Il culto di Ercole Vincitore a Tivoli

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Ercole, sin dall’antichità, rappresenta l’archetipo della forza e dell’invincibilità. La divinità romana, tuttavia, è associata a fenomeni cultuali dalle differenti manifestazioni, legate altresì alle attività agropastorali e del commercio. La figura di Ercole deriva da un sincretismo tra gli attributi guerrieri dell’Eracle greco e quelli silvani del dio etrusco Hercle. Sono queste le origini di quel caratteristico intreccio tra il mito, il culto e i simboli, che ci viene oggi tramandato tanto dalla storiografia quanto dalle testimonianze archeologiche. Tra le attestazioni tangibili e materiali del culto della divinità, assume fondamentale importanza il Santuario di Ercole Vincitore a Tivoli.

Quanta invece fu, dicono, la possanza di Eracle, il padre mio, audace consiglio, cuor di leone

Iliade, Libro V

Il mito

La mitologia greca narra che Eracle fosse nato da una relazione amorosa tra Zeus e Alcmena, una bellissima fanciulla di cui il signore dell’Olimpo si era innamorato. Alcmena, tuttavia, non era una donna qualsiasi, ella era figlia del re di Micene Elettrione e aveva contratto matrimonio con il re di Tirinto Anfitrione1. Alcmena aveva anche fama di essere una moglie fedele e Zeus, pur di possederla, aveva assunto le sembianze del marito. Così Eracle, frutto di questo inganno amoroso, era nato semidio; destinato purtroppo alla caducità, in quanto sì generato da Zeus, ma figlio d’una donna mortale.

Non tardò il momento in cui Era, moglie di Zeus, scoprì l’ennesima relazione illegittima del marito. La dea, furente, si ripromise di cancellare dal volto della Terra il frutto inverecondo di quel tradimento. Prima di tutto, Era ostacolò la nascita di Eracle, ritardandone il parto e in tal modo impedendogli di divenire il successore del re di Tirinto. Al suo posto fu proclamato un altro bambino, chiamato Euristeo, giacché era venuto alla luce prima di lui. Eracle non poteva saperlo, ma un destino di fatiche e sofferenza lo attendeva .

Zeus, impietositosi per quell’inerme neonato, a cui egli stesso aveva dato la vita con impudenza, tentò di proteggerlo amorevolmente. Il dio ordinò a Hermes, mentre Era dormiva, di farle avvicinare al seno l’infante con astuzia e accortezza: il latte della dea conferì a Eracle l’invincibilità. Inoltre, quand’ella si risvegliò, una goccia del liquido cadde, dando origine alla Via Lattea. Tale è la ragione del nome Eracle, “gloria di Era”, e del perché uno dei suoi attributi presso le popolazione italiche fosse Invictus.

Le dodici fatiche di Ercole

L’invincibilità di Eracle è narrata in numerosissimi racconti della Grecia antica. Questi racchiudono le famose dodici fatiche (dodekáthlos) che l’eroe dovette compiere per espiare una terribile colpa. Era aveva infatti ordinato a Lissa, divinità della rabbia, di sconvolgergli la mente ed egli, in preda al furore, aveva ucciso la moglie Megara e i suoi otto figli. Recatosi a Delfi su consiglio dell’amico Teseo, Eracle aveva ricevuto dalla Pizia il consiglio di servire per dodici anni il re di Tirinto, così da compiere le imprese che gli sarebbero state richieste. Giacché il sovrano della città era proprio l’odiato Euristeo, colui che aveva usurpato il suo legittimo trono, Eracle ebbe infine come premio l’immortalità.

Le dodici fatiche di Ercole non traggono origine da un unico testo, ma costituiscono piuttosto una raccolta di differenti fonti e racconti orali. Il solo numero dodici ha forse una correlazione con le metope scolpite del tempio dorico di Zeus a Olimpia (472 a.C. – 456 a.C.). Le dodici metope costituivano, infatti, una rappresentazione iconica e celebrativa dell’eroe e delle sue fatiche in tutta la Grecia.

