Raimondo di Sangro e la cappella esoterica di Sansevero a Napoli

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La città di Napoli, già famosa per le sue luminose e trafficate strade, fa da cornice a incredibili bellezze naturalistiche, straordinarie leggende e intricate vicende storiche. Le origini della metropoli, infatti, sono connesse alla sirena Partenope, protagonista di un mitologico racconto.

La leggenda narra che Partenope fosse la figlia della divinità primordiale Forco. Le Argonautiche Orfiche (V secolo d.C) riferiscono, infatti, che le tre sirene Partenope, Ligeia e Leucosia furono battute nel canto da Orfeo. Disperate, si gettarono in acqua dove furono trasformate in scogli.

Un’altra versione, riportata nelle Argonautiche di Apollonio Rodio (III secolo a.C.), racconta di come Ulisse con la sua nave si trovò a passare proprio nel luogo abitato dalle sirene. Partenope, non appena lo vide, se ne innamorò perdutamente e tentò di sedurlo con la sua voce. Tuttavia, Ulisse non corrispose il suo amore e per questo Partenope, sopraffatta dal dolore, si gettò dallo scoglio più alto.  Esanime, fu trascinata dalla corrente sino al golfo di Napoli, laddove si adagiò e diede origine alla città. La testa di Partenope plasmò la collina di Capodimonte, mentre la sua coda si poggiò sulle colline di Posillipo.

La città oggi, tuttavia, appare assai lontana dai racconti mitici sulle sue origini, con la sua viva modernità e l’esuberanza degli abitanti. Eppure, nel corso della millenaria storia che l’ha vista assoluta protagonista, Napoli ha dato i natali a ferventi e inimitabili personalità storiche. Fra queste, vale la pena evidenziare l’eclettica figura di Raimondo di Sangro.

Il principe Raimondo di Sangro

Raimondo di Sangro nacque nel 1710 a Torremaggiore (in Puglia) nel territorio di Sansevero, feudo della sua famiglia. Il giovane principe fu affidato sin da tenera età al nonno Paolo poiché il padre non aveva tempo di occuparsi di lui. La madre, invece, morì quando Raimondo aveva un anno. Una prima fase della formazione di Raimondo avvenne dunque nella città di Napoli, a quel tempo capitale del viceregno austriaco. Poiché il ragazzo mostrava grandi capacità intellettive, fu in seguito trasferito a Roma presso il Collegio dei Gesuiti. Qui Raimondo ebbe l’opportunità di studiare filosofia, lingue e scienze naturali. Inoltre, si appassionò agli scritti e le opere di Athanasius Kircher, famoso alchimista ed ermetista. A soli sedici anni Raimondo di Sangro divenne il principe di Sansevero a causa della morte del nonno.

La vita del neo-sovrano fu costellata da straordinari successi in campo politico e militare, nonché da brillanti invenzioni belliche. Egli dedicò la sua vita alla lettura e alle conoscenze esoteriche, come quelle di stampo illuministico, scientifico e alchemico. Nel 1737 aderì pertanto alla Massoneria napoletana, divenendone ben presto Gran Maestro (1750). Tuttavia, il re borbonico Carlo III promulgò l’anno successivo una bolla con la quale condannava i membri di tale associazione. Raimondo dovette pertanto rinunciare al suo incarico, ma solo in maniera formale; già lo stesso anno egli entrava in dissapore con la Santa Sede a causa di alcuni scritti che vertevano sulla conoscenza esoterica, la numerologia e la cabala.

Le invenzioni e la Cappella Sansevero

Da quel momento il principe evitò accuratamente la pubblicazione di volumi o epistole che potessero attirargli una scomunica latae sententiae, e si dedicò quasi esclusivamente all’attività inventiva. A questo periodo risale l’invenzione di un fantomatico lume perpetuo, ma soprattutto la rappresentazione iconografica della sua personale cappella. Questa è la famosa Cappella Sansevero, all’interno della quale Raimondo volle raffigurare un percorso alchemico e simbolistico, in parte correlato alla sua stessa vita.  Ad oggi, ad esempio, è ancora possibile ammirare le statue del Cristo Velato, della Pudicizia e del Disinganno, considerate tra i massimi capolavori dell’arte scultorea mondiale.

