La pieve di San Giorgio di Valpolicella, scrigno d’arte e storia

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Sulla cima di un poggio gentile della Valpolicella sorge da tempi remoti la chiesa di San Giorgio. Umile con le sue pietre a vista, senza prospetti appariscenti, l’edificio sembra adagiato in quel luogo da sempre. Risalendo i sentieri lungo il pendio della collina, guidati dalla vista del suo campanile massiccio, se ne può quasi respirare il fascino antico. La chiesa e il suo chiostro erano forse qui prima di ogni altra cosa? Il borgo di San Giorgio di Valpolicella vi crebbe attorno, con il rispetto che si deve ai saggi e agli anziani. La pieve conserva la memoria storica del luogo, custodisce segreti e conoscenze di altri tempi, culla misteri ancora da svelare.

L‘enigmatica iscrizione longobarda

Le prime fonti documentali della chiesa di San Giorgio di Valpolicella risalgono al X secolo, ma alcuni indizi rivelano che l’edificio esistesse già in epoca longobarda. Sulle colonne del ciborio, ricostruito nel 19231, fu incisa un’iscrizione che senza dubbio alcuno si fa risalire agli anni di re Liutprando. L’epigrafe inizia invero da un frammento oggi conservato al Museo civico di Castelvecchio di Verona2. Questo il testo completo:

IN N(omine) D(omi)NI IH(es)V XPI DE DONIS S(an)C(t)I IVHANNES BAPTESTE EDI FICATUS EST HANC CIVORIVS SUB TEMPORE – [DO]MNO NOSTRO LIOPRANDO REGE ET V(iro) B(eatissimo) PATER NO(str)O DOMNICO EPESCOPO ET COSTODES EIUS V(iri) V(enerabiles) VIDALIANO ET TANCOL PR(es)B(yte)RIS ET REFOL GASTALDIO GONDELME INDIGNVS DIACONNVS SCRIP SI

+ URSVS MAG(ister) CVM DISCEPOLIS SVIS IVVINTINO ET IVVIANO EDI FICAVET HANC CIVORIVM VERGONDVS TEODAL FO SCARI

La scritta, distinta in due parti, rivela alcuni elementi storici di grande interesse. Giacché “nel nome del signore Gesù Cristo e dai doni di San Giovanni Battista fu edificato questo ciborio” è possibile supporre che la chiesa fosse in origine dedicata a San Giovanni, oppure che nelle vicinanze esistesse un altro edificio di culto con tale intitolazione, chissà forse un battistero3.

L’iscrizione riferisce che il manufatto fu opera del magister Orso e dei suoi scalpellini Gioventino e Gioviano. Inoltre, rivela che fu apposta al tempo del vescovo Domenico e soprattutto di Liutprando, sovrano longobardo che governò l’Italia tra il 712 e il 744. I presbiteri Vidaliano e Tancol sono indicati invece come custodes del ciborio, ossia delle donazioni rivolte dai fedeli a San Giovanni, mentre Refol era il gastaldo finanziario del re. L’epigrafe costituiva in tal senso un vero e proprio atto giuridico scolpito nella pietra, il cui testimone, in calce alla prima parte dell’epigrafe, era indicato in tale Gondelmo.

“Nel nome del signore Gesù Cristo e dai doni di San Giovanni Battista fu edificato questo ciborio, essendo re Liutprando e vescovo Domenico, e custodi i presbiteri Vidaliano e Tancol, e gastaldo Refol. Questo ho scritto io, indegno diacono, Gondelmo.

+ Orso capomastro coi suoi discepoli Gioventino e Gioviano ha edificato questo ciborio. Vergondo e Teodalfo scari.

La pieve romanica di San Giorgio di Valpolicella

A parte l’iscrizione del ciborio, non possediamo altre testimonianze scritte della chiesa di San Giorgio in epoca longobarda. L’edificio di culto giunto ai nostri giorni è romanico, segno di una totale ricostruzione nei secoli successivi. Non sappiamo nemmeno quando fu elevato al grado di pieve4, ovvero dotato di un proprio clero con funzioni amministrative che poteva riscuotere la decima, battezzare e ordinare nuovi chierici5. È possibile soltanto raccogliere degli indizi in alcune polverose fonti documentali.

Un testamento del 931 rivela che i beni del visdomino di Verona, Dagiberto, fossero stati donati alla “scola sacerdotum plebis Sancti Georrii6. Si tratta di una notizia preziosa che segnala come a San Giorgio di Valpolicella risiedesse una comunità di canonici. Ancora nel 1078 la chiesa era menzionata in un documento comprovante la cessione di alcuni appezzamenti da parte di un certo prete Liuzo ai “fratres della scola de plebe Sancti Georgii7. Nel 1187 era invece l’arciprete della stessa pieve, Martino, ad attestare l’esistenza di una domus episcopi nel castrum di San Giorgio dove, alla presenza di dodici fratres e del vescovo Adelardo, firmava la cessione di una sua proprietà immobiliare.

Possiamo immaginare che il complesso di San Giorgio si andò costituendo in questo periodo come oggi lo vediamo. Venne fornito di una chiesa, un chiostro e una canonica con la sala capitolare, in modo da rispondere pienamente alle esigenze che la vita comunitaria richiedeva. Inoltre, si eresse un massiccio campanile a pianta quadrata, su quattro ordini, con cella campanaria provvista di bifore e trifore.

La chiesa

La chiesa fu concepita a tre navate e doppia abside est-ovest, con copertura a capriate lignee. La spessa muratura della pieve, in pietra calcarea locale, si apre all’esterno solo attraverso strette monofore strombate. I suoi costruttori di certo sovrascrissero le strutture longobarde, delle quali sopravvive forse la sola abside semicircolare a ponente. Di sicura realizzazione romanica è invece l’abside orientale, l’unica tripartita. Questa sorta di contrapposizione tra i due poli della chiesa si rileva anche negli spazi interni. Gli archi a tutto sesto che separano le navate sono impostati su pilastri quadrangolari nell’area occidentale, riservata ai fedeli, e su colonnine in quella orientale, rialzata in quanto destinata all’uso liturgico da parte dei canonici.

A livello dell’abside est si innesta il presbiterio, ove si colloca il discusso ciborio che oggi sovrasta l’altare principale. Ma non è peregrina l’ipotesi che la struttura longobarda potesse rivestire un fonte battesimale intitolato a San Giovanni, come si potrebbe dedurre dall’iscrizione sulle colonne di sostegno. Tuttavia, non è nemmeno da escludere che i suoi archi facessero parte di un’iconostasi che separava la porzione plebana della chiesa da quella riservata al clero. Qui si rivengono, infatti, le decorazioni geometriche tipiche dei plutei di età longobarda, insieme a bassorilievi raffiguranti simboli cristologici, tra cui croci, ruote, soli, pesci, colombe, pavoni, tralci di vite.

La pieve di San Giorgio era concepita per essere accessibile solo attraverso un piccolo portale sul lato a meridione, traversando il chiostro. Nei secoli successivi, tuttavia, si ricavarono altri ingressi sullo stesso fianco dell’edificio. Alla prima metà del XIX secolo risale inoltre l’aggiunta di un grande portale neogotico nell’abside occidentale.

Gli affreschi in San Giorgio di Valpolicella

La pieve di San Giorgio venne affrescata sin dai primi secoli dopo la sua realizzazione. Il dipinto più antico, secondo alcuni autori, risale addirittura all’XI secolo8: è il Cristo Pantocratore inscritto in una mandorla, di derivazione stilistica bizantina, che si può ammirare sul catino dell’abside occidentale. L’Onnipotente è attorniato da figure ormai indistinguibili ma, attingendo dalla tradizione iconografica, si può immaginare che si tratti dei simboli del Tetramorfo, ossia il leone dell’evangelista Marco, l’angelo di Matteo, l’aquila di Giovanni e il bue di Luca.

Al XIV secolo appartengono gli affreschi di santi realizzati sui pilastri tra le navate. Si possono riconoscere Santa Caterina d’Alessandria, un vescovo, una Vergine con bambino e Sant’Antonio abate, una Madonna della Misericordia, San Bartolomeo e Maria Maddalena. Lungo la navata destra sono invece di rilievo la Madonna in trono con bambino e santi presso l’abside (XII secolo) e un dipinto, molto compromesso, che potrebbe corrispondere a una Cacciata dal paradiso terrestre di Adamo ed Eva (XIII secolo).

Un’Ultima Cena di pregevole fattura venne affrescata nel XIV secolo lungo la medesima navata. Il dipinto appare oggi mutilo a causa dell’apertura di un ingresso laterale, ma se ne può ancora intuire l’originale rappresentazione. Il momento scenico è quello in cui Cristo afferma “in verità vi dico: uno di voi mi tradirà”. Il Messia, con volto serio e impassibile, è seduto al centro della raffigurazione, mentre gli apostoli discutono tra loro su chi possa essere il traditore. La figura di Giuda, collocata sull’altro lato della tavola imbandita, come da tradizione iconografica, è ormai quasi cancellata; se ne può dedurre l’esistenza da un drappo della veste9.

L’ara del Sole e della Luna

Una delle colonne che sorreggono gli archi sul fianco meridionale è più corta delle altre. Poggia infatti su un basamento in pietra, di forma grosso modo cubica, sul quale si legge:

SOLI ET LVNAI / Q(uintus) SERTORIVS Q(uinti) F(ilius) / FESTUS FLAMEN

C.I.L. V, 3917

È facile riconoscervi un’ara romana dedicata alle divinità Sol e Luna, espressione di un culto ancora più antico esistente sul territorio. Sul rilievo collinare di San Giorgio risiedevano infatti gli Arusnati, popolazione italica attestata nel V secolo e dedita all’agricoltura.

