Ravenna romana e bizantina, luoghi e personaggi storici

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La prima attestazione del nome di Ravenna è contenuta nell’orazione Pro Cornelio Balbo del 56 a.C. con cui Marco Tullio Cicerone ne loda lo status di civitas foederata1. Eppure la città ha origini molto più antiche. Strabone la voleva fondata dai mitici Pelasgi della Tessaglia, i quali l’avrebbero lasciata in eredità agli Umbri e poi agli Etruschi2. L’insediamento costituiva, in quel lembo di Romagna, un importante crocevia soprattutto perché consentiva un accesso privilegiato al mare e alla navigazione. È lo stesso toponimo della città a rivelarlo: il nome Ravenna potrebbe derivare dal preindoeuropeo rav-, ossia lo scorrere dell’acqua3, o in alternativa dall’idronimo del fiume Rabbi che al tempo sfociava nella laguna romagnola4. Il suffisso –enna è di probabile origine etrusca.

Ravenna al tempo dei Romani

Nonostante la prima menzione di Ravenna risalga dunque al periodo ciceroniano, l’insediamento era ben noto e doveva avere una certa rilevanza quando i Romani si accingevano a conquistare la Gallia Cisalpina nel corso del III secolo a.C. Della città romana, un oppidum fortificato a pianta urbana quadrata, sopravvivono pochi resti archeologici. Sono riemersi soltanto alcuni tratti della cinta muraria costruita, forse, in occasione della discesa in Italia delle truppe cartaginesi guidate da Annibale (218 a.C.). Un più corposo sviluppo cittadino si ebbe durante il II e il I secolo a.C., periodo in cui la struttura urbana si dovette adattare alla peculiare conformazione geomorfologica del territorio. Possiamo immaginare che la città romana, situata in una laguna, fosse traversata da molti canali. La gran parte degli edifici, i ponti necessari alla viabilità e soprattutto le abitazioni, erano in legno, fattore che spiega il dato archeologico così carente.

Erano quelli gli anni della guerra civile tra Mario e Silla, ragione per cui Ravenna venne occupata dalle truppe di Metello (82 a.C.)5, e poi del passaggio del Rubicone da parte di Cesare che si era accampato in città (49 a.C.)6. In età imperiale Ravenna divenne il principale scalo dell’alto Adriatico allorché Ottaviano Augusto vi stanziò la flotta pretoria. Il Porto di Classe, appositamente costruito a tal fine, poteva ospitare fino a duecentocinquanta triremi e diecimila marinai7. Da quel momento Ravenna crebbe di pari passo alla sua egemonia marittima.

Mausoleo Galla Placidia
Ravenna, Mausoleo di Galla Placidia

Ravenna capitale

Al declinare del IV secolo, tuttavia, la situazione politica e militare dell’Impero romano volgeva al peggio. Se fino a quel momento le pressioni delle ondate barbariche ai confini, sebbene sempre più massicce e frequenti, erano condotte solo per compiere razzie e poi ritornare al di là del limes, adesso assumevano le dimensioni di grandi immigrazioni di popoli che miravano a stanziarsi nel territorio. Si può individuare l’inizio dell’agonia nel 395. In quell’anno moriva Teodosio I il grande, ultimo sovrano dell’Impero unito, e poco dopo i Visigoti, proclamato Alarico re, sconfinavano in Grecia e in Macedonia. Teodosio I sul letto di morte aveva affidato ai suoi figli maschi il destino del mondo: Arcadio avrebbe guidato le terre l’Oriente e Onorio quelle di Occidente.

Poiché i due erano ancora fanciulli, venne scelto come protettore e reggente il generale Stilicone. De facto, però, egli riuscì a esercitare il proprio potere solo sulla parte occidentale. Le incertezze seguenti alla divisione dell’Impero causarono quindi una forte instabilità e vennero lette dai barbari come segno di debolezza. Nonostante i tentativi di pacificazione, i Visigoti giunsero in Italia nel 401 e si diressero verso Milano, a quel tempo capitale e sede del trono di Onorio. Furono fermati solo dall’intervento di Stilicone: il generale offrì ad Alarico la carica di magister militum a patto che lasciasse la Penisola. L’anno successivo Ravenna, più difendibile dalle incursioni nemiche, venne prudentemente scelta come capitale dell’Impero romano d’Occidente. Fu in effetti una decisione oculata giacché nel 410 i Visigoti dilagarono in Italia e compirono infine il terribile sacco di Roma.

