Sherdana, guerrieri e viaggiatori

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Sul finire dell’età del Bronzo le acque del Mediterraneo al pari d’oggi separavano terre e isole, eppure al contempo univano, collegavano e connettevano, come in una rete, genti di lontane civiltà. Quel mare, tavola grande di ammalianti orizzonti, non costituiva più ostacolo sufficiente a impedire che mercanti, messaggeri e soldati risoluti ne solcassero la superficie con le loro navi. Non bisogna immaginare le culture e i popoli del Bronzo come racchiusi in delle bolle, isolate tra loro! Il Mediterraneo costituiva ormai un sistema aperto, teatro di contaminazioni culturali, scambi commerciali e, non di rado, scontri militari.

Al primo quarto del secolo XIII a.C., la più grande potenza del Vicino Oriente antico era il Nuovo Regno di Ramses II. Le terre del faraone si estendevano a nord-est sin oltre la cananea Biblo, verso la Siria, dove sorgeva l’emergente Impero Ittita di Muwatalli II. Invero, qui i possedimenti degli egizi erano stati un tempo più corposi, ma con l’ascesa al trono di Akhenaton, poco dedito alla politica militare e alle prese con la tormentata riforma religiosa da lui voluta, gli Ittiti li avevano respinti ben oltre l’Eufrate.

L’epopea amarniana aveva avuto come conseguenza il frammentarsi del Levante in piccoli vicereami, ricaduti sotto l’influenza ittita, tra cui Amurru e Ugarit. A ovest v’era poi l’isola di Alashiya, ossia Cipro, potenza economica del tempo grazie al commercio del rame, metallo che veniva estratto, confezionato in lingotti ox-hide e quindi esportato in tutto il bacino del Mediterraneo. Nel frattempo, in Grecia, si sviluppavano le fiorenti città-stato micenee con i loro ricchi mercanti. Non ultima, laggiù nell’occidente più profondo, ecco la Sardegna, fiera terra degli ingegnosi Nuragici… Tuttavia, nessuno poteva immaginare che, da lì a poco, questo mondo fosse destinato a crollare tragicamente.

I popoli del mare irrompono nella storia

Dalla fine del XIII alla metà del XII secolo a.C. i regni levantini sul Mediterraneo furono sconvolti da profondi cambiamenti, in alcuni casi catastrofici. L’Impero ittita si disgregò in pochissimo tempo, Ugarit fu data alle fiamme, le città-stato micenee subirono una grave crisi. Finanche il Nuovo Regno egizio sperimentò un periodo di difficoltà che costrinse i faraoni ad abbandonare le terre di Canaan. Sono state proposte molte teorie per spiegare questo momento storico di collasso universale, che dovette avere cause complesse e variegate. In ogni caso, le testimonianze archeologiche rivelano che alcune delle città più importanti subirono una distruzione violenta e repentina. Ḫattuša, capitale dell’Impero ittita, che si trovava nel periodo del suo massimo splendore, fu improvvisamente rasa al suolo poco dopo il 1200 a.C., e Ugarit venne distrutta negli stessi anni.

Le civiltà levantine vissero, da questo momento in poi, una generale crisi sociale, politica ed economica. Le più importanti istituzioni di governo fondate sui palazzi, centri di dominio aristocratico, si dissolsero in pochissimo tempo; si interruppero bruscamente i commerci marittimi di lunga tratta nel Mediterraneo. Vi fu persino una regressione delle lingue e dei sistemi di scrittura, che ebbe come conseguenza la penuria di fonti scritte dei periodi successivi.