Nell’ultima parte della sua vita Raimondo organizzò un laboratorio alchemico famoso e ricercato, all’interno del quale poter realizzare, insieme al medico Giuseppe Salerno, delle incredibili e realistiche Macchine Anatomiche. Tali sono infatti degli scheletri sui quali il principe volle ricostruire minuziosamente i principali organi e il sistema ematico, a scopo scientifico. Le Macchine Anatomiche sono custodite all’interno della Cappella Sansevero. Il 22 marzo del 1771 Raimondo di Sangro morì a causa di una malattia dovuta all’esalazione di sostanze chimiche.

Leggende popolari su Raimondo di Sangro

In seguito alla morte di Raimondo di Sangro sorsero numerose leggende e miti popolari. In particolare, si narrava che «Fiamme vaganti, luci infernali – diceva il popolo – passavano dietro gli enormi finestroni che danno, dal pianterreno, nel Vico Sansevero […] Scomparivano le fiamme, si rifaceva il buio, ed ecco, rumori sordi e prolungati suonavano là dentro: di volta in volta, nel silenzio della notte, s’udiva come il tintinnio di un’incudine percossa da un martello pesante, o si scuoteva e tremava il selciato del vicoletto come per il prossimo passaggio di enormi carri invisibili» [Salvatore di Giacomo].

Tale notorietà è altresì confermata da Benedetto Croce: «per il popolino delle strade che attorniano la Cappella dei Sangro [il principe di Sansevero] è l’incarnazione napoletana del dottor Faust […] che ha fatto il patto col diavolo, ed è divenuto un quasi diavolo esso stesso, per padroneggiare i più riposti segreti della natura».

Lo stesso Croce riporta i misteri che aleggiano intorno alla morte del principe di Sansevero: «Quando sentì non lontana la morte, provvide a risorgere, e da uno schiavo moro si lasciò tagliare a pezzi e ben adattare in una cassa, donde sarebbe balzato fuori vivo e sano a tempo prefisso; senonché la famiglia […] cercò la cassa, la scoperchiò prima del tempo, mentre i pezzi del corpo erano ancora in processo di saldatura, e il principe, come risvegliato nel sonno, fece per sollevarsi, ma ricadde subito, gettando un urlo di dannato».

La Cappella Sansevero

Nel cuore di Napoli, appena svoltando un angolo tra gli stretti vicoli del centro storico, appare una delle più straordinarie meraviglie architettoniche di tutto il sud Italia. Sebbene esternamente la cappella di Sansevero possa apparire quasi assimilabile a tanti altri edifici che si trovano nel cuore del capoluogo campano, la sua unicità risiede nei sorprendenti interni. Qui i numerosi visitatori sono quotidianamente accolti da un complesso scultoreo di rara bellezza e fattezze quasi soprannaturali. A cominciare dalla stupefacente rappresentazione del Cristo Velato, famosa in tutto il mondo, sino ai più nascosti dettagli, la cappella assurge a manifesto di iconica bellezza e affascinanti misteri.

Il percorso esoterico di Raimondo di Sangro

È opinione diffusa che il principe di Sansevero abbia voluto lasciare celati indizi, all’interno della sua cappella, concernenti un percorso alchemico di iniziazione massonica. Esso era il cammino che l’adepto, all’interno di una società segreta, doveva compiere per giungere all’illuminazione. Tale era la conoscenza superiore a cui l’uomo poteva tendere; essa veniva idealmente rappresentata dal concetto alchemico della pietra filosofale. Quest’ultima, infatti, al contrario di quanto si pensa comunemente, non era soltanto quella sostanza capace di tramutare il vile metallo in oro, ma possedeva il potere di trasformare l’uomo stesso attraverso la conoscenza.

Struttura della Cappella Sansevero

L’aspetto suggestivo della Cappella di Sansevero è generato non solo dalle statue a cui è legata la sua fama, bensì anche alla struttura. Il soffitto, ad esempio, è affrescato da Francesco Maria Russo (1749) attraverso brillanti raffigurazioni allegoriche dei Santi della famiglia Sangro e ritratti di cardinali. L’affresco Gloria del Paradiso copre l’intera volta. Si narra che i colori utilizzati dal Russo siano stati preparati dallo stesso Raimondo.

