Il dibattito sull’esistenza di una scrittura nuragica

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Lo studioso che approccia la civiltà nuragica della Sardegna, quantunque animato di buon entusiasmo, è consapevole che presto o tardi dovrà fare i conti con un ostacolo in apparenza insormontabile. Una componente conoscitiva fondamentale nel processo di ricostruzione delle culture antiche, dei suoi aspetti sociali e antropologici, è infatti la scrittura. Così, ad esempio, la lineare B permette di scoprire la complessa civiltà dei Micenei, la lettura dei geroglifici racconta la storia del popolo che abitò l’Egitto al tempo dei faraoni, le tavolette d’argilla in alfabeto cuneiforme rivelano la corrispondenza dei sovrani Ittiti. Ma gli antichi Sardi forse non svilupparono mai un proprio sistema di scrittura. In decenni di scavi condotti nelle migliaia di siti archeologici della Sardegna nulla è emerso, non un solo reperto che, in maniera chiara e inequivocabile, contenesse nuovi grafemi. Si potrebbe concludere che se una scrittura nuragica fosse esistita, sarebbe certamente tornata alla luce.

La questione, tuttavia, è più complessa di così ed è stata oggetto di un vivace dibattito accademico fin dall’Ottocento1. Gli archeologi si sono chiesti come fosse possibile che gli antichi Sardi avessero costruito più di ottomila nuraghi, tramandando di generazione in generazione la conoscenza necessaria alla realizzazione di tali architetture, e non avessero scritto una sola riga.

La più antica attestazione del nome Sardegna è in fenicio

Le risposte potrebbero essere molteplici e articolate. Bisogna innanzitutto chiarire che la mancanza di attestazioni di una scrittura nuragica non dipende da una carenza generale di fonti scritte. In Sardegna gli archeologi hanno rinvenuto molti testi relativi ad alfabeti già noti, come quello fenicio, greco o latino. La più antica testimonianza scritta del nome dell’Isola pervenutaci è in caratteri fenici, fatto abbastanza indicativo. Nella terza riga della Stele di Nora, oggi preservata al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, si può leggere ŠRDN preceduto dal complemento di luogo “b”. Il reperto, in pietra arenaria, è datato sulla base di confronti paleografici tra il IX e l’VIII secolo a.C. L’iscrizione della Stele di Nora era in origine molto più lunga e il testo rimanente è ignoto. L’incompletezza dell’epigrafe ha dato adito a molti e dubbi tentativi di traduzione. Secondo le ipotesi più accreditate potrebbe trattarsi del resoconto di una spedizione militare2 come della dedica a una divinità3.

D’altronde la scrittura, strumento potente inventato almeno mille e cinquecento anni prima della civiltà nuragica, nasceva e si sviluppava nell’antichità soprattutto per un’esigenza pratica. I Micenei impiegavano la lineare B per attestare la contabilità e gli scambi delle merci. In Sardegna, all’apogeo della civiltà nuragica, a tal fine si preferiva utilizzare il fenicio. Indizio, questo, che non si fosse sviluppato prima d’allora un sistema di scrittura autonomo. Tuttavia, vi è la possibilità che i Nuragici avessero dei propri grafemi e li impiegassero per scopi differenti dal commercio, ma che utilizzassero supporti deperibili. Se, infatti, una qualche scrittura fu apposta esclusivamente su pergamene o papiri, è probabile che il clima umido della Sardegna abbia cancellato ogni traccia. Non sappiamo, in sostanza, se qualche tentativo sia mai stato compiuto.

Il dibattito storiografico

La questione dell’esistenza di un lingua nuragica venne sollevata già negli studi di Giovanni Spano4.

“Per quante ricerche si siano fatte dentro ed attorno i Nuraghi, non si è scoperto mai un monumento scritto. Per la loro età niente si può stabilire di assoluto”.

G. Spano, Paleoetnologia sarda, 1871

Il canonico riconosceva l’evidenza di un qualche grafema soltanto in alcuni lingotti oxhide riscoperti a Nuragus, che oggi sappiamo essere incisi con segni sillabici del Cipro-Minoico in quanto di importazione5.