Galla Placidia

Ordunque Alarico mirava a ottenere un territorio in Italia dove stanziare i Visigoti, ma a ciò si opponeva Onorio con fermezza. Per forzare la mano dell’Imperatore gli si parò innanzi un’irripetibile occasione durante il sacco di Roma. Riuscì infatti a rapire la sorella di Onorio, Galla Placidia, e a portarla via come ostaggio8. Le truppe visigote, intenzionate a dirigersi in Sicilia e in Africa, si fermarono a Messina. Ma nel tentativo di risalire l’Italia Alarico si ammalò e morì a Cosenza.

Il successore al trono Ataulfo si trovò così di fronte a una situazione spinosa. Se avesse fatto del male a Galla Placidia qualsiasi pretesa verso i territori dell’Impero sarebbe stata impossibile, ma non poteva nemmeno riconsegnarla a Onorio senza ottenere nulla in cambio. Decise pertanto, non senza la sorpresa di molti, di prenderla in sposa, con la speranza di ottenere un riconoscimento dei diritti regali presso l’Imperatore9. Nel 414 l’appena ventenne Galla Placidia sposò a Narbonne Ataulfo divenendo la regina dei Visigoti. Tuttavia, la scelta del re non piacque a tutti. Cinque anni dopo la sua ascesa al trono Ataulfo fu assassinato in una congiura. Galla Placidia venne umiliata, costretta a camminare a piedi nudi per venti chilometri e imprigionata per i successivi tre anni.

Galla imperatrice

Quando il generale Flavio Costanzo finalmente riuscì a liberarla, grazie a uno scambio di beni e servigi con i Visigoti, la giovane era provata nello spirito. Come fosse in balia del destino, non poté opporsi alle richieste di Costanzo, che le annunciò l’intenzione di sposarla a sua volta. E nonostante le rimostranze, nel 417 il matrimonio fu celebrato a Ravenna10. Flavio Costanzo divenne di lì a pochi anni co-imperatore dell’Impero insieme ad Onorio (421) e Galla Placidia acquisì il ruolo di augusta.

Sembrava che la vita di Galla avesse trovato un momento di pace e stabilità; invece, dopo poco più di sei mesi, anche Costanzo morì. L’augusta, che peraltro ancora conservava il titolo di regina dei Visigoti, venne esiliata a Costantinopoli insieme ai figli, tra i quali v’era il legittimo erede al trono imperiale Valentiniano. Ciò a causa del fatto che non correva più buon sangue con il fratello Onorio11.

La chiesa di San Giovanni Evangelista di Ravenna

Nell’agosto del 423 si spense infine anche Onorio. Galla Placidia e i figli poterono fare ritorno in Occidente l’anno successivo: il 23 ottobre Valentiniano fu proclamato augusto d’Occidente. Si racconta che durante il viaggio di ritorno da Costantinopoli l’imbarcazione sulla quale viaggiava la corte imperiale fu vittima di un violento naufragio. Galla Placidia, fervente sostenitrice dell’ortodossia cattolica, affidò le sue preghiere a San Giovanni Evangelista, facendo voto di dedicargli una chiesa se si fosse salvata. Non appena rientrata a Ravenna l’Imperatrice fece erigere in città la chiesa di San Giovanni Evangelista che ancora oggi è possibile ammirare.  

La chiesa di San Giovanni Evangelista

Al momento della sua elezione Valentiniano aveva appena sei anni. Galla Placidia ebbe il ruolo di reggente per i successivi dodici anni, conducendo una politica orientata all’equilibrio e soprattutto al sostegno dell’ortodossia e della Chiesa romana. La sua figura fu influente fino alla morte, intercorsa il 27 novembre del 450. 

