L’area megalitica di Saint-Martin-de-Corléans

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Nella storia dell’umanità vi sono luoghi che dagli antenati furono detti sacri, e da quel tempo remoto essi permangono immutati nella loro trascendente ierofania. Centri cultuali ab antiquo, essi custodiscono testimonianze d’universale appartenenza, talvolta tracce monumentali del nostro passato. Sono racconti materiali di un’era perduta, di un transito lontano i cui riti si officiavano per mezzo della pietra e della nuda terra. Ad Aosta, nelle vicinanze della chiesa di Saint-Martin-de-Corléans, sorge un’area megalitica che, straordinariamente giunta sino a noi, si caratterizza per essere un luogo sacro da millenni. Essa, infatti, ha preservato per oltre seimila anni la sua destinazione d’uso rituale e funeraria, pur al cangiare delle credenze e dei popoli. Questa ininterrotta dimensione di culto sì è manifestata attraverso una ricchissima varietà espressiva: pratiche propiziatorie, pozzi, menhir, statue stele, dolmen, e infine nella chiesa cristiana di San Martin (XII secolo).

Il sito archeologico e il museo

Il sito archeologico di Saint-Martin-de-Corléans venne portato casualmente alla luce nel 1969. Durante alcuni scavi edilizi riemersero, come dagli abissi della storia, reperti di eccezionale valore. Lì dove si prospettavano le fondamenta di palazzine e cemento, furono riscoperte invece quelle dell’uomo stesso. Il ritrovamento fu dettato da una curiosa vicenda. Mentre gli operai del cantiere estraevano alcune rocce dal terreno, due archeologi aostani, Franco Mezzena e Rosanna Mollo, si trovarono casualmente a osservare i lavori. Si immagini la sorpresa quando dal terreno emersero non pietre e sassi da scartare, ma lastre anticamente scolpite!

La regione Valle d’Aosta con mirabile lungimiranza dispose, pertanto, il sequestro dell’area. Il nucleo di ricerche più rilevanti si concluse nel 1990, ma gli scavi archeologici proseguono tutt’ora. A Saint-Martin gli archeologi rilevarono una complessa stratigrafia, profonda sei metri ed estesa per circa diecimila metri quadri. Si decise, pertanto, di valorizzare il sito attraverso la realizzazione di una struttura di copertura che potesse garantirne al contempo la conservazione. Sorsero in tal modo un museo e un percorso espositivo, inaugurati nel 2016, che inglobano l’area megalitica in un ambiente al chiuso1.

Testimonianze dal passato

L’aratura sacra di Saint-Martin-de-Corléans

La più antica fase di utilizzo dell’area a scopo cultuale risale all’età neolitica. A Saint-Martin-de-Corléans qualcuno, già a partire dalla fine del V millennio prima di Cristo, aveva consacrato il suolo. Nel terreno si rinvengono, lungo un banco limoso molto esteso, una serie di creste. La disposizione parallela e regolare dei solchi suggerisce che gli abitanti del luogo li abbiano realizzati attraverso la pratica agricola dell’aratura sacra. Da quel momento il terreno non fu mai più movimentato. Esso, indurendosi e stratificandosi, ha preservato i solchi fino alla moderna riscoperta.

Si trattò, con ogni probabilità, di un rito propiziatorio per la fertilità della terra. Alcune evidenze suggeriscono che il suolo fu inciso per mezzo di un aratro di legno, trainato da buoi. Appare evidente che ci si trovi dinanzi di una scoperta di eccezionale importanza, se confermata: le più antiche pratiche agricole di aratura per mezzo di animali, sinora conosciute, risalgono solamente all’eneolitico.

I pozzi votivi

A un’epoca successiva si datano alcune fosse circolari impiegate a scopo votivo. Gli officianti al rito riempirono questi pozzi primordiali, rinvenuti complessivamente in numero di quindici, con macine e sementi. Si evidenzia una continuità nel tempo delle credenze propiziatorie e allo stesso tempo una loro evoluzione: la funzione extra-empirica del rito incominciò a trascendere il concetto di fertilità della nuda terra tipica delle società di cacciatori-raccoglitori. Essa iniziò a considerarne i frutti, in modo che anche il lavoro agricolo potesse risultare fertile e produttivo.

