Brusaporto, a pochi passi da Bergamo, in epoca medioevale doveva essere un fiorente e vivace borgo. Esso viene menzionato nell’antico Statuto di Bergamo del 1333 con il toponimo di Brusaporcho. I motivi di un siffatto nominativo, che dalle declinazioni del dialetto locale prende avvio, non è mai stato chiarito del tutto. Alcuni tentativi postumi di attribuzione di un epos cittadino sono spesso sfociati nella pura leggenda. Si narra, ad esempio, di come gli abitanti del borgo avessero assalito il Castello del feudo e, al grido di “brucia porco”, avessero messo al rogo il signorotto locale. È chiaro che si tratti della trascrizione di un immaginario collettivo, che tuttavia, come per ogni leggenda, prende le mosse da elementi del reale.

Il Castello dei Rivola di Brusaporto
Le fonti storiografiche attestano, infatti, che davvero la rocca del borgo fu assediata e bruciata nel corso della sua travagliata storia1. Correva l’anno 1380 e l’infelice episodio va contestualizzato nell’ambito delle lotte intestine tra Guelfi e Ghibellini. Il Castello di Brusaporto, che s’innalzava imperiosamente su una collina a guisa di sentinella sulla città, era di proprietà della famiglia guelfa dei Rivola. Pertanto, il ghibellino Giovanni da Iseo non esitò a condannarlo alle fiamme. La rocca non fu mai più ricostruita, ancora oggi permane soltanto la cinta muraria che si interseca con il borgo moderno.
Essa, tuttavia, è intrisa di un valore metastorico e ha, al contempo, il potere proprio dell’immaginifico. Al solo osservarla, infatti, nei pensieri riecheggiano stereotipi di castelli dall’antico splendore. Non si trattava, tuttavia, di una roccaforte adibita a uso residenziale, giacché essa figura nelle fonti storiografiche come mera struttura difensiva. Essa si inseriva in una ben definita cinta castellare di quella zona della bergamasca, insieme ai limitrofi fortilizi di Costa di Mezzate, Monticelli e Comonte. I castelli, posti sul colle Tomenone e lungo le Terre del Vescovado, dovevano essere tra loro quasi coevi, dovendosi collocare la loro edificazione tra il XII e il XIII secolo.
I resti del Castello
I resti del Castello di Brusaporto si presentano oggi frammentari, riuscendo a tramandare fedelmente la sola planimetria dell’antica struttura. Vi si accede attraverso un’incerta e graziosa scalinata, che da fondo valle permette di raggiungere la cima della collina. Qui, dove un tempo sorgeva il corpo principale della fortezza, rimane soltanto una vuota spianata, dalla quale tuttavia si gode un panorama mirabile. La cinta muraria è di certo la porzione più conservata dell’originario Castello. Essa decorre perimetralmente intorno alla collina brusaportese e cinge l’anima storica della città. La struttura muraria, dunque, riveste un’importanza fondamentale per la ricostruzione dei fasti della città, rappresentando una testimonianza vivida e tangibile.
Una misteriosa iscrizione a Brusaporto
Eppure, anche in semplici muri, che ad uno stolto parrebbero quasi intrisi di sola banalità, possono nascondersi insospettabili misteri. È proprio il caso della cinta muraria che costeggia ciò che rimane del castello di Brusaporto. Ivi, nella parte del perimetro opposta all’ingresso del fortilizio, è incastonato tra le pietre il quadrato del Sator.

Percorrendo, infatti, la via che affianca quell’antica porzione di cinta, ci si imbatte in una strana lastra in arenaria, lunga circa 50 centimetri. Essa reca incise le parole latine:

