Procedendo a dorso di cammello lungo i paesaggi desertici dell’altopiano di Moab, in Giordania, può accadere di intravedere da lontano delle rovine antiche. A una trentina di chilometri a sud-est di Madaba dalla sabbia e dalla steppa riemergono archi, porzioni di muri, absidi di chiese bizantine e pavimenti ricoperti da mosaici. Si resta affascinati e incuriositi: quali edifici sorgevano qui un tempo e perché sono rimasti abbandonati per secoli? Oggi quei ruderi sono custoditi con cura e devozione nel sito archeologico di Umm-Al-Rasas, uno dei più importanti in questa parte del Medio Oriente.

La storia di Umm-Al-Rasas
La prima testimonianza di un insediamento a Umm-Al-Rasas, posto tra la strada dei Re e quella del deserto, in Giordania, la troviamo nei testi biblici. Nel Libro del profeta Geremia viene citata come Mefàat, che Jahvè ordina di distruggere insieme alle altre città di Moab1. La stessa città è nominata nel Libro di Giosuè come parte del territorio assegnato da Mosè ala tribù di Ruben2. Si trattava con ogni probabilità di uno dei molti centri carovanieri stabiliti nella regione. Come facciamo a esser certi che Umm-Al-Rasas e Mefàat fossero lo stesso luogo? L’antico nome biblico compare su un’iscrizione dedicatoria, composta in greco, nel gradino del coro della chiesa di Santo Stefano, una delle tante che si trovano nel sito3. La scoperta si deve alla campagna di scavi condotta nel 1986 dal dipartimento delle Antichità della Giordania e dall’Istituto Archeologico Francescano, guidato da p. Michele Piccirillo4.

Il toponimo era già noto anche dagli scritti di Eusebio di Cesarea. Lo storico raccontava nel suo Onomasticon che un distaccamento dell’esercito romano fosse stanziato nel Kastron Mephaa, da lui identificato proprio con la località biblica di Mefàat5. La Notitia Dignitatum, redatta da un anonimo a cavallo tra IV e V secolo, attesta che il castrum fosse posto sotto il comando del Dux Arabiae, il comandante delle truppe che difendevano il confine orientale6.

Una città cristiana
Umm-Al-Rasas visse il periodo di maggior sviluppo a partire proprio dal IV secolo, quando iniziò a costituire una tappa per i pellegrini cristiani che attraversavano il deserto per raggiungere i luoghi santi citati nelle Scritture. Nel V secolo l’aumento dei flussi di fedeli nella regione fece sì che alcuni di essi si stabilirono nella città in maniera definitiva, innalzando chiese e fondando comunità monastiche. Il tessuto urbano venne modellato sulla base delle strutture che facevano parte del castrum romano fortificato. In età bizantina si potevano contare almeno una quindicina di chiese. Nel 634 i musulmani conquistarono la Palestina e anche Umm-Al-Rasas venne assoggettata al dominio del califfato dei rāshidūn. I nuovi arrivati non vietarono il culto cristiano, né le chiese vennero riconvertite in moschee. Alla fine dell’VIII secolo l’insediamento conservava ancora la sua identità e organizzazione sociale. Ciò nondimeno, i pellegrinaggi diminuirono e Umm-Al-Rasas venne progressivamente abbandonata.

Il sito archeologico di Umm-Al-Rasas
A Umm-Al-Rasas s’incontrano edifici in gran numero. Qua e là si intravedono resti di abitazioni sul modello delle domus romane e soprattutto le fondamenta di molte chiese bizantine, segno che fosse un importante centro cristiano nella regione. Il sito è suddiviso in due zone differenti. A nord si osservano le rimanenze dei quartieri abitativi e di un articolato insieme di edifici a uso cultuale, che prende il nome di Santo Stefano. Il complesso è composto a nord dalla chiesa del vescovo Sergio di Madaba (576-603), edificata nel 586, affiancata da un battistero e una cappella funeraria; a sud-est la chiesa di Santo Stefano, di alcuni decenni successiva; altre due chiese a sud-ovest, dette “dell’Edicola” e “del Cortile” con absidi contrapposte.

La chiesa di Santo Stefano era provvista di battistero e di un locale adibito a martyrium. Un atrio esterno, ove in seguito fu eretta la chiesa “del Cortile”, la poneva in diretta continuità con gli altri edifici del complesso, in modo da formare un grande santuario per i fedeli.

La chiesa di Santo Stefano
La chiesa di Santo Stefano, con pianta basilicale a tre navate, è riconoscibile dai ricchi tappeti musivi che corrono lungo il presbitero e la navata. Il mosaico presbiteriale fu assemblato da Staurachios ed Euremios di Esbous e commissionato dal vescovo Giobbe, come testimoniato da alcune iscrizioni, nel 7567.