Orbene, gli strumenti di macina e i semi venivano bruciati insieme nella profondità del pozzo, come offerta votiva alla divinità. I resti della combustione hanno permesso di identificare le varietà di sementi impiegate, perlopiù leguminose e cereali, e soprattutto la datazione dei pozzi. L’analisi del carbonio-14 dei residui organici ha invero restituito un lasso temporale circoscrivibile tra il 4300 e il 3950 a.C. La disposizione dei pozzi persegue un orientamento da Nord-Est a Sud-Ovest, suggerendo la direttiva per un probabile centro abitato nell’area, che tuttavia è ancora ignoto.

I totem lignei di Saint-Martin-de-Corléans

Dalla fine del IV millennio a.C. il sito di Saint-Martin-de-Corléans si caratterizzò per la presenza di monumenti allineati ed eretti. Dei più antichi, ventiquattro pali lignei disposti secondo la stessa orientazione dei pozzi, sopravvivono soltanto le buche nel terreno. Anche in questo caso si evidenziano tracce di pratiche antropologiche votive. Presso i fori, infatti, gli archeologi hanno rinvenuto la presenza dei resti della combustione di sementi. L’analisi dei residui organici ha dimostrato l’impiego di fusti di larice e pino per la realizzazione dei segnacoli.

I pali lignei, forse scolpiti, dovevano possedere una certa funzione totemica. È possibile che essi fossero associati ai progenitori mitici delle tribù stanziate presso il sito di Saint-Martin-de-Corléans. Il culto degli antenati si officiava così attraverso una duplice valenza. In primis i simulacri lignei segnalavano il luogo, dal carattere sacro, che i progenitori avevano scelto in quanto fonte della vita. Non è un caso che simili monumenti si rinvengano a ridosso di alture montuose, in prossimità di radure, o laddove era necessario indicare le vie di transito. Inoltre, i totem rappresentavano idealmente gli spiriti guida, esseri d’oltre-natura verso cui rivolgere le pratiche propiziatorie.

I menhir e le statue stele

Analoghe credenze si mantennero per tutto il IV millennio, nondimeno trasponendo dal legno alla pietra. S’iniziarono dunque a piantare nel terreno dei menhir e alcune lastre poligonali, appena sbozzate e talvolta trapassate da un foro.

I segnacoli litici assunsero nel tempo delle forme antropomorfe. A Saint-Martin-de-Corléans gli scavi hanno portato alla luce più di quaranta statue stele. Tutti questi monoliti, di roccia scistosa o più raramente marmo bardiglio, presentano una forma trapezoidale. La figura umana appare abbozzata sulla superficie frontale attraverso una lavorazione ad incisione. Le statue stele di Saint-Martin-de-Corléans rappresentano un’importante testimonianza del megalitismo in Italia2. Un parallelismo strutturale e funzionale può essere operato con i monoliti antropomorfi realizzati in Lunigiana, in gran parte conservati presso il Museo delle Statue Stele Lunigianesi di Pontremoli. Ciò nondimeno, a differenza della maggior parte di queste ultime, le stele aostane sono state scoperte presso l’originale sito di apposizione. Esse costituiscono, pertanto, un unicum archeologico.

Le stele del tipo arcaico ed evoluto

Le statue stele di Saint-Martin-de-Corléans possono essere classificate in due principali tipologie3. Quelle dello stile arcaico presentano la sola incisione, poco profonda, dei tratti essenziali della figura umana. La lastra mima le fattezze di un piccolo capo su larghe spalle; il tronco è rastremato verso il basso. Spesso si osservano scarni tratti di vestiario.

Le stele del secondo stile, detto “evoluto”, si caratterizzano per una maggior attenzione al dettaglio, in particolare nella rappresentazione delle parti corporee. Esse hanno sagoma più larga e una caratteristica testa a “cappello di gendarme”. La superficie delle lastre veniva levigata per creare un bassorilievo, presso il quale si delineavano un volto ben definito con naso e sopracciglia, delle braccia congiunte ad angolo retto, abiti e monili. Sovente erano incise, inoltre, delle armi: pugnali, archi e asce in geometriche stilizzazioni. Nello stile evoluto è possibile identificare il sesso del soggetto rappresentato, non tanto dagli attributi fisici come a Pontremoli, bensì dal vestiario e dagli ornamenti.

Il pantheon di Saint-Martin-de-Corléans

Le statue stele rappresentano solo l’ultimo passaggio di un’evoluzione figurativa durata centinaia di anni. S’innestano, cioè, in quello stesso filone rituale contraddistinto da segnacoli, dapprima lignei, poi litici. Si giunge a tale considerazione osservandone il ricercato allineamento: le lastre erano disposte in filari, al pari delle precedenti testimonianze. Le statue stele erano originariamente erette, sebbene la maggior parte siano state rinvenute a terra, con le figure antropomorfe rivolte nella medesima direzione. In tal senso, è più appropriato parlare di gruppi di stele, giacché esse costituivano una manifestazione cultuale nel loro insieme. Appare più evidente, in questa fase megalitica dell’area, il riferimento al culto degli antenati divinizzati, riuniti in una sorta di pantheon. Si riferisce, inoltre, della teoria secondo la quale i monoliti fossero disposti in corrispondenza di particolari costellazioni astronomiche.

Il culto dei morti presso l’area di Saint-Martin-de-Corléans

Sul finire dell’Età del Rame Saint-Martin-de-Corléans perse la sua funzione di area adibita al culto dei viventi, venendo progressivamente impiegata ad uso funerario. È a questo periodo che si ascrive l’ampia sepoltura monumentale con dolmen (Tomba II). La camera mortuaria, posta su una piattaforma triangolare, ospitò inumazioni multiple più volte nel corso dei secoli. È probabile che si trattasse di una sepoltura esclusiva dei membri di una tribù, che ne hanno mantenuto l’uso per più di cinquecento anni. La Tomba II ha restituito una serie di reperti appartenenti ad un ricco corredo funebre, tra questi alcuni vasi, delle spille, un rasoio in bronzo.

Tra i numerosi resti ossei, invece, si segnala il ritrovamento di tre teschi particolarissimi. Essi furono oggetto di una primitiva forma di intervento medico-chirurgico giacché presentano delle forature prodotte ante mortem per trapanazione. L’analisi del tessuto osseo, in due di questi individui, mostra una calcificazione intorno alla lesione cranica, a testimonianza che sopravvissero alle cure.

La continuità del sacro

Il carattere sacro dell’area di Saint-Martin-de-Corléans proseguì anche durante le epoche successive. In periodo protostorico si continuò a utilizzare il sito come necropoli. Si rinvengono sepolture a inumazione ancora alla fine del IV secolo a.C., mentre al I secolo a.C. appartengono alcuni corredi funerari di accompagnamento a un rito di incinerazione. Con la fondazione di Augusta Praetoria romana (25 a.C.) l’area di Saint-Martin-de-Corléans ospitò un’ampia necropoli extraurbana con circa 30 tombe a cremazione. I rinvenimenti archeologici testimoniano l’uso di riti con incinerazione del defunto direttamente nella fossa, oppure di deposizione ossea all’interno di urne.

Ai secoli susseguenti le invasioni barbariche si associa un lento oblio delle funzioni cultuali dell’area. Tuttavia, il carattere sacro del sito proseguì attraverso un ideale consecutio dei riti, ora cristiani, in età medioevale. La chiesa di Saint-Martin-de-Corléans rappresenta l’approdo di un processo, lungo millenni, di evoluzione culturale.

L’edificio romanico è citato in un documento del 1176, Ecclesiam Sancti Martini de Coriano, e sorse probabilmente sulle fondamenta di una preesistente villa romana. Purtroppo la chiesa medioevale è andata quasi totalmente perduta, giacché dell’originaria costruzione permane solo la torre campanaria. Il resto dell’edificio fu, infatti, ricostruito nel XVII secolo.

Samuele Corrente Naso

Mappa dei luoghi

Note

  1. G. De Gattis, F. Martinet, G. Zidda, (a cura di), Area megalitica Saint-Martin-de-Corléans. La valorizzazione museografica, Documenti 14, Aosta 2020. ↩︎
  2. F. Mezzena, Le stele antropomorfe nell’area megalitica di Aosta, in Dei di pietra. La grande statuaria antropomorfa nell’Europa del III millennio a.C., catalogo della mostra, Ginevra-Milano, 1998. ↩︎
  3. G. Zidda, Aspetti iconografici delle stele antropomorfe di Aosta, in La Valle d’Aosta nel quadro della preistoria e della protostoria dell’arco alpino centro-occidentale, Atti della XXXI Riunione Scientifica Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria (Courmayeur 2-5 giugno 1994), Firenze, 1997. ↩︎

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