Il Mausoleo di Galla Placidia e il mistero della sepoltura

Secondo la tradizione ravennate, le spoglie dell’Imperatrice riposano all’interno di uno splendido Mausoleo che lei stessa fece edificare mentre era ancora in vita12. Al suo interno vi sono custoditi tre sarcofagi vuoti che si dice fossero destinati a Gallia, Costanzo III e Onorio.

Mausoleo di Galla Placidia, Ravenna
Il Mausoleo di Galla Placidia e la chiesa di Santa Croce sulla sinistra

Ciò nondimeno, Galla Placidia morì a Roma e con ogni probabilità i cristiani la seppellirono all’interno della Basilica di San Pietro. Ad avvalorare questa tesi è il ritrovamento, nel 1458, di un sontuoso sarcofago marmoreo contenente il corpo di una donna e di un bambino presso la cappella di Santa Petronilla. Entrambe i corpi dovevano appartenere a una stirpe imperiale poiché erano avvolti da tessuti con fibre in oro. È possibile che si trattasse proprio di Galla Placidia e di suo figlio Teodosio. 

Mausoleo Galla Placidia interni
Particolare dei mosaici della volta interna del Mausoleo di Galla Placidia

Tessere di luce

Al di là della leggenda, il fatto storico vuole il Mausoleo edificato per volontà di Galla Placidia poco dopo il 425. L’edificio, con pianta irregolare a croce latina e cupola nascosta da un tiburio a base quadrata, era connesso all’attigua chiesa di Santa Croce per mezzo del nartece ed è possibile che fungesse da martyrium. Alla sobria architettura degli esterni, costituiti interamente in laterizio e abbelliti solo da arcate cieche, si contrappone la sfarzosità dei rivestimenti musivi interni. Per i primi Cristiani, infatti, la bellezza risiedeva nell’interiorità delle cose, come l’anima, parte nobile dell’uomo, è racchiusa nel corpo carnale e corruttibile.

Sarcofago mausoleo Galla Placidia
Uno dei tre sarcofagi che, secondo la tradizione, Galla Placidia fece costruire per Onorio, Costanzo III e per se stessa.

Una luce soffusa penetra dalle finestre di alabastro del Mausoleo e illumina le tessere di un magnifico cielo stellato che ricopre le volte e culmina, sotto la cupola, in una croce dorata. Presso i pennacchi sono invece collocati i simboli del tetramorfo. Sulle lunette che chiudono le volte ecco splendere i mosaici del Buon Pastore, di un San Lorenzo con la griglia del martirio, dei cervi che si abbeverano in un corso d’acqua, degli apostoli in preghiera.

Il mosaico di San Lorenzo

Odoacre

Con il passare degli anni e il susseguirsi delle incursioni barbariche la situazione dell’Impero d’Occidente si fece sempre più critica. Nel 452 Roma aveva ormai perduto gran parte della Gallia in favore dei Visigoti e la Britannia. Gli Svevi si erano impadroniti della Spagna e i Vandali dell’Africa. Era questo il preludio al definitivo crollo.

L’impossibilità di fronteggiare militarmente i gruppi di barbari che si stabilivano entro i confini costrinse gli imperatori ad attuare politiche sempre più accomodanti. Nella gran parte dei casi si ricorreva alla stipulazione di un foedus, ossia di un trattato di alleanza tra le parti. Ma ciò implicava anche un coinvolgimento dei barbari nel governo di Roma. Si arrivò al punto che l’imperatore, affinché potesse governare, doveva contrattare con tutti i re dei popoli stanziati in Occidente. Nel 476 Odoacre, al comando delle milizie germaniche dell’Impero, si rivoltò infine contro Romolo Augusto. Al rifiuto di ottenere un terzo delle terre in Italia, Odoacre marciò su Ravenna capitale e depose l’ultimo sovrano dell’Impero d’Occidente13.