Il quadrato del Sator rappresenta, senza dubbio, uno dei più importanti misteri dell’archeologia antica e medioevale. L’iscrizione, a ben vedere, ha una struttura palindromica. Si tratta di un particolare insolito, per il quale la scritta ha assunto anche la denominazione di quadrato magico. Ciò nondimeno, l’aspetto più enigmatico relativo al reperto è la difficoltà di contestualizzazione storiografica.
La difficile interpretazione del quadrato magico
Il quadrato del Sator, infatti, è rinvenuto in numerose parti d’Europa e del Medio Oriente, nonché in relazione a differenti periodi storici. Il primo esemplare fu scoperto da Matteo della Corte a Pompei, e dev’essere pertanto collocato prima del 79 d.C., mentre numerosi altri appartengono all’età medioevale.
La stessa scritta è di dubbia decifrazione. Nonostante numerose traduzioni proposte, gli studiosi dibattono sul significato del termine arepo, parola di origine non latina, forse introdotta dai Celti nell’accezione di carro. Per tale ragione, si è da sempre ipotizzato che una possibile interpretazione letteraria possa essere “il seminatore tiene con cura le ruote del carro”. La traduzione è di per se stessa ancor più enigmatica, fatto che ha dato adito a centinaia di ipotesi circa una sua significazione allegorica, o persino numerologico-cabalistica. Va notato, infine, come il quadrato del Sator non sempre venga rinvenuto nella sua consueta forma geometrica, essendo stati rilevati esemplari persino circolari.
Molti interrogativi
Elemento rilevante, nella ricerca storiografica sul quadrato del Sator, sarebbe riuscire a carpire almeno il contesto di appartenenza dei singoli reperti rinvenuti, nell’impossibilità di ricostruirne il quadro generale. Relativamente a Brusaporto, pertanto, è necessario porsi degli interrogativi fondamentali. Ad esempio, a che età appartiene il quadrato del Sator inglobato nelle mura del suo castello? Perché la lastra che lo reca inciso si trova proprio in quel luogo?

Sono domande a cui è difficile dare una risposta, a causa delle poche notizie concernenti il muro che ospita il palindromo. Esso appare come una struttura di sostegno del terrapieno collinare del castello. La prima difficoltà è riuscire a comprendere se la cinta muraria ricalchi quella originaria della rocca, oppure se sia stata nel tempo riedificata. Con certezza, si sa che il Comune di Brusaporto avviò nel 1984 alcuni lavori di riqualificazione dell’area, giacché si trovava in stato di degrado. Non è chiaro se il quadrato del Sator sia stato collocato nel muro di cinta proprio in questa occasione. Se così fosse, si tratta di un materiale di reimpiego rinvenuto nelle immediate vicinanze, e quindi pertinente al Castello dei Rivola?
La misteriosa lastra di arenaria
In effetti, il lastrone in arenaria su cui è inciso il Sator appare di differente fattura rispetto alle altre pietre che compongono la parete muraria. Purtroppo questa è anche la causa per cui la lastra, col tempo, si stia progressivamente sfaldando, perdendo così parte dell’incisione. L’arenaria, in età medioevale, veniva utilizzata nella zona per la realizzazione di stipiti ed architravi. È proprio a quest’ultima categoria di elementi architettonici che il lastrone potrebbe appartenere. Esso potrebbe essere, pertanto, l’architrave di un ingresso del castello, o di un edificio di culto in esso inglobato.
L’enigmatica epigrafe del quadrato di Brusaporto
La sfida successiva è comprendere se l’iscrizione sia coeva al lastrone, oppure se sia stata aggiunta in seguito. In particolare, confrontando la porzione incisa con la restante parte della pietra, la prima appare meno consunta e corrosa. Ciò suggerisce che possa essere più recente del suo supporto, e che quindi sia stata realizzata in tempi a noi più vicini. D’altra parte, un’osservazione stilistica di confronto con quadrati del Sator di epoca medioevale mostra interessanti analogie. Il Sator di Siena (XIII secolo), in particolare, ha notevoli similitudini epigrafiche con l’esemplare di Brusaporto.

Assai simili appaiono le lettere e onciali, ad eccezione della prima e di Tenet dell’esemplare brusaportese, che si mostra misteriosamente differente. Ciò nondimeno, diverge il carattere delle a nel Sator lombardo a traversa spezzata, mentre sono sovrapponibili le altre lettere. In entrambi i casi, i caratteri appartengono a uno stile scrittorio gotico. Ciò farebbe supporre che anche il quadrato del Sator di Brusaporto sia medioevale, ma resta sempre il dubbio che qualcuno lo abbia realizzato più recentemente, ispirandosi agli stilemi di quel tempo.
Samuele Corrente Naso
Note
- Cronaca di Johanes Mozi de Brembat, banchiere vissuto tra il 1325 e il 1409, che riporta “Giacomo Pii Capitanio di Bergamo et Giovanni Lisca, provisionato di Bernabò (Visconti)… svaligiato Brusaporto, senza pietà l’abbruciorno, indi portatisi a Bagnatica et Mezzate, rubborno quanto mai le capitò alle mani”. ↩︎