La volta

La volta costituisce il primo dei tre percorsi di cui si compone la Cappella. Esso è il percorso metafisico del Macrocosmo, in cui i colori dell’oro e del verde, che dominano l’affresco, fanno riferimento alla promessa del Tempio-Tenda che la bontà divina offrì ad Adam Kadmon agli albori della creazione. I santi e gli angeli raffigurati nell’affresco enunciano un cammino la cui meta finale dell’uomo è la riconquista dello stato di Adam Kadmon, che in ebraico indica lo stato di purezza dell’uomo prima del peccato originale.

Il pavimento

Volgendo lo sguardo in basso, l’attenzione viene catturata dal labirintico pavimento. «Così laddove al tempo della mia morte non si trovasse già di tutto punto finito e piantato il pavimento della riferita chiesa, che io sto attualmente facendo finire, voglio e premurosamente incarico al citato mio erede universale e primogenito che senza intermissione ne faccia continuare il lavoro fino all’intero suo compimento, e questo coll’assistenza precisamente e colla direzione di don Francesco Celebrano, il quale è colui che sin da principio ne ha diretta la difficile e intralciata esecuzione …» [1].

 La sua originalità deriva dalla riproposizione di un labirinto, composto di un’unica linea bianca che si articola in maniera continua, senza giunture.  La scelta del labirinto non è affatto casuale. Esso è infatti una componente essenziale del percorso iniziatico dell’alchimista, attraverso il quale si cerca la via di uscita verso la verità. Trattasi del cammino dell’uomo, fatto di scelte in cui ognuno deve decidere quale sia la strada da seguire, al fine di non rimanere prigionieri.

A causa di un crollo avvenuto nel 1889 il pavimento della cappella fu danneggiato gravemente. Pertanto, ad oggi è possibile osservare il pavimento originale esclusivamente davanti la tomba del principe di Sansevero. Il suo particolare disegno consta di un’alternanza di croci gammate e quadrati concentrici.

Il Cristo Velato

Le statue che adornano la cappella fanno parte del percorso iniziatico voluto da Raimondo di Sangro. In primis, l’opera maggiormente rappresentativa è il Cristo velato (1753). Essa è situata al centro della struttura; si tratta di una magistrale rappresentazione del Cristo deposto dalla croce. Il soggetto è avvolto in un realistico sudario che lo ricopre come un manto da capo a piedi. La posizione del Cristo appare morbida, con il capo leggermente reclinato all’indietro, le braccia distese, con il dorso rivolto verso l’alto, e ben visibili i segni della crocifissione. Ai piedi dell’opera, in posizione prona, è adagiata la dolorosa corona di spine.

Tale è la delicatezza e la preziosità del velo marmoreo, che ricopre il Cristo, da apparire simile a seta e da suggerire quasi che il corpo avvolto tra i suoi lembi sia dormiente. A prima vista, esso traspare ammantato di un vivido realismo, quasi che non si tratti di opera umana, bensì della trasfigurazione stessa del Cristo nella dura pietra. Tale è la maestria con cui Sanmartino realizzò l’opera, e tale è la totale assenza di incertezze scultoree, che a molti risulta ancora oggi incredibile la sua realizzazione. Alcuni racconti popolari, della città di Napoli, narrano che il principe Raimondo ottenne il velo del Cristo direttamente da un processo di pietrificazione, e questo sarebbe il motivo per cui ci appare tanto realistico.

Il Cristo velato, da un punto di vista esoterico, potrebbe rappresentare lo stato dell’uomo prima di iniziare il percorso di iniziazione: la morte senza conoscenza, che nell’alchimia tradizionale viene rappresentata dallo zolfo.

La statua della Pudicizia

La statua, realizzata da Antonio Corradini (1752) rappresenta la madre di Raimondo, Cecilia Gaetani dell’Aquila d’Aragona, morta quando il principe aveva meno di un anno. La prematura dipartita della donna è idealizzata attraverso un complesso sistema di simboli: una lapide spezzata, lo sguardo come perso nel vuoto e l’albero della vita che sorge ai piedi della scultura. Come il Cristo Velato, la statua della Pudicizia è ricoperta da un velo semitrasparente che sembra accarezzare dolcemente le forme della donna, la cui vita è cinta da una ghirlanda di rose.

L’intera opera scultorea è altresì un’allegoria esoterica della sapienza. Essa, infatti, parrebbe rifarsi al mito egizio di Iside, già cara negli ambienti massonici del XVIII secolo. La dea egizia era infatti la protettrice degli adepti che volevano incominciare il percorso di iniziazione verso la gnosi, la conoscenza. Da un punto di vista alchemico, la pudicizia è rappresentata attraverso la simbologia del mercurio.

