La basilica di San Gavino a Porto Torres

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Porto Torres in epoca medioevale raccoglieva ancora l’eredità storica d’un tempo, quand’era l’amena colonia romana di Turris Libisonis, secondo la tradizione fondata da Giulio Cesare nel 46 a.C. Da questa antica ascendenza la città s’era sviluppata come un fiorente approdo marittimo e commerciale, la cui rilevanza veniva attestata negli scritti di Plinio il Vecchio1, e finanche in quegli splendidi mosaici con l’iscrizione dei Navicularii Turritani presenti a Ostia Antica. La città di Turris manteneva un certo prestigio anche dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, divenendo la capitale del Giudicato di Torres-Logudoro2 e soprattutto venendo scelta come sede arcivescovile sin dal III secolo.

La basilica di San Gavino

Presso il Monte Angellu di Porto Torres erano esistite almeno altre due chiese prima che venisse edificata l’attuale basilica romanica di San Gavino3. Non è facile collocare nel tempo i resti di queste preesistenti costruzioni. Di ognuna di esse rimane distinta una traccia archeologica certo, ma ormai soverchiata dalle strutture medioevali. L’edificio intitolato ai santi Proto, Gianuario e Gavino, martiri cristiani sotto Diocleziano (303 d.C.), sorse tra gli ultimi decenni dell’XI secolo e i primi di quello successivo4, in piena età giudicale.

Le prime menzioni storiografiche sono contenute nel Condaghe di San Pietro in Silki5. Il testo, redatto tra il 1063 e il 1182, fa riferimento a tale Ithoccor Manata in quanto armentariu, ossia amministratore, della chiesa di San Gavino. Ma è il Condaghe della fondazione e consacrazione della basilica di San Gavino di Torres , a noi noto attraverso trascrizioni del XVII secolo6 ma da collocarsi verso la fine del XV, che costituisce la più ricca fonte di informazioni sulla realizzazione dell’edificio. Si scopre così che la chiesa fu voluta dal giudice Gonnario Comita7, il quale ne affidò la costruzione a maestranze pisane: “feghit venner XI Mastros de pedra, et de muru sos plus fines, et megius qui potuerunt acatare in Pisas, et posit ad operare sa ecclesia8.

San Gavino e Gonnario Comita

Secondo la tradizione, Gonnario Comita decise di costruire una chiesa in onore di Gavino dopo che il santo, apparsogli in sogno, promise di guarirlo dalla grave malattia che lo affliggeva, a patto che egli ritrovasse le sue reliquie e quelle di Proto e Gianuario, e conferisse loro degna sepoltura. Il Judike rinvenne i corpi dei martiri turritani in prossimità dell’attuale chiesetta di Balai, dove erano stati martirizzati, e li fece trasferire nella nascente basilica.

Et istande malaidu Iudighe Comida, li fuit reveladu unu die dae Santu Gavinu, intro de sa camara sua. Et clamaitilu narrande: “Comida, Comida, pesa et vae ad Portu du Turres, ad unu logu qui si clamat Monte Agellu, et icui fraigha una ecclesia in nomen de Deu et de sos sanctos martires, sos quales sunt sepelidos in Balai, et aen a nomen sos ditos santos Gavuinu, Prothu et Ianuariu”.

Francesco Rocca, Historia muy antigua, llamada el Condaghe o Fundaghe: de la fundacion, Consecracion e Indulgencias del Milagroso Templo de Nuestros Illustriss. Martyres y Patronos S. Gavino, S. Proto y S. Januario en lengua sarda antigua, Sassari, 1620

I lavori di costruzione proseguirono durante il giudicato di Torchitorio Barisone de Lacon-Gunale, figlio di Gonnario Comita, e la Basilica venne infine inaugurata non più tardi del 1082, sotto l’arcivescovo Costantino di Castra9. Nel XV secolo essa subì corposi rifacimenti che introdussero elementi tipici dello stile gotico-catalano, come attestato da un’epigrafe datata al 1492.

