Saint-Trophime ad Arlès e la via del pellegrino

in ,

articolo pubblicato il

e aggiornato il

Colui che si metteva in cammino per i luoghi santi di Compostela era consapevole di dover affrontare un lunghissimo viaggio. Il pellegrino medievale sperava in cuor suo di compiere sano e salvo la peregrinatio ad limina Sancti Jacobi, espressione che rendeva bene l’idea di una meta ai confini del Mondo materiale e spirituale. Non si poteva imboccare qualunque strada, tali e tanti erano i possibili pericoli. L’itinerario veniva scelto basandosi sulla durata del tragitto e sull’esperienza di tutti quei viandanti che, prima di allora, avevano già affrontato il grande viaggio. Inoltre, esso doveva includere i luoghi di culto più importanti delle regioni da traversare. Per giungere a Santiago dalla Francia si erano definite quattro principali vie1, elencate nel Liber Sancti Jacobi del XII secolo2. L’itinerario più meridionale, detto Via Tolosana, seguito da chi proveniva dall’Italia o dalla valle del Rodano, prendeva avvio ad Arlès, dalla cattedrale di Saint-Trophime.

Il pellegrino sulla Via Tolosana iniziava il cammino dal cimitero paleocristiano degli Alyscamps, i “Campi Elisi”, punto di convergenza della Via Domitia e della Via Aurelia, importanti tracciati impiegati sin dai tempi dei Romani. Qui poteva soffermarsi a pregare sulle tombe dei santi precursori: quella del martire Genesio e dei vescovi Onorato e Ilario3. Transitava poi lungo i grandiosi resti dell’anfiteatro romano, edificato tra il 90 e il 100 d.C. Il viandante giungeva infine presso la cattedrale di Saint-Trophime, cuore pulsante della città, ove entrava a pieno nello spirito dell’iter Sancti Jacobi. La basilica romanica, attraverso le sculture e un ricco apparato simbolico e devozionale, costituiva una sorta di compendio di vita del pellegrino. Era poi il luogo preposto ai riti e alle liturgie di preparazione al viaggio e, non meno importante, essa conteneva le reliquie del primo e leggendario vescovo Trophime.

Il primo vescovo Trophime e la Cattedrale di Arlès

La Cattedrale romanica di Saint-Trophime sorse su un punto cardine della città, non distante dal foro romano, sulle rimanenze di una chiesa ben più antica e dedicata al protomartire Stefano. Un’agiografia del V secolo, la Vita sancti Hilarii, menzionava ad Arlès la presenza di una “basilica beati ac primi Martyris Stephani4. Tale chiesa, in origine collocata nel quartiere cristiano dell’Hauture, a sud est del tessuto urbano, venne traslata entro le mura cittadine non prima degli inizi del VI secolo, a causa delle invasioni barbariche5. Dell’edificio paleocristiano a lungo si erano perse le tracce finché nell’Ottocento alcuni scavi archeologici non ne rinvennero le fondamenta sotto la facciata e le prime campate dell’attuale basilica dedicata a San Trofimo6.

È interessante notare che tale processo di sovrapposizione non riguardò soltanto l’architettura dell’edificio ma anche il culto stesso. Santo Stefano con il tempo perse di importanza in favore di un santo a noi molto meno noto, il vescovo Trophime. Nello scritto di un anonimo questi compariva già nel 972 come cotitolare della Basilica giacché a quel tempo, si afferma, nell’edificio se ne conservavano le sacre reliquie7.

La legenda di Saint Trophime

Ma chi era Trophime, santo misterioso delle origini che secondo la leggenda fu il primo vescovo di Arlès? Su di lui non vi sono notizie storiche certe e la sua figura può essere ricostruita solo attraverso gli indizi disseminati nei racconti agiografici. Il nome di Trophime è menzionato per la prima volta in una lettera del 22 marzo 417 inviata da papa Zosimo ai vescovi delle Gallie. Con essa il pontefice tentava di stabilire la supremazia della diocesi di Arlès su quelle di Vienne e delle provincie narbonensi8. Per legittimare la sua scelta, il pontefice assicurava che il primo a predicare nella regione, inviato da Roma proprio nella città provenzale, era stato Trophime di Efeso. Egli era il discepolo di cui parla San Paolo nella Seconda lettera a Timoteo9.

La leggenda non esitò a diffondersi, assumendo anche dimensioni inverosimili. Nel 450 una delegazione di Arlès riferiva a papa Leone I che Trophime sarebbe stato inviato in Gallia addirittura da Pietro apostolo in persona. Anche l’autorevole Gregorio di Tours, nella Historia Francorum composta tra il 576 e il 594, includeva il santo tra i sette vescovi missionari di Roma in Gallia. Una conferma definitiva del culto avveniva a opera di Adone di Vienne. L’arcivescovo nel IX secolo inseriva Trophime nel suo Martyrologium, fissandone il giorno della devozione al 29 dicembre.

L’edificazione della cattedrale romanica di Saint-Trophime

Sulla scorta della leggenda, le reliquie di san Trophime, dapprima sepolte presso il cimitero degli Alyscamps, vennero dunque collocate nella Cattedrale dopo la metà del secolo X. Con l’aumentare del flusso di fedeli dovuto alla presenza delle sante spoglie, si rese necessario un ampliamento del luogo di culto. Tali lavori si svolsero a più riprese tra la fine dell’XI secolo e il 1152. In quell’anno una cerimonia solenne segnava la ricollocazione delle reliquie all’interno della Basilica e pertanto la fine dei lavori10. L’edificio appariva già molto simile a quello che possiamo osservare oggi, con pianta a tre alte navate di cinque campate ciascuna, volte a botte ogivali e breve transetto, fatta eccezione per il coro e il deambulatorio che vennero ricostruiti nel XV secolo. All’incrocio del transetto, la cupola è sormontata da un massiccio campanile romanico a base quadrata, alto 42 metri, rimodellato al principio del XIII secolo.

Il portale della Cattedrale di Saint-Trophime: la “bibbia di pietra” del pellegrino

Innanzi al prospetto a salienti della cattedrale romanica di Saint-Trophime, il pellegrino diretto a Santiago di Compostela si soffermava a contemplare una straordinaria “bibbia di pietra”, le cui lettere e parole erano costituite dalle forme e dalle sculture del portale maggiore. Lì, tra le pieghe della materia plasmata con maestria, egli riceveva la benedizione del Pantocratore sulla lunetta, e con essa l’invito al lungo viaggio, metafora del cammino spirituale per la conversione. Tutta l’iconografia del portale, ideata nell’ultimo quarto del XII secolo11, era legata alla funzione che la Cattedrale di Arlès rivestiva in quanto casa spirituale e tappa di pellegrinaggio. Le sculture di San Trophime e Santo Stefano ricordavano al viandante le ragioni che lo avevano fatto cristiano, i moti e i dogmi della fede trovavano figurazione nel grande Giudizio Universale.

Il portale di Saint-Trophime venne concepito come un grande arco di trionfo con timpano cuspidato, in posizione aggettante rispetto alla facciata. L’ingresso alla chiesa segnava infatti il trionfo di Cristo sulle tenebre, sull’ombra della morte generata con il peccato originale. Il portale fu inoltre provvisto di scalone d’accesso per accentuarne la monumentalità, alla maniera degli edifici che un tempo formavano la città romana, chiamata Arelate12. L’influenza dell’arte antica coinvolse ogni dettaglio decorativo nei capitelli e nei fregi con foglie d’acanto, nelle eleganti lesene scanalate presso gli stipiti, nelle colonne di marmo che sorreggono la trabeazione del timpano. Lo stile appare oggi raffinatissimo e trova eguali in Provenza soltanto nelle sculture dell’Abbazia di Saint-Gilles.

L’iconografia del portale

Cristo, racchiuso in una mandorla, segno di rinascita e risurrezione, è attorniato dai simboli degli Evangelisti: egli è il Logos, la vera parola rivelata da Dio al Mondo. Lungo l’archivolto una schiera di angeli in adorazione assiste all’opera di Cristo-giudice, mentre altri tre suonano le trombe dell’apocalisse, annunciando la risurrezione dei morti. Ai lati del Pantocratore, lungo la trabeazione del timpano, i magistri scultori di Arlès raffigurarono la storia della salvezza sin da quando Adamo ed Eva furono tentati dal serpente. Ecco dunque una processione di beati avvicinarsi al Cristo: i giusti sono presentati da un angelo ai patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe in attesa della salvezza. Di contro una selva di peccatori in catene è ricacciata dall’Arcangelo Michele verso la dannazione eterna, dove li attendono le fiamme e un mostruoso diavolo divoratore. Sull’architrave i dodici apostoli, assisi sui loro scranni, reggono sulle ginocchia il libro della testimonianza.

Un fregio minore, posto subito al di sotto della trabeazione del timpano, accoglie le scene dell’infanzia di Cristo. Dei grandi pannelli verticali, suddivisi da lesene, ospitano le statue dei santi a figura intera. Tra di essi vi sono i titolari della Cattedrale, Saint-Trophime e Santo Stefano. Non poteva mancare, inoltre, San Giacomo il Maggiore, figura cardinale del pellegrinaggio a Compostela. Sullo zoccolo che sostiene le sculture dei santi, bestie selvagge e mostri disumani personificano la lotta tra le forze del bene e quelle del maligno.

Il chiostro di Saint-Trophime e la preparazione al viaggio

Salendo una scalinata di venticinque gradini, dal coro della cattedrale di Saint-Trophime era possibile accedere al chiostro. A differenza di quanto accadeva in molti edifici monastici e abbaziali, tale spazio non era destinato soltanto ai religiosi. Al contrario, era a disposizione di tutti: i canonici del vescovo, i cittadini e soprattutto i viandanti potevano qui recarsi per trovare ristoro.

L’umile condizione del pellegrino

Il chiostro dava accesso ai principali servizi necessari al viaggio: un dormitorio, un refettorio e un’infermeria. La condizione del pellegrino medievale era quella di un mendicante, secondo la povertà che Cristo aveva raccomandato ai suoi discepoli. L’abbigliamento e il corredo erano ridotti all’essenziale. Un cappello a tesa larga e un mantello servivano a proteggerlo dal sole e dal freddo. Il bordone, di legno con la punta ferrata, fungeva da supporto lungo la via. La bisaccia di pelle doveva contenere solo lo stretto indispensabile per non appesantire il passo. Doveva inoltre essere priva di legacci affinché il pellegrino, nelle vesti di umile penitente, potesse dare e ricevere secondo la volontà di Dio.

I cicli scultorei e la disposizione spirituale al cammino

In differenti momenti tra la fine del XII e il XIV secolo13, il chiostro venne riccamente adornato con pregevoli cicli scultorei. I pilastri e i capitelli istoriati avevano la funzione di avvicinare il trascendente, di rendere presente l’immagine della Gerusalemme celeste, futura ricompensa del pellegrino che perseverava nel cammino. Presso il chiostro di Arlès l’arte scultorea provenzale raggiunse livelli di altissimo pregio, attraverso un’accentuata plasticità e una morbida definizione delle forme.

Lungo i corridoi – romanici quelli a nord ed est, con volte a botte su archi trasversi; gotici i restanti, coperti da volte a crociera ogivali – agli occhi del viandante s’intrecciavano temi del Vecchio e del Nuovo Testamento, storie della vita di Trophime e dei santi della tradizione provenzale. Non meno importante per il viaggiatore era la preparazione spirituale e il chiostro rappresentava, infatti, il luogo preposto alle funzioni liturgiche. Il rituale prevedeva che il partente ottenesse il perdono dei peccati attraverso una sincera confessione, spesso svolta in modo pubblico. Nel corso di una messa, celebrata per l’occasione, il pellegrino diretto a Santiago di Compostela riceveva quindi la benedizione per il lungo tragitto da intraprendere.

Samuele Corrente Naso

Note

  1. Da Parigi prendeva avvio la Via Turonensis, da Vézelay la Via Lemovicensis, da Puy-en-Velay la Via Podiensis, da Arlès la Via Tolosana. ↩︎
  2. Liber Sancti Jacobi o Codex Calixtinus, libro V: Iter pro peregrinis ad Compostellam, Aimery Picaud ascriptum (“Guida del pellegrino di san Giacomo”), 1139-1173. ↩︎
  3. Genesio fu martire sotto l’iperatore Massimiano; Onorato fu vescovo di Arlès dal 428 al 430; il suo successore fu Ilario, che ricoprì la carica tra il 430 e il 449. ↩︎
  4. Acta Santorum, maii, t. II, Vita sancti Hilarii, V secolo. ↩︎
  5. Marie-Pierre Rothé, M. Heijmans, Carte archéologique de la Gaule, Arles, Crau, Camargue, Paris, Académie des inscriptions et belles lettres, ministère de l’Éducation Nationale, ministère de la Recherche, 2008. ↩︎
  6. Léon-Honoré Labande, Etude historique et archéologique sur Saint-Trophime d’Arles du IVe au XIIIe siècle, BMon 67, 1903. ↩︎
  7. J. H. Albanés, U. Chevalier, Gallia Christiana Novissima. Histoire des Archevêchés, Evêchés et Abbayes de France, III, Arles, Valence 1900. ↩︎
  8. É. Griffe, La Gaule chrétienne à l’époque romaine, I-II, Paris 1964-66. ↩︎
  9. 2 Timoteo 4, 20: “Erasto è rimasto a Corinto; Trofimo l’ho lasciato ammalato a Mileto”. ↩︎
  10. Jean-Maurice Rouquette, Le pays d’Arles, in Provence Romane, I, La nuit des temps, 40, La Pierre-qui-Vire 1974. ↩︎
  11. Per Léon-Honoré Labande la datazione si colloca tra il 1180 e il 1200, Ibidem nota 6; per Jean-Maurice Rouquette il portale era concluso nel 1178, quando a Saint-Trophime fu incoronato il Barbarossa, Ibidem nota 10. ↩︎
  12. Giulio Cesare, De bello civili, I, 36. ↩︎
  13. Le galleria nord è datata al 1180 circa secondo J. Lacoste, La galerie nord du cloître de Saint-Thophime d’Arles, Cahiers de Saint-Michel de Cuxa 7, 1976; per la galleria orientale è stata proposta una datazione tra il 1204 e il 1220, J. Thirion, Saint-Trophime d’Arles, 1976; le altre due risalgono al secolo XIV. ↩︎

Autore

Samuele

Samuele è il fondatore di Indagini e Misteri, blog di antropologia, storia e arte. È laureato in biologia forense e lavora per il Ministero della Cultura. Per diletto studia cose insolite e vetuste, come incerti simbolismi o enigmatici riti apotropaici. Insegue il mistero attraverso l’avventura ma quello, inspiegabilmente, è sempre un passo più in là.

error: