La chiesa di Sant’Antioco di Bisarcio appare d’improvviso risalendo il sentiero di un’altura rocciosa e verdeggiante. Si adagia sull’azzurro del cielo con eleganza e mistero. Sembra custodire segreti antichi, racconti di epoche passate, di quando questo edificio romanico della Sardegna, in agro di Ozieri, costituiva una ricca cattedrale. A dispetto dell’umiltà con cui porta i segni del tempo, Sant’Antioco non era infatti una chiesa qualsiasi. Tutt’altro! Era qui stabilita la sede della diocesi di Bisarchium o Guisarchum, che fu tale dalla seconda metà del XI secolo fino al 15031 quando, con la bolla di Giulio II Aequum reputamus, passò sotto la giurisdizione del vescovo di Alghero2. In quanto presidio dei vescovi nel Giudicato di Torres, Sant’Antioco fu dotata di un grandioso apparato architettonico romanico, tra i più belli e significativi in tutta l’Isola.

Le fonti storiche su Sant’Antioco di Bisarcio
La più antica menzione della chiesa di Sant’Antioco è contenuta in due atti di vendita risalenti alla seconda metà del secolo XI, a noi giunti solo attraverso una copia tarda, e sottoscritti dal vescovo Nicodemo e dal suo successore Gavino (documentati tra il 1065 e il 1073)3. Un altro documento apografo, che trascrive un originale datato 1112, fornisce invece un indizio circa l’avvio dei lavori di costruzione dell’attuale edificio romanico. Il manoscritto riferisce che il giudice Costantino confermava alla cattedrale di Sant’Antioco una donazione giacché l’originale carta era andata perduta: “la renobamus ista carta pro ca arserant sas cartas ci abeant de innanti cando arserat sa ecclesia de Guisarchu“4.
La consacrazione del 1164
Ora, la fonte suggerisce che la chiesa subì un rovinoso incendio e dovette essere ricostruita. Ma quale chiesa? L’analisi delle poche murature superstiti all’evento distruttivo, inglobate nella nuova costruzione, fa pensare a un cantiere ancora in opera più che a un edificio già completo. In ogni caso, sappiamo che la sede vescovile venne temporaneamente trasferita ad Ardara5. La data di consacrazione della nuova chiesa è rivelata da un testo apografo seicentesco, le Noticias antiguas dell’Archivio storico diocesano di Alghero, che tuttavia scrive in cifre il 1174 mentre indica in lettere “milli et quento sessanta bator“, ossia 11646. Per dirimere tale incertezza sembra essere d’aiuto un’epigrafe dedicatoria, posta su un concio esterno della testata che termina la navata settentrionale:
“MCLXIIII JOH[anne]S EP[iscopu]S FINEM [h]ABUIT”
G. G. Cau, L’epigrafe consacratoria del S. Antioco di Bisarcio (1164), in Sardegna Antica, XIV, 38, Nuoro, 2010.
La scritta, in caratteri onciali, permette così di accertare che la cattedrale venne ultimata sotto l’episcopato di Giovanni Thelle nel 1164. Perciò si può immaginare che i lavori di edificazione si svolsero a partire dalla metà del secolo sino a quella data, sotto i regni dei giudici di Torres Gonario II (1127-1153 circa), che abbandonò il trono per farsi monaco cistercense a Clairvaux, e Barisone II (1153-1190 circa).