Gli esterni della basilica di San Gavino

La basilica di San Gavino presenta caratteristiche strutturali uniche non solo nel panorama del romanico sardo ma di tutta Italia. L’ampia pianta, che misura di lunghezza cinquantotto metri e di larghezza diciannove, è suddivisa in tre navate che connettono absidi affrontate. Le ragioni per cui fu così costituita sono forse da ricercarsi nelle summenzionate preesistenze architettoniche, e parimenti nella molteplicità di funzioni liturgiche alle quali l’edificio era adibito, tra cui quella di cattedrale e di martyrion.

La navata centrale svetta in altezza su quelle laterali, particolarità che si rivela già dall’esterno, dove si collocano i piazzali dell’Atrio Comita e dell’Atrio Metropoli. Non v’è dunque un vero prospetto d’ingresso sul lato corto della Basilica, ma ad essa si accede attraverso i portali collocati nelle fiancate. L’intero edificio è innalzato in calcare della Nurra e i paramenti sono costituiti da massicci conci squadrati disposti in filari. Una sapiente ripetizione di archetti pensili e lesene decorre lungo tutto il perimetro. Le decorazioni sono scarne ma un tempo alcune bacinelle in ceramica, di ispirazione islamica, erano collocate presso l’abside est. Di ciò si può trovare un paragone nel prospetto dell’abbazia di Pomposa.

I portali

A settentrione, il portale principale, con lunetta istoriata, mantiene la quasi totalità dell’opera scultorea realizzata per la Basilica. I due capitelli degli stipiti sono impreziositi da figure zoomorfe e antropomorfe: un uccello e una fiera, un uomo e una donna nudi, immagine di Adamo ed Eva e parimenti dei peccati carnali, sono attorniati da rosette e decorazioni a racemi. L’architrave, inciso con tralci di vite, segno di rigenerazione, e due aquile ai lati tra loro contrapposte sorregge la lunetta, ove campeggia una scena cavalleresca. Si tratta, forse, di un riferimento alla battaglia delle Baleari (1114-1115), combattuta contro i Mori dal cavaliere Saltaro che, secondo la cronaca del Liber maiolichinus de gestis pisanorum illustribus del XII secolo, era figlioccio del giudice di Torres Costantino I. Ancora, sul peduccio degli archi ciechi è collocata una protome felina, mentre un leone agguanta un uomo presso un concio a sinistra del portale.

La fiancata meridionale è priva di orpelli ed è aggraziata da un solo grande portale gemino, strombato, aggiunta in stile gotico-catalano del periodo aragonese. Qui un arco a tutto sesto si adagia su minute colonne. La cornice dell’estradosso poggia su capitelli scolpiti con figure di angeli, ognuno dei quali regge uno stemma.

Gli interni

L’interno della basilica è a pianta rettangolare. Tre navate sono suddivise da quattordici supporti per lato, di cui undici colonne di spoglio con capitelli, risalenti alla Turris Libisonis romana, e tre pilastri cruciformi. Dalle monofore, che si aprono su ciascuna abside in numero di tre e sedici presso il cleristorio, a strombo liscio o solo in alcuni casi gradonato, si diffonde una luce soffusa, la quale pervade gli ambienti interni con gentilezza e armonia. La navata centrale è sormontata da copertura a capriate lignee, mentre le quindici campate laterali presentano volte a crociera intervallate da archi trasversi. L’altare maggiore, in stile gotico-catalano, è collocato presso l’abside a sud-ovest. L’abside contrapposta ospita invece un catafalco ligneo del XVII secolo con le statue policrome dei tre martiri cristiani Gavino, Proto e Gianuario.

