310 a.C. Con fantasia narrativa, lo storico raccontava che gli abitanti della città avessero sacrificato trecento bambini a una colossale statua di Cronos-Baal Hammon, così credendo di poter giungere alla vittoria. Diodoro visse due secoli e mezzo dopo tali fatti, quando Cartagine non esisteva più: non possiamo sapere quanto di vero vi sia nel suo resoconto.

L’offerta alla divinità

Lo storico peraltro non fece menzione di un’area sacra denominata tofet, né della divinità Moloch. Entrambi i termini compaiono tra loro abbinati solo nei testi biblici:

“Giosia profanò il Tofet, che si trovava nella valle di Ben-Hinnòn, perché nessuno vi facesse passare ancora il proprio figlio o la propria figlia per il fuoco in onore di Moloch”.

Secondo Libro dei Re 23, 10

Anche in questo caso bisogna fare alcune precisazioni. Sulla base del testo sacro il nome tofet viene usato per indicare l’area dedicata alla sepoltura degli infanti, ma non è noto cosa intendesse davvero l’autore. È stato ipotizzato ad esempio che Tofet possa essere il toponimo di una città “nella valle di Ben-Hinnòn”. Il termine moloch (mlk) appare invece anche in alcune stele rinvenute a Cartagine, in cui si affermava che il bambino era “offerto (mlk) a Baal”. Moloch non era dunque una divinità assetata del sangue degli innocenti, ma significava semplicemente “offerta”20.

Qual era pertanto la funzione del tofet, a Nora come negli altri insediamenti punici? Lo studio dei resti ossei ha rivelato che appartenevano quasi sempre a feti o a bambini morti subito dopo la nascita. È stato ipotizzato che il tofet potesse essere un’area santuariale, dedicata a Baal Hammon e Tanit, adibita a necropoli infantile. Ivi i bambini deceduti per cause naturali venivano combusti e seppelliti attraverso un particolare rito funerario. La cerimonia poteva anche prevedere un sacrificio votivo, ma soltanto di animali. Le famiglie chiedevano alla divinità di rigenerare la vita che si era spezzata prematuramente; quando ciò avveniva, ossia nasceva un altro figlio ad allietare il dolore subito, esse facevano collocare nel tofet una stele di ringraziamento. Gli infanti venivano sepolti in una necropoli separata da quella degli adulti perché non erano ancora parte della comunità, non avevano potuto presenziare al rito di passaggio preposto21.

Le vestigia romane

Le rovine di Nora mostrano oggi soprattutto le loro vesti di età romana. All’indomani della prima guerra punica, infatti, la città entrò nell’orbita di Roma, divenendo parte della nuova provincia di Sardinia et Corsica istituita nel 227 a.C. Il tessuto urbano iniziò a cambiare sensibilmente nella seconda metà del primo secolo con l’acquisizione dello status di municipium22. A questo periodo si deve la costruzione del foro quadrangolare, in origine fiancheggiato da portici e abbellito con statue onorarie. Sulla piazza forense si affacciavano i più importanti edifici dell’amministrazione politica e della vita sociale, come la curia e la basilica civile. Sul promontorio di Sa punta ’e su Coloru la continuazione del culto di Esculapio proseguì anche in età romana. La frequentazione del preesistente santuario punico è attestata dal ritrovamento di differenti statue di offerenti e di dormienti, uno dei quali avvolto da un serpente.

Le strutture pubbliche della città imperiale

A partire dall’età augustea a Nora vennero innalzati importanti edifici pubblici, tra i quali un teatro, un anfiteatro e differenti complessi termali. Il santuario di Sa punta ’e su Coloru vide una nuova fase di monumentalizzazione con l’ampliamento delle strutture puniche. Il tempio imperiale fu concepito con una corta scalinata d’accesso e un pronao.

Anche alle pendici del colle “di Tanit” i romani eressero un edificio di culto, intorno al 230 d.C., all’interno di un temenos recintato. Il tempio è oggi una delle strutture meglio conservate dell’area archeologica di Nora, tanto che se ne possono intuire le originali fattezze. Da una breve gradinata frontale si accedeva al pronao esastilo e quindi alla cella quadrangolare, pavimentata con un tappeto musivo e adornata all’esterno da semicolonne. La statua della divinità, ancora sconosciuta, era custodita in un vano posteriore più stretto che rappresentava il sancta sanctorum del tempio. L’edificio di culto si affacciava su una corte mosaicata, alla quale si accedeva percorrendo una strada con portico che connetteva il foro al teatro.

