I simbolismi paleocristiani di Aquileia

in , aggiornato il

Lungo i mosaici della Basilica Patriarcale d’Aquileia si può leggere un libro composto non di lettere, virgole e punti, ma di simboli e figure, rimandi a una conoscenza spirituale profondissima. Geometrie e colori, tessere e composizioni custodiscono messaggi celati, semantiche del passato pur tuttavia oggi vivide e concrete. Il pavimento della Basilica riflette la fede delle prime comunità cristiane di quel luogo, e anche quella tradizione secolare di mastri artigiani che affonda le sue radici negli albori dell’epoca romana imperiale. Nelle lussuose ville dei patrizi si possono rintracciare gli stilemi e i motivi decorativi che saranno propri del tessellato aquileiese.

D’altronde in seguito all’Editto di Milano da parte di Costantino e Licinio, quando i cristiani poterono professare per la prima volta apertamente il proprio credo, gli artigiani dovettero fronteggiare un compito nuovo e inatteso. L’opera musiva era stata concepita sino ad allora per un uso “privato”, veniva apposta in spazi ristretti, talvolta intimi. Ma le nascenti basiliche cristiane erano invece luoghi pubblici e monumentali: i mosaici dovevano ora ricoprