A lungo ho esitato a entrare nella Basilica di Collemaggio all’Aquila. La facciata, come per un’ipnotica armonia, imprigionava la mia volontà innanzi a essa. Che dire dei tre gotici rosoni circolari, che sembravano mimare la complessità dell’Universo intero? Un doppio giro di colonne e archetti – dodici sono quelli interni – rammentava ai pellegrini che Cristo è signore del tutto, e a Lui tutto deve ritornare. Che dire della forma quadrangolare del prospetto, dei suoi motivi ornamentali che dorati rilucevano ai raggi di un sole benigno?
Più m’addentravo nell’osservare la gentile decorazione scolpita dei portali d’ingresso, più mi sentivo parte di un’eterna opera che in quelle strombature, negli archi a tutto sesto, aveva trovato un suo compimento. Così la Vergine con Bambino sulla lunetta del portale centrale pareva anch’ella compiacersi di così tanta magnificenza.
Un tempo dovevano trovarsi, lungo i suoi stipiti, statue di santi in nicchie cuspidate, ma ormai esse sono perlopiù perdute o incomplete. Le lunette dei portali laterali anticipavano già il gran mistero che si cela nella basilica: da un lato Giovanni Battista benedicente; dall’altro una figura d’uomo anziano di bianco vestita, con in mano una pergamena, rivolgeva gli occhi al cielo. Chi era quel papa? Un desiderio profondo di conoscenza, simile a un richiamo di fede, mi spingeva ad approfondire i misteri della Basilica di Collemaggio.
Gli interni della Basilica di Collemaggio
Varcato l’uscio del portale principale, un mondo fatto di tenui chiaroscuri e di lineari spazi s’apriva con eleganza. La struttura dell’edificio, semplice ed austera, mi rammentava con prepotenza le splendide chiese gotiche-cistercensi tanto diffuse nel centro Italia. Ecco l’impianto basilicale, a tre navate con arcate a ogiva, reggersi su possenti pilastri ottagonali. E poco più su poggiava il tetto a capriate lignee, il quale si contrapponeva fieramente alla nuda pietra del luogo santo. Percorrendo il lunghissimo corridoio centrale avevo come l’impressione di dovermi recare al cospetto di un re. Ogni passo era addentrarsi verso un viaggio a ritroso nel tempo, un percorso di mistica riscoperta.
Giunto infine presso il presbiterio ammiravo, come avvolto in una bolla di luce, l’altare maggiore barocco. Ma ecco innalzarsi presso l’abside di destra un mausoleo in pietra e marmo bianco, imponente e magnifico. Opera di Girolamo da Vicenza, era stato realizzato nel 1517 per accogliere uno dei personaggi più controversi della storia della Chiesa.
Il mausoleo di Celestino V nella Basilica di Collemaggio
Il mausoleo rinascimentale si materializzava, attraverso le sue linee classicheggianti e il frontone con magistrale timpano, quasi affrancandosi dalla luce. Esso trasmetteva una sensazione di bianco candore, di purezza celestiale che trascendeva i confini terrestri della basilica. Chi mai poteva essere adagiato all’interno di quella prestigiosa camera sepolcrale? Non poteva che trattarsi di un papa, il medesimo pontefice che avevo osservato sulle lunette della facciata. In quel luogo, infatti, riposavano le spoglie di Celestino V, il fautore di tutto ciò che a Collemaggio esiste.
Tante cose si narrano su Celestino V: si sa che egli fu eremita santissimo, ma che riuscì a far edificare questa basilica imponente; divenne poi papa e si fece incoronare proprio a Collemaggio; dopo pochi mesi abdicò al ministero petrino per ritrovare la tranquillità perduta; e altre dicerie misteriose, come i suoi legami con l’ordine dei Cavalieri Templari e le reliquie più importanti della Cristianità.
La figura di Celestino V
Celestino V nacque di umili origini intorno all’anno 12091, in Molise. Il suo vero nome fu Pietro Angelerio, poi detto del Morrone per via della vita eremitica ch’egli decise di seguire, in gioventù, sul Monte Morrone di Sulmona. La tendenza a questa vita ascetica e di solitudine gli diede fama di essere un uomo dalla grande santità. Molti erano coloro che si mettevano sulle tracce di Pietro per chiedere consigli e benedizioni; così, nel 1244, egli decise di costituire una congregazione monastica. Gregorio X dapprima concesse il permesso ai “frati di Pietro da Morrone” di raccogliersi in cenobio, poi ne paventò la soppressione.