Gli edifici residenziali

A Nora non mancano brillanti esempi dell’edilizia residenziale di età imperiale. Tra le numerose abitazioni che ancor oggi si possono osservare, spesso con magnifici mosaici, si cita la Casa dell’atrio tetrastilo. Collocata nella porzione meridionale della città, la residenza possedeva in età antica un portico con colonne antistante l’ingresso.

Parte del colonnato è ancora visibile in quanto adagiato al suolo presso la sua originale posizione. Gli archeologi hanno reimpiegato quattro fusti per riprodurre l’aspetto della corte scoperta di tale residenza, ricreando uno scenografico effetto sul mare. Al centro di questo “atrio” tetrastilo, circondato da portici su tutti i lati, v’era una vasca centrale adibita alla raccolta dell’acqua piovana.

La casa possedeva numerose stanze disposte su due livelli, talvolta splendidamente mosaicate: alcune avevano destinazione d’uso privata mentre altre fungevano da vani di rappresentanza oppure ospitavano locali di servizio e botteghe.

Samuele Corrente Naso

Mappa dei luoghi

Note

  1. Pausania, Periegesi della Grecia, X, 17,5. ↩︎
  2. Solino, De Mirabilibus Mundi, IV. ↩︎
  3. M. Guirguis, Le forme della presenza fenicia in età arcaica (VIII-VI sec. a.C.). Nel volume: M. Guirguis, La Sardegna Fenicia e Punica. Storia e materiali, Corpora delle antichità della Sardegna, Carlo Delfino editore & C., 2017. ↩︎
  4. G. Lilliu, I Nuraghi. Torri preistoriche della Sardegna, Ilisso, 2005. ↩︎
  5. P. Bernardini, Tra i Nuragici e i Fenici. Incontri di culture nei primi secoli dell’età del Ferro. Nel volume: A. Moravetti, P. Melis, L. Foddai, E. Alba, La Sardegna Nuragica. Storia e materiali, Corpora delle antichità della Sardegna, Carlo Delfino editore & C., 2014. ↩︎
  6. R. Zucca, Rapporti di interazione tra Fenici e Nuragici. Nel volume: M. Guirguis, La Sardegna Fenicia e Punica. Storia e materiali, Corpora delle antichità della Sardegna, Carlo Delfino editore & C., 2017. ↩︎
  7. CIS I 144, KAI 46. ↩︎
  8. R. Casti, La stele di Nora. Scavo di un testo archeologico, Edizioni della Torre, 2019. ↩︎
  9. P. Bernardini, La Sardegna e i Fenici. Appunti sulla colonizzazione, in Rivista di Studi Fenici, vol. 21, Istituto di Studi sul Mediterraneo Antico, 1993. ↩︎
  10. R. Miles, Carthago Delenda Est, Mondadori, Milano, 2012. ↩︎
  11. A. Del Castillo, Tarsis en la Estela de Nora: ¿un topónimo de Occidente?, in Sefarad, vol. 63, 2003. ↩︎
  12. A. van den Branden, L’inscription phénicienne de Nora, in Al Machriq, vol. 56, 1962. ↩︎
  13. A. Dupont-Sommer, Nouvelle lecture d’une inscription phénicienne archaique de Nora, en Sardaigne (CIS I 144′), in Comptes rendus des séances de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, vol. 92, n. 1, 1948. ↩︎
  14. Ibidem nota 8. ↩︎
  15. M. Botto, Urbanistica e topografia delle città fenicie di Sardegna. Il caso di Nora, in José Luis López Castro (a cura di), Las ciudades fenicio-punicas en el Mediterráneo Occidental, Almería, Editorial Universidad de Almería, 2007. ↩︎
  16. Polibio, Storie, III, 22. ↩︎
  17. P. Bartoloni, C. Tronchetti, La necropoli di Nora, Roma, 1981. ↩︎
  18. S. F. Bondì, Nora. Nel volume: M. Guirguis, La Sardegna Fenicia e Punica. Storia e materiali, Corpora delle antichità della Sardegna, Carlo Delfino editore & C., 2017. ↩︎
  19. Diodoro Siculo, Bibliotheca historica, XX, 14, 4-5. ↩︎
  20. P. Bartoloni, Il santuario tofet. Nel volume: M. Guirguis, La Sardegna Fenicia e Punica. Storia e materiali, Corpora delle antichità della Sardegna, Carlo Delfino editore & C., 2017. ↩︎
  21. Ibidem. ↩︎
  22. Marco Tullio Cicerone, Pro Scauro. In M. Tullio Cicerone, Orazione in difesa di M. Emilio Scauro, in Le orazioni, traduzione di Giovanni Bellardi, volume 3, UTET, Torino, 1975. ↩︎

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