Le statue stele della Lunigiana

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Una figura antropomorfa, che pare riemersa da qualche anfratto d’una dimenticata e primitiva età dell’uomo, fissa i visitatori con un enigmatico sorriso arcaico. La statua litica, in arenaria, ha la testa di una curiosa forma, a cappello di gendarme, e si direbbe voler ciondolare da un momento all’altro se non fosse lì impalata da qualche migliaia d’anni.

Il volto stilizzato possiede una semplice fisionomia a U, ma misteriosamente assume un’espressività che oltrepassa il tempo, e che sembra scrutare le profondità dell’Io. Come fosse un archetipo esistenziale, quella statua stele rispecchia l’essenza ultima e primordiale dell’umanità e ci inchioda, ipnoticamente, davanti la sua figura. Le mani della scultura, rigide riposano sul grembo laddove, in bella vista, è ostentato un pugnale. L’arma è a lama triangolare, provvista di costolatura mediana e impugnatura con pomello a semidisco, e forse è il segno di un potere ancestrale, di una forza sconvolgente giunta sino a noi.

Le misteriose statue stele

Eppure quella misteriosa figura dai tratti così ancestrali non è unica nel suo genere. Nel Museo delle Statue Stele Lunigianesi di Pontremoli ve ne sono, infatti, almeno altre sessanta, tra originali e calchi. Alcune hanno la testa ovale, altre i seni, altre ancora i caratteri stilizzati di monili e gioielli. Tutte, però, come una sorta di genius loci primordiale, sono riemerse dalla terra della Lunigiana, e da nessun’altra parte. In questa regione storica dell’Italia le statue stele sono sempre state una presenza familiare e, come per tutte le cose che diamo per scontato, passavano quasi inosservate agli occhi della gente comune. Sovente capitava che le sculture venissero rinvenute dai contadini e reimpiegate in casupole e muri di sostegno1, pollai e perfino chiese, senza che alcuno si chiedesse davvero quale fosse il loro significato. Talvolta esse erano persino temute e accantonate al pari di antichi idoli pagani o figure demoniache.

A partire dagli anni ’50, tuttavia, in Lunigiana iniziò a maturare una nuova sensibilità di studio e riscoperta dell’antico. Vero pioniere di questo processo culturale fu il professor Cesare Ambrosi2, che ebbe il merito di diffondere il valore storico e archeologico delle statue stele. Fu così che gli abitanti della regione iniziarono a divenire parte attiva di una grande, entusiasmante ricerca. Le statue stele riemersero dal suolo come dagli anfratti in cui erano state reimpiegate, tutti si resero conto che quelle strane teste a forma di cappello contenevano i semi primigeni di quella terra. Cesare Ambrosi raccolse i ritrovamenti e organizzò dapprima un’esposizione dei monoliti a Casola. Poi, nel 1975, fece allestire l’innovativo museo odierno presso il Castello del Piagnaro di Pontremoli.

Le statue stele della Lunigiana come simbolo identitario

In verità, le statue stele erano già note agli addetti ai lavori sin dalla prima metà dell’Ottocento, sebbene se ne ignorasse una così ampia diffusione territoriale. A tale secolo, infatti, risalgono i primi rinvenimenti a Zignago (1827) e La Spezia (1886, presso l’arsenale). Si trattava in ogni caso di scoperte fortuite, e soltanto nel 1968 uno scavo archeologico di tipo stratigrafico riportava alla luce un monolite a Minucciano. Al crescere dell’interesse della collettività si ebbe un notevole incremento dei rinvenimenti, e ben presto fu evidente che il fenomeno delle statue stele riguardasse un’area geografica ben definita, la Lunigiana, e nella gran parte dei casi la valle del Magra, laddove l’omonimo fiume s’incontra con i torrenti Aulella e Taverone .

Classificazione delle statue stele della Lunigiana

La realizzazione delle statue stele ha straordinariamente mantenuto nel tempo alcuni caratteri distintivi, si potrebbe dire identitari di questa regione, nel corso dei millenni. I monoliti, infatti, appartengono ad un arco di tempo vastissimo dell’antichità, compreso tra l’età del rame (IV-III millennio a.C.) e il sopraggiungere degli Etruschi in Lunigiana (VI secolo a.C.), e sono testimonianza visibile delle civiltà preistoriche e protostoriche che ci hanno preceduto. Ciò nondimeno, tutte le statue sono ricavate dalla medesima pietra locale, l’arenaria, con una tecnica di base che si è conservata nel tempo. Il blocco di pietra veniva dapprima reso in geometriche proporzioni, solo in seguito si procedeva in bassorilievo attraverso l’eliminazione del materiale superfluo. È così che dalla nuda arenaria emergevano armi, mani, visi e altri dettagli anatomici, per mezzo di strumenti in pietra e lame di selce.