Il Concilio di Lione II
Il santo pensò di recarsi a piedi sino a Lione, dove si approssimava l’inizio dell’omonimo concilio (1273), per chiedere udienza al papa e supplicarlo di non sopprimere la sua congregazione. Pietro da Morrone aveva all’epoca circa sessantaquattro anni e un sì periglioso viaggio costituiva certo un’impresa straordinaria: Gregorio X accolse il santo con riverenza, ed esaudì la richiesta. Già nel 1287 i frati di Pietro incominciavano i lavori della chiesa madre, Santa Maria di Collemaggio all’Aquila. Non è noto come il santo riuscì a raggiungere Lione a piedi, peraltro traversando l’Italia in inverno, né come egli potesse essere accolto durante i preparativi di un concilio.
Pietro da Morrone, i Cavalieri Templari e la Basilica di Collemaggio
C’è chi suggerisce un legame con i potenti Cavalieri Templari2: non solo l’Ordine lo avrebbe aiutato nell’affrontare le peripezie del viaggio, ma gli avrebbe concesso i fondi per la costruzione della sua straordinaria basilica. Effettivamente non è chiaro come egli, eremita, fosse riuscito a procurarsi l’ingente somma di denaro necessaria per l’impresa. È probabile che Pietro da Morrone conobbe il Gran Maestro templare Guillaime de Beaujeu durante la visita a Lione.
Ma perché i Cavalieri Templari avrebbero dovuto finanziare la basilica di un’altra congregazione? Una leggenda molto in voga all’Aquila è che essi abbiano concesso i fondi in cambio della custodia, presso Collemaggio, di alcune reliquie provenienti da Gerusalemme: l’inafferrabile Santo Graal, l’Arca dell’Alleanza o più verosimilmente l’indice di Giovanni Battista. I Templari avrebbero operato in siffatta maniera giacché coscienti che, da lì a pochi anni, il loro Ordine sarebbe stato soppresso. È chiaro che si tratti di racconti, affascinanti ma pur sempre racconti.
Sono questi soltanto alcuni degli interrogativi che accompagnano l’ultimo, enigmatico, periodo di vita di Pietro da Morrone. Allorché la vita dell’eremita sembrava adagiarsi verso un quieto percorso ascetico – egli rimase in solitudine per almeno altri vent’anni – un clamoroso colpo di scena cambiò completamente le sorti del pover’uomo e della Chiesa intera.
L’elezione di Pietro da Morrone al soglio pontificio
Quando papa Niccolò IV morì (4 aprile 1292), il conclave riunito per l’elezione di un nuovo pontefice non riusciva ad accordarsi. La situazione di sede vacante si protrasse incredibilmente a lungo: dopo due anni di infruttuosi tentativi non v’era ancora la fumata bianca. Si decise così per una soluzione sorprendente: complice la necessità del re Carlo d’Angiò di ottenere l’avallo pontificio per l’occupazione della Sicilia, in fretta e furia fu proposto a Pietro da Morrone di salire al soglio pontificio.
La scelta ricadde su Pietro per via della grande fama di uomo giusto, lui solo in quel momento poteva pacificare i dissidi interni della Chiesa, ma forse anche per la veneranda età. Si riteneva, infatti, che il suo pontificato sarebbe stato breve e di transizione: all’epoca aveva ben ottantacinque anni. Ancora più sorprendente fu che l’eremita decise di accettare, sebbene con grande sofferenza ed esitazione. Pietro non era un cardinale e non aveva alcuna esperienza di governo ecclesiastico. Il 29 agosto del 1294, come da lui richiesto, fu incoronato papa presso la Basilica di Collemaggio con il nome di Celestino V.
La Perdonanza Celestiniana presso la Basilica di Collemaggio
Non appena eletto, Celestino V decise di fare un eccezionale regalo alla città dell’Aquila. Con la bolla denominata Inter sanctorum solemnia del 29 settembre 1294, egli istituiva la cosiddetta Perdonanza. Essa permetteva di ottenere l’indulgenza plenaria a tutti i pellegrini che, recatisi a Collemaggio tra il 28 e il 29 agosto, ricevevano il sacramento della Confessione. Tale bolla, detta del Perdono, anticipava di sei anni il primo giubileo della storia.
La rinuncia al pontificato
Improvvisamente, dopo appena quattro mesi dalla sua incoronazione, Celestino V diede notizia di voler rinunciare al pontificato (12 dicembre 1294). Non sono chiari tutti i motivi per cui fu spinto a un gesto così risolutivo, ma è possibile rinvenire una versione dei fatti in una bolla emanata da Bonifacio VIII3:
“Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della Plebe, al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono […].”
Il ruolo di Bonifacio VIII
Alcuni storici hanno ipotizzato che fu proprio Bonifacio VIII, al secolo Benedetto Caetani, a scrivere il testo della rinuncia. Tant’è che proprio il Caetani verrà eletto papa pochi giorni dopo le dimissioni di Celestino V. Non solo, Bonifacio VIII ordinò che Celestino V venisse rinchiuso nella rocca di Fumone con la scusa che potesse essere catturato dai nemici. In realtà si trattò di una prigionia vera e propria, alla quale Pietro da Morrone non sopravvisse: l’eremita spirò il 19 maggio 1296 all’età di ottantasette anni.
Le ragioni di questo comportamento da parte di Bonifacio VIII sono da ricercarsi nell’enorme polemica che si era sviluppata in seguito all’abdicazione di Celestino V. Sin da subito si era diffusa la voce che Pietro da Morrone fosse stato costretto a tal gesto; Simon de Beaulieu contribuì a spargere la diceria che Bonifacio VIII avesse indotto il papa alle dimissioni, travestendosi da angelo. V’erano poi alcune ipotesi escatologiche che vedevano in Celestino V una sorta di messia nuovo che avrebbe rinnovato la Chiesa, riconquistato Gerusalemme e preparato la Parusia…
Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l’ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto.
Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto III: 58-60. Non è chiaro, tuttavia, se il sommo poeta si riferisse davvero a Celestino V, come da molti ipotizzato.
Celestino V fu assassinato?
Un mito sviluppatosi lungo i secoli, che ha assunto le dimensioni di una grande devozione popolare, è quello secondo il quale Celestino V fu martire, in quanto fatto assassinare per volontà di Bonifacio VIII. In verità, la morte di Pietro da Morrone avvenne ufficialmente per cause naturali. Il suo biografo personale, Tommaso da Sulmona, nella Vita C, riferisce che egli morì per un’infezione causata da un ascesso, dopo aver celebrato un’ultima messa.
Eppure, ben presto i posteri dovettero accorgersi che sulla calotta cranica delle sue spoglie fosse presente un foro di pochi millimetri, indizio che scatenò le più ampie dicerie4. In particolare, si diffuse nel Medioevo la venerazione di un sacro chiodo, per mezzo del quale Pietro da Morrone sarebbe stato martirizzato. Tale pezzo di ferro assurse a simbolo della santità di Celestino, che era stato già canonizzato nel 1313. Ciò nondimeno, oggi del chiodo non si hanno più tracce, ed è ormai difficile distinguere la storia dalla leggenda.
Samuele Corrente Naso
Mappa dei luoghi
Note
- Vita Coelestini (Vita C) che racchiude la vita di Celestino V raccontata dai suoi confratelli. ↩︎
- M. G. Lopardi, Celestino V e il tesoro dei Templari, 2010. ↩︎
- Enciclopedia dei Papi, Treccani, 2000. ↩︎
- Alcuni scienziati hanno tentato, negli anni, di chiarire se Celestino fu effettivamente ucciso per mano d’uomo. In particolare, è recentissimo lo studio del professor Luca Ventura sulla prestigiosissima rivista Forensic Science, Medicine, and Pathology (L. Ventura, The mysterious hole in the skull of Pope Celestin V, Forensic Science, Medicine and Pathology, 2021). L’anatomopatologo è riuscito a dimostrare che il foro cranico (9 mm x 5 mm) fu originato post mortem attraverso un colpo inferto sull’osso già scheletrizzato. ↩︎