La distruzione di Ugarit

Proprio a Ugarit gli archeologi hanno recuperato alcune tavolette d’argilla sopravvissute all’incendio. Le iscrizioni, in caratteri cuneiformi, raccontano di una grande ondata migratoria e di predoni armati provenienti dal mare, i quali avevano già distrutto altri insediamenti. La missiva catalogata come RS 20.238 contiene la corrispondenza tra il giovane re di Ugarit Hammurabi e il sovrano di Cipro Eshuwara. Ugarit aveva dovuto inviare tutte le sue truppe al re ittita Šuppiluliuma II, di cui era vassalla, per contrastare i popoli del mare. Ma Hammurabi era a sua volta minacciato dallo stesso nemico, e perciò si era rivolto a Cipro per ricevere aiuto:

Padre mio, ora sono arrivate le navi nemiche. Hanno bruciato le mie città, hanno fatto qualcosa di brutto in campagna. Mio padre non sa che tutte le mie truppe sono ad Hatti e che tutte le mie navi sono in Licia? Non si sono ancora schierati con me e il paese è così abbandonato a se stesso. Mio padre deve saperlo. Ora sette navi nemiche sono venute contro di me e ci hanno ferito. Ora, se ci sono altre navi nemiche, ti scongiuro di farmelo sapere“.

Hammurabi, RS 20.238

Inutile dire che tale lettera “del giorno prima” non venne mai inviata, non vi fu il tempo. Essa rimase a Ugarit nell’attesa di essere riscoperta molti secoli dopo.

Le fonti storiografiche egizie

Sull’identità degli aggressori che distrussero Ugarit e Ḫattuša ci si è interrogati a lungo. Nel 1855 Emmanuel de Rougé, all’epoca curatore del Louvre, per primo li chiamò “peuples de la mer” mentre descriveva i rilievi del tempio di Medinet Habu1. Tuttavia, nemmeno le fonti egizie ci dicono con precisione da dove provenissero queste genti, che sono definite piuttosto stranieri, traduzione più coerente del termine ḫ3sty.w2. I testi del Nuovo Regno tramandano almeno due principali battaglie che videro coinvolti i popoli del mare.

Merenptah e la battaglia contro i popoli del mare

Nella Grande iscrizione di Karnak situata tra i piloni VI e VII del Primo cortile nel Tempio di Amon3, si racconta che essi apparvero nel quinto anno di Merenptah, figlio di Ramses II, e cioè intorno al 1208 a.C.4. Il faraone aveva sconfitto gli invasori presso il delta occidentale del Nilo, giacché si erano alleati con i libici e minacciavano i confini dell’Egitto5. Tra i popoli del mare venivano annoverati i Lukka, i Tursha, gli Akawasha, gli Shekelesh, e soprattutto gli Sherdana, di cui si parlerà ampiamente più avanti.

Lo stesso episodio è riportato nella Stele di Merenptah, rinvenuta a Tebe e oggi al Museo egizio del Cairo, dove la confederazione nemica è chiamata “dei Nove Archi”6. In realtà, non sappiamo se i nemici avessero costituito davvero una coalizione, o se gli scontri fossero avvenuti in momenti differenti. Nell’ottica narrativa egizia il faraone era un dio, e in quanto tale non poteva certo confrontarsi soltanto con un avversario alla volta!

Ramses III e le iscrizioni del tempio di Medinet Habu

I popoli del mare continuarono a rappresentare una minaccia per il Nuovo Regno anche nei decenni successivi. Ne abbiamo testimonianza nel tempio di Medinet Habu a Luxor, fatto edificare da Ramses III come monumento funerario e celebrativo. Presso il secondo pilone vi sono due raffigurazioni in bassorilievo, divise da una porta. Nella prima, a sinistra, Amon-Ra dona una spada al faraone alla presenza della dea Mut, conferendo l’investitura divina per l’esito di una battaglia.

Grande è la tua potenza, o Signore degli Dei. Le cose che escono dalla tua bocca, si avverano senza fallo. La tua forza protegge come uno scudo. Che io possa annientare le terre e paesi che invadono il mio confine! Tu hai portato grande terrore di me nei cuori dei loro capi; paura e timore di me davanti a loro“.

Le parole di Ramses III nell’iscrizione del tempio di Medinet Habu, J. H. Breasted, Ancient records of Egypt, 1906

A destra, invece, un’iscrizione rivela che nell’ottavo anno di regno di Ramses III, intorno al 1175 a.C.8, giunsero nuovamente i “Popoli del mare, del nord e delle isole” per muovere guerra all’Egitto9.

