Le tombe dei giganti, sulla soglia dell’aldilà

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V’era un luogo per i vivi in Sardegna, e un luogo per coloro che vivi non erano più, deposti ma pronti a rinascere oltre una soglia di pietra. I Nuragici credevano che l’esistenza continuasse nell’aldilà come nel mondo conosciuto. Così concepivano uno spazio fisico e di simbolico confinamento in cui costruire una realtà speculare, capovolta. Ai nuraghi, centri identitari della socialità e della presenza in terra, si contrapponevano le aree sacre dedicate alla sepoltura, note oggi come tombe dei giganti. Tale nome è stato attribuito dalla fantasia popolare per via delle grandi dimensioni della camera sepolcrale, che poteva raggiungere quasi i trenta metri di lunghezza.

Le tombe dei giganti, sepolture collettive

Le tombe nuragiche, tuttavia, non ospitavano affatto giganti, pur volendo dare credito alla percezione che fossero testimoni di un mondo altro, dimenticato e inesplicabile. Si trattava invero di sepolture collettive a inumazione. Né in Sardegna rappresentavano un’assoluta novità dal punto di vista architettonico, come invece i nuraghi; analoghe strutture erano già esistenti presso le culture prenuragiche. Le tombe dei giganti derivavano dalla stessa usanza millenaria di edificare sepolture collettive trilitiche con ortostati, come erano stati i corridoi ad allée couverte e prima ancora i dolmen. Se ne ha ampio riscontro persino nelle evidenze archeologiche di costruzioni già esistenti e quindi riadattate a partire dal Bronzo medio, come a Aidu-Cossoine1.

Tombe dei giganti si rinvengono in Sardegna su tutto il territorio, ma con una maggior presenza nell’area centro-settentrionale, corrispondente alle province di Nuoro e Oristano2. La distribuzione geografica di queste sepolture, in accordo a quanto detto, ricalca la mappatura delle architetture dolmeniche preesistenti.

Le tombe dei giganti si trovavano in stretta relazione funzionale con gli insediamenti dei vivi e sorgevano non lontane da nuraghi e villaggi. Ognuna di esse, infatti, fungeva da sepoltura per i membri di una particolare comunità stanziata in quell’areale. Nella quasi totalità dei casi si trattava di strutture singole e isolate, sebbene di rado gli archeologi abbiano rinvenuto più tombe ravvicinate. Queste necropoli, provviste di due o tre camere funerarie e organizzate in complessi sacri, erano il riflesso della densità demografica territoriale, ed è possibile che venissero impiegate da parte di clan differenti. La condivisione di un’area comune santuariale suggerisce l’esistenza di forti legami di parentela tra gruppi autonomi3.

La soglia di demarcazione tra vita e morte

Anche sul piano simbolico e rituale l’edificazione delle tombe dei giganti s’innestava entro il solco della tradizione preesistente, tanto da recuperare alcuni elementi caratteristici delle domus de janas, ora riadattati al cangiare delle forme della materia. Così, l’idea di una soglia di demarcazione tra il mondo dei vivi e quello dei morti è ricorrente negli usi funerari nuragici. Nelle camere ipogeiche delle domus de janas ciò si esprimeva per mezzo della definizione di una falsa porta scolpita sul vano di fondo. Ma come traslare tale concetto in una tomba subarea, posta lungo il piano di campagna? Nelle tombe dei giganti la soglia dell’oltretomba veniva spesso figurata attraverso un’alta stele centinata posta al centro di un’esedra monumentale, vero tratto distintivo delle sepolture di età nuragica.

La lastra, di forma trapezoidale o rettangolare, era finemente levigata a martellina. Una spessa cornice a rilievo ne evidenziava il profilo curvilineo, e correva a metà della superficie in senso orizzontale. L’esedra era costituita attraverso la definizione di due ali murarie con lastroni infissi verticalmente nel terreno, o con blocchi poligonali.

La facciata monumentale delle tombe dei giganti, alta anche più di quattro metri, delimitava uno spazio a emiciclo dove si svolgevano i riti. La funzione dell’area di accogliere i fedeli era garantita dalla presenza di un sedile che decorreva lungo la fascia inferiore dell’esedra. L’imponente altezza del prospetto aveva quindi la funzione di segnacolo: svettando sul piano di campagna indicava il luogo della riunione.

Fertilità e rinascita

La planimetria semicircolare dell’esedra intendeva forse rievocare il simbolismo delle protomi bovine. I Nuragici avevano una particolare venerazione per il bue, animale di fondamentale importanza per le società agricole del Neolitico, utilizzato per trainare l’aratro e rendere il suolo più fertile. Così, sul piano metafisico, esso fecondava la Madre Terra e rendeva possibile il rigenerarsi perpetuo della vita. Allo stesso modo si credeva che il bue potesse assicurare la rinascita dei defunti, giacché tracciava il solco simbolico necessario al passaggio verso l’aldilà.

Architettura delle tombe dei giganti

Non tutte le tombe dei giganti sarde mostrano le stesse modalità costruttorie. Delle circa ottocento sepolture censite4 – invero se ne conoscono più di mille5 – solo centotrenta sono caratterizzate da una stele dolmenica posta al centro dell’esedra6. Peraltro, essa non sempre è formata da un unico blocco litico, ma nella maggior parte dei casi è bilitica o frammentaria7. Sovente la facciata delle tombe è realizzata nella sua interezza in opera poligonale o isodoma, rivelando scelte architettoniche simili a quelle impiegate per i nuraghi. Il corridoio della camera funeraria può essere a sua volta costituito con ortostati o a filari. Numerose poi sono le tombe dei giganti miste, in cui le due modalità coesistono e si alternano sul prospetto e lungo il retrostante vano.

Non conosciamo a fondo i motivi di tale variabilità che potrebbe essere correlata a precise sequenze cronologiche intercorse a livello territoriale8. Al Bronzo medio (XVIII-XV secolo a.C.) sarebbero da riferirsi le prime tombe dei giganti di tipo dolmenico con il vano funerario a ortostati. A un periodo successivo appartengono le tipologie a filari e in opera isodoma (XVI-XIII secolo a.C.).

Le tombe dei giganti non si rinvengono solo a cielo aperto. Sorprenderà sapere che circa novanta sepolture sono collocate in ambienti ipogeici. Si tratta delle cosiddette domus a prospetto: l’ingresso esterno è intagliato sì da mimare la stele centinata del tipo subaereo, a esedra semicircolare; il vano funerario è invece allungato come un corridoio dolmenico, attraverso la realizzazione di un ambiente unitario9. Queste sepolture, risalenti al Bronzo medio (XVIII-XV secolo a.C.), sono distribuite soprattutto nella porzione settentrionale del Logudoro, dove la conformazione rocciosa del territorio ben si prestava a questo scopo.

I betili, guardiani della soglia

I Nuragici usavano collocare dei grandi massi scolpiti dalle sembianze antropomorfe intorno alle tombe dei giganti, soprattutto ai fianchi del corridoio funerario e nell’area antistante l’esedra. Questi “betili”, di forma conica e alti mediamente un metro e mezzo, erano infissi nel terreno a gruppi, anche se non mancano esempi di statue singole.

Alcuni betili erano caratterizzati dalla presenza di caratteri sessuali. Nella pietra venivano abbozzate delle mammelle e talvolta l’intera sagomatura assumeva la forma di un fallo, forse in connessione ai riti della fertilità. I betili svolgevano il ruolo di testimoni del transito verso l’aldilà di fronte ai vivi, silenti guardiani della soglia che definivano parimenti l’appartenenza identitaria alla comunità. Ciò spiega perché i circa cento esemplari conosciuti si rinvengano ben distribuiti in tutta la Sardegna, e furono utilizzati nel corso di un lungo arco temporale10. Addirittura alcuni betili vennero scolpiti per la necropoli monumentale di Mont’e Prama, in età del Ferro, anche se a quel tempo i Nuragici non usavano più le tombe dei giganti.

Il portello per l’aldilà e il vano funerario

Ai piedi della stele centinata o del prospetto in muratura, in posizione centrale, si apriva un portello trapezoidale di dimensioni ridotte che dava accesso, quantomeno in senso metafisico, al vano funerario di forma quadrangolare.

Come detto, la camera funeraria era costituita da un corridoio coperto da lastre, che in media si attestava sui quindici metri di lunghezza11 e di ampiezza poteva addirittura raggiungere i venti metri. Il vano si chiudeva posteriormente con un abside curvilinea, e nel complesso restituiva l’idea di una barca rovesciata. Talvolta poteva essere ricoperto da un tumulo di terra.

Numerosi elementi indicano che le tombe dei giganti venissero impiegate per sepolture di tipo secondario, ossia che contenessero soltanto le ossa dei defunti. È probabile che un processo preparatorio della salma, come la semicombustione o la scarnificazione, precedesse la deposizione vera e propria. In genere, i resti scheletrici sono rinvenuti all’interno del vano funerario in condizioni di vistosa frammentazione, tanto da rendere impossibile la ricostruzione delle modalità d’inumazione. In ogni caso, il portello era troppo minuto per introdurre i defunti nella tomba; la deposizione avveniva grazie alla rimozione di uno dei lastroni di copertura del corridoio funerario12. L’apertura alla base dell’esedra aveva forse un’esclusiva funzione simbolica e veniva utilizzata per introdurvi le offerte votive.

Il mistero del concio dentellato

A tal proposito, grande rilevanza ha assunto il dibattito su un misterioso elemento strutturale rinvenuto sovente nelle tombe con esedra in muratura e opera isodoma. È questo il “concio a dentelli”, un blocco geometrico tronco-piramidale caratterizzato dalla presenza di tre incavi di eguali dimensioni sulla superficie più piccola. La funzione del concio dentellato è controversa, e l’incertezza è acuita dalla circostanza di non averlo mai ritrovato in posizione originaria. Secondo Giovanni Lilliu13 e Mauro Perra14 il blocco era collocato al centro dell’esedra, in posizione sommitale, e serviva come meccanismo di apertura e chiusura del vano funerario, così da consentire l’inserimento dei defunti dall’alto.

Di tutt’altro avviso Caterina Bianchesu, secondo cui gli incassi del concio, sospettosamente sempre in numero di tre, avevano una mera funzione cultuale e servivano a ospitare altrettanti piccoli betili15. È interessante notare che anche sulla facciata scolpita delle domus a prospetto, che riproduce la stele centinata del tipo subaereo, venivano ricavati i tre medesimi fori a livello dell’estradosso. Potrebbe non essere peregrina, dunque, l’idea di una triade betilica di divinità che avevano il compito di accompagnare i defunti nell’oltretomba, eretti a guardia della soglia metafisica.

Gli aspetti rituali delle tombe dei giganti

Chi veniva sepolto all’interno delle tombe dei giganti nuragiche? La mancanza di corredo individuale non permette di stabilire il rango sociale dei defunti. Eccetto pochi reperti di scarso valore, perlopiù di ceramica e pietra, nulla è stato rinvenuto all’interno dei vani funerari. Ci si è chiesti, pertanto, se tali sepolture fossero appannaggio di tutta la comunità, in quanto espressione di una società egualitaria, o soltanto di un’élite dominante16.

Più indicativi sono i reperti rinvenuti all’esterno del vano funerario. Presso l’emiciclo i Nuragici deponevano piccoli oggetti come vasi cerimoniali, sfere e idoletti, durante cerimonie collettive. Ciò non avveniva soltanto in relazione a riti funerari: l’alta esedra, il bancone-sedile e l’antistante area erano funzionali a un culto pubblico e aperto, alla celebrazione degli antenati-eroi17. La stele centinata delle tombe dei giganti poteva così rappresentare l’ultimo tassello di quella straordinaria evoluzione del megalitismo sardo che, sin dalle culture prenuragiche, aveva inteso celebrare gli avi attraverso i menhir protoantropomorfi e antropomorfi, e poi per mezzo degli allineamenti sacri e delle statue stele.

Tuttavia, erano questi gli ultimi momenti di una ritualità ancestrale destinata a scomparire. A partire dal Bronzo finale la società nuragica subì importanti cambiamenti, tra i quali il mutare degli indirizzi cultuali e il sorgere di santuari dedicati alle acque, in grado di convogliare maggior ricchezza18. Le tombe dei giganti, segno di uguaglianza e condivisione, non vennero più costruite e si svilupparono riti funerari legati a una nascente aristocrazia nuragica. A Mont’e Prama le sepolture a inumazione collettiva erano già un ricordo e i defunti acquisivano una propria identità. Tombe singole a pozzetto venivano vigilate da gigantesche sculture di guerrieri, pugilatori e arcieri, arcano riflesso di coloro che vivi furono in terra, e che ora vivevano nella pietra.

Samuele Corrente Naso

Mappa dei luoghi

Note

  1. F. Campus, L. Usai, Il nuraghe Aidu di Cossoine e i monumenti del territorio, Catalogo della mostra, Siena, 2011. ↩︎
  2. A. Moravetti, Ricerche archeologiche nel Marghine-Planargia. La Planargia, analisi e monumenti, in Sardegna Archeologica. Studi e Monumenti, 5, Vol. II, Sassari, 2000. ↩︎
  3. A. Moravetti, Nota sulle tombe di giganti. Nel volume: A. Moravetti, P. Melis, L. Foddai, E. Alba, La Sardegna Nuragica. Storia e materiali, Corpora delle antichità della Sardegna, Carlo Delfino editore & C., 2014. ↩︎
  4. S. Bagella, Stato degli studi e nuovi dati sull’entità del fenomeno funerario della Sardegna nuragica. In A. D’Anna, J. Cesari, L. Ogel, J. Vaquer, Corse et Sardaigne préhistoriques. Relations, échanges et coopération en Méditerranée, Atti del 128° Congrès National des Sociétés Historiques et Scientifiques (Bastia, 14-21 avril 2003), Documents Préhistoriques, Paris, 2007. ↩︎
  5. Ibidem nota 3. ↩︎
  6. S. Bagella, Tombe di giganti e altre sepolture nuragiche. Nel volume: A. Moravetti, P. Melis, L. Foddai, E. Alba, La Sardegna Nuragica. Storia e monumenti, Corpora delle antichità della Sardegna, Carlo Delfino editore & C., 2017. ↩︎
  7. E. Contu, Il significato della stele nelle tombe di giganti, in Quaderni 8, Dessi, Sassari, 1978. ↩︎
  8. C. Bittichesu, Monumenti megalitici funerari del territorio di Sedilo. In La ceramica del Sinis dal neolitico ai giorni nostri, Atti del II Convegno di studi “La ceramica racconta la storia” (Cabras-Oristano, 25-26 ottobre 1996), Cagliari, 1998; G. Lilliu, La civiltà dei Sardi dal Paleolitico alla fine dell’età nuragica, Torino, 1988. ↩︎
  9. P. Melis, Le domus a prospetto architettonico, 2014; L’ipogeismo funerario della Sardegna nuragica. Tombe di giganti scolpite nella roccia, in Sardegna Archeologica. Scavi e Ricerche, Sassari, 2014. ↩︎
  10. E. Usai, Idoli betilici di Mont’e Prama. In M. E. Minoja, A. Usai, Le sculture di Mont’e Prama. Contesto, scavi e materiali, Roma, 2014. ↩︎
  11. Ibidem nota 6. ↩︎
  12. Ibidem nota 6. ↩︎
  13. G. Lilliu, Betili e betilini nelle tombe di giganti della Sardegna, in RendLincei, serie 9, Volume VI, fascicolo 4, 1995; G. Lilliu, La tomba di giganti di Bidistili e i templi a “megaron” della Sardegna Nuragica, in Sardegna Archeologica. Scavi e Ricerche, 4, Sassari, 2010. ↩︎
  14. M. Perra, Rituali funerari e culto degli antenati nell’Ogliastra in età nuragica. In M. G. Meloni, S. Nocco, Ogliastra: identità storica di una provincia, “Atti del Convegno di studi” (Jerzu-Lanusei-Arzana-Tortolì, 23-25 gennaio 1997), Senorbì, 2000. ↩︎
  15. C. Bittichesu, La tomba di Bùsoro a Sedilo e l’architettura funeraria nuragica, in Ricerche Archeologiche, 1, Sassari, 1989. ↩︎
  16. P. Bernardini, Le torri, i metalli, il mare. Storie antiche di un’isola mediterranea, in Sardegna Archeologica. Scavi e ricerche, 6, Sassari, 2010. ↩︎
  17. M. Perra, Dal culto degli antenati al culto delle acque: una riflessione sulla religiosità nuragica. In M. Rocchi, P. Xella, Archeologia e Religione, Atti del I Colloquio del Gruppo di contatto per lo studio delle religioni mediterranee (Roma, CNR, 15 dicembre 2003), Verona, 2006. ↩︎
  18. A. Depalmas, Il Bronzo Finale della Sardegna. In La preistoria e la protostoria della Sardegna, Atti della XLIV Riunione Scientifica dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria (Cagliari-Barumini-Sassari, 23-28 novembre 2009), Firenze, 2009. ↩︎

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