Con la prima luce del mattino a Carcassonne si ridesta un mondo d’altri tempi. Piano, dalle ombre notturne emergono bastioni, barbacani e ponti levatoi. Alte torri si affacciano silenti sulla valle del fiume Aude, si schiariscono i profili imponenti di un castello senza più signori. Le vetrate della basilica gotica di Saint-Nazaire et Celse si accendono di molti colori e irradiano le navate di una mistica atmosfera. Le vie del borgo non sono ancora affollate di visitatori, che ogni giorno qui si recano in gran numero, né si odono i frastuoni dei venditori. All’alba è concesso il potere di rivelare come poteva essere Carcassonne nel Medioevo.
Invero, ciò che oggi osserviamo è frutto del grande restauro in stile avviato dall’architetto Eugène Viollet-le-Duc nel XIX secolo. Carcassonne si trovava in uno stato di rovina dopo molti anni di abbandono. Il rinnovamento delle strutture architettoniche ha permesso di salvare uno dei centri storici più importanti d’Europa. La città, situata in una posizione strategica nel Sud della Francia, in Linguadoca, fu il crocevia di molte vicende nei secoli passati. Tra le mura possenti di Carcassonne albergano storie di lotte e di conquiste, di eresie e di crociate, di tesori e di leggende medievali sussurrate al vento leggero dell’Aude.

Il tesoro di Alarico
Al principio del V secolo l’Impero Romano d’Occidente non era più in grado di fronteggiare le crescenti pressioni dei popoli barbari ai suoi confini. Nel 410 era avvenuto un fatto epocale: Alarico, alla testa dei Visigoti, aveva espugnato e saccheggiato Roma. Dopo la morte del loro re nei pressi di Cosenza, i barbari si erano diretti a nord, portando con loro il ricco bottino trafugato nell’Urbe. Si stabilirono in primo momento nella Francia meridionale, in una regione tra la Provenza e l’Aquitania che prese il nome di Settimania. Era questa la terra ove sorgeva l’importante Castellum Carcassonne, come attesta già dal 333 l’anonimo viaggiatore dell’Itinerarium Burdigalense1. Non si tratta di un dato di poco conto. Molti hanno ipotizzato che i Visigoti, nel 412 al seguito di Ataulfo, abbiano portato a Carcassonne le ricchezze rinvenute a Roma.
Di questo tesoro la letteratura ha narrato cose favolose. Che cosa aveva trovato Alarico a Roma? Forse un grande forziere d’oro e di gioielli appartenuto all’imperatore. Ma la leggenda vuole che nelle mani dei Visigoti fosse caduto nientemeno che il mitico tesoro del Tempio di Gerusalemme, giunto a Roma dopo l’assedio della città santa da parte del generale Tito nel 70 d.C. In cosa consistesse tale ricchezza è oggetto di congetture secolari: l’Arca dell’Alleanza con le tavole della legge, la sacra menorah raffigurata sull’Arco di Tito a Roma, la vasca di bronzo e le sculture dei tori descritti nel Secondo Libro delle Cronache2, coppe incastonate di pietre preziose, piatti e calici d’oro purissimo…