La statua del Disinganno

Mentre la madre di Raimondo veniva raffigurata come eroina della pudicizia e dell’onestà, non si può affermare lo stesso del padre Antonio. Anch’egli è, infatti, rappresentato all’interno della Cappella di Sansevero in un’opera scultorea ma da un significato ben differente.

L’opera a lui dedicata è il Disinganno (Francesco Queirolo, 1753-54), che raffigura un uomo avvolto da una rete da pesca, dalla quale tenta di liberarsi. Tanto realista appare la rete da essere stata, nel tempo, anch’essa soggetta a bizzarre congetture sulla sua realizzazione. Si vociferava, infatti, che anche qui ci fosse lo zampino del principe Raimondo e che essa sia stata ottenuta attraverso un processo alchemico.

Tale rappresentazione è un chiaro riferimento alla vita trascorsa nella dissolutezza dei beni e della carne da parte di Antonio. Questi, infatti, in seguito alla morte della giovane moglie, si diede ad una vita mondana e sregolata, abbandonando il figlio alle cure del nonno. Divenuto ormai anziano, fece ritorno a Napoli, pentendosi dei suoi peccati e abbracciando la vita sacerdotale. Come la statua si libera dalla rete che lo imbriglia nelle sue debolezze, così Antonio si allontana dalle frivolezze del mondo, raffigurato ai suoi piedi. In questo è aiutato da un angelo custode, che lo riconduce all’intelletto. Fa da corollario alla scena il passo dell’evangelista Matteo, nel quale Gesù ridona la vista a un cieco.

Da un punto di vista dell’esoterismo alchemico, l’opera rappresenta il raggiungimento dell’illuminazione, che giustappunto dona la vera vista all’uomo. Tale conoscenza superiore è proprio la Pietra Filosofale.

Le macchine anatomiche della Cappella Sansevero

Nell’ultima sala della Cappella Sansevero, denominata La Fenice, sono situate le cosiddette macchine anatomiche, frutto di un mirabolante esperimento che Raimondo di Sangro realizzò con l’ausilio del medico Giuseppe Salerno. Si tratta di due scheletri umani, un uomo e una donna, sui quali sono stati ricostruiti i principali organi in cera e persino i vasi del sistema sanguigno. Il processo, attraverso il quale questi ultimi sono stati realizzati, non è ancora stato chiarito, ma si ipotizza che Raimondo di Sangro vi abbia fatto colare all’interno un fluido metallico colorato. La precisione anatomica dei vasi è assolutamente straordinaria poiché vi è una reale corrispondenza con i tessuti ematici dell’essere umano. La figura femminile, in particolare, viene rappresentata in uno stato di gravidanza, e sebbene il feto sia stato rubato, ancora oggi appare assolutamente incredibile la veridicità del modello.

Il processo, attraverso il quale questi ultimi sono stati realizzati, non è ancora stato chiarito, ma si ipotizza che Raimondo di Sangro vi abbia fatto colare all’interno un fluido metallico colorato. La precisione anatomica dei vasi è assolutamente straordinaria poiché vi è una reale corrispondenza con i tessuti ematici dell’essere umano. La figura femminile, in particolare, viene rappresentata in uno stato di gravidanza, e sebbene il feto sia stato rubato, ancora oggi appare assolutamente incredibile la veridicità del modello.

Un particolare assai misterioso concerne la metodica attraverso la quale Raimondo avrebbe fatto defluire il metallo all’interno delle arterie e delle vene dei modelli. Essendo infatti essi privati di un cuore reale, non è chiaro come egli sia riuscito a pompare la sostanza sino ai capillari. Qualcuno ipotizza persino che Raimondo di Sangro abbia utilizzato delle persone vive, le quali sarebbero state trasformate nelle macchine anatomiche attraverso un processo alchemico.

Samuele Corrente Naso e Daniela Campus

Note

[1] Raimondo di Sangro. Testamento Olografo del 7 agosto 1770.

[2] By Liberonapoli – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17027131

[3] Di David Sivyer – https://www.flickr.com/photos/argyle64/15041491280, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=44683711

[4] David Sivyer – https://www.flickr.com/photos/argyle64/15041492740/, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=44683708

[5] Di David Sivyer – https://www.flickr.com/photos/argyle64/15041492930/in/album-72157647549969541/, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=49085926

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