Barletta, echi dall’Oriente: da Teodosio a Federico

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Un’imponente statua di bronzo pare fissare, con occhi di ghiaccio, i turisti che passeggiano lungo Corso Vittorio Emanuele a Barletta. E’ una figura ormai familiare per gli abitanti del luogo, tanto da avere un nomignolo, Arè, abbreviazione di Eraclio. Eraclio è alto all’incirca quattro metri e mezzo, e il suo aspetto tradisce secoli di storia vissuta, in parte misteriosa. Per tali ragioni è chiamato Colosso di Barletta, azzarderei non solo per la sua enorme statura, ma anche per ciò che simbolicamente rappresenta nella cittadina pugliese.

Il gigante di Barletta

Eraclio si staglia fiero, su un piedistallo in pietra; indossa una veste elegante, che si protende sino alle ginocchia, e dei calzari. La sua pettinatura è ordinata e ben raccolta, la barba curata e dalla corta rasatura. Nel momento in cui ci si chiede chi potesse mai essere, questo gigante raffigurato nel cuore di Barletta, ecco rivelarsi alcuni indizi. Il capo di Eraclio è cinto da un diadema imperiale, esso monta sulla fronte un gioiello alla maniera dell’antico popolo dei Goti. Un singolo orecchino di perla, inoltre, pende sotto il lobo dell’orecchio sinistro.

Eraclio mantiene saldamente sulla mano sinistra un globo, simbolo del potere dell’Imperatore su tutto il Mondo, – chi ha detto che gli antichi credessero piatta la Terra? – mentre innalza la croce con l’altra. La fattura del bronzo è, a prima vista, bizantina. Si tratta dunque di un sovrano cristiano dell’Impero Romano d’Oriente, il cui potere si credeva conferito direttamente da Dio? Appare sin da subito come un’ipotesi molto plausibile… già, ma chi?

La misteriosa comparsa di Eraclio

Ancor più misteriosa è la comparsa di Eraclio a Barletta. La tradizione popolare, infatti, vuole che la statua sia stata rinvenuta nel 1204 adagiata ad uno scoglio del porto. Come essa sia ivi arrivata, tuttavia, nessuno ha mai provato a spiegarlo. Sembra quasi che Eraclio fosse emerso dai flutti, spontaneamente, scegliendo di trasferirsi a Barletta da qualche lontana città dell’Oriente. Questa tradizione storiografica incerta deriva dagli scritti di Giovan Paolo Grimaldi, gesuita del XVII secolo, secondo cui Eraclio sarebbe stato forgiato a Costantinopoli, e da lì prelevato dai veneziani durante il sacco del 1204 [1].

In effetti, si sarebbe trattato dello stesso destino di altre opere famose che oggi è possibile osservare a Venezia, e che furono fatte prelevare dal doge Enrico Dandolo. Tra queste, ad esempio, i famosi cavalli bronzei, un tempo all’Ippodromo di Costantinopoli, e poi collocati sulla Basilica di San Marco. Tuttavia, nel caso di Eraclio, durante il tragitto verso la città lagunare la nave che trasportava il gigante sarebbe stata colta da una tempesta, e avrebbe pertanto deciso di abbandonare il carico lungo le coste pugliesi.

Studi storiografici

In verità, analisi spettrometriche condotte sulla statua hanno parzialmente invalidato questa ipotesi. Il bronzo, infatti, non presenta contaminazioni di iodio tali da giustificare una permanenza prolungata in mare. Né, effettivamente, presenta quei fenomeni corrosivi tipici dei reperti marittimi. Assai più probabile è che Eraclio sia stato trasportato a Barletta da una città più vicina.

L’ipotesi più accreditata, infatti, è che il Colosso sia stato realizzato a Ravenna, all’epoca capitale dell’Impero Romano d’Occidente, e fatto poi trasportare in Puglia per volere di Federico II di Svevia. È il monaco Tommaso da Pavia che riferisce di una straordinaria campagna di scavi, condotta dall’imperatore a Ravenna, negli anni 1231-1232. Eraclio sarebbe stato quindi disotterrato in un luogo fuori città, ove sorgeva un mausoleo simile a quello di Galla Placidia [2].

L’intenzione di Federico II era, pertanto, quella di abbellire le città del Regno di Sicilia a lui care. Peraltro, non è certo nemmeno che il Colosso fosse diretto effettivamente a Barletta, giacché qualcuno suggerisce che la sua destinazione finale dovesse essere Foggia. In ogni caso, per qualche strana ragione, Eraclio rimase presso la dogana del porto di Barletta per lunghi anni, finché non fu collocato nel centro della città.

Il Colosso di Barletta, una controversa identità

Resta ancora la domanda, essenziale, di partenza: chi rappresenta il Colosso di Barletta? Il nome Eraclio tradisce la sua prima identificazione storica. La presenza della vistosa croce, retta dalla mano destra della statua, ha suggerito anticamente che essa potesse raffigurare l’Imperatore Eraclio I. Egli fu il sovrano che, secondo la tradizione, si era vendicato della profanazione del Sacro Sepolcro del 630 da parte dei Persiani, e aveva riportato la vera croce a Gerusalemme durante un pellegrinaggio [3].

Sono state poi varie le ipotesi avanzate circa la vera identità del Colosso. Secondo Picozzi, esso sarebbe l’imperatore Giustiniano [4]. Delbrueck [5]  e Kollwitz [6] , invece, lo identificano con Marciano, mentre Koch [7] e Cecchelli [8] con Valentiniano I.

L’ipotesi più accreditata, tuttavia, è che il Colosso di Barletta raffiguri l’Imperatore Romano d’Oriente, Teodosio II. Essa sarebbe comprovata dalla presenza del gioiello goto sul diadema. La madre di Teodosio II, infatti, chiamata Elia Eudossia, era di origine franca e figlia di un generale dei Goti. Secondo questa ipotesi, ripresa da Gianfranco Purpura, il Colosso sarebbe stato quindi forgiato a Ravenna nel 439 [9].

Successivi rimaneggiamenti

L’unica fonte certa riguardo il Colosso di Barletta è un editto del 1309. Attraverso esso Carlo I d’Angiò concedeva ai domenicani il permesso di fondere le braccia e le gambe del Colosso, al fine di ottenere alcune campane per la nascente chiesa di Siponto [10]. All’epoca la statua si trovava ancora presso la dogana del porto di Barletta. Soltanto alla fine del XV secolo si decise di restaurare gli arti mancanti e di erigere la statua come oggi la osserviamo. Anticamente essa era racchiusa all’interno di una loggia gotica, non più esistente.

La Basilica del Santo Sepolcro

Alle spalle del Colosso di Barletta si eleva la Basilica del Santo Sepolcro, il cui nome rievoca ancora l’Oriente e le sue suggestioni. Le prime attestazione dell’edificio risalgono al 1130, quando Innocenzo II riconobbe l’Ordine dei canonici del Santo Sepolcro [11]. Sarebbero stati, infatti, proprio alcuni cavalieri, di ritorno dalla Terra Santa, a fondare la Basilica. Ancora Innocenzo II indicava poi l’ubicazione della costruzione di culto in una bolla del 1138. Di fianco alla Basilica del Santo Sepolcro è attestata la presenza di un Ospitale dei pellegrini.

Descrizione della Basilica

La Basilica del Santo Sepolcro sorge nel centro storico di Barletta, e si innesta in quella lunga tradizione architettonica del Romanico pugliese, sebbene sia stata in seguito rimaneggiata attraverso gli stilemi gotici. Molteplici, inoltre, sono gli influssi culturali che derivano da Gerusalemme. Barletta rappresentava, infatti, un importante crocevia e punto di partenza marittima per la Terra Santa. Dal suo porto partivano le mercanzie di rifornimento, nonché numerose truppe di cavalieri, verso le Crociate. In un certo senso, si può affermare che Barletta avesse un collegamento diretto con l’Oriente. Fino alla caduta di San Giovanni d’Acri del 1291, la città costituì, infatti, uno dei più importanti scali dei principali ordini monastici e cavallereschi dell’epoca, tra cui i Cavalieri Templari.