Scarsissime sono le notizie riguardanti la vita di Odoacre. È possibile che fosse figlio di un militare di alto rango, forse un unno al seguito di Attila14 oppure che avesse sangue germanico15. In gioventù si arruolò nella guardia imperiale di Roma e, dopo una rapida carriera militare, si trovò a capo degli Eruli nella rivolta che decretò la caduta dell’Impero.

Gli ariani a Ravenna e il battistero Neoniano

Sappiamo che Odoacre fosse di culto ariano. Sebbene l’Arianesimo fosse stato dichiarato eretico già dal concilio di Nicea del 325, era ancora molto diffuso al suo tempo. Odoacre, tuttavia, non negò mai la libertà di culto ai cattolici. Ne abbiamo testimonianza a Ravenna dove coesistevano edifici di culto ariani e “ortodossi”, ognuno con le sue liturgie e funzioni.

Ravenna, Battistero Neoniano
Il battistero Neoniano

Il battistero Neoniano di Ravenna era stato fatto costruire dal vescovo Orso in contrapposizione, proprio alla dottrina dell’Arianesimo, sin dagli inizi del V secolo. Il suo utilizzo continuativo durante gli anni di Odoacre attesta la grande tolleranza religiosa del nuovo re.

I mosaici della cupola presso il battistero Neoniano

Il battistero prende il nome dal vescovo Neone, il quale portò a termine i lavori di edificazione. Dopo la morte del religioso, ricordato come un grande campione dell’ortodossia cattolica, le sue spoglie furono collocate all’interno di un sarcofago nella cripta della chiesa di San Francesco. Tale locale, a tre navate con volte a crociera e splendidi mosaici pavimentali, si trova ormai al di sotto del livello del mare per via della subsidenza, ed è oggi allagato a tal punto che vi nuotano i pesci.

San Francesco Ravenna
Presso la cripta della Basilica di San Francesco, situata al di sotto del livello del mare e oggi allagata, a tre navate con volte a crociera, è conservato il sarcofago del vescovo Neone.

Teodorico

Nonostante Odoacre si fosse dichiarato vicario dell’Impero romano d’Oriente, sul cui trono risiedeva Zenone, le relazioni tra i due regnanti non erano ottimali. L’Imperatore d’Oriente vedeva nel re degli Eruli un possibile rivale; allo stesso tempo aveva in casa uno scomodo coinquilino giacché gli Ostrogoti di Teodorico si erano rivoltati ed erano giunti a minacciare Costantinopoli. Nel tentativo di risolvere i conflitti con entrambi, Zenone offrì a Teodorico le terre d’Italia, a patto che rimuovesse Odoacre.

Nel 489, a capo di centomila uomini, Teodorico varcò le Alpi e si diresse verso Ravenna. Ma la città si rivelò pressoché inespugnabile. Dopo quattro anni di assedi e continui rovesciamenti della guerra, il vescovo Giovanni propose una tregua: Odoacre e Teodorico avrebbero governato insieme. Il 5 marzo del 493 l’ostrogoto fece il suo ingresso trionfale entro le mura della capitale. Appena dieci giorni dopo, nel corso di un banchetto che avrebbe dovuto suggellare gli accordi, Teodorico afferrò la sua spada e colpì Odoacre a morte16.

Il regno di Teodorico condusse a circa trent’anni di pace. Ravenna, adesso capitale del regno Ostrogoto in Italia, visse un momento di florido sviluppo, anche dal punto di vista artistico. Teodorico comandò imponenti opere pubbliche di bonifica e l’edificazione di importanti monumenti della città. Come Odocare, egli volle rispettare la libertà di culto nei suoi possedimenti sebbene fosse di fede ariana. Tuttavia, negli ultimi anni la situazione si incrinò. Quando l’imperatore d’Oriente Giustino I iniziò a perseguitare i sudditi ariani, Teodorico inviò a Costantinopoli papa Giovanni I per una mediazione. Non ottenendo il risultato sperato fece imprigionare il pontefice, il quale morì in prigionia poco tempo dopo, nel maggio del 526. Erano anni di grandi tormenti per lo stesso Teodorico. Nel 525, temendo una congiura, aveva fatto condannare a morte ingiustamente il suo fidato consigliere Severino Boezio. 