Cripta e anticripta

L’anticripta, in stile classico rinascimentale, ospita numerose nicchie all’interno delle quali sono collocate statue di martiri locali. La cripta vera e propria, invece, posta al di sotto dell’altare maggiore è un rifacimento seicentesco. Tre sarcofagi romani custodiscono le reliquie dei martiri turritani Gavino, Proto e Gianuario. La cripta della Basilica inglobò i resti di una delle chiese ivi preesistenti, il Martyrion del V-VII secolo, anticamente costituito sulla tomba di San Gavino.

Il culto di San Gavino e dei martiri turritani

Si ha una prima menzione di un culto tributato ai martiri di Porto Torres nel Martirologio gerolimiano, di anonimo autore del V secolo10. Gavinus è ricordato in Turribus il 25 di ottobre, mentre i Proto e Gianuario sono commemorati il 27 dello stesso mese. Il Martirologio, tuttavia, non fornisce indicazioni sulla vicenda terrena dei santi, la quale può essere rintracciata invece in due distinte agiografie medioevali, la Passio sanctorum martyrum Gavini, Proti et Ianuarii del secolo XII11 e l’Inventio corporum sanctorum martyrum Gavini, Proti et Ianuarii di quello successivo12.

Le fonti contestualizzano la vicenda dei martiri durante le persecuzioni di Diocleziano dei primi anni del IV secolo. Rivelano inoltre che Gavino – forse proveniente da Gabium nel Lazio – fosse un soldato romano, Proto un vescovo e Gianuario un diacono. I tre santi, in accordo al testo agiografico, furono martirizzati nei pressi della costa di Balai, a Porto Torres, su ordine del preside Barbaro, che aveva potestà sulla Corsica e sulla Sardegna.

Il preside romano Barbaro chiese: “Da dove vengono costoro, qual è la loro fede e in quale Dio confidano per stare qui presenti con tanta audacia e il volto sereno?”. I santi martiri, Proto e Gianuario, risposero: “Se ci chiedi della nostra genealogia, siamo nati in Sardegna, cresciuti a Porto Torres; se ci chiedi la nostra fede, siamo cristiani […]”. Il preside disse: “Avete udito che è stato emanato un editto degli imperatori romani, che i cristiani devono essere costretti a sacrificare agli idoli oppure venire uccisi a fil di spada?”.

Dalla Passio sanctorum martyrum Gavini, Proti et Ianuarii, traduzione a cura dell’autore

Il martirio dei santi turritani

Secondo la Passio, di fronte alla dichiarazione di fede di Proto e Gianuario, Barbaro decise di mandare Proto in esilio nell’isola denominata Cornicularia, mentre tenne con sé Gianuario cercando di fargli cambiare idea. Ma essendo i due cristiani irremovibili li affidò a un soldato di nome Gavino, comandandogli di condurli in carcere.

Durante il tragitto Gavino ascoltava Proto e Gianuario salmeggiare, “Alziamo i nostri occhi verso i monti, da dove ci viene l’aiuto; il nostro aiuto viene dal Signore che ha fatto il cielo e la terra“. Quindi pervaso dallo Spirito Santo il soldato si convertì e li fece liberare. Proto e Gianuario si rifugiarono in luoghi nascosti ma il giorno seguente Barbaro richiese che fossero condotti al suo cospetto. Innanzi al preside si presentò invece Gavino:

O preside, per la salvezza della tua vita, non li giudicare malvagi, perché se tu li conoscessi li sapresti giusti e santissimi. Perché sono servi del Dio onnipotente, creatore del cielo e della terra, perciò non li ho potuti trattenere. Poiché anche io lo confesso, adoro, benedico e glorifico lo stesso Dio; e per il suo amore, se necessario, possa io essere pronto alla morte […]”.

Dalla Passio sanctorum martyrum Gavini, Proti et Ianuarii, traduzione a cura dell’autore

Gavino fu dunque condannato a morte e in una spelonca, nei pressi di Balai, subì la decapitazione. Però “l’onnipotente Dio volle mostrare attraverso di lui grandi meraviglie”, per cui lo spirito di Gavino si recò nel luogo dove si erano rifugiati Proto e Gianuario e li esortò a “ricevere la gloria della vittoria”. Così, i due santi si presentarono al cospetto di Barbaro e ricevettero la sentenza capitale, “con volto lieto si baciarono, e furono colpiti dalla spada”.