Le statue stele della Lunigiana riproducono figure antropomorfe maschili e femminili. Esse sono caratterizzate da elementi comuni e distintivi. Tra questi, come non citare la testa semicircolare, il corpo a forma di lastra, le dettagliate mani sul ventre e i seni femminili? Gli esemplari di monoliti lunigianesi presentano, tuttavia, delle peculiarità che permettono di classificarle in tre gruppi temporali, detti A, B e C. Essi si distinguono per il tipo di sagomatura dell’arenaria e per i motivi simbolici e iconografici che ne caratterizzano la figura antropomorfa.

Le stele del gruppo A

Le statue del gruppo A sono contraddistinte da una profonda stilizzazione. Si tratta dei monoliti più antichi, che risalgono all’età eneolitica (a partire dal IV-III millennio a.C). Queste sculture sono prive di collo, la testa semicircolare poggia direttamente sul corpo geometrico, e se ne affranca idealmente attraverso una fascia a rilievo posta all’altezza delle spalle. Gli arti superiori sono riprodotti in maniera sommaria, con tratti rigidi e gomiti leggermente piegati. I particolari del viso, con la tipica forma a “U”, sono leggermente accennati, mentre la linea della bocca sembra rimandare a un sorriso arcaico. In genere sono presenti due forellini per indicare gli occhi, e talvolta le figure femminili sono adornate da monili, resi attraverso cerchietti o coppelle sulla pietra. Appare semplice distinguere le raffigurazioni femminili da quelle maschili, giacché le prime sono provviste di seni, le seconde di pugnale.

Il gruppo B

Da un certo punto in poi, forse in seguito a cambiamenti sociali e culturali avvenuti in Lunigiana alla fine dell’età del rame, la raffigurazione delle statue stele inizia a mutare. Le statue del gruppo B che ci sono pervenute sono più numerose, e anche maggiormente dettagliate. Esse si contraddistinguono per la separazione netta della testa, a forma di cappello di gendarme, dal corpo. I particolari anatomici sono ben definiti: il volto è ad “U” oppure è realizzato attraverso un nastro in rilievo da cui si diparte un naso. Come per il gruppo precedente le figure femminili sono identificabili attraverso i seni. Quelle maschili, invece, sono fornite di un pugnale, talvolta avvolto in un fodero, o di un’ascia.

Le stele di età storica: il gruppo C

La realizzazione delle statue stele in Lunigiana prosegue anche durante l’età del Ferro, almeno sino al VI secolo a.C., seppur con tratti caratteristici e maggiormente elaborati. Si parla, in questo caso, di raffigurazioni monolitiche appartenenti al cosiddetto gruppo C. Essi acquisiscono un realismo più marcato, arricchendosi di nuovi dettagli anatomici come un volto ben definito e, in alcuni casi, degli arti inferiori. Si rileva, tuttavia, la raffigurazione di soli soggetti maschili, forse in seguito a una nuova impostazione culturale di tipo patriarcale.

L’iconoclastia e la distruzione delle statue stele

Gli archeologi hanno rilevato che molte delle stele, giunte sino a noi, sono state tuttavia oggetto di atti di occultamento o addirittura di distruzione intenzionale. In particolare sono numerosi i monoliti del gruppo B rinvenuti in stato frammentario o mutilate. Tale evidenza deve essere messa in relazione con un fenomeno di iconoclastia antica, tale per cui in determinati periodi storici si configurava la necessità di distruggere le stele. Questo poteva essere dettato da ragioni religiose, politiche, o culturali nel momento in cui i valori di una civiltà emergente non combaciavano con quelli della precedente. In quest’ottica le statue stele della Lunigiana venivano spesso identificate come simulacro di divinità o simboli da cancellare per sempre.

Il fenomeno è testimoniato sin dall’età del Ferro, ma assume un’importante rilevanza in epoca cristiana, soprattutto in seguito al concilio di Nantes del 658. In particolare, nel Medioevo le statue stele erano assimilate a raffigurazioni di divinità pagane, demoni o comunque di maligna provenienza. Esse venivano, pertanto, intenzionalmente distrutte durante appositi riti di liberazione. Talvolta erano poi interrate presso le fondamenta delle chiese, come in Santo Stefano di Sorano a Filattiera.

Il caso di Groppoli

Gli archeologi hanno rinvenuto alcune stele in posizione solitaria, ed eccezionalmente altre in gruppi. È questo il caso dei famosi monoliti di Groppoli, oggi esposti al Museo delle Statue Stele Lunigianesi. Durante alcuni lavori dell’ENEL a Groppoli, condotti alla fine dell’anno 2000, furono infatti rinvenute due statue stele nel suolo sottostante la strada provinciale 31. In seguito al ritrovamento fortuito, negli anni successivi (2001-2005) alcuni saggi archeologici e scavi hanno permesso di dissotterrare in totale otto sculture di tipo B in arenaria3, risalenti all’età del Rame.