Il Mausoleo di Teodorico

Nell’agosto del 526 Teodorico si spense, non senza un alone di leggenda. Giosuè Carducci nelle Rime nuove riprende un antico racconto sulle sorti del re ostrogoto: Teodorico, misesi sulle tracce di una cerva d’oro in groppa al suo cavallo, sarebbe stato scaraventato dall’animale dentro la bocca dell’Etna17. Oltre la fantasia, la leggenda tentava forse di spiegare perché nel mausoleo costruito per la sepoltura non vi fosse traccia alcuna delle sue spoglie. È probabile che la sepoltura di Teodorico fosse stata depredata nei secoli subito successivi, durante la dominazione bizantina. D’altronde, l’Agnello ravennate attesta che alla prima metà del IX secolo l’edificio fosse già da diverso tempo riconsacrato come chiesa sotto l’intitolazione di Santa Maria ad Farum18.

Mausoleo Teodorico a Ravenna
Il Mausoleo di Teodorico

Non è chiaro se il Mausoleo fu fatto edificare mentre Teodorico era ancora in vita o se vi provvide sua figlia Amalasunta. L’edificio, a pianta decagonale, è costruito con blocchi di pietra d’Aurisina su due livelli. L’ordine inferiore è scandito da arcate a tutto sesto; quello superiore si mostra oggi come un sobrio e possente cilindro, un tempo però era abbellito da una loggia circolare con colonne. La copertura è composta da un solo e pesante monolita in pietra, di circa duecentotrenta tonnellate. La tecnica che ne ha permesso la collocazione è ancora un mistero, se non ipotizzando l’allagamento dell’area intorno al monumento e l’utilizzo di zattere galleggianti.

Giustiniano il Grande

Giustiniano il Grande fu il basileus dei romani d’Oriente dal 527 sino alla sua morte. E soprattutto, attraverso la cosiddetta guerra greco-gotica del 540, riuscì a riconquistare parte del perduto Impero romano d’Occidente19. In sostanza, Giustiniano fu l’ultimo sovrano a tentare di restaurare l’Impero unito. In Italia pose Ravenna come capitale dell’Esarcato bizantino, territorio a cui estese la medesima legislazione di Costantinopoli, raccolta nel Corpus iuris Iustinianeum, attraverso la Prammatica Sanzione20. La posizione strategica della città, a cavallo tra Oriente e Occidente, ne fece il fulcro politico ed economico dell’Impero. Allo stesso tempo, grazie all’opera del vescovo Massimiano, Ravenna divenne un importante centro di culto, al pari di Roma e della stessa Costantinopoli.

Giustiniano
Il mosaico di Giustiniano nella Basilica di San Vitale

La basilica di San Vitale di Ravenna

Tra le altre cose, durante il regno di Giustiniano fu edificata l’imponente basilica di San Vitale, edificio grandioso che doveva rendere manifesta la supremazia della chiesa ravennate. Invero la costruzione era stata iniziata dal vescovo Ecclesio (525-532), ma venne completata nelle attuali forme solo con l’avvento dei Bizantini e la nomina di Massimiano21.

San Vitale a Ravenna
San Vitale

L’edificio è costituito da due corpi in mattoni rossi, ottagonali e di altezza differenti, che si intersecano su una pianta a simmetrica centrale. La struttura più interna si eleva per mezzo del tiburio che racchiude la cupola. L’esterno della Basilica, sobrio come da tradizione paleocristiana, si apre per mezzo di grandi monofore su due livelli. L’abside è poligonale e l’ingresso è preceduto da un nartece tangente in obliquo a uno degli spigoli opposti, ma non alla facciata.