La costruzione dell’atrio
L’atrio venne addossato alla facciata in una fase costruttiva successiva che ha come terminus post quem la consacrazione del 1164. Si potrebbe pertanto collocare durante i regni di Comita II Lacon-Gunale (1198-1218 circa)7 o più probabilmente di Barisone II e di suo figlio Costantino II (1190-1198 circa)8. A quest’ultimo periodo sembra infatti ricondurre un’iscrizione epigrafica rinvenuta sul muro nord della cappella episcopale. La scritta indica il cistercense magister Paulu come incaricato dei lavori:
“1190/5 H[aec] ME FECIT XP PETRI P[iscop]U E[t] Q[uod] MAGI[s]T[e]R P[at]ER PAULU EXCRYAUYT B[asilicam] [dicatam] S[an]C[to] A[ntioch]O ET M[art]IRUM S[anctae] ECCLESYAE † [christi]”
“Nel periodo 1190/95 mi fece queste cose il vescovo Pietro e per queste il maestro Padre Paolo ampliò la cattedrale di Antioco santo e dei martiri della Santa Chiesa di Cristo”
G. G. Cau, Epigrafia Giudicale. Sant’Antioco di Bisarcio: un’epigrafe commemorativa (1190-95), in Sardegna Antica: culture mediterranee, 50, 2016.
L’ampliamento della cattedrale di Sant’Antioco di Bisarcio rispondeva alla volontà di accrescere il prestigio del Giudicato di Torres, si inseriva in un momento di importanti iniziative politiche e religiose volte a creare una forte identità storica. Negli stessi anni veniva redatto il Liber Iudicum Turritanorum contenente l’agiografia dei proromartiri turritani Gavino, Proto e Gianuario9. Allo stesso tempo trovava appoggio il tentativo di Innocenzo II di affermare l’autorità pontificia sui giudicati della Sardegna10.

Antioco, santo martire di Sulci
La cattedrale venne intitolata ad Antioco, santo paleocristiano martirizzato nell’antica Sulci11, città situata nella costa sud occidentale della Sardegna. Del martire abbiamo notizie in una Passio Sancti Antiochi martyris, redatta tra il 1089 e il 1119, ma a noi giunta attraverso una trascrizione seicentesca. Il testo originale del 1089-1119, scritto dai Benedettini di San Vittore di Marsiglia, è andato infatti perduto, ma nel Capitolo della cattedrale di Iglesias è custodita una copia del 1621 fatta eseguire dall’arcivescovo Francesco Desquivel di Cagliari. La fonte agiografica racconta che Antioco fosse nato in Mauretania nel 95-96 d.C. circa. Divenuto medico, iniziò a convertire al Cristianesimo i suoi pazienti. L’imperatore Adriano lo fece quindi esiliare nell’isola di Sulci (oggi Sant’Antioco) dove venne infine martirizzato dopo un’ultima orazione.
La cattedrale romanica di Sant’Antioco di Bisarcio
Nella cattedrale di Sant’Antioco si può riconoscere la manodopera di maestranze lombarde e altre ispirate all’opera di Buscheto nel cantiere romanico di Santa Maria Assunta a Pisa. A queste subentrarono forse dei magistri francesi provenienti dalla Borgogna, qui giunti per la presenza dei Cistercensi12. La Cattedrale fu infatti chiesa priorale del potente Ordine di San Bernardo dalla metà dell’XI secolo13. A un ambito borgognone, infatti, possono essere ricondotti alcuni fregi all’interno della Cattedrale, tra cui un Trionfo di Cristo sul basilisco14. Nell’area esterna alla cattedrale si conservano ancora i ruderi dell’antico monastero cistercense.
L’architettura della chiesa
La chiesa di Sant’Antioco di Bisarcio, edificata con pietra vulcanica di provenienza locale, dalle calde tonalità, ha pianta basilicale con tre navate e abside orientata a est. Le sei grandi arcate di separazione sono sostenute da dieci colonne con capitelli ornati a motivi vegetali e due pilastri cruciformi in corrispondenza del presbiterio sopraelevato. La navata centrale possiede una copertura a capriate lignee mentre le laterali sono sovrastate da volte a crociera. Il solo pilastro di sinistra ospita il fregio scolpito con il Trionfo di Cristo.