Dai Visigoti al dominio saraceno
È compito impossibile tracciare la linea di demarcazione tra realtà e mito. Certo è che Carcassonne, anche solo per l’importanza strategica che rivestiva nella regione, divenne oggetto del desiderio di molti sovrani e popoli. Clodoveo, re dei Franchi Salii e fondatore della dinastia Merovingia, invase il Regno dei Visigoti nel 5073. Il sovrano vinse la decisiva battaglia di Vouillé e conquistò buona parte delle terre nemiche, puntando l’anno successivo verso Carcassonne. Solo l’intervento del re ostrogoto Teodorico, giunto in soccorso dei suoi alleati, impedì che la città cadesse in mano franca4.
Carcassonne rimase sotto il controllo dei Visigoti per altri duecento anni e più. Ma al principio dell’VIII secolo la storia dell’Europa intera stava per avere una svolta inaspettata. Nel 711 truppe arabo-berbere attraversarono lo stretto di Gibilterra, dando avvio alla conquista della penisola iberica sotto il comando di Tariq ibn Ziyad5. Nello stesso anno i Musulmani espugnarono Toledo, la principale roccaforte dei Visigoti in Spagna. Quindi nel 720 giunsero in Francia ed entrarono trionfanti a Narbona, sotto la guida del governatore omayyade di Al-Andalus, Al-Samh ibn Malik al-Khawlani. L’anno successivo gli eserciti saraceni vennero respinti a Tolosa da una coalizione di Franchi e Aquitani, ma nel 725 riuscirono a sfondare in Linguadoca e presero possesso anche di Carcassonne6. Si dice che i musulmani si imbatterono in parte del tesoro custodito nella città, ma anche che i Visigoti nascosero da qualche parte i manufatti più preziosi.
La leggenda di Dama Carcas
Carcassonne rimase musulmana sino al 759, allorché venne riconquistata dai Franchi dopo un feroce assedio. Di quei giorni di battaglie e di conquiste gli abitanti del borgo tramandano un’affascinante leggenda. È questo il racconto dell’emiro Ballak e della sua saggia consorte Carcas, che difesero la città dall’assalto di Carlo Magno7. Si narra che il condottiero franco giunse alle porte di Carcassonne con tremila uomini bene armati e temibili macchine d’assedio. I Saraceni resistettero come poterono ma la situazione volse presto al peggio. Ballak, nel tentativo di trovare un accordo col nemico, uscì dalla città e venne trucidato davanti agli occhi della sua Dama Carcas, che osservava da lontano sulle mura.

Pur addolorata, la donna non si perse d’animo e approntò un ingegnoso sistema per ingannare il nemico. Fece collocare tanti manichini lungo il cammino di ronda della fortificazione, in modo che a Carlo Magno sembrassero molti di più. In questo modo, racconta la leggenda, la città resistette per altri cinque anni finché il popolo non ebbe quasi esaurito il cibo. A Carcassonne era infatti rimasto un solo maiale. Dama Carcas ebbe allora un’idea. Scagliò l’animale dalle mura in direzione dell’esercito franco, cosicché Carlo Magno, al veder quel gesto coraggioso, si convinse che la città aveva grandi riserve di viveri e poteva resistere ancora a lungo. Con sgomento, decise così di togliere l’assedio e tornare verso i domini di suo padre. Si racconta che, mentre le truppe franche battevano in ritirata, Carcas fece suonare tutte le campane della città, da cui il toponimo “Carcas sonne!”.
La leggenda, sebbene affascinante, non ha alcun riscontro storico. Dama Carcas fece la sua comparsa in un poema di Jean Dupré del 1534, Le Palais des nobles Dames9, eredità di una lunga tradizione orale.
La città di Carcassonne nel Medioevo
Le morti di Pipino il Breve nel 768 e di Carlomanno nel 771 consegnarono la corona dei Franchi nelle mani del solo Carlo Magno. Per gestire il suo vasto regno, il sovrano nominò più di trecento vassalli, tra conti e vescovi, affidando loro le terre secondo un modello che oggi chiamiamo feudale10. In cambio dell’autorità concessa, i feudatari si impegnavano a difendere i possedimenti della corona e a riscuotere le tasse. Il primo Conte di Carcassonne fu un nobile chiamato Bellone (800-812 circa), fondatore dell’illustre dinastia dei Bellonidi11. Dopo la morte di Carlo Magno nell’814, in un contesto di declino politico, le famiglie nobiliari colsero l’occasione per rivendicare i territori loro affidati, considerandoli possedimenti ereditari. Per mezzo di intricate vicende e unioni matrimoniali di convenienza, Carcassonne divenne parte della contea di Comminges.

Nel 1066-1068 Ruggero I di Foix12, o secondo altri il conte Pietro Raimondo di Carcassonne13, lasciò in eredità il borgo al figlio Ruggero III. Alla morte di questi, i diritti della sovranità sulla città passarono alla sorella Ermengarda, che li vendette al conte Raimondo Berengario I di Barcellona per l’esorbitante cifra di quattromila mancusi d’oro. L’accordo non durò a lungo: Raimondo Bernardo Trencavel, marito di Ermengarda e visconte di Albi e Nîmes, si riappropriò di Carcassonne. Alla sua morte, nel 1082, i notabili della contea decretarono visconte il figlio Bernardo Aton IV14. La nomina segnò l’inizio ufficiale del lungo dominio dei Trencavel a Carcassonne. Guidata dalla potente famiglia nobiliare la città ebbe un’intensa crescita economica e demografica. Lo sviluppo dei commerci e delle industrie, in particolare della lana e del vino, aumentò le casse dei visconti e pose le basi per un grande rinnovamento edilizio.