Nel mosaico della navata, realizzato da anonimi mosaicisti al tempo del Vescovo Sergio II, forse intorno al 717-718, una doppia cornice funge da vera e propria mappa geografica. Il contorno esterno riproduce sette città della Giordania, che le didascalie permettono di identificare in Esbous-Ḥesbān, Belemounta-Ma’in, Philadelphia-Amman, Midaba-Madaba, Charakmoba-Kerak, Areopolis-Rabba e infine proprio l’accampamento militare di Mefàat. A queste si aggiungono otto centri situati al di là del Giordano, in Palestina: Gerusalemme, Kesaria-Cesarea, Neapolis-Nablus, Diospolis-Lidda, Sebastis-Samaria, Eleutheropolis-Beit Jibrih, Gaza, Askalon. Presso la cornice interna sono raffigurate Alessandria d’Egitto e altre nove città situate nell’area del Delta del Nilo. Tutt’intorno ad esse si dispone un mare di pesci, ove alcuni figuri si dedicano alla pesca, rimando evangelico alle parole di Cristo agli Apostoli: “vi farò pescatori di uomini”8. La porzione centrale del mosaico di Santo Stefano è decorata con medaglioni di vite.

Molte parti originali dell’opera, inclusi alcuni ritratti di benefattori, vennero purtroppo sfigurati dagli iconoclasti nell’VIII secolo. Umm-Al-Rasas si trovava nel territorio degli Omayyadi e sappiamo che nel 723 il califfo Yazid II ordinò che venissero cancellate le immagini colorate e animate come misura contro l’idolatria. Nonostante questa iconofobia, chi modificò le tessere dei mosaici lo fece con cura, assicurandosi che la composizione musiva si potesse conservare e rimanesse, nel complesso, leggibile.
La chiesa del vescovo Sergio
La chiesa del vescovo Sergio di Madaba è a pianta basilicale con tre navate e abside semicircolare. Un bel pavimento musivo, realizzato nel 587, contiene l’iscrizione dedicatoria al presule-committente da cui prende il nome. Sono citati altri benefattori, sebbene oggi incomprensibili per colpa degli iconoclasti. La parte centrale del mosaico è costituita da scene di caccia e girali d’acanto. Una cornice esterna è composta da tralci di vite, generati agli angoli del tappeto dalle personificazioni delle stagioni.

Il campo fortificato di Umm-Al-Rasas
Scendendo a sud del sito archeologico di Umm-Al-Rasas si osserva una porzione di terreno delimitata da un recinto murario di circa 160 per 140 metri, rinforzato da contrafforti e da quattro torri agli angoli. Il campo fortificato ha un solo accesso a nord e contiene le rovine dell’accampamento militare. Si intravedono inoltre resti di abitazioni domestiche e di altre quattro chiese absidate di età bizantina.

La torre stilita
A nord, a distanza dall’abitato, si collocano alcune cisterne per l’acqua scavate nella roccia. Nel punto più elevato dell’altopiano, entro un cortile, svetta una torre stilita alta quindici metri. La costruzione, decorata su tutti i lati con simboli cristiani, è quadrata e non possiede né porta d’accesso né scale interne. Un tempo sulla sua cima un monaco si ritirava in preghiera per isolarsi dal mondo e contemplare il divino. La torre stilita di Umm-Al-Rasas è l’ultima sentinella ancora in piedi di una città cristiana nella culla dell’Islam, nel bel mezzo della steppa in Giordania.
Samuele Corrente Naso
Note
- Libro di Geremia 48, 21. ↩︎
- Libro di Giosuè 13, 18; 21, 37. ↩︎
- A. Niccacci, Scoperto l’antico nome di Um er-Rasas, RivBiblIt XXXV, 1987. ↩︎
- M. Piccirillo, Umm er Rasas Kastron Mefàa in Giordania, Franciscan Printing Press, Jerusalem, 1986. ↩︎
- Eusebio di Cesarea, Onomasticon, K.128:21, 292-320 d.C. ↩︎
- Notitia Dignitatum, 80, 8.19, datata tra la fine del IV secolo e il primo quarto del successivo. ↩︎
- M. Piccirillo, E. Alliata, Umm al-Rasas-Mayfa’ah, I. Gli scavi del complesso di Santo Stefano, Studium Biblicum Franciscanum, Collectio Maior, 28, Gerusalemme, 1994. ↩︎
- Vangelo di Matteo 4, 18-22. ↩︎