Interni San Vitale a Ravenna
L’abside di San Vitale

All’interno gli spazi sono scanditi dal deambulatorio e dai matronei che corrono, uno sopra l’altro, attorno al presbiterio. Ciò si realizza attraverso la ripetizione di pilastri angolari, nonché di colonnine con pulvini e capitelli scolpiti a Costantinopoli. La basilica di San Vitale ospita una serie meravigliosa di decorazioni musive che, anche grazie a un sapiente accostamento con pregiati marmi policromi, creano un’atmosfera accogliente, mistica e luminosa. I mosaici parietali invadono giocosamente ogni superficie del presbiterio e dell’arco absidale. Il punto focale dell’intera raffigurazione è il Cristo Pantocratore presso il catino che, assiso su un globo azzurro, simbolo dell’universo, porge la corona del martirio a San Vitale.

labirinto Ravenna
Il labirinto della Basilica di San Vitale

Poco più sotto, uno di fronte all’altro, due splendidi mosaici rappresentano l’imperatore Giustiniano e sua moglie Teodora con i rispettivi cortei. Presso il presbiterio le tessere pavimentali di un labirinto rammentano all’uomo il difficile percorso interiore della conversione.

Mosaico San Vitale
Alcuni mosaici pavimentali di San Vitale con il Nodo di Salomone.

L’arrivo dei Longobardi

La grande epopea di Ravenna bizantina incominciò il suo declino con l’arrivo dei Longobardi in Italia. Al seguito di Alboino, il giorno di Pasqua del 568 circa centocinquantamila-duecentomila persone22 oltrepassarono l’Isonzo senza incontrare alcuna resistenza. Con la conquista longobarda dell’Italia il sogno imperialista di Giustiniano tramontò per sempre: era questa, ormai, l’alba di un mondo nuovo. Ravenna fu forse l’ultimo vero baluardo a resistere al cambiamento. La città riuscì ad opporsi agli assedi nemici per più di due secoli, prima di arrendersi ad Astolfo nel 751, ma questa è tutt’altra storia.

Samuele Corrente Naso

Mappa dei luoghi

Note

  1. Cicerone, Pro Balbo, 22, 50. ↩︎
  2. Strabone, Geografia, V, 1, 7, C 214. ↩︎
  3. G. Devoto, Nomi locali mediterranei: rava “frana” e Ravenna, In Idem, Scritti minori, 3 voll. Firenze, 1958 – 1972. ↩︎
  4. S. Magnani, La Ravenna preromana. Fonti e documenti, in Ravenna romana, a cura di M. Mauro, Collana Archeologia e architettura ravennate, vol. I, Adriapress, Ravenna, 2001. ↩︎
  5. Appiano, Bellum civile, I, 89, 155/165 ca. d.C. ↩︎
  6. Cesare, De bello civili, I, 3-5. ↩︎
  7. Plinio il Vecchio. ↩︎
  8. Isidoro di Siviglia, Historia de regibus Gothorum, Vandalorum et Suevorum. ↩︎
  9. V. A. Sirago, Galla Placidia. La nobilissima, Milano, Jaca Book, 1996. ↩︎
  10. Olimpiodoro di Tebe, Discorsi storici, Fragmenta Historicorum Graecorum, IV. ↩︎
  11. Ibidem nota 9. ↩︎
  12. Agnello ravennate, Liber pontificalis ecclesiae ravennatis, IX secolo. ↩︎
  13. E. Gibbon, The History of the Decline and Fall of the Roman Empire, Strahan & Cadell, London, 1776–1789. ↩︎
  14. R. L. Reynolds e Robert S. Lopez, Odoacer: German or Hun?, in The American Historical Review, 1946. ↩︎
  15. B. Macbain, Odovacer the Hun?, in Classical Philology, n. 78, 1983. ↩︎
  16. Ibidem nota 12. ↩︎
  17. Giosuè Carducci, La leggenda di Teodorico, Rime nuove, 1906. ↩︎
  18. Ibidem nota 12. ↩︎
  19. L. Mascanzoni, Ravenna: una storia millenaria, in Storia e Dossier, n. 44, Firenze, Giunti Barbera Editore, 1990. ↩︎
  20. Pragmatica sanctio pro petitione Vigilii del 554. ↩︎
  21. F. S. Kleiner, Gardner’s Art through the Ages: A Global History, 13th Edition. ↩︎
  22. J. Jarnut, Storia dei Longobardi, Torino, Einaudi, 2002. ↩︎

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