La basilica di Saint-Nazaire et Celse
L’accresciuta importanza di Carcassonne nell’XI secolo è testimoniata dalla visita di papa Urbano II, in data 12 giugno 1096. Il Pontefice giunse in città per sollecitare la partecipazione dei nobili alla prima crociata in Terra Santa. Non solo, volle benedire l’inizio dei lavori edili di una nuova cattedrale15, sede della diocesi di Carcassonne nel Medioevo sin dai primi anni del dominio visigoto. La chiesa di Saint-Nazaire et Celse venne edificata in stile romanico e sorse sulle fondamenta di un preesistente edificio di culto carolingio16. Fu infine rinnovata nelle splendide forme gotiche ammirabili presso il coro e lungo il transetto, sotto l’episcopato di Bernard de Capendu a partire dal 1269.

La basilica ha pianta a croce latina e spicca per la bellezza delle sue vetrate policrome. Al termine del XIII secolo venne aggiunta una cripta sotterranea. Tra pinnacoli, guglie e gargouilles la chiesa di Saint-Nazaire et Celse costituiva uno degli edifici più affascinanti di Carcassonne nel Medioevo.

Il castello comitale di Carcassonne nel Medioevo
Nella terza decade del XII secolo Bernardo Aton IV avviò la costruzione dell’imponente Château Comtal17, il castello del visconte che ancora oggi affascina i visitatori di Carcassonne. Il nobile volle che l’edificio sorgesse sul punto più alto della città, rivolto a ovest, in modo da dominare la valle del fiume Aude fino ai Pirenei. I lavori di costruzione si protrassero per più di un secolo e, dopo vari rimaneggiamenti, il castello comitale assunse le imponenti dimensioni con cui oggi si mostra.
Otto torri circolari si dispongono lungo un recinto di mura merlate che racchiude un cortile d’onore e un altro minore a meridione, un tempo coperto da un edificio che dava accesso alle cucine. Il castello è circondato da un fossato su tre lati. L’accesso principale, rivolto a est e costituito da due torri gemelle collegate da uno châtelet, è preceduto da un ponte levatoio. L’ingresso e il ponte erano protetti da un massiccio barbacane semicircolare, provvisto di un parapetto con merlature. La Tour Pinte, una torre quadrangolare alta 30 metri e risalente al periodo visigoto, fungeva da vedetta sulla valle circostante.

Il donjon, il mastio fortificato del castello, ospitava il centro amministrativo dei feudatari mentre gli altri edifici nobiliari comprendevano le stanze residenziali e le stalle. Nel 1150 venne edificata una cappella privata per i visconti Trencavel, dedicata a Sainte-Marie, della quale sopravvive solo una porzione dell’abside semicircolare. Nel castello comitale di Carcassonne tutto era pensato per resistere agli assedi: le merlature sulle mura consentivano agli arcieri di scoccare i dardi senza esporsi, bertesche (hourds) e parapetti in legno proteggevano dalle macchine d’assalto, il ponte levatoio permetteva di sigillare il castello in caso di pericolo.
La cinta muraria di Carcassonne nel Medioevo
Oltre all’edificazione del castello, a partire dal 1130 i Trencavel fecero ampliare e rinforzare la cinta muraria che racchiudeva la città. La nuova opera fortificata ricalcò in parte il tracciato delle mura gallo-romane. In alcune torri a forma di ferro di cavallo è ancora visibile la sovrapposizione del paramento antico e di quello medievale. Il materiale da costruzione impiegato, come d’altronde per tutta la città, è la locale arenaria estratta dal vicino altopiano. I tetti conici in ardesia delle torri sono una licenza ottocentesca di Eugène Viollet-le-Duc. Una seconda cerchia di mura, concentrica alla precedente, venne poi realizzata su impulso del re Luigi IX il Santo nel XIII secolo. Lo spazio che separa i due anelli era organizzato in lizze, camminamenti piani e scoperti che esponevano i nemici ai dardi nel caso in cui avessero superato la prima cerchia muraria.

Le mura di Carcassonne nel Medioevo, all’apice della loro complessità, erano composte da quarantotto torri, circolari o a ferro di cavallo, quatto barbacani e quattro porte d’ingresso. A oriente si apriva l’accesso principale, al quale Viollet-le-Duc aggiunse un ponte levatoio sopra il fossato che circonda la città. Si tratta della Porta Narbonese, contraddistinta da due torri a becco collegate da uno châtelet. L’ingresso venne costruito alla fine del XIII secolo sotto il dominio di Filippo III l’Ardito.
Carcassonne e l‘eresia dei Catari nel Medioevo
Uno dei fattori che aveva contribuito alla crescita economica e demografica di Carcassonne era la tolleranza religiosa. I Trencavel avevano permesso a chiunque di insediarsi nelle loro terre, senza badare troppo al fatto che fossero cattolici o di altro credo. Questa politica era comune tra le contee della Linguadoca, lontane dall’influenza diretta del Papato di Roma. Fu così che nella prima metà del XII secolo a Tolosa, casa del conte Raimondo VI, comparvero i Catari. Questi “uomini buoni”, come loro stessi si definivano, professavano una Chiesa più povera e pura, in contrasto con la ricchezza e gli scandali di quel tempo.
Da Tolosa i Catari si diffusero in tutta la Linguadoca e vennero accolti anche da Raimondo Ruggero Trencavel, visconte di Albi, Carcassonne, Béziers e Limoux. Presto si formò una vera e propria chiesa parallela che si organizzò all’interno di cittadine ben fortificate18. Nel 1167, nel castrum di Saint-Félix-de-Caraman, i Catari francesi nominarono i propri vescovi di Albi, Carcassonne, Tolosa e della Val d’Aran.

Invero la presenza dei Catari non era esclusiva della Francia meridionale, ma tali credenti si erano diffusi in varie parti d’Europa, sebbene con nomi diversi. Nelle Fiandre erano noti come Publicani o Poplicani, nome di origine balcanica dove erano già diffusi, nella Francia settentrionale erano i Bougres (Bulgari). In Linguadoca erano chiamati Albigesi, dalla città di Albi che li aveva accolti. La dottrina dei Catari prendeva le mosse da un dualismo di tipo manicheo19. Tale visione sosteneva che un Dio di amore e di salvezza avrebbe creato soltanto il mondo spirituale, mentre l’universo materiale sarebbe la creazione di Satana, principio maligno che conduce alla corruzione e alla morte.
L’accusa di eresia e la scomunica
La Chiesa non tardò a dichiarare il movimento cataro come un flagello da rifiutare e sconfiggere. Nel 1165 un pubblico contraddittorio tenuto a Lombers non ebbe altro frutto che la dichiarazione di eresia. Nel 1179 il terzo Concilio Lateranense sancì la scomunica dei Catari, emanata da papa Alessandro III:
“Ora in Guascogna, ad Albi, nella regione di Tolosa e in altri luoghi la maledetta perversità degli eretici, chiamati da alcuni Catari, da altri Patarini, Pubblicani e in altri modi ancora, ha talmente preso piede, che ormai non professano in segreto, come alcuni, la loro malvagia dottrina, ma proclamano pubblicamente il loro errore e si conquistano dei seguaci tra i semplici e i deboli; ordiniamo che essi, i loro difensori e i loro protettori siano colpiti da anatema”.
G. Alberigo, G. L. Dossetti, P. P. Joannou, C. Leonardi, P. Prodi, Conciliorum oecumenicorum decreta, Bologna 1991.
L’elezione di un nuovo pontefice nel 1198, Innocenzo III, non mitigò la posizione della Chiesa. Il 14 gennaio del 1208 il delegato pontificio Pierre de Castelnau, inviato a Tolosa per predicare contro i Catari, venne accoltellato a morte nei pressi dell’abbazia di Saint-Gilles-du-Gard. Innocenzo III accusò Raimondo VI di Tolosa di essere il mandante dell’omicidio e con una lettera datata il 10 marzo di quell’anno bandì una crociata contro gli eretici:
“Avanti cavalieri di Cristo! Avanti coraggiose reclute dell’esercito cristiano! L’universale grido di dolore della Santa Chiesa vi trascini! V’infiammi uno zelo devoto per vendicare la grande offesa fatta al vostro Dio! […] Applicatevi a distruggere l’eresia con tutti i mezzi che Dio vi ispirerà”.