L’ordine tradizionale delle fatiche

In ogni caso, le fatiche di Eracle-Ercole furono trascritte nella raccolta mitografica Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro (I-II secolo d.C.), dove assunsero l’ordine tradizionale in cui ancora oggi sono narrate:

  • l’uccisione del leone di Nemea;
  • il combattimento contro l’idra di Lerna e un enorme granchio inviato da Era che, una volta uccisi, trasmutarono in cielo nelle costellazioni dell’Idra e del Cancro;
  • l’inseguimento della cerva di Cerinea;
  • la cattura del cinghiale d’Erimanto;
  • la pulizia delle enormi stalle del re Augia in un sol giorno;
  • la cacciata degli uccelli del Lago di Stinfalo;
  • la cattura del toro di Creta, che Poseidone aveva donato al re Minosse;
  • il furto delle sanguinarie cavalle di Diomede;
  • la richiesta ad Ippolita, regina delle Amazzoni, della sua preziosa cintura;
  • la cattura dei buoi del gigante Gerione, e il combattimento con il terrificante cane Ortro. Fu durante questa impresa che l’eroe sistemò due possenti pilastri, detti giustappunto Colonne di Ercole, per indicare il limitare oltre il quale ogni umano non poteva andare oltre. I possedimenti di Gerione si trovavano, infatti, ai confini della Terra;
  • il furto di tre pomi d’oro dal giardino delle Esperidi, del quale nessuno conosceva il luogo, con l’aiuto di Atlante;
  • la cattura del guardiano degli inferi Cerbero, mostruoso cane a tre teste.

Le fatiche come allegoria della condizione umana

I racconti delle fatiche di Eracle, tramandati di generazione in generazione, costituiscono un’allegoria della condizione umana di fronte alla precarietà dell’esistenza. Esse sono intrise di un profondo significato spirituale e simboleggiano il cammino interiore che ogni greco dell’antichità doveva idealmente affrontare nel corso della propria vita. Le fatiche dell’eroe sono espressione di una sovrascrittura mitica della natura selvaggia e perigliosa, e in tal senso vanno esaminate le numerose figure animalesche che egli deve affrontare. Le imprese divengono inoltre sempre più difficili e giungono sino ai confini della Terra, là dove si ergono le Colonne di Ercole, metafora del limitare stesso della vita. Oltre questo confine vi è la morte, ultima delle fatiche, e con essa l’aldilà. Luogo sconosciuto, al pari del giardino delle Esperidi, il regno dell’Ade è intriso di mistero e di paura, custodito dal guardiano feroce Cerbero che impedisce a chiunque vi acceda di poter tornare indietro.

Eracle e l’immortalità

Eracle, sebbene figlio di Zeus, era mortale e l’oracolo di Delfi gli aveva profetizzato che nessun vivo avrebbe causato la sua fine. Tuttavia, egli non poteva prevedere che sarebbe stato invece ucciso per mano di un morto. Quando, infatti, Eracle e la moglie Deianira si trovarono ad attraversare un fiume in piena, il centauro Nesso si invaghì della donna e tentò di rapirla. L’eroe colpì il centauro con un dardo avvelenato ma quegli, prima di spirare, intrise una tunica con il suo stesso sangue. Nesso consegnò il vestito a Deianira confidandole che, qualora Eracle l’avesse indossata, si sarebbe nuovamente innamorato di lei.

La donna, tuttavia, non poteva immaginare che il sangue del centauro avesse assimilato la mortifera sostanza. Così, qualche tempo dopo, allorché Eracle indossò la tunica, fu pervaso da un bruciore inimmaginabile che ben presto si trasformò in una terribile agonia. Preparata una pira per indurre la morte attraverso il fuoco, Zeus si impietosì un’ultima volta per quel suo figlio sofferente. Prima che potesse spirare, il corpo di Eracle fu condotto sull’Olimpo con un boato. Sul sacro monte degli Dei l’eroe raggiunse l’immortalità e si riconciliò infine con Era.

Il culto

Il culto di Eracle giunse tra le popolazioni italiche sin dalla fondazione delle colonie greche di Pithecusa sull’isola d’Ischia e Cuma (VIII secolo a.C.). Da qui, attraverso gli scambi commerciali con le popolazioni limitrofe, si dovette diffondere presso i Sanniti, gli Etruschi (Hercle) e infine i Latini, dove divenne Hercules. Pur conservando quasi intatti i dettami del mito, in questo peregrinare sincretico Ercole si caratterizzò di nuove connotazioni. Tra gli Etruschi divenne, ad esempio, associato alle fonti d’acqua e spesso raffigurato su vasi, monili e sarcofagi nell’atto di specchiarsi sulla superficie sorgiva mentre indossa il suo mantello leonino.