Nel pagus Arusnatium gli archeologi hanno trovato più di duecento statuine votive in terracotta e varie epigrafi, alcune riutilizzate nei capitelli della pieve in età romanica. Ebbene, le iscrizioni degli Arusnati elencano le divinità venerate da quel popolo. Sono nomi ancora sconosciuti: Cuslanus, Sqnnagalle, Ihamnagalle, che ricordano vagamente il pantheon degli Etruschi10, e soprattutto sono latinizzati, segno dell’avvento dei Romani e di un processo di acculturazione già in atto11. Su un’epigrafe di reimpiego rinvenuta nella zona absidale della chiesa12, si può forse riconoscere la sola invocazione alla dea Lua, paredra di Saturno13 e quindi possibile signora dell’agricoltura. L’immaginazione ci porta ad affermare che gli Arusnati, su questo sacro poggio della Valpolicella, nell’antichità officiassero riti propiziatori per la fertilità del suolo, ma si tratta solo di una suggestione.

Il chiostro e la sala capitolare di San Giorgio di Valpolicella

Il chiostro è scandito, su tre bracci, da eleganti arcate con snelle colonne, talvolta binate. I capitelli a tronco di piramide rovesciata, più di rado cubici, furono scolpiti con cura in uno stile essenziale e geometrico. Le decorazioni includono motivi fitoformi, bestie animalesche, mascheroni e il fiore della vita.

Sul fianco orientale del chiostro sono sopravvissute tracce delle antiche pitture parietali. A fatica possiamo ancora distinguere la sagoma di un uomo inginocchiato davanti a un giglio, simbolo di purezza. Poco più in là, una fiera ruggente è metafora del male e del peccato. Dal chiostro si poteva accedere alla canonica e alla sala capitolare, le cui pareti affrescate riproducono stelle, nodi e frasi evangeliche.

Non passa inosservata, infine, una bella incisione della triplice cinta sul muretto di sostegno delle colonne. Altre due si trovano sulla lastra di copertura di un sarcofago posto all’incrocio dei bracci coperti a nord-est. Si trattava soltanto di tabulae lusoriae, tavolieri per il gioco del Filetto, oppure vennero incise a San Giorgio di Valpolicella per altre ragioni?

Nel Medioevo gli schemi geometrici erano associati al sacro. Tracciati in maniera rituale, essi possedevano proporzioni definite e mimavano l’armonia del creato. Nei tre quadrati concentrici è possibile intravedere il principio dell’analogia tra il microcosmo e il macrocosmo, nonché la presenza dei quattro elementi che costituiscono il creato. È la medesima simbologia su cui si basavano i magistri medievali per la costruzione dei chiostri plevani e abbaziali, luogo al contempo dell’acqua e della terra, dell’aria e del fuoco. È possibile dunque che la triplice cinta possedesse un particolare messaggio simbolico a noi sconosciuto, ma ben noto ai membri della comunità di San Giorgio.

Samuele Corrente Naso

Mappa dei luoghi

Note

  1. G. Silvestri, La Valpolicella, Centro di documentazione per la storia della Valpolicella, 1983. ↩︎
  2. E. Napione, Ciborio di San Giorgio di Valpolicella. L’iscrizione di VIII secolo, in Sotto il profilo del metodo. Studi in onore di Silvia Lusuardi Siena, SAP Società Archeologica s.r.l., Mantova, 2021. ↩︎
  3. A. Brugnoli, F. Cortellazzo, L’iscrizione del ciborio di San Giorgio di Valpolicella, in Annuario Storico della Valpolicella, 2012. ↩︎
  4. La prima menzione di una “plebem Sancti Georgii cum cappellis” è nella pontifica di Eugenio III Piae postulatio voluntatis emanata il 17 maggio 1145. ↩︎
  5. Ibidem nota 2. ↩︎
  6. A. Brugnoli, Il “castrum” e il territorio di San Giorgio nel medioevo: vicende istituzionali e tracce materiali, in Annuario Storico della Valpolicella, 1999-2000. ↩︎
  7. A. Castagnetti, La Valpolicella dall’alto medioevo all’età comunale, Verona, 1984. ↩︎
  8. W. Arslan, L’architettura romanica veronese, 1939. ↩︎
  9. F. Piccoli, Un’Ultima cena nella Pieve di San Giorgio e un pittore in Valpolicella all’alba del XV secolo, in Annuario Storico della Valpolicella, 2014.  ↩︎
  10. S. Mazzarino, Il basso impero. Antico, tardoantico ed era costantiniana, Volume 2, Bari, Edizioni Dedalo, 1980. ↩︎
  11. M. Bolla, La chiesa di San Giorgio di Valpolicella, Verona, Pro loco San Giorgio di Valpolicella, 1999. ↩︎
  12. Alfredo Buonopane, Dis Pater e Lua dea in un’iscrizione di Verona, in Ruri mea vixi colendo. Studi in onore di Franco Porrà, a cura di A.M. Corda e P. Floris, Cagliari, Sandhi Edizioni, 2012. ↩︎
  13. Aulo Gellio, XIII, 23, 2. ↩︎

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