La luce, mistica e soffusa, penetra attraverso tre monofore strombate su ciascun fianco e illumina la pietra delle navate come accarezzandola con dolcezza. Altre tre finestre si aprono presso le testate delle navate laterali e l’abside, quest’ultima suddivisa in spicchi da semicolonne e abbellita da una decorazione a losanghe gradonate. Tutte le monofore sono provviste di centina e cornice con modanatura. Sul frontone dell’abside si apre una grande finestra cruciforme. Il messaggio simbolico rimanda a Cristo-luce che come il sole nasce a Oriente per dissolvere le tenebre del mondo. Osservando la controfacciata dall’interno ci si accorge di una bifora centrale che guarda al prospetto dell’atrio.
I fianchi della chiesa sono abbelliti da archetti ciechi innestati su peducci con decorazioni scultoree fitomorfe e geometriche. Sul fianco destro dell’edificio si staglia il campanile quadrangolare, ormai senza la parte superiore. Un portale laterale, aperto sul fianco nord, conserva nella lunetta tracce di un affresco del XIV secolo raffigurante Cristo in croce con Maria e Giovanni evangelista.

La facciata originale della chiesa, oggi obliterata dall’atrio a essa addossato, era a salienti con frontone timpanato. Di essa rimangono solo due dei tre portali d’accesso, con arco a sesto rialzato e stretti capitelli.
L’atrio cistercense di Sant’Antioco di Bisarcio
Al corpo longitudinale della chiesa, come detto, è anteposto un atrio. La struttura, a due piani, è ispirata a modelli francesi. In particolare, il portico di Sant’Antioco rimanda alle “galilee”, ossia i vestiboli antistanti l’ingresso delle costruzioni monastiche d’Oltralpe15. Il prospetto esterno dell’atrio, che oggi si mostra al visitatore come la facciata principale, subì gli effetti di un rovinoso crollo causato da un fulmine nel 1471, come riporta un graffito nelle pareti interne. Sopravvisse la sola porzione destra mentre la sinistra venne riparata con un paramento liscio in epoca aragonese16.

Il pianterreno dell’atrio si compone di tre navate con due campate ciascuna, coperte da volte a crociera sostenute da pilastri cruciformi. Il livello superiore ospita tre stanze voltate a botte, accessibili tramite una scala ricavata nel fianco destro. La camera centrale, alla quale appartiene la bifora in controfacciata, era adibita a cappella privata del vescovo.

I vani laterali, uno con camino, fungevano da sala capitolare e sacrestia. Sulle pareti nel corso dei secoli furono lasciate le più varie incisioni, signa parietali costituiti da graffiti devozionali, propiziatori e apotropaici.

Il prospetto dell’atrio
La facciata ospita su una cuspide superiore, in posizione centrale, un bassorilievo del martire Antioco. Il santo è a figura intera, con un turbante sul capo e le mani giunte in preghiera, rappresentato al momento del martirio come narra il racconto agiografico. La scultura, di reimpiego, è di provenienza tardo-longobarda (VIII-IX secolo)17 e costituisce una delle testimonianze più importanti di scultura altomedievale in Sardegna.

La facciata dell’atrio degrada a salienti e, nella porzione superstite, mostra due colonnine in una finta loggia. Una cornice marcapiano delimita un ordine sottostante caratterizzato dalla ripetizione di grandi archi a ogiva. Questi sono impostati su mensole ornate da peducci con figure cristologiche e mascheroni demoniaci. Al di sotto di una monofora strombata, una seconda cornice marcapiano delinea l’ordine inferiore del prospetto. Qui si aprono tre grandi archi a tutto sesto, di cui quello centrale funge da ingresso al portico. Le arcate laterali ospitavano invece bifore, delle quali si può apprezzare ormai solo quella di destra, mentre quella di sinistra è murata.
La decorazione scultorea del prospetto
Notevole è l’apparato scultureo dell’ordine inferiore. Alcune protomi antropomorfe, in tufo verdastro, sono collocate presso le imposte delle arcate. Sembrano fare riferimento al Green Man, simbolo dell’uomo che, come la natura, può rinascere e rigenerarsi, ma al contempo immagine ambivalente di colui che da essa è dominato nella carne. Tra le arcate quattro incavi ospitavano in origine bacini ceramici sul modello di quanto si osserva, ad esempio, nell’abbazia di Pomposa.

