I misteriosi pittogrammi di Alberobello

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Alberobello è una graziosa cittadina della Puglia, situata a ridosso dei gentili declivi che piano s’inerpicano verso l’Altopiano delle Murge. Il borgo deve la sua fama alle tipiche costruzioni coniche in pietra calcarea locale, realizzate a secco, che ne contraddistinguono fortemente il paesaggio. Si tratta dei cosiddetti trulli: edifici dalle origini antichissime, la cui tecnica edificatoria ha attraversato indenne i secoli, e che non lesinano certo di curiosi misteri.

Cenni storici e origine del toponimo di Alberobello

Il primo documento che attesta la presenza di un borgo chiamato Alberobello è un diploma di investitura. Con esso il re d’Aragona Ferrante, il 15 maggio 1481, disponeva il trasferimento dei beni del Conte Giuliantonio I al figlio, ch’erano situati in “Silva Alborelli in provincia nostra Terra Bari1. Il toponimo dovette derivare dalla bellezza dei querceti che all’epoca popolavano la zona.

Da questo momento l’area incominciò lentamente a popolarsi, dapprima attraverso l’insediamento di umili famiglie di contadini, poi con una vera e propria urbanizzazione. Protagonista di tale processo fu per secoli la famiglia Acquaviva: si trattava dei discendenti di quel Giuliantonio I, eroe della riconquista di Otranto ai danni dei Turchi, da cui avevano ereditato i beni. In particolare, Giangirolamo II promosse la costituzione di un primitivo borgo, dettando tuttavia alcune stringenti condizioni: gli agglomerati edilizi dovevano essere costituiti in pietra calcarea locale, a secco.

Le imperative restrizioni costruttorie venivano adottate sulla base di un furbesco espediente atto ad evitare il pagamento dei tributi. La Pragmatica de Baronibus, una legge in vigore presso il regno di Napoli, imponeva infatti di versare ingenti somme ogniqualvolta venisse instaurato un borgo ex novo. La norma, di promulgazione aragonese, aveva l’obiettivo di limitare il potere dei baroni locali verso le comunità del Sud Italia. Ad Alberobello, invero, le abitazioni senza malta e senza orpelli tutto apparivano tranne che dimore di una nuova cittadina! Esse somigliavano più a talune costruzioni di fortuna che i pastori e i contadini solevano costruire, da secoli e secoli, lungo le campagne della Puglia. Fu così che, a partire dal 1635, ad Alberobello comparvero i primi trulli del centro abitato.

I trulli, un’origine controversa

L’origine dei trulli è materia insospettabilmente controversa. Gli edifici più vetusti che ci sono pervenuti hanno al più quattrocento anni, ma questa non è una stima indicativa, sia sul piano storico che archeologico. I trulli, infatti, posseggono un ciclo di vita piuttosto breve, dovuto alle intrinseche caratteristiche strutturali e funzionali della loro architettura. Ogni edificio è costituito con pietra calcarea locale a secco, sulla cima sapientemente disposta a formare una copertura conica, ricoperta infine dalle tipiche lastre schiacciate a chiancarella. Un trullo, in buona sostanza, è una costruzione di fortuna e, come tale, destinata a continue demolizioni e rifacimenti.

Più utile è indagare sull’origine della tipologia costruttoria. Essa deve essere fatta risalire certamente a tempi incerti ed antichissimi. Le similari coperture coniche a tholos, ad esempio, appartengono alla civiltà micenea (1500  a.C.), attraverso la quale si sono successivamente diffuse lungo le rotte di navigazione del Mediterraneo2. Se ne hanno vivide testimonianze nel Peloponneso, in Sardegna e proprio in Puglia.

I trulli come architettura d’importazione

Nei riguardi della Puglia,  non si può affermare con certezza che tale sistema di copertura sia stato necessariamente importato ma, a sostegno di ciò, sussistono diversi indizi. La stratigrafia del paesaggio roccioso della Puglia appare straordinariamente simile a quella di Micene, dove si rinviene la Tomba a tholos del Tesoro di Atreo, e delle altre località citate. Ciò suggerisce il ripetersi di una modalità costruttoria unitaria che si basa sulla reperibilità di un particolare tipo di pietra calcarea, l’ardesia, e che sarebbe altrimenti impossibile.

Inoltre, anche in Puglia le costruzioni a tholos sono accompagnate dalla presenza di strutture megalitiche. Tra di esse vi sono le cosiddette specchie, ammassi di pietre a torre, che possono essere associate ai nuraghi sardi o a talune costruzioni del neolitico cretese. I menhir e i dolmen pugliesi sono forse il segno distintivo della civiltà che ha importato questo tipo di architettura. Sebbene, ivi, si precipiti nel campo delle pure ipotesi, è possibile che gli Elleni o i Fenici siano i responsabili di una così massiva diffusione nel Mediterraneo dei tholoi. D’altronde, si tratta di popoli che, in un certo senso, furono figli ed eredi proprio della cultura di Micene.

I pittogrammi e i pinnacoli  di Alberobello

I trulli non sono esclusivi di Alberobello, ma se ne possono rinvenire numerosi esemplari lungo tutta la Puglia centro-meridionale. Tuttavia, qui assumono connotati inediti e una simbologia particolare. Il visitatore del piccolo borgo pugliese è immediatamente colpito dagli strani pittogrammi che caratterizzano numerosi trulli, apposti sulla sommità conica. Inoltre, le coperture terminano sovente con pinnacoli dalle forme estrose e talvolta enigmatiche.

Tali simbologie appartengono a un mondo di apotropaici ritualismi di qualche secolo fa, cui bisogna fare necessariamente riferimento. I contadini di Alberobello credevano che quei pittogrammi, dipinti  in latte di calce sulle chiancarelle del tetto, possedessero una sorta di efficacia extra-empirica, volta ad allontanare gli spiriti del male. Essi dovevano avere, parimenti, un’ideale funzionalità propiziatoria: l’apposizione di quel simbolo esoterico avrebbe garantito un buon raccolto.

La classificazione commerciale dei pittogrammi di Alberobello

Nei riguardi dei pittogrammi di Alberobello è sovente propugnata una vetusta e commerciale classificazione secondo la quale essi si dividerebbero in simboli primitivi, cristiani, grotteschi, magici.

La pressoché totale mancanza di documentazione scritta sull’argomento ha favorito nel tempo la nascita di svariate teorie, spesso fantasiose. Per porre un esempio, secondo la succitata classificazione, i simboli detti primitivi, di difficile lettura, sarebbero addirittura il memoriale di ancestrali glifi, quasi preistorici. Tuttavia, risulta difficile accettare la teoria secondo la quale un contadino pugliese, al più dei secoli XVIII e XIX, avesse una tale e approfondita conoscenza dei rituali del neolitico! In sostanza, non è affatto detto che un simbolo detto primitivo abbia origine precedente a un corrispondente cristiano. Occorre, pertanto, operare un’onesta revisione interpretativa, nella speranza di riuscire ad adattare il sistema classificatorio al contesto storico e culturale nel quale i trulli si sono sviluppati.

Il contesto culturale di Alberobello, tra paganesimo e cristianesimo

Ad Alberobello sono stati contati circa duecento pittogrammi tra quelli ancora visibili ed altri ormai perduti. Una buona parte di essi sembrerebbero essere riferiti ad un contesto di tradizione popolare e culturale con chiaro valore propiziatorio. E’ possibile che i simboli del borgo siano l’espressione di quella cultura più genuina, che si potrebbe definire paganeggiante, che affondava le proprie radici nel substrato contadino della Puglia.

Ben note, infatti, sono alcune invocazioni propiziatorie destinate alla fertilità della terra, le quali si nutrivano di presunte conoscenze astrologiche popolari. L’abbondanza del raccolto veniva messa in relazione con la posizione dei pianeti, del sole e con l’alternarsi delle fasi lunari. Per un contadino della Puglia di qualche secolo fa, la vita stessa dipendeva dalle vicissitudini legate alla terra, alle piogge e a qualsiasi evento naturale che potesse intervenire. Appare scontato, pertanto, come ad Alberobello si debbano rinvenire simboli astrologici propiziatori, talvolta planetari. 

L’appropriazione di simboli e credenze

D’altronde, è Ernesto De Martino a rivelare come non solo in Puglia, ma in buona parte del Sud Italia, fossero ancora in essere alcune credenze retaggio di una antichità pagana. In Sud e Magia, l’antropologo affronta la questione con estremo rigore scientifico. Una vaga eredità della religiosità romana, con le sue proprie conoscenze astrologiche, si mescolava con la religione cristiana predominante.

Va specificato che le masse contadine non avessero una piena consapevolezza culturale delle simbologie adottate. Semplicemente, come afferma De Martino, esse si appropriavano di simboli religiosi o superstiziosi nella speranza di rendere tali credenze più vicine alla loro realtà, spesso miserevole. Questo è il motivo per il quale i simboli di Alberobello sembrano appartenere a contesti tra loro diversissimi, caratteristica che ne rende difficile una decifrazione unitaria e una classificazione.

Strane similitudini

La tradizione astrologica di tipo propiziatorio e di divinazione affonda radici negli albori dell’umanità. Furono i babilonesi i primi a codificare un sistema di osservazione dei fenomeni astronomici, e a dare ad essi un’interpretazione di tipo finalistico. È noto, ad esempio, il registro Enuma Anu Enlil del  XVII secolo a.C., che apparteneva al re Assurbanipal di Ninive3. Tra gli eredi di questo straordinario corpus di conoscenza vi furono certamente i misteriosi Sabei di Harran, un piccolo centro dell’Anatolia Sud Orientale, in Turchia.

Harran non è famoso soltanto per essere l’antica Carran, dove il profeta Abramo sostò mentre raggiungeva la terra di Canaan4, ma anche per gli intricati riti che vi si svolgevano. Qui, infatti, alcune fonti di matrice apologetica cristiana e musulmana riferiscono di culti pagani astrali, invocazioni degli dei planetari, almeno sino al XIII secolo5. Gli storici concordano sostanzialmente che la religione dei Sabei dovesse essere assai similare a quella degli antichi Caldei, vale a dire proprio di Babilonia. L’ultimo tempio pagano superstite di Harran fu distrutto nel 1081, durante l’occupazione dei Numairidi, mentre nel XIII secolo i Mongoli finirono per radere al suolo l’intera Harran. Le uniche costruzioni a resistere alla furia del tempo sono dei curiosi agglomerati in fango dalla forma tronco-conica, che ci pare ormai familiare. Strane similitudini!

L’intervento del cristianesimo

Certamente, la sub-cultura paganeggiante di Alberobello fu intercettata e in parte sovrascritta dal cristianesimo. Molti pittogrammi furono reinterpretati e altri, connessi al culto, introdotti ex novo. Tale processo si riscontra nella quasi totalità dei riti di superstizione popolare del Sud Italia che, da un momento all’altro, cominciarono a incamerare preghiere, invocazioni ai santi et similia.

Punto finale del processo di cristianizzazione fu l’edificazione dell’affascinante chiesa a trullo di Sant’Antonio, con pianta a croce greca,  tra il 1926 e l’anno seguente.

I pinnacoli e i simboli sconosciuti

Per quanto concerne la presenza delle multiformi sculture pinnacolari, collocate sulla sommità dei trulli, valgono le medesime considerazioni sopra esposte. Ciò nondimeno, non si esclude che esse siano il “segno distintivo” dei mastri carpentieri che le andavano realizzando. Potrebbe trattarsi, in tal senso, di una forma arcaica e contadina di insegna pubblicitaria.

Nonostante si possano rinvenire numerose similitudini tra la simbologia cristiana, quella magico-pagana ed i simboli di Alberobello, non sono pochi i pittogrammi di difficile interpretazione. Sono essi i segni definiti impropriamente grotteschi, ma in verità se ne riconosce una valenza di significazione che va oltre il mero aspetto decorativo. Tali simboli sono forse la libera espressione del contadino che li ha dipinti, ma non è escluso che sottendano linguaggi andati perduti nel tempo e che si dovrà, in futuro, tentare di ricostruire.

Samuele Corrente Naso

Mappa dei luoghi

Note e bibliografia

  1. Grande Archivio di Napoli, Reg. Privil. fol. 32 e 59, vol. 39. ↩︎
  2. G. Angiulli, La genesi dei trulli di Alberobello, in Siti – Patrimonio Italiano UNESCO, 2010. ↩︎
  3. L. Verderame, Le tavole I-VI della serie astrologica Enūma Anu Enlil, Dipartimento di Scienze dell’Antichità Università di Messina, Messina, 2002. ↩︎
  4. Genesi 11, 27-32. ↩︎
  5. T. Green, The City of the Moon God: The Religious Traditions of Harran, Religions in the Graeco-Roman World, Volume 114, E.J. Brill, Leiden, 1992. ↩︎

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