Le statue, due maschili e cinque femminili, si trovavano interrate in una enorme fossa, all’interno della quale erano state disposte con cura. In buona sostanza, chiunque le avesse sepolte in quel luogo si era premurato che non venissero distrutte. Intorno ad esse gli archeologi sono stati in grado di identificare alcuni frammenti di ceramica di tipo ligure e una componente nerastra del terreno. Un’ipotesi accreditata è che la deposizione delle statue fosse parte di un rituale sacro, come testimoniato dal colore del suolo, contaminato dai residui delle offerte votive, officiato da una comunità di Liguri a Groppoli tra il II e il I secolo a.C.

Una funzione rituale dimenticata

Le statue stele della Lunigiana rappresentano oggi un enigma affascinante giacché, a fronte di decine di ritrovamenti, si ignora ancora quale fosse la loro funzione originaria. Ciò è dovuto in gran parte alla difficoltà di ricostruire il contesto archeologico in cui erano inizialmente collocate. Quasi tutte le statue stele, di cui oggi siamo in possesso, avevano subito lo spostamento dalla loro sede, prima di essere recuperate: alcune erano state reimpiegate come materiale da costruzione, altre occultate in fosse profonde, altre ancora addirittura rese frammentarie. Si tratta, questa, di una grave mancanza conoscitiva, poiché il contesto originale permette di desumere fondamentali informazioni circa la funzione di un manufatto e di chi lo ha prodotto.

Ad esempio, se trovassimo statue stele nei pressi di una sepoltura potremmo immaginare che la loro presenza fosse correlata a riti di passaggio, parimenti a quanto accade in Sardegna per i betili e le tombe dei Giganti. Ciò è deducibile soltanto per le statue stele del gruppo C. Sulla base di un confronto stilistico con manufatti megalitici coevi, le statue stele lunigianesi più tarde possono essere assimilate a monumenti funerari. In tal senso, la figura antropomorfa delle statue di gruppo C è invero la rappresentazione di un personaggio reale della comunità, e può essere associata alla sepoltura di un insigne aristocratico o di un guerriero. La presenza di iscrizioni in alfabeto etrusco sulle stele di Zignago, Filetto II e Bigliolo4, le quali riportano probabilmente nomi personali, sembra indicare la medesima direzione interpretativa.

Il culto degli antenati

Molto più incerta è invece la funzione rituale delle stele appartenenti ai gruppi A e B. Sulla base di alcuni ritrovamenti di gruppi di statue (Groppoli, Pontevecchio, Selva di Filetto), disposte in filari con il volto orientato a meridione, si è ipotizzato che esse potessero indicare dei territori di approdo dal carattere sacro. In particolare, le stele sono rinvenute sempre in radure situate nelle prossimità di corsi d’acqua e a ridosso di alture montuose. Erano queste, con buona probabilità, valli di collegamento disposte su direttrici di passaggio, essendo le civiltà dell’eneolitico finale a prevalente carattere nomade-pastorale.

Allo stesso tempo le statue stele della Lunigiana potevano essere espressione di un particolare culto degli antenati, raffigurate al momento presente come esseri d’oltre-natura, spiriti guida che indicano la via. Quelle sagome enigmatiche, espressione d’arte e dei riti di migliaia di anni fa, sono prive d’una bocca sul volto ad U: l’anima dei predecessori è ancora idealmente contenuta all’interno della pietra. Così i padri ancestrali, attraverso figurazioni simboliche e una presenza spirituale, potevano segnalare le valli che permettevano la vita, e che loro stessi avevano anticamente abitato.

Samuele Corrente Naso e Daniela Campus

Mappa dei luoghi

Note

  1. Stele di Malgrate I, Malgrate IV , Malgrate V, Filetto XI, Falcinello. ↩︎
  2. A. C. Ambrosi, Lunigiana: la preistoria e la romanizzazione. vol. I – La Preistoria, Itinerari Educativi. Centro Aullese di Ricerche e Studi Lunigianesi, Aulla, 1981. ↩︎
  3. Le statue Groppoli I, Groppoli III, Groppoli V, Groppoli VI appaiono integre; Groppoli II, Groppoli VII, Groppoli VIII sono prive della testa; della stele Groppoli IV è stato rinvenuto un frammento della testa. ↩︎
  4. Dal sito ufficiale del Museo delle Statue Stele Lunigianesi di Pontremoli: mezunemunius (oppure mezu nemunius) sulla statua stele di Zignago; (u) vezaruapus (oppure vezaru apus) sulla statua stele di Filetto II; vemetuvis sulla statua stele di Bigliolo. ↩︎

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