La crociata contro i Catari
La guida della spedizione militare fu affidata all’abate cistercense Arnaud Amalric, che come prima mossa assediò Béziers20. I crociati entrarono in città e diedero alle fiamme le chiese dove migliaia di fedeli si erano rifugiati, cattolici inclusi. Secondo l’abate Cesario di Heisterbach, cronista di pochi anni successivo agli eventi, quando ad Amalric fu chiesto come distinguere i fedeli della Chiesa dagli eretici “si dice che abbia risposto «Uccideteli tutti. Il Signore conosce infatti quelli che sono suoi»”21.
Dopo aver raso al suolo Béziers le armate cristiane si diressero a Carcassonne, ove si erano rifugiati in massa molti Catari. Amalric fece tagliare ogni rifornimento idrico e la città, nonostante una strenua resistenza, si arrese in sole due settimane, il 15 agosto del 1209. Gli abitanti furono risparmiati ma vennero costretti ad abbandonare Carcassonne completamente nudi, portando sulle spalle “nient’altro che i loro peccati”22. Da quel momento la città fu trasformata nel quartier generale di tutte le truppe crociate operanti nella regione. Il visconte Raimondo Ruggero Trencavel venne imprigionato in una delle sue torri e poco tempo dopo morì in circostanze misteriose. Al suo posto venne nominato Simon de Montfort, che ricostruì le porzioni delle mura danneggiate dall’assedio e assunse il comando della spedizione.

Il segreto dei Catari
Sui motivi che spinsero la Chiesa ad accanirsi in questo modo contro i Catari sono stati scritti fiumi di inchiostro. Di certo Innocenzo III non poteva più tollerare una situazione che minacciava direttamente la supremazia spirituale e temporale della Chiesa. A Roma giungeva voce che Raimondo VI di Tolosa non solo appoggiasse la predicazione degli eretici, ma che espropriasse le terre del clero per destinarle ai Catari.
Di pari passo alla ricerca storica, si è ovviamente sviluppata la leggenda. Il mito vuole che i Catari fossero riusciti a ottenere parte del tesoro di Alarico, tra cui l’Arca dell’Alleanza, forse recuperandolo a Carcassonne, dove era nascosto da tempi immemori. Secondo altri, come l’occultista Otto Rahn23, gli eretici erano in possesso nientemeno che del Santo Graal, la più sacra reliquia del Cristianesimo. Rahn, nella Crociata contro il Graal, nota la corrispondenza dei nomi tra il leggendario castello di Munsalvaesche, ove era custodito il Graal nel Parzifal di von Eschenbach24, e la roccaforte catara di Montségur.