Le nazioni straniere hanno messo a punto una cospirazione presso le loro isole. Improvvisamente essi hanno abbandonato le loro terre e si sono gettate nella mischia. Nessuno poteva resistere alle loro armi: da Hatti, a Qode, a Cherchemish, ad Arzawa e Alashiya, tutte furono distrutte allo stesso tempo. Un campo militare fu da loro insediato in Amurru; qui essi fecero strage della gente del posto e la terra fu lasciata in uno stato di desolazione come se non fosse mai stata abitata. Quindi essi si diressero verso l’Egitto dove era stato innescato il focolaio della rivolta. La loro confederazione era composta dai Pelaset, dagli Tjeker, dagli Shekelesh, dai Denyen e dagli Weshesh. Essi misero le proprie mani sulla terra che si stendeva, mentre i loro cuori confidavano che il piano sarebbe andato in porto“.

J.B. Pritchard, Ancient Near Eastern Texts relating to the Old Testament, Princeton 1969

Lo scontro, per terra e per mare, si consumò dapprima a Djahy, al confine nord-est del Regno, e quindi presso le rive orientali del delta del Nilo10. Ramses III riuscì infine a sconfiggere la coalizione nemica attirandone le navi verso riva e facendole bersagliare da una nutrita schiera di arcieri.

Coloro che hanno raggiunto i miei confini, il loro seme non è più; i loro cuori e le loro anime sono finiti per sempre. Quanto a coloro che erano riuniti prima sul mare, un muro di fiamma era di fronte a loro, prima delle bocche del fiume, e un muro di metallo sulla riva li circondava. Essi sono stati trascinati, rovesciati, e giacciono in basso sulla spiaggia; uccisi e fatti cumuli delle poppe delle prue delle loro galee, mentre tutte le loro cose furono gettate in acqua

Le parole di Ramses III nell’iscrizione del tempio di Medinet Habu, J. H. Breasted, Ancient records of Egypt, 1906

Misteriosi invasori

Ancora presso il tempio di Medinet Habu, sul torrione sud del migdol orientale, vi è un rilievo con la celebrazione di alcuni prigionieri legati e inginocchiati, sottomessi al sovrano. Le iscrizioni del pannello non lasciano adito a dubbi circa la loro identità:

Il vile capitano degli Hatti prigioniero; il vile capitano di Amor; il capo del nemico Tjeker; gli Sherdana del mare; il capo degli Shasu; i Teresh del mare; il capo del nemico Peleset

OIP 94 – Medinet Habu, Vol. VIII The Eastern High Gate, Chicago University’s Oriental Institute, The University of Chicago Press, 1970

Si tratta dunque dei capitani dei popoli del mare sconfitti e imprigionati da Ramses III. Le figure sono molto diversificate tra loro, specie in base alla presenza della barba, alla tipologia del vestiario e delle armi, suggerendo che i popoli del mare provenissero da differenti aree geografiche. Purtroppo l’origine di queste genti non viene rivelata, forse perché data per scontata. È il motivo per cui gli interrogativi sulla portata storica della loro migrazione, che contribuì al declino dell’età del Bronzo, sono ancora numerosi.

In questa sede ci limiteremo ad affrontare la questione riguardante gli Sherdana, unico tra i popoli del mare di cui è nota una discreta raccolta di fonti documentali. Vaglieremo soprattutto un’ipotesi affascinante, sebbene ancora priva di riscontri archeologici inappuntabili. Dando fede all’iscrizione di Medinet Habu, i popoli del mare giungevano da isole poste a nord dell’Egitto, forse dal Mediterraneo occidentale e dall’area Egeo-anatolica. Tra di essi v’erano i temibili Sherdana, nome evocativo, secondo alcuni studiosi, della loro terra d’origine: l’isola dei Nuragici collocata al centro del “Grande Verde”, e le cui raffigurazioni rassomigliano proprio ai bronzetti figurati della Sardegna. Si tratta solo di suggestioni?