Qualche anno più tardi Ettore Pais attestò alcuni grafemi incisi su un masso del nuraghe Losa di Abbasanta, in prossimità dell’inizio della scala circolare interna, e all’ingresso del nuraghe Succoronis di Macomer6. Lo studioso riteneva quei segni coevi ai monumenti, lasciando aperta l’ipotesi dell’appartenenza a una supposta scrittura nuragica. Per Massimo Pallottino la loro origine doveva invece essere ricercata con attenzione, anche attraverso confronti con le epigrafi celtiberiche7. Con tale asserzione concordava anche Giovanni Lilliu, che pertanto collocava le iscrizioni in un’epoca in cui v’era ormai il declinare della civiltà nuragica: “[…] se effettivamente celtiberiche, potrebbero attribuirsi a breve stanza di mercenari iberici al servizio di Cartagine presso la fortezza”8.

Lilliu, nella sua Civiltà dei Sardi dal paleolitico all’età dei nuraghi del 1988, chiosava infine sul problema dell’esistenza di una lingua nuragica con parole ferme9:

“Bisogna dunque rassegnarsi, a meno di imprevedibili scoperte, a vedere un paesaggio nuragico senza scrittura, ma con una forte carica di di cultura orale tra cui c’era la lingua della quale offre più che parvenza il ricco sustrato toponomastico e onomastico rimastocene attraverso le tante successive stratificazioni linguistiche”.

G. Lilliu, Civiltà dei Sardi dal paleolitico all’età dei nuraghi, 1988

Sulla stessa scia negazionista si poneva anche Ercole Contu10, sebbene l’archeologo riconoscesse l’esistenza di un sistema per la misurazione orientato alla scrittura:

“Certo in ambito nuragico già si andavano predisponendo o nascevano pressoché spontaneamente a tale generico fine [… ] degli strumenti tecnico-amministrativi specifici, quali un adatto sistema ponderale (e forse anche metrico), che prima o poi sarebbe sfociato, come era avvenuto altrove, anche nella creazione di una scrittura. La scrittura è infatti figlia dell’amministrazione e degli scambi ed è ben per questo che i Fenici l’adottarono, semplificando una precedente scrittura ideografica. […] L’economia nuragica (cioè di una civiltà che pure fu a stretto contatto dei Fenici e già lo era stata dei Micenei) evidentemente non aveva necessità di registrazioni di carattere amministrativo contabile”.

E. Contu, Sardegna preistorica e nuragica, 2006

L’ipotesi di Massimo Pittau sulla scrittura nuragica

Allo scetticismo del mondo archeologico si contrappongono le tesi del linguista Massimo Pittau, già docente presso l’Università di Sassari11. Lo studioso riconduce i grafemi del nuraghe Losa e del nuraghe Succoronis a una forma di paleosardo. La tesi principale di Pittau infatti, è che i Nuragici adattassero di volta in volta alfabeti differenti (geroglifico, etrusco, fenicio, greco, latino) per mettere per iscritto la propria lingua. Nel corso del tempo ha presentato quindi varie altre iscrizioni in caratteri greci e latini, come quella del protonuraghe Aidu Entos di Bortigali12. Per Pittau non si può parlare di una “scrittura propriamente ed esclusivamente nuragica, ma i Sardi avrebbero adottato i codici scrittori delle società che entravano in rapporto con essi”. Così pure la Stele di Nora:

“non ha trovato sinora una traduzione neppure lontanamente condivisa dai semitisti, non è inverosimile che questa divergenza di opinioni sia la conseguenza del fatto che l’iscrizione in realtà porti un messaggio in lingua nuragica”

M. Pittau, I Sardi nuragici e la scrittura13

L’approccio di Pittau, fa notare l’archeologo Raimondo Zucca, ha un difetto fondamentale, ossia non tiene conto del contesto stratigrafico di rinvenimento dei reperti presi in considerazione, e di conseguenza di una loro puntuale datazione14. A titolo di esempio, i reperti che contengono geroglifici, rinvenuti perlopiù nel Sinai, come alcuni scarabei o una placca con la triade tebana da Tharros, non appartengono all’età del Bronzo ma furono prodotti soltanto in età romana.

Così pure i reperti fenici scoperti in Sardegna, compresa la Stele di Nora, appartengono a contesti urbani o di culto pienamente fenici. Pertanto è molto improbabile che vi sia nascosto un codice di scrittura paleosardo. Allo stesso modo sarebbe un’ipotesi remota l’utilizzo dei caratteri greci e latini, quest’ultimi secondo Pittau assimilati anche in età imperiale, per via del prevalente carattere orale della cultura nuragica.

La questione delle tavolette di Tziricotu

Nel dibattito sull’esistenza della scrittura nuragica, come appurato già abbastanza foriero di dubbie interpretazioni, si inserisce anche l’affaire delle tavolette di Tziricotu. Gigi Sanna, docente di latino e greco al Liceo De Castro di Oristano, poi di storia della Chiesa presso l’Istituto di Scienze Religiose del capoluogo, sostiene di aver individuato le tracce della scrittura nuragica in una serie di tavolette bronzee rinvenute in località Tziricotu di Cabras16. L’ipotesi è che esse siano dei sigilli funerari, databili tra il XIV e il XII secolo, contenenti dei grafemi simili al cuneiforme di tipo ugaritico. L’autore presenta la scoperta in una pubblicazione nel 1996, Omines dal Neolitico all’età Nuragica, redatta con la collaborazione del prof. Gianni Atzori. Egli però non è in grado di spiegare da dove provengano i reperti né dove si trovino in quel momento giacché ha potuto visionarli soltanto in alcune foto, recapitate da un anonimo.

La vicenda ha senza dubbio i contorni del giallo e comincia a essere oggetto di varie indagini da parte del mondo accademico. Dato il risalto mediatico della possibile scoperta, due anni più tardi lo sconosciuto possessore dei reperti consegna nelle mani di Raimondo Zucca, a quel tempo Direttore dell’Antiquarium Arborense, una sola tavoletta in bronzo. Ma i reperti, affermano Sanna e Atzori sono almeno quattro. Delle altre tavole gli autori possiedono le fotografie e i calchi in gesso, ottenuti non si sa bene come17.

Le conclusioni di Raimondo Zucca

Zucca, avendo potuto esaminare dal vivo l’unico reperto recuperato, non esita ad affermare che:

“Chi scrive, […] ritiene plausibile, seguendo l’interpretazione di Paolo Benito Serra18 che l’unico esemplare in bronzo noto sia un mòdano per lamelle metalliche a decoro geometrico e fitomorfo simmetrico che fungevano da guarnizione per l’abbigliamento e l’equipaggiamento di personaggi di rango della società sardobizantina”.

R. Zucca, Storiografia del problema della “scrittura nuragica“, 2012

In sostanza, la tavoletta recuperata a Tziricotu e pervenuta alla Soprintendenza per i beni archeologici di Cagliari e Oristano è un manufatto bronzeo medievale. I segni incisi su di essa non sono grafemi ma soltanto un motivo decorativo a punti e virgole. Invece, i calchi delle altre, presunte, tavole contengono senza dubbio “grafemi di codici scrittori vicino-orientali”. Ma tali calchi, di cui in maniera sospetta non sono mai stati visionati gli originali, secondo Zucca sono dei falsi moderni. Essi potrebbero essere stati realizzati a partire dall’unica tavoletta nota aggiungendo dei grafemi cuneiformi19.

Conclusioni sull’esistenza di una scrittura nuragica

Molti altri reperti sono stati studiati alla ricerca di una scrittura nuragica, ma in nessun caso sono emerse evidenze chiare e riconosciute da tutto il mondo accademico. Né può avere valore, allo stato attuale delle cose, un qualsivoglia tentativo di interpretazione di codici possibili o immaginari. Ci vollero ben 30000 segni per permettere a Ventris e Chadwitck di decifrare la lineare B20 e tutt’oggi non bastano i 7500 grafemi noti per venire a capo della lineare A della civiltà minoica.

Tutto considerato, si è dunque ancora molto lontani dal poter ipotizzare che i Nuragici praticassero una propria scrittura, sebbene nulla può essere escluso a propri. Ma allora perché è importante focalizzarsi su tale aspetto per comprendere l’identità degli antichi Sardi, perché riferire ciò che non fu? Per sgomberare la tentazione di conoscere i Nuragici per mere similitudini, di paragonare quel grande popolo ad altre civiltà coeve, che pur scrivevano, privandolo così della sua meravigliosa unicità culturale.

Samuele Corrente Naso

Note

  1. R. Zucca, Storiografia del problema della “scrittura nuragica“, in Bollettino di Studi Sardi, 2012. ↩︎
  2. W. H. Shea, The dedication on the Nora Stone. In Vetus Testamentum 41, fascicolo 2, 1991. ↩︎
  3. M. Botto, Urbanistica e topografia delle città fenicie di Sardegna. Il caso di Nora, in José Luis López Castro (a cura di), Las ciudades fenicio-punicas en el Mediterráneo Occidental, Almería, Editorial Universidad de Almería, 2007. ↩︎
  4. G. Spano, Paleoetnologia sarda ossia l’età preistorica segnata nei monumenti che si trovano in Sardegna, Cagliari 1871. ↩︎
  5. L. Pigorini, Pani di rame provenienti dall’Egeo scoperti a Serra Ilixi in provincia di Cagliari, in Bullettino di Paletnologia italiana, XXX, 1904. ↩︎
  6. E. Pais, Sulla civiltà dei Nuraghi e lo sviluppo sociologico della Sardegna, Archivio Storico Sardo VI, 1909 – 1911. ↩︎
  7. M. Pallottino, El problema de las relaciones entre Cerdeña e Iberia en la antigüedad prerromana, in Ampurias, XIV, 1952. ↩︎
  8. G. Lilliu, Il nuraghe di Barumini e la stratigrafia nuragica, Sassari, 2007. ↩︎
  9. G. Lilliu, Civiltà dei Sardi dal paleolitico all’età dei nuraghi, 1988. ↩︎
  10. E. Contu, Sardegna preistorica e nuragica, Carlo Delfino Editore, 2006. ↩︎
  11. M. Pittau, La lingua dei Sardi Nuragici e degli Etruschi, Libreria Dessi, 1981. ↩︎
  12. M. Pittau, L’iscrizione nuragica in lettere latine del nuraghe Aidu Entos, del 1994. ↩︎
  13. M. Pittau, Storia dei Sardi Nuragici, Selargius, 2007. Citazioni da www.pittau.it/Sardo/scrittura.html. ↩︎
  14. Ibidem nota 1. ↩︎
  15. A. Taramelli, Notizie degli scavi di antichità, vol. XVI, in Atti dell’Accademia dei Lincei anno CCCXVI, serie quinta, Roma, 1919. ↩︎
  16. G. Sanna, Omines dal Neolitico all’ età Nuragica, Edizioni Castello, 1996. ↩︎
  17. G. Sanna, Sardoa grammata, Editrice S´Alvure di Silvio Pulisci, Oristano, 2004. ↩︎
  18. P. B. Serra, Su una matrice di modano e su una placca di fibbia dall’oristanese, in Quaderni, 2014. ↩︎
  19. R. Zucca, Contra G. Sanna, Sardoa grammata, Oristano 2004. ↩︎
  20. M. Ventris, J. Chadwick, Evidence for Greek Dialect in the Mycenaean Archives, in Journal of Hellenic Studies, 73 1953; M. Ventris, J. Chadwick, Documents in Mycenaean Greek, Cambridge, Cambridge University Press, 1956. ↩︎

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