È sostanzialmente per questa ragione che la Basilica del Santo Sepolcro di Barletta si trovi lungo la Via Francigena, l’asse viario che conduceva i pellegrini da Roma verso Gerusalemme. L’attuale edificio presenta oggi delle chiare fattezze gotiche, frutto dei rifacimenti del XIII secolo. Anche la facciata, rivolta verso Est, è in parte rimaneggiata. La porzione superiore è, infatti, di epoca barocca. Originariamente, innanzi al prospetto principale, vi era un elegante portico. Di esso, demolito nel 1770, residua soltanto l’arcata che metteva in congiunzione l’Ospitale con la chiesa.

Anche l’antico campanile è sostituito da un analogo, di stile barocco. Esteriormente, si possono ancora ammirare le tre absidi del prospetto est e la fiancata a nord, innanzi alla quale svetta il Colosso di Barletta.

Internamente, la Basilica ha un impianto a tre navate con transetto. Sulle navate laterali si innalzano i matronei, i quali affiancano sette campate, scandite da archi a sesto acuto. Presso la crociera si innalza l’altare maggiore, con crocifisso ligneo. Nel complesso, gli spazi e le simmetrie appaiono di stampo tipicamente cistercense.

Il Tesoro di Barletta

Dopo la caduta di San Giovanni d’Acri, nel 1291, ultima roccaforte dei Cavalieri Templari in Terra Santa, trovò asilo a Barletta Randulfo, patriarca di Gerusalemme. In accordo con la tradizione del luogo, egli trasportò nella città preziosissime reliquie, le quali oggi costituiscono un vero e proprio tesoro. Il Tesoro di Barletta, custodito presso la Basilica del Santo Sepolcro, conterrebbe in particolare un frammento della Vera Croce, conservato in un reliquiario d’argento. Inoltre, sono ivi custoditi un ostensorio e un breviario del XII secolo, forse provenienti da Gerusalemme, oltre ad altri preziosi cimeli.

Ordini gerosolimitani a Barletta

Barletta fu interessata, durante tutto lo svolgimento delle Crociate in Terra Santa, dalla presenza di differenti ordini gerosolimitani. Secondo le fonti, i primi a stabilirsi in città furono i Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, anche detti Cavalieri di Malta, i quali fondarono un primitivo priorato. Non dovettero passare molti anni, quando giunsero nel borgo finanche i Templari, presenti a Barletta almeno dal 1158. Si sa con certezza di una convenzione del 1169 di tale ordine con il vescovo di Trani Bertrando [12] [13]. L’accordo prevedeva che i Cavalieri Templari si prendessero cura dei pellegrini, in cambio della Chiesa di Santa Maria Maddalena di Barletta.

Dagli atti risulta che la donazione fu elargita nei confronti dei fratelli Riccardo e Rainerio. Tradizionalmente, la Chiesa di Santa Maria Maddalena è identificata con la famosa Precettoria di Barletta, la quale era sede dell’intero Ordine nella regione della Capitanata. Ciò nondimeno, lo studioso Oronzo Cilli [14] ipotizza che la sede della Precettoria fosse la Chiesa di San Leonardo fuori le mura. È difficile accertare dove tale domus templi fosse locata, giacché entrambe le chiese furono demolite nel XVI secolo.

In ogni caso, va rilevato come nel 1229 i contrasti tra tali ordini monastici e il Sacro Romano Impero si inasprirono a causa della disputa tra Federico II e il Papato. Il sovrano, infatti, finì per confiscarne tutti i beni. Ciò favorì l’insediamento a Barletta dei Cavalieri Teutonici, dalle idee politiche più vicine a quelle federiciane. La massiva presenza degli ordini gerosolimitani a Barletta è chiaramente connessa alla presenza dell’importante porto, da cui inviavano risorse in Terra Santa. Il precettore aveva proprio il compito di gestire la raccolta e la spedizione delle merci.

Simbologia a Barletta: il Centro Sacro della Cattedrale di Santa Maria Maggiore

La Cattedrale di Barletta è il risultato di una lunga stratificazione monumentale di edifici che si sono succeduti nel corso del tempo. Una prima costruzione, del VI secolo dedicata a San Sabino, viene fatta risalire all’epoca paleocristiana. Su di essa si sono innestate, lungo i secoli, nuove strutture, tra cui una basilica alto-medievale. Durante l’epoca normanna l’edificio cominciò ad essere interessato da una serie di innumerevoli rifacimenti (1147-1153), che proseguirono in epoca sveva, sotto Federico II. Lo stesso sovrano riconobbe alla città il privilegio di celebrare la Fiera dell’Assunta, in onore alla Vergine cui la chiesa è dedicata.

Gran parte dell’edificio che oggi osserviamo è frutto, invece, di una riedificazione romanica del XII-XIII secolo, la cui consacrazione è datata 1267 ad opera del vescovo Randolfo. All’edificio furono aggiunti numerosi elementi gotici, tra cui le absidi di epoca angioina. Progettista dell’ampliamento fu il famoso Pierre d’Angicourt. Inoltre, nel 1307 il papa Clemente V emanò una bolla attraverso cui chiunque avesse visitato la Cattedrale di Barletta, avrebbe ottenuto un’indulgenza di 100 giorni. Ivi, il 4 febbraio 1459, vi verrà incoronato Ferdinando d’Aragona.

Descrizione stilistica della Cattedrale

All’epoca della dominazione sveva risale un imponente innalzamento della facciata, la quale fu dotata di una monofora centrale e del rosone. Inferiormente, si aprono tre portali, di cui quello centrale racchiuso in eleganti lesene e sormontato da timpano. Tale decorazione è frutto di un rifacimento rinascimentale, mentre sono originali i portali laterali scolpiti. La decorazione appare piuttosto multiforme, con motivi antropomorfi e zoomorfi.

L’archivolto del portale sinistro è riccamente impreziosito da un tralcio scolpito, i cui lembi sono tenuti da un centauro bicorpo.  Alle estremità, sono presenti le figure di due leoni con valenza cristologica, come è tipico nella simbologia del Romanico.

Il portale destro è provvisto anch’esso di un archivolto istoriato, dall’importante contributo artistico e simbologico. Ivi, infatti, sono raffigurati in sequenza alcuni uomini, armati di lance, spade e bastoni, che combattono contro fiere selvagge. È la raffigurazione della lotta interiore, che ogni cristiano deve operare contro la tentazione e il peccato, al fine di poter accedere alla Casa di Dio.

Lungo la facciata, inoltre, sono dispersi numerosi altri bassorilievi, con raffigurazioni zoomorfe.

Gli interni della Cattedrale

La Cattedrale di Santa Maria Maggiore, a Barletta, ha un impianto basilicale. Essa è suddivisa in tre navate, scandite da eleganti colonne con capitelli scolpiti e da pilastri a fascio. I capitelli, finemente modellati, mostrano rappresentazioni di animali e motivi fitoformi. Superiormente alle colonne, invece, si stagliano le pareti divisorie delle navate, con finti matronei. Le navate laterali sono coperte da capriate lignee, mentre quella centrale è sormontata da volte a crociera.

La zona absidale è coperta da volte a vela costolonate. Qui si innalza l’area del presbiterio, con l’altare maggiore. Esso è sormontato da un elegante ciborio del XII secolo con colonnine angolari e cupola a loggia.

Il Centro Sacro

Le colonne anteriori, che separano le navate, appaiono più antiche e di fattura più pregevole rispetto alle altre. È assai probabile che si tratti di materiale di reimpiego, a prima vista in granito. Tale dettaglio non è trascurabile, ma è importante per denotare e classificare le eventuali incisioni presenti. In particolare, nella prima colonna di destra si può rinvenire l’iscrizione di un Centro Sacro.

Il Centro Sacro è un antico simbolo che trae origine dalla concezione che i Greci avevano dell’Universo. Tale principio era connesso con quello dell’Omphalos, la pietra sacra situata presso l’oracolo di Apollo, a Delfi. Il Centro Sacro indicava, quindi, un luogo che figurativamente identificava il centro del mondo. Esso era, al tempo stesso, mitico e rituale, nell’accezione originale di sacro o principio del tutto.

Questa simbologia, ripresa in età medioevale e cristiana, ha finito chiaramente per identificarsi con un luogo di elezione e di incontro con Dio. È questa la Casa del Padre, vero centro dell’umanità intera. Non deve sorprendere, pertanto, la presenza della simbologia del Centro Sacro in una cattedrale cristiana. L’edificio barlettano è vero Centro Sacro, in quanto luogo eletto lungo innumerevoli secoli e molteplici rifacimenti. Nonostante il continuo cangiare degli stili e delle costruzioni architettoniche, esso è rimasto immutato nella sua collocazione e spazialità. Il simbolo è, al tempo stesso, immagine di Dio medesimo, creatore di tutte le cose.

Il Castello di Barletta

Appena al di là della Cattedrale, si erge a Barletta il Castello Svevo. Simbolo della contrapposizione dell’Impero con il Papato, della città con la milizia, esso fu baluardo inespugnabile di Federico II. L’edificio risale, tuttavia, all’epoca normanna (1046-1050). In particolare, fu Pietro il Normanno a edificare i rudimenti della struttura, oltre ad una prima cinta muraria della città. Federico II, in epoca sveva, fece ampliare il perimetro del castello, facendo abbattere l’ala orientale. Il sovrano fece inserire elementi decorativi ed architettonici che trasformarono l’edificio da mera struttura difensiva a reggia per la sua corte.

All’interno della fortezza, nel 1228, si tenne la cosiddetta Dieta di Barletta, durante la quale Federico II annunciò la sua partenza per la VI crociata. Il castello subì numerosi rifacimenti in epoca angioina, tra cui l’edificazione della cosiddetta Porta Trani, che si affacciava verso l’omonima città. Durante la dominazione aragonese, il Castello di Barletta venne assoggettato ad una serie di modifiche, che rispecchiavano gli stilemi tipici della casata spagnola. La struttura, infine, assunse le odierne fattezze tra il XVI e XVIII secolo, in seguito a rifacimenti che ne hanno modificato il perimetro, per rispondere in maniera adeguata alla nascente artiglieria militare.

Samuele Corrente Naso

Note

[1] Vita di S. Ruggiero vescovo di Canne et confessore, patrono di Barletta, G.P. Grimaldi, 1607, Napoli.

[2] Galla Placidia e il c.d. suo mausoleo in Ravenna, in Arti e Memorie della R. deputazione di St. Patria per la prov. di Romagna, G. Gerola, 1912.

[3] Storia dell’impero bizantino, G. Ostrogorsky, 1968, Einaudi, Torino.

[4] Contributi numismatici all’identificazione del Colosso di Barletta, in Rivista Italiana di Numismatica, 73, V. Picozzi, 1971.

[5] Spätantike Kaiserporträts von Constantinus Magnus bis zum Ende des Westreichs, R. Delbrueck, 1933, Berlin-Leipzig.

[6] Oströmische Plastik der theodosiani-schen Zeit, J. Kollwitz, 1941, Berlin.

[7] Bronzestatue in Barletta, in Antike Dankmäler, H. Koch, 1912-13.

[8] Studi di archeologia paleocristiana e altomedievale, C.Cecchelli, a cura di M.Cecchelli, G.Pilara, 2012, Institutum Patristicum Augustinianum, Roma.

[9] Il “Colosso” di Barletta ed il Codice di Teodosio II, G. Purpura, Atti del IX Convegno Internazionale Accademia Costantiniana di Perugia, 1993.

[10] Storia della città di Barletta, Volume I, S. Loffredo, 1893.

[11] L’Ordine di Gerusalemme in Puglia sotto i re normanni e svevi, Francesco Carabellese, in Rassegna Pugliese, 1898.

[12] Guida all’Italia dei Templari: gli insediamenti templari in Italia, B.Capone, L.Imperio, E. Valentini, 1989, Edizioni Mediterranee.

[13] La chiesa di Ognissanti di Trani non fu templare, V. Ricci, 2010, Cronache medievali.

[14] I templari a Barletta. Nuove acquisizioni, Oronzo Cilli, 2002.

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