Attraverso nuove sensibilità e il mutare dei contesti, l’eroe divenne pertanto connesso all’attività agropastorale e alla lealtà nel commercio. D’altronde, il mito attribuisce ad Ercole la cacciata dei briganti fraudolenti dal foro Boario a Roma, tra cui il gigante Caco, durante la sua decima fatica. Furono tutti questi gli attributi, in aggiunta a quelli caratterizzanti dell’età greca, oggetto di cerimoniale a Roma. Un primitivo culto di Ercole si originò forse a Tivoli, dove sorse un grandioso santuario che venerava il dio come guerriero, protettore del commercio e della pastorizia.

Il culto di Ercole Vincitore a Tivoli

L’esistenza a Tivoli di un culto dedicato a Ercole è testimoniata da numerose fonti letterarie e storiografiche dell’epoca. Strabone3 e Svetonio4 riferiscono di una dedicazione al dio presso Tibur Herculeum. Qui Ercole era celebrato come Victor, nell’accezione di vincitore, in quanto gli era stata dedicata una vittoria contro gli Equi, o forse i Volsci.

“A Tiburi sono un tempio dedicato a Ercole, ed una cataratta formata dall’Anio […]”

Strabone, Geografia, Libro V

La venerazione dell’Ercole tiburtino presentava un’organizzazione cultuale caratteristica. Il corpus dei sacerdoti era affiancato, infatti, da ordini collegiali e figure amministrative quali il magister Herculis Victoris e il curator fani Herculis Victoris. Si trattava di cariche religiose e politiche che non si occupavano soltanto della gestione e promozione del culto, ma anche del commercio vero e proprio, ragion per cui il Santuario acquisì enormi ricchezze. Inoltre, a partire dall’impero augusteo, il culto di Ercole fu strettamente connesso con quello del princeps. L’istituzione collegiale degli herculanei et augustales, gli addetti al culto di Ercole e dell’imperatore Augusto, ne è una chiara testimonianza.

Il culto di Ercole acquisì, dunque, un’importanza tanto religiosa quanto socio-economica e politica. Nei giorni 12 e 13 di agosto si teneva una cerimonia in onore della divinità, presieduta dal collegio dei Salii. Essi, con indosso pelli di animale e imbracciando delle armi, cantavano le lodi alla divinità. I cerimoniali si svolgevano presso l’imponente complesso del Santuario di Ercole Vincitore, di cui oggi permangono importanti evidenze archeologiche.

Il Santuario di Ercole Vincitore a Tivoli

Nei Memorabilia il giurista romano Masurio Sabino racconta come l’edificazione di un tempio a Tivoli, in onore di Hercules Victor, fosse stata voluta dal commerciante Octavius Herennius come ringraziamento per essere scampato ad un attacco dei pirati. Si tratta di un racconto leggendario che ha avuto un’importante fortuna storiografica, tanto da venir poi ripreso da Macrobio nel V secolo. Ciò nondimeno, malgrado l’assenza di fonti documentali che attestano la reale esistenza del mercante Octavius Herennius, la narrazione ha il merito di mettere in risalto l’importanza che il culto di Ercole doveva avere per i Tiburtini.

In ogni caso, il Santuario dovette sorgere solo dopo la conquista romana della Grecia (146 a.C.), raccogliendo la tradizione del culto erculeo già presente a Tivoli. Tale intuizione si può evincere dalla tipologia edificatoria, con fronte a terrazzamenti digradanti, che si rinviene in coevi complessi templari come a Terracina e Palestrina. Oggi è possibile ammirare solamente poche rimanenze dell’area sacra, ma esse sono sufficienti per intuire la maestosità che il tempio di Tibur doveva possedere.

L’area archeologica

L’area templare si snodava su un spianata monumentale di circa 188 x 144 metri, innalzata rispetto alla valle sottostante, e al fiume Aniene, da un dirupo di un centinaio di metri. La collina fu modellata in modo da adagiare il Santuario su più livelli digradanti tramite sostruzioni ad archi sovrapposti su due ordini5. In tal modo l’opera architettonica si assottigliava posteriormente, mentre il prospetto volto all’Aniene si aggettava verso lo strapiombo mostrando tutti i livelli costruttori. Veniva così ricavato il temenos attraverso una piattaforma artificiale, sul quale poggiavano gli edifici sacri.

Il Santuario era inoltre percorso dalla via tecta che lo traversava inferiormente al temenos e, pertanto, costituiva qui un percorso coperto, simile a una galleria. La strada era larga circa otto metri e ospitava lungo il percorso numerose botteghe ed esercizi dediti al commercio.