Samuele Corrente Naso e Daniela Campus

Note

  1. Plinio, Naturalis Historia, III, 7, 85. ↩︎
  2. I Giudicati sono stati delle entità politiche autonome sorte nel IX secolo in Sardegna. Sono quattro i giudicati che caratterizzarono la politica isolana sino al XV secolo: Torres-Logudoro,Gallura, Arborea e Cagliari. Ciascuno era guidato da un iudex ed avevano la propria struttura politico-amministrativa. ↩︎
  3. L. E. Pani, F. Manconi, Indagini archeologiche nel complesso di S. Gavino a Porto Torres: scavi 1989-2003, Pontificia accademia romana di archeologia, 2006. ↩︎
  4. C. Nonne, San Gavino di Porto Torres: il circolo delle relazioni formali, in La basilica di San Gavino a Porto Torres. Teorie a confronto, Atti del convegno di studi, Porto Torres, Sala Gonario 21 dicembre 2008, Ghezzano (PI), Felici Editore, 2010. ↩︎
  5. Il Condaghe era un documento amministrativo utilizzato tra XI e XIII in Sardegna, durante il periodo bizantino e giudicale. Sorto per raccogliere gli atti di donazione a favore di un ente ecclesiastico, la sua funzione fu estesa nel tempo, divenendo un registro patrimoniale. Il Condaghe di San Pietro di Silki raccoglie gli atti relativi al patrimonio posseduto dalle chiese e monasteri del circondario dell’abbazia benedettina di Silki. Conservato presso la Biblioteca universitaria di Sassari. ↩︎
  6. G. Meloni, Il condaghe di san Gavino, CUEC Editrice, Cagliari, 2005. Conservato presso la Biblioteca universitaria di Cagliari (S. P. 6. 9. 25). L’edizione visionata è quella di Francesco Rocca, Historia muy antigua, llamada el Condaghe o Fundaghe: de la fundacion, Consecracion e Indulgencias del Milagroso Templo de Nuestros Illustriss. Martyres y Patronos S. Gavino, S. Proto y S. Januario en lengua sarda antigua, Sassari, 1620. ↩︎
  7. Giudice di Torres e di Arborea. ↩︎
  8. “Fece venire undici scalpellini e muratori tra i più bravi e migliori che si potessero trovare a Pisa, e li mise a costruire la Chiesa”. ↩︎
  9. Ibidem nota 6. ↩︎
  10. H. Delehaye, Commentarius perpetuus in Martyrologium Hieronynianum ad recensionem H. Quentin, in Acta Sanctorum XXIV, Novembre 11, II, Bruxelles, 1931. ↩︎
  11. G. Zichi, Passio Sanctorum Martyrum Gavini Proti et Ianuarii, testo latino a cura di G. Zichi, Versione italiana di K. Accardo, Sassari 1989. Nella Biblioteca della Facoltà di Medicina di Montpellier sono custoditi due codici, entrambi provenienti dall’abbazia cistercense
    di Clairvaux. ↩︎
  12. B. R. Morzo, La passione dei Santi Gavino, Proto e Gianuario, in Studi cagliaritani di Storia e Filologia, Cagliari 1927. Si tratta della Lectio IX dell’Ufficio In sanctorum martyrum Gavini, Proti et Ianuari di un incunabolo conservato nella Biblioteca Comunale di Sassari. ↩︎

Autore

Samuele

Samuele è il fondatore di Indagini e Misteri, blog di antropologia, storia e arte. È laureato in biologia forense e lavora per il Ministero della Cultura. Per diletto studia cose insolite e vetuste, come incerti simbolismi o enigmatici riti apotropaici. Insegue il mistero attraverso l’avventura ma quello, inspiegabilmente, è sempre un passo più in là.

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