L’archivolto settentrionale è decorato con il Fregio dell’Apocalisse in cui appaiono molto consunti angeli e vegliardi a piccoli busti18. Sulla mensola in cui si impostano gli archi della bifora, ormai tamponata, due volti scolpiti potrebbero essere identificati con i giudici Barisone II e suo figlio Costantino di Torres, possibili committenti della chiesa19.

L’arcata d’ingresso centrale ospita una fascia interna a cassettoni, una intermedia con foglie d’acanto e più all’esterno un Fregio delle cacce con animali selvatici20.

Infine, l’arcata meridionale ha una ghiera decorata a palmette e una cornice a dentelli. La bifora corrispondente è ornata da una ruota raggiata presso la lunetta, una protome bovina sulla mensola d’imposta e una colonnina poggiante su un leone stiloforo. Si tratta di sculture e testimonianze preziose di quel grande momento artistico che ispirò in Sardegna la costruzione di una mirabile cattedrale romanica.
Samuele Corrente Naso
Note
- F. Amadu, La diocesi medioevale di Bisarcio, Cagliari 1963. ↩︎
- R. Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, Roma 1999. ↩︎
- P. Tola, Codex Diplomaticus Sardiniæ, I, Torino 1861: n. XIII: “Ego Nicodemus Ep(iscop)us ci ponio in ecustu condace de Santu Antiochu de Gisarchu“, n. XIV: “Ego piscopus Gavinus de Gisarchu“. ↩︎
- Ibidem, n. IX. ↩︎
- R. Coroneo, S. Columbu, Sant’Antioco di Bisarcio (Ozieri): la cattedrale romanica e i materiali costruttivi, in ArcheoArte, 1, 2010. ↩︎
- Noticias Antiguas, tomo i, 1/1, c. 69r, Archivio Storico Diocesano di Alghero, in F. Amadu, La diocesi medioevale di Bisarcio, Cagliari 1963. ↩︎
- Ibidem nota 5. ↩︎
- G. G. Cau, «Vicit». Il grande fregio della “Esaltazione della Santa Croce“ (1190/95) del cistercense “magister Paulu”, nel Sant’Antioco di Bisarcio, in Theologica & historica, annali della pontificia facoltà teologica della Sardegna, XXVI, Cagliari, 2017. ↩︎
- R. Coroneo, Segni e oggetti del pellegrinaggio medioevale in Sardegna. L’età giudicale, Ed. D’Arienzo, 2000. ↩︎
- A. Virdis, Gli affreschi di San Pietro a Galtellì. Una proposta di datazione, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari, 2004. ↩︎
- A. Pala, Sant’Antioco sulcitano: il culto, il santuario, le immagini dal tardoantico al barocco, in ArcheoArte. Rivista elettronica di Archeologia e Arte, II, 2013. ↩︎
- R. Delogu, Architettura del Medioevo in Sardegna, Roma, 1953. ↩︎
- G. G. Cau, Epigrafia Giudicale. Sant’Antioco di Bisarcio: un’epigrafe commemorativa (1190-95), in Sardegna Antica: culture mediterranee, 50, 2016. ↩︎
- G. G. Cau, Il Santo Stefano barbato e il capitello del Trionfo del Cristo sul basilisco del Sant’Antioco di Bisarcio, in Quaderni bolotanesi, 38, 2012. ↩︎
- Ibidem nota 12. ↩︎
- F. Poli, La decorazione scultorea del Sant’Antioco di Bisarcio. Nuovi dati per vecchie attribuzioni, in Sacer, 6, 1999. ↩︎
- G. G. Cau, La Formella longobarda e la Protome romanica del Martire sulcitano nel Sant’Antioco di Bisarcio, in Annali di Storia e Archeologia Sulcitana, IV, 2015. ↩︎
- G. G. Cau, Il Fregio dell’Apocalisse nel Sant’Antioco di Bisarcio, in Annali di storia e archeologia sulcitana, 4, 2014, ↩︎
- Ibidem nota 8. ↩︎
- R. Coroneo, Architettura romanica dalla metà del Mille al primo ’300, in Storia dell’arte in Sardegna, Nuoro, 1993. ↩︎