Gli Sherdana del mare, un mistero lungo tremila anni

“I ribelli Sherdana, che nessuno ha mai saputo come combattere, arrivarono dal centro del mare navigando arditamente con le loro navi da guerra, nessuno è mai riuscito a resistergli”

K. A. Kitchen, Pharaoh Triumphant: The Life and Times of Ramesses II, King of Egypt, Aris & Phillips, 1982

Nessuno eccetto Ramses II (1279-1213 a.C.)12, sovrano dell’Alto e del Basso Egitto, che fece imprimere nella pietra la sua vittoria gloriosa. La Stele Retorica, rinvenuta a Tanis, annunciava ai sudditi il trionfo del faraone contro quegli agguerriti invasori provenienti dal mare13. E così pure un altro testo, redatto nel secondo anno di regno del faraone presso Elefantina sul Nilo, la Stele di Assuan, rivelava che gli Sherdana – supposto nome ottenuto dalla traslitterazione del geroglifico Šrdn – fossero stati infine assoggettati:

“Egli ha distrutto i guerrieri del Grande verde, il grande lago del Basso Egitto, sicché gli Egiziani possono dormire tranquilli”

K. A. Kitchen, Ramesside Inscriptions. Historical and Biographical, 6 vol, Oxford, 1968-99

Il braccio potente di Ramses II si era scagliato senza pietà contro i nemici che dal “Grande verde”, come gli Egizi chiamavano il Mediterraneo, avevano osato minacciare il Nuovo Regno. Il faraone non si era limitato a infliggere loro una pesante sconfitta ma, come narra la stele di Tanis:

“Egli li catturò con la forza del suo valido braccio e li portò in Egitto”

K. A. Kitchen, Ramesside Inscriptions. Historical and Biographical, 6 vol, Oxford, 1968-99

Ramses II sperava in tal modo di porre fine una volta per tutte alla minaccia degli Sherdana. Eppure quei guerrieri si erano dimostrati così valorosi e degni di stima che in Egitto non soggiornarono affatto come prigionieri. Anzi, riuscirono a ritagliarsi persino un posto di rilievo: il sovrano decise di assoldarli per costituire un corpo d’élite durante la famosa battaglia di Qadesh.

La battaglia di Qadesh

A Qadesh d’improvviso si levò un fragore. Scudi infranti, sibili di mille freccie e il boato dei cavalli in corsa: lungo le rive del fiume Oronte, alla testa di un esercito composto da ventimila soldati e duemilacinquecento carri da guerra, Ramses II muoveva guerra contro l’Impero ittita di Muwatalli II (1275 – 1274 a.C.). Le ragioni dello scontro risiedevano nella volontà da parte ittita di controllare l’area dell’attuale Siria, che ricadeva al confine con i possedimenti egizi.

Di tale battaglia Ramses II fece stilare un resoconto celebrativo che fu scolpito nei più importanti templi del Regno. Rinveniamo così i rilievi di Qadesh sulla parete destra della Grande sala di Abu Simbel; nel tempio di Luxor presso le facciate esterne delle corti e sui piloni; a Karnak sulle mura perimetrali della sala ipostila; su alcuni piloni del Ramesseum tebano; e infine nel tempio di Abydos. Possediamo, inoltre, alcune copie del racconto egizio anche su papiro: al British Museum di Londra è conservato quello che viene definito il “Poema di Pentaur”, dal nome del copista che lo redasse.

Ma perché si tratta di un poema, come lo definì il grande egittologo americano James Breasted14? Ramses II fece raccontare di una sua sfolgorante vittoria, ma non fu affatto così. Nei rilievi dei templi egizi noi osserviamo, infatti, la propaganda del sovrano, poiché bisognava giustificare ai sudditi il sacrificio che avevano dovuto affrontare. Lo scontro di Qadesh non fu favorevole agli Egizi, né ebbe un impatto rilevante sugli equilibri politici dell’area al confine con gli Ittiti. Gli attori coinvolti poterono solamente saggiare l’impossibilità di prevalere sull’altro e difatti, circa quindici anni dopo, Ramses II e il re ittita Hattušili III firmarono proprio a Qadesh il più importante trattato di pace dell’epoca (1259 a.C.).