Il piazzale del Santuario era circondato da portici su tre lati e racchiudeva il tempio di Ercole con il suo podio nonché, antistante ad esso, un teatro. Il tempio, visibile persino da Roma6, era ottastilo e periptero sine postico. Vi si accedeva mediante un’ampia scalinata, ai lati della quale erano poste due fontane adibite a ninfeo per officiare le pratiche di purificazione. La cella del tempio ospitava la statua della divinità Hercules Victor oppure Invictus, possedeva doppio colonnato ed era pavimentata con splendidi marmi policromi.

Alcuni locali sotterranei ospitavano forse gli ex-voto e le offerte dei fedeli. Innanzi ai portici del temenos, accostate ai pilastri e lungo il piazzale, facevano bella mostra differenti statue di personaggi onorari. Tra queste vi era il famoso Generale di Tivoli, oggi conservato presso il Museo Nazionale Romano a Roma.

Il Santuario di Ercole Vincitore sino ad oggi

Le poche rimanenze archeologiche oggi presenti a Tivoli sono riferibili a una sfortunata serie di circostanze storiche e interpretative. Dopo che il Santuario raggiunse l’apice della sua ricchezza durante il governo adrianeo – l’imperatore aveva persino trasferito la sua residenza a Tivoli, nella Villa Adriana – andò in decadenza negli anni che seguirono l’Editto di Milano. Con l’insorgere delle guerre greco-gotiche (VI secolo) l’area divenne fortezza militare e fu per i secoli a venire oggetto di spoliazioni. Durante il Medioevo finanche la sua originale funzione fu dimenticata e, quasi sino all’Ottocento, si credette che l’area avesse ospitato in realtà la Villa di Mecenate8. Soltanto nel 1819 l’archeologo Antonio Nibby riconobbe nei resti tiburtini l’antico Santuario di Ercole Vincitore9.

Alla fine dell’Ottocento l’area fu, invece, interessata da profondi e, agli occhi odierni, sconsiderati interventi industriali. La Società per le Forze Idrauliche per l’Industria e l’Agricoltura vi insediò una centrale idroelettrica (1884) e contestualmente Giuseppe Segrè ebbe il permesso di insediarvi una cartiera. Fortunatamente l’aspetto del Santuario, come appariva prima di essere trasformato in un polo industriale, fu immortalato in una serie di rilievi prospettici dall’architetto Charles-Alphonse Thierry (1862).

Le sue tavole rappresentano una testimonianza importantissima di memoria storica, che permettono di ricostruire idealmente la perduta architettura del tempio. Inoltre, esse hanno permesso di suscitare quella diffusa sensibilità di riscoperta dell’antico che ha condotto infine ai restauri condotti negli anni 2008 e 2009. Gli interventi di valorizzazione più sensazionali riguardano la ricostruzione del prospetto templare in ferro e l’istituzione di un antiquarium, il quale ospita i resti scultorei rinvenuti nell’area.

Tra questi, alcune raffigurazioni di Ercole: un mezzobusto dell’eroe e una piccola statuetta in marmo bianco, rinvenuta in una delle fontane del tempio.

Samuele Corrente Naso e Daniela Campus

Mappa dei luoghi

Note

  1. Heracles, enciclopedia britannica, 2002. ↩︎
  2. Di Doruk Bacca – Opera propria, CC BY-SA 4.0, immagine. ↩︎
  3. Strabone, Geografia, Libro V. ↩︎
  4. Nel Libro dei Cesari Svetonio riferisce che l’imperatore Augusto soleva amministrare la giustizia sotto i portici del tempio di Ercole. ↩︎
  5. F. Giuliani Cairoli , Tivoli: Il Santuario di Ercole Vincitore, Tiburis artistica, 2004. ↩︎
  6. Ibidem. ↩︎
  7. Di Amphipolis – So-called Tivoli General, CC BY-SA 2.0, immagine. ↩︎
  8. F. Giuliani Cairoli, A. Ten, Santuario di Ercole Vincitore a Tivoli, III. L’architettura, Bollettino d’arte, Estratto dal Fascicolo N. 30, aprile-giugno 2016. ↩︎
  9. Viaggio antiquario ne’ contorni di Roma di Antonio Nibby membro ordinario dell’Accademia Romana di Archeologia, Roma, 1819. Link risorsa. ↩︎

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