Un altro filone letterario vuole che il Graal non fosse un oggetto fisico, bensì un segreto preziosissimo: i Catari scoprirono che Cristo non rimase celibe, come scritto nei Vangeli, ma sposò Maria Maddalena. La leggenda nacque con Pièrre des Vaux-de-Cernay (1185 circa – 1218), cronista della crociata contro i Catari: “Gli eretici dichiaravano che Santa Maria Maddalena era la concubina di Gesù Cristo”25. Questo racconto, senza fondamento storico, venne ripreso e ampliato da M. Baigent, R. Leigh e H. Lincoln nel celebre volume Il Santo Graal26. Secondo tali autori Cristo e la Maddalena avevano generato una discendenza, il Sang Real, divenuta poi la dinastia dei Merovingi in Francia. La tradizione popolare vuole, infatti, che la donna giunse in Provenza sbarcando a Saintes-Maries-de-la-Mer su una barca senza remi.
L’inquisizione a Carcassonne e la fine dei Catari
La crociata albigese continuò con alterne fortune. I cattolici inanellarono una serie di grandi vittorie e Simon de Montfort entrò trionfante a Tolosa nel 1215. Ma alcune rivolte, fomentate da Raimondo VI, fecero sì che nel 1225 i Catari avevano già riconquistato quasi tutti i loro possedimenti. La crociata ebbe una svolta definitiva solo con l’intervento militare del re di Francia, Luigi IX il Santo, che riuscì a sottomettere le contee della Linguadoca. La fine dei combattimenti non significò anche quella delle persecuzioni. Con una bolla del 1233, l’Inquisitio hereticae pravitatis, Gregorio IX stabiliva il tribunale dell’Inquisizione contro i Catari e due torri delle mura di Carcassonne vennero adibite a questo fine. Nel torrione in prossimità di Porta Aude furono collocate le camere della tortura e le prigioni. Un’enorme biblioteca conteneva i fascicoli delle inchieste promosse dagli inquisitori.
L’atto finale delle persecuzioni contro gli “uomini buoni” si consumò proprio a Montségur, fortezza ritenuta inespugnabile in cui si erano rifugiati i superstiti impenitenti. Eppure, dopo undici mesi di assedio, anche l’ultimo castello dei Catari si arrese alle truppe del papa. Era il 16 marzo del 1244. Più di duecento persone si rifiutarono di abiurare e vennero arse al rogo ai piedi della rocca. Tuttavia, si racconta che non tutti i Catari di Montségur furono catturati, alcuni riuscirono a fuggire calandosi lungo l’impervia rupe. E portavano con loro un prezioso tesoro…
Samuele Corrente Naso
Note
- M. Cowper, Cathar Castles: Fortresses of the Albigensian Crusade 1209–1300, Bloomsbury Publishing, 2012. ↩︎
- Secondo Libro delle Cronache 4, 2. ↩︎
- M. Frassetto, Encyclopedia of Barbarian Europe: Society in Transformation, ABC-CLIO, 2003. ↩︎
- Procopio di Cesarea, De bello gothico, VI secolo. ↩︎
- Rafael Altamira, Il califfato occidentale, in Storia del mondo medievale, vol. II, Garzanti, 1999. ↩︎
- C. Lo Jacono, Storia del mondo islamico: Il vicino oriente da Muḥammad alla fine del sultanato mamelucco, Einaudi, 2003. ↩︎
- C. Marquié, Dame Carcas, une héroïne musulmane?, La Dépêche du Midi, 20 février 2013. ↩︎
- Di Dennis G. Jarvis – France-002119 – Princess Carcas, CC BY-SA 2.0, link all’immagine. ↩︎
- B. Dunn-Lardeau, Édition établie, présentée et annotée de Jehan Du Pré, Le Palais des nobles Dames (Lyon, 1534), Champion, coll. “L’éducation féminine”, Paris, 2002. ↩︎
- G. Albertoni, Il feudalesimo, in U. Eco, Storia della civiltà europea, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 2014. ↩︎
- M. Aurell, Les noces du comte: Mariage et pouvoir en Catalogne (785-1213), 73, N. 4, Medieval Academy of America, 1998. ↩︎
- G. Bourgin, Ermengarda, contessa di Carcassonne, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1932. ↩︎
- J. Vincent, Histoire générale de Languedoc, 1733. ↩︎
- Rerum Gallicarum et Francicarum Scriptores, Tomus XII, Inquisitio circa comitatum Carcassonæ quomodo pervenerit ad comites Barcinonenses. ↩︎
- J.-P. Panouillé, Carcassonne, histoire et architecture, 1999. ↩︎
- J. Poux, La Cité de Carcassonne, précis historique, archéologique et descript, 1925. ↩︎
- Ibidem. ↩︎
- J. Duvernoy, Le Catharisme. L’histoire, 1979. ↩︎
- J. Duvernoy, La religione dei Catari. Fede, dottrine, riti, Edizioni Mediterranee, 2000. ↩︎
- Pièrre des Vaux-de-Cernay, Histoire albigeoise, 1213 circa. ↩︎
- Cesario di Heisterbach, Dialogus magnus visionum et miraculorum, XXI: “Caedite eos. Novit enim Dominus qui sunt eius”. Non è affatto certo che Amalric abbia mai pronunciato questa frase, una citazione dalla Seconda lettera a Timoteo 2, 19. ↩︎
- Ibidem nota 19. ↩︎
- O. Rahn, Kreuzzug gegen den Gral. Die Geschichte der Albigenser, Broschiert, 1933. ↩︎
- Wolfram von Eschenbach, Parzival, traduzione di G. Bianchessi, in I grandi scrittori stranieri, Utet, Torino, 1957. ↩︎
- Ibidem nota 19. ↩︎
- M. Baigent, R. Leigh e H. Lincoln, Il Santo Graal – Una catena di misteri lunga duemila anni, Mondadori, 2003. ↩︎