L’archeologo fiorentino Paolo Graziosi, tra i massimi esponenti negli studi di arte preistorica, non poteva immaginare ciò che lo attendeva in Calabria. Nelle aspre terre di Papasidero, all’interno del Parco Nazionale del Pollino, era stata rinvenuto un anfratto: la grotta del Romito era invasa dalla vegetazione e sepolta da millenni di oblio. La conca si apriva in un cunicolo stretto e buio, di formazione principalmente calcarea.

Una grotta molto antica
Sin dalla sua scoperta nel 1961, la spelonca, ribattezzata “Grotta del Romito”, è stata oggetto di una solerte campagna di scavi archeologici, che ne ha rivelato l’insospettabile valore storico e artistico. Il sito, infatti, ha permesso di recuperare reperti di arte preistorica, databili a partire dal Paleolitico. L’impressionante quantità di testimonianze rinvenute a Papasidero appartiene, infatti, a un periodo compreso tra ventitremila e diecimila anni fa; numerose sono le tracce di sepolture, sia umane che animali. Esternamente alla grotta, poi, gli studiosi hanno rinvenuto alcune incisioni rupestri, tra cui la raffigurazione di due bovidi del tipo Bos primigenius.
I lavori di scavo, inizialmente condotti da Paolo Graziosi (1961-1968) e oggi coordinati dall’Università di Firenze, hanno messo in evidenza la continuità temporale degli insediamenti presso la Grotta del Romito1. Sia all’interno che all’esterno della conca, sono state rinvenute sette sepolture del periodo Paleolitico superiore, le quali ospitavano nove individui Cro-Magnon, un’antica forma di Homo sapiens. Nei livelli stratigrafici più prossimi alla superficie, invece, gli archeologi hanno individuato un consistente deposito di ossidiana, impiegata dagli uomini del Neolitico per la fabbricazione di armi e utensili.
Le sepolture rituali della grotta del Romito
Le sepolture appaiono contraddistinte da un rituale ben definito: a coppie o singolarmente, i corpi erano deposti in un letto di ocra rossa. Le spoglie venivano poi ornate di una copertura in pelle, addobbata con migliaia di conchiglie marine e denti di cervo. All’interno della fossa, inoltre, venivano sovente posti elementi di corredo e offerte, come punte di frecce o bracciali d’osso.

In almeno una delle tombe, risalente a circa sedicimila anni fa, le ossa del defunto non sono tra loro in continuità anatomica, e forse furono seppellite molto dopo il trapasso. Ancora più eccezionale è il ritrovamento di sepolture di coppia, composte da un uomo e una donna2, probabilmente coniugi. Non è chiaro se i due corpi siano stati sepolti insieme o riuniti soltanto dopo la morte, in tempi differenti; in ogni caso, ciò potrebbe figurare una continuità della fertilità oltre la vita, garantita dalla madre terra. Sul limitare interno della conca gli studiosi hanno rinvenuto anche una fossa comune, che tuttavia accoglie numerose ossa di animali, in particolare cervi, forse sacrificati a scopo rituale.

L’incisione del Bos primigenius
All’esterno della grotta, su massi levigati a essa adiacenti, si osservano delle incisioni rupestri. Tra queste, di straordinaria importanza è la raffigurazione di due bovidi, appartenenti alla specie Bos taurus primigenius (l’uro), oggi estinta. Si tratta della stessa tipologia di tori rappresentata nelle pitture primitive di Lascaux in Francia. A Papasidero, la figura incisa di un bovide è ben visibile, sebbene in origine potesse essere colorata. Un altro esemplare di Bos primigenius s’intravede a ridosso delle zampe posteriori del primo, ma la sagoma è qui appena abbozzata.

La presenza di raffigurazioni pittoriche rupestri con bovidi, a Papasidero come a Lascaux, non deve sorprendere: gli uomini di Cro-Magnon non conoscevano l’agricoltura né l’allevamento. La caccia del Bos primigenius costituiva per loro una fondamentale fonte di sostentamento, ed è probabile che gli antichi abitanti della Grotta del Romito lo considerassero sacro. L’associazione simbolica tra il toro e la vita, tra il Bos e la fertilità, è comune a gran parte delle culture primordiali sino al tardo Neolitico. A titolo di esempio, è possibile citare i menhir della Sardegna prenuragica.
Le incisioni non figurative
Non lontana dalla raffigurazione del Bos primigenius, i visitatori possono osservare una superficie litica ripetutamente incisa. In questo caso, la lavorazione della pietra non pare figurativa: si tratta, piuttosto, di solchi casuali, che si propagano in ogni direzione. Per spiegare il fenomeno gli archeologi hanno proposto diverse ipotesi. La prima è che originariamente la superficie fosse dipinta: i solchi sarebbero soltanto ciò che resta di una pittura rupestre, che diecimila anni fa mostrava un soggetto reale. In alternativa, è possibile che le incisioni rappresentassero un sistema di conta, o qualcosa di simile, a noi sconosciuto. Tuttavia, l’ipotesi più plausibile è che il masso fosse un altare sacrificale. I solchi casuali, infatti, potrebbero essere dovuti all’utilizzo di uno strumento di taglio, come un coltello di pietra. Ciò sarebbe coerente con la presenza, nel sito archeologico del Romito, della fossa di sepoltura per animali, avvalorando l’idea che ivi si svolgessero riti sacrificali.

L’interno della Grotta del Romito
La Grotta del Romito è profonda circa venti metri e lunga trentaquattro. Uno stretto corridoio conduce a un ampio vano, la cui bellezza naturalistica è capace di lasciare senza fiato anche il visitatore più diffidente. L’interno del vano possiede, sia in inverno che in estate, una differenza di temperatura di circa 13 gradi rispetto all’esterno. Ciò ha favorito il delinearsi di impressionanti formazioni calcaree, come stalattiti e stalagmiti.

La Grotta del Romito era un luogo sacro dell’antichità?
La presenza di un altare sacrificale, di sepolture rituali e, non ultima, della raffigurazione di una sorta di dio-toro, farebbero propendere verso l’ipotesi che a Papasidero si svolgessero riti propiziatori e sacrificali. Gli uomini di Cro-Magnon dovettero rimanere abbagliati dalla bellezza naturalistica della grotta, tanto da eleggerla a “santuario” dell’antichità. L’uccisione di animali, come testimoniato dalla presenza di una fossa comune all’interno della conca, e di un altare in pietra, doveva avere finalità propiziatoria per la buona riuscita della caccia. La figura del Bos primigenius assume, in tal senso, il valore di un simulacro primordiale, dotato di un’efficacia extra-empirica sulla sopravvivenza della primitiva comunità.
I rituali di quegli uomini primordiali travalicavano i limiti perfino della morte; un complesso rito di passaggio restituiva l’uomo Cro-Magnon a ciò che l’aveva generato, dalla terra alla terra, era questo il grande cerchio della vita.
Samuele Corrente Naso
Note
- https://www.museofiorentinopreistoria.it/it/ricerche-e-scavi/scavi-in-corso. Articolo a questo link. ↩︎
- https://www.grottaromito.com/it ↩︎