L’identità degli Sherdana

I cicli della battaglia di Qadesh si compongono di due parti distinte: la narrazione dello scontro (“il poema”) è affiancata dai rilievi figurativi e da pochi geroglifici (il “Rapporto Ufficiale”)15. Ciò che a noi interessa maggiormente, tuttavia, è un piccolo particolare di tali scene, ripetuto sia nelle versioni templari che papiracee, in cui a essere rappresentati sono gli Sherdana assoldati da Ramses II. Appena sotto la sagoma di Ramses II, assiso sul trono regale mentre riceve le notizie dal fronte, gli Sherdana sono disposti in fila, indossano tuniche profonde, reggono scudi circolari e impugnano una lunga spada di tipo Naue II. Un elmetto con cresta, adornato con vistose corna, è adagiato sul capo.

Ma chi erano quelle genti che furono dapprima nemiche di Ramses II e poi combatterono al suo fianco a Qadesh? Molte ipotesi sono state proposte, e nel tempo il dibattito si è sedimentato su due principali posizioni accademiche. Gli archeologi sostengono che gli Sherdana potessero essere originari dell’Oriente, ad esempio dell’area di Sardi, oppure che giungessero dalla Sardegna.

Come visto, la vicenda Sherdana non inizia né si esaurisce al tempo di Ramses II. Di essi si rinviene traccia già nelle lettere di Amarna, in quella che fu la corrispondenza tra il faraone, Amenophi III o più probabilmente Akhenaton, e il governatore di Biblo, Rib-Hadda. Il carteggio, redatto intorno al 1360 a.C., fa menzione di pirati e mercenari noti con il nome di Šrdn16. Da un certo momento in poi, invece, collocabile durante il regno dei successori di Ramses II, gli Sherdana si inseriscono a pieno entro il più ampio contesto dei cosiddetti “popoli del mare”, contribuendo allo scatenarsi di quel momento di collasso politico e culturale che segnò nel Levante il passaggio tra l’età del Bronzo e del Ferro.

Gli Sherdana erano i navigatori Nuragici?

Il primo a ipotizzare che gli Sherdana fossero guerrieri sardi che si spostavano verso oriente, secondo una tesi definita “occidentalista”, fu il De Rougè17, tosto seguito da François Chabas18, Gordon Childe19 e Antonio Taramelli20, e oggi dal professor Giovanni Ugas dell’Università di Cagliari, secondo cui essi appartenevano alla tribù degli Iliensi nuragici21. A sostegno di ciò vi sarebbe la presenza di ceramica sarda nell’area dell’Egeo22, talvolta prodotta in loco, che suggerisce un movimento migratorio verso quelle aree del Mediterraneo. Tuttavia, storicamente, le principali argomentazioni della tesi occidentalista vertono sull’assonanza linguistica tra il nome degli Sherdana e quello della Sardegna, sulla numerosità dei reperti egizi ed egittizzanti ivi rinvenuti, e infine sulla somiglianza tra i guerrieri raffigurati nei rilievi della battaglia di Qadesh o a Medinet Habu e i bronzetti di ambito nuragico.

Tuttavia, non vi sono elementi certi a supporto di questa teoria se non indizi e suggestioni. Il dato archeologico, spesso contraddittorio, rivela anche che si diffuse nei territori invasi dai popoli del mare, specie in Siria e Palestina, la ceramica Micenea III C; simili manufatti di provenienza egea si rintracciano anche in Sardegna, come nel nuraghe Antigori23. Sulla base di tale evidenza, la tesi “orientalista” sostiene che gli Sherdana fossero originari del Levante, e si rifugiarono presso i Nuragici soltanto dopo la disfatta contro Ramses III. Tra le aree di provenienza è stata quindi proposta quella micenea, in accordo con Garbini24, o Sardi in Lidia, come sostenuto da Maspero25.

Non manca, infine, chi nega qualsiasi correlazione tra i popoli del mare e la Sardegna. Ettore Pais26 e Fulvia Lo Schiavo27 fanno notare che quasi tutti i reperti egizi ritrovati in Sardegna furono importati dai Fenici in epoca successiva.

Šrdn e la Stele di Nora

La Stele di Nora, conservata al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, contiene la più antica attestazione del nome della Sardegna. In caratteri fenici, essa è datata su basi paleografiche tra il IX e l’VIII secolo a.C. Alla terza riga del testo epigrafico, infatti, troviamo incise le lettere ŠRDN, precedute dal complemento di luogo “b”, termine che presenta una certa corrispondenza con l’antico nome latino dell’Isola, Sardinia. Ora, per i sostenitori della tesi occidentalista non si tratta di un caso che le medesime consonanti Šrdn indicassero tanto il nome della Sardegna quanto, nelle fonti egizie, proprio i mercenari Sherdana. L’aspetto fonetico della questione merita una piccola precisazione: sebbene la vocalizzazione del termine Šrdn sia incerta, a causa della natura consonantica dei geroglifici, la pronuncia Sherdana sembra confermata dalle iscrizioni rinvenute presso l’antica città di Ugarit28, che fu distrutta proprio dal sopraggiungere degli invasori popoli del mare.

L’iscrizione della Stele di Nora è apposta su un blocco di pietra arenaria ed è con ogni probabilità incompleta. Le interpretazioni sul suo significato non sono unanimi. Secondo le ipotesi più accreditate essa potrebbe essere il resoconto di una spedizione militare29 o la dedica a una divinità, apposta forse in occasione della fondazione di un tempio sacro30.

Le raffigurazioni degli Sherdana

Sulla testa degli Sherdana, nei rilievi dei templi egizi, v’è un elmo a calotta con due corna laterali. Talvolta il copricapo è provvisto al centro di un disco, come nelle raffigurazioni della battaglia di Qadesh, segno distintivo dei mercenari assoldati dal faraone. Un caratteristico gonnellino a coda di rondine cinge i fianchi di quei guerrieri, mentre le mani reggono uno scudo circolare e una lunga spada triangolare del tipo Naue II, che veniva impiegata per i combattimenti corpo a corpo.

Ciò dà ragione del perché Ramses II avesse arruolato gli Sherdana tra le proprie fila, definiti nelle fonti scritte bštw, ribelli, turbolenti. Tali combattenti, agili e armati alla leggera, rendevano più completo l’esercito egizio, ch’era composto perlopiù di carri da guerra e arcieri31. Ben addestrati all’uso della spada, essi fungevano probabilmente da corridori con il compito di intercettare e uccidere i carristi nemici. In altri rilievi, tuttavia, come ad Abu Simbel, l’arma impiegata dagli Sherdana è il giavellotto, dimostrando una certa variabilità in battaglia.

I bronzetti nuragici

Le rappresentazioni degli Sherdana, come apparivano al tempo dell’Egitto ramesside, sono di notevole interesse perché permettono di intuirne le fattezze e, nondimeno, di cercare similitudini presso altre civiltà del Mediterraneo. Operando un raffronto con manufatti della locale statuaria, sono state notate somiglianze con i coevi guerrieri della Corsica, di Cipro, e proprio della Sardegna.

Gordon Childe metteva a confronto i rilievi egizi presenti nel tempio di Medinet Habu con i bronzetti di ambito nuragico32, deducendo dall’osservazione delle navicelle che gli antichi Sardi fossero abili navigatori. Similitudini si possono riscontrare tanto nel vestiario quanto negli armamenti, che presuppongono le stesse attitudini in battaglia. I bronzetti figurativi sardi di guerrieri sono infatti contraddistinti da elmi cornuti, scudi circolari e lunghe spade a lama foliata. Stupirà apprendere che di gran parte di queste armature, così minuziosamente riprodotte, non è stata trovata traccia archeologica, soprattutto degli elmi e delle corazze. È un mistero che si può spiegare supponendo che gli antichi Sardi indossassero in combattimento materiali deperibili, come legno e cuoio, e non soltanto il duro metallo. Si trattava di armamenti leggeri adatti alla corsa e alla rapida schermaglia più che alle grandi battaglie campali. E perfettamente idonei anche per condurre, chissà, delle incursioni via mare.

Samuele Corrente Naso

Note

  1. E. de Rougé, Extraits d’un mémoire sur les attaques dirigées contre l’Egypte par les peuples de la Méditerranée vers le quatorzième siécle avant notre ére, Parigi, 1867. ↩︎
  2. A. H. Gardiner, Ancient Egyptian onomastica, Londra, 1968. ↩︎
  3. KIU 4246. ↩︎
  4. Jürgen von Beckerath, Chronologie des Pharaonischen Ägypten, Mainz, 1997. ↩︎
  5. C. Manassa, The great Karnak inscription of Merneptah: grand strategy in the 13th century BC, in Yale Egyptological studies, New Haven, Yale egyptological seminar, 2003. ↩︎
  6. J. H. Breasted, Ancient Records of Egypt, 4 vol., Chicago, 1906. ↩︎
  7. Di Olaf Tausch – Opera propria, CC BY 3.0, immagine. ↩︎
  8. Ibidem nota 4. ↩︎
  9. Ibidem nota 6. ↩︎
  10. J. H. Breasted, OIP 8 Medinet Habu, Volume I. Earlier Historical Records of Ramses III. ↩︎
  11. Di I, Rémih, CC BY-SA 3.0, immagine. ↩︎
  12. Ibidem nota 4. ↩︎
  13. J. Yoyotte, Les stèles de Ramses II à Tanis. 2e Partie. Extrait de Kemi, Revue de Philologie et d’Archéologie égyptiennes et coptes. XI, Librairie Orientaliste Paul Geuthner, 1950. ↩︎
  14. Ibidem nota 6. ↩︎
  15. Ibidem nota 6. ↩︎
  16. Lettere EA 81, EA 122, EA 123. M. Liverani, Le lettere di el-Amarna. Vol. 1: Le lettere dei “Piccoli re”, in Testi del Vicino Oriente antico, Paideia, 1998. ↩︎
  17. Ibidem nota 1. ↩︎
  18. F. Chabas, Étude sur l’antiquité historique d’après les sources égyptiennes et lesmonuments réputés préhistoriques, Amsterdam, 1872. ↩︎
  19. G. Childe, The Bronze Age, 1930. ↩︎
  20. A. Taramelli, Scavi e scoperte. 1903-1910, Sassari, Carlo Delfino editore, 1982. ↩︎
  21. G. Ugas, L’alba dei nuraghi, Cagliari, 2006. ↩︎
  22. M. R. Manunza, La ceramica prenuragica e nuragica, in Ceramiche. Storia, linguaggio e prospettive in Sardegna, 2007. ↩︎
  23. G. Garbini, I Filistei. Gli antagonisti di Israele, Brescia, 1997. ↩︎
  24. Ibidem. ↩︎
  25. G. Maspero, Histoire Ancienne des peuples de l’Orient Classique, Volume II, Parigi, 1897. ↩︎
  26. E. Pais, Le popolazioni egizie in Sardegna, in Bullettino Archeologico Sardo Serie Seconda Anno I – Fascicolo III e IV, Cagliari, 1884. ↩︎
  27. F. Lo Schiavo, Sardinia between east and west: interconnections in the Mediterranean, in Congresso Sea Routes: Interconnections in the Mediterranean, c. 1600-600 BC, Atene, 2003. ↩︎
  28. P. Bartoloni, Rotte e traffici nella Sardegna del tardo Bronzo e del primo Ferro, in Il Mediterraneo di Herakles: atti del Convegno di studi, 26-28 marzo 2004, n. 29, 2005. ↩︎
  29. W. H. Shea, The dedication on the Nora Stone. In Vetus Testamentum 41, fascicolo 2, 1991. ↩︎
  30. M. Botto, Urbanistica e topografia delle città fenicie di Sardegna. Il caso di Nora, in José Luis López Castro (a cura di), Las ciudades fenicio-punicas en el Mediterráneo Occidental, Almería, Editorial Universidad de Almería, 2007. ↩︎
  31. N. K. Sandars, The sea peoples: warriors of the ancient Mediterranean, 1250-1150 B.C., Thames and Hudson, 1985. ↩︎
  32. Ibidem nota 19. ↩︎

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