Le chiese sui Sassi: le vestigia medioevali di Matera

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Matera è arroccata lungo percorsi di irte salite e scoscesi pendii. La gravina, traversata da un grazioso affluente del Bradano, ne scinde in due l’essenza urbana. Da una parte il tessuto stratificato del Sasso Barisano, in cui le chiese e le case s’intersecano tra sinfonie di bianco tufaceo, e quello primordiale del Sasso Caveoso; dall’altra l’Altopiano fiero e selvaggio della Murgia. Sulla città s’innalza poi la Civita su un alto sperone, che trionfante separa i due quartieri e ospita l’antica cattedrale. È questa l’anima storica di Matera, città che brilla di una luce intensa e di un’abbagliante bellezza.

La chiesa di San Domenico a Matera

Il percorso che conduce alla Civita non sempre è lineare, ma è spesso lastricato di vie inattese e repentini cambi di direzione. È ciò che si sperimenta al passaggio dalla moderna e vivace piazza Vittorio Veneto alle vetuste abitazioni del Sasso Barisano. La dimensione urbana inizia a trasfigurarsi attraverso primissime avvisaglie di un’antichità nascosta. Ne è lampante esempio la chiesa duecentesca di San Domenico. Essa fu edificata nel 1230 per volontà del beato Nicola da Giovinazzo1. All’edificio di culto fu annesso il convento, il quale a partire dal XIV secolo ospitò i domenicani.

La chiesa, in stile romanico-pugliese, ha facciata quadrangolare dominata da archetti ciechi.

La Ruota della fortuna

La porzione centrale è adornata con un elegante rosone a dodici raggi, delimitato da lesene e un arco superiore. Si tratta della raffigurazione della Ruota della Fortuna medioevale. In essa, l’Arcangelo Michele che sconfigge il drago è simbolo del bene che prevale sul male, meta escatologica alla quale ognuno deve volgere. Agli antipodi vi è, invece, la condizione dell’uomo che non confida in Dio: egli è destinato a sorreggere il peso dell’esistenza con le sue sole forze. Si tratta di un simbolismo simile a quello del telamone, che in età medioevale simboleggiava la superbia.

Io cominciai: “Maestro, quel ch’io veggio

muovere a noi, non mi sembian persone,

e non so che, sì nel veder vaneggio”.

Ed elli a me: “La grave condizione

di lor tormento a terra li rannicchia,

sì che ’ miei occhi pria n’ebber tencione.

Ma guarda fiso là, e disviticchia

col viso quel che vien sotto a quei sassi:

già scorger puoi come ciascun si picchia”.

O superbi cristian, miseri lassi,

che, de la vista de la mente infermi,

fidanza avete ne’ retrosi passi,

non v’accorgete voi che noi siam vermi

nati a formar l’angelica farfalla,

che vola a la giustizia sanza schermi?

Dante Alighieri, Canto X del Purgatorio, vv. 112-126. I superbi sono qui rappresentati come telamoni

Ai lati del rosone due figuri cercano di rimanere aggrappati alla ruota in preda agli imprevedibili capovolgimenti della fortuna. Il rosone è al centro completato dal Domini Canes, simbolo dei frati fondatori della chiesa, che tiene tra le fauci la fiaccola ardente della carità.

La chiesa di san Domenico subì importanti rimaneggiamenti nel Seicento, e gli interni ancora oggi si mostrano in un appariscente stile barocco.

La chiesa rupestre di Santo Spirito

Appena poco lontano da San Domenico, una breve rampa di scale permette di raggiungere un ambiente ipogeo. Era qui situata la chiesa rupestre di Santo Spirito, riscoperta soltanto durante gli anni ’90 del secolo scorso.

L’edificio risale probabilmente al periodo compreso tra l’VIII e il IX secolo, e riporta ancora parte delle medioevali raffigurazioni pittoriche. Gli affreschi, lungo le tre navate scavate nella roccia, pertengono ai secoli XII e XIII. Si possono riconoscere figure di santi e scene sacre.

Il Sasso Barisano

Dalla chiesa del Santo Spirito si può accedere, traversando uno stretto anfratto, al Sasso Barisano. Il passaggio è evocativo, pregno di significazione storica e spaziale. Esso pare consentire quasi un salto in un altro mondo: dalle moderne strutture urbane appena scalfite dagli ambienti medioevali, ecco mostrarsi una dimensione nuova. Il Sasso Barisano si rivela in tutta la sua potente e caratteristica forza di borgo antico e vissuto. Il tufo risplende come un raggio di sole all’improvviso e le case composite e la roccia si fondono in un connubio d’ineguagliabile maestria. Da qui si ottiene un punto di osservazione privilegiato, l’intera città si snoda davanti agli occhi meravigliati del visitatore.

La cattedrale dalla Civita appare, d’ambrato riflesso, come in una visione mistica. È da qui che comincia la traversata dei sassi: è un viaggio d’avventura oltre il racconto, oltre ciò che si può descrivere. La via talvolta si inerpica o a tratti discende subitanea, ma non è mai banale né fine a se stessa. In un irripetibile sali e scendi d’emozioni, e di scorci inaspettati, si raggiunge lo spiazzo del duomo.

La cattedrale di Matera

La cattedrale della Madonna della Bruna e di Sant’Eustachio non può certo passare inosservata. L’alto campanile, con tre ordini di bifore e una di monofore, segna la meta dei viandanti come vero punto di riferimento. Esso è figura della stessa Maria, Stella Polare del Cristiano nella notte.

Piazza Duomo si adagia sullo sperone più elevato di Matera. Nelle giornate poco ombrose, qui un anelito di vento s’impietosisce bonario, e accarezza i volti dei passanti accaldati dal sole battente.

La cattedrale di Matera fu voluta da Federico II di Svevia, che ne comandò l’edificazione a partire dal 12302.

La facciata

L’edificio si presenta con facciata a salienti tripartita. Essa è dominata da uno straordinario rosone a sedici raggi che, al pari della chiesa di San Domenico, rappresenta la Ruota della Fortuna. Le due strutture architettoniche sono molto simili e, parimenti, il rosone della cattedrale è circondato dalle figure dell’arcangelo Michele che sconfigge il drago, nonché da quelle delle condizioni umane. Tutt’intorno a esso si sviluppa un disegno architettonico contraddistinto dalla presenza di quattro colonne, simbolo degli evangelisti, poggianti su telamoni e leoni stilofori; dagli archetti pensili della cuspide si dipartono dodici colonne annodate o tortili, simbolo degli apostoli.

La facciata si apre attraverso il portale principale e due monofore con colonnine, telamoni e una sirena bicaudata, figurazione dell’impudicizia. Il portale d’ingresso, racchiuso da un arco a tutto sesto, presenta motivi fitoformi e un intreccio di nodi. La lunetta ospita la statua della Madonna della Bruna, mentre le nicchie laterali contengono le statue dei santi Pietro e Paolo. Alle estremità della facciata, nella porzione inferiore, sono invece presenti le raffigurazioni in altorilievo dei santi Eustachio e Teopista, di epoca successiva (XVII secolo).

Il fianco laterale destro

Non meno ricco di simbologia è il fianco destro della cattedrale, che si affaccia su Piazza Duomo. Esso si apre attraverso due portali: la Porta di piazza e la Porta dei leoni.

La Porta di piazza

La prima è arricchita da una formella con bassorilievo raffigurante Abramo, padre delle tre religioni monoteiste (Cristianesimo, Islamismo ed Ebraismo) e simbolo di fratellanza. Infatti, durante gli anni in cui l’edificio religioso venne costruito, esse convivevano pacificamente nella città di Matera. Ai lati della porta, in continuità con i motivi fitoformi dell’archivolto, vi sono le statue su mensole di due monaci oranti: uno è genuflesso con le mani giunte, l’altro mantiene sulle ginocchia un libro sacro.

La Porta dei leoni

La Porta dei leoni è così denominata per via dei due leoni stilofori – affiancati da figure umane accovacciate – che sorreggono le colonne del finto protiro addossato alla parete. Mentre la cuspide è segnata dalla presenza di un’aquila sommitale e colonna con telamone, il portale si delinea attraverso quattro ghiere con motivi fitoformi e frutti penduli.

Sull’architrave la presenza di sei volti umani scolpiti è in continuità con quelli situati a livello degli archetti ciechi della fiancata. In entrambi i casi potrebbe trattarsi di raffigurazione apotropaica, volta cioè a tenere idealmente lontane dalla Chiesa le forze del male.

La monofora

Tra i due portali della fiancata laterale è poi situata una finestra monofora, anch’essa coronata da motivi fitoformi e figure zoomorfe. Ai leoni stilofori posti alla base delle colonne, si contrappongono le figure su mensole delle sfingi alate. Simbolo di Cristo che sconfigge il male, sono colte nell’atto di azzannare le prede, tra cui il serpente-diavolo.

Gli interni

Gli interni, a croce latina su tre navate, sono stati ampiamente trasformati in epoca barocca. Tra lo sfarzo seicentesco e i colori sgargianti di quell’epoca, permane tuttavia ancora qualche capitello originale federiciano.

Di notevole interesse è altresì l’affresco del Giudizio finale, opera duecentesca di Rinaldo da Taranto.

Il Sasso Caveoso di Matera

Dalla Civita si può infine giungere al Sasso Caveoso come coronamento di un ideale viaggio metastorico. Qui è conservata l’anima più antica e controversa di Matera. La città dovette infatti attraversare momenti di difficoltà economica a partire dal 1800, a causa della crisi della pastorizia.

Le tipiche “case-grotta”, in cui vivevano più nuclei familiari, divennero l’emblema del degrado sociale dell’Italia del secondo dopoguerra. Da quel momento Matera, grazie anche agli interventi di riqualificazione perpetrati dallo Stato, iniziò ad abbracciare un periodo di vivace rinnovamento urbano.

Oggi le tipiche abitazioni scavate nella roccia raccontano l’epos di una città che ha dovuto sì oltrepassare momenti di disagio, ma che trae nel presente la forza vitale di un passato assolutamente straordinario.

Samuele Corrente Naso

Note

  1. Sacerdote appartenente alla congregazione religiosa dei Padri Predicatori. ↩︎
  2. M. S. Calò Mariani, C. Guglielmi Faldi, C. Strinati, La cattedrale di Matera nel Medioevo e nel Rinascimento, Roma, 1978. ↩︎

Autore

Samuele

Samuele è il fondatore di Indagini e Misteri, blog di antropologia, storia e arte. È laureato in biologia forense e lavora per il Ministero della Cultura. Per diletto studia cose insolite e vetuste, come incerti simbolismi o enigmatici riti apotropaici. Insegue il mistero attraverso l’avventura ma quello, inspiegabilmente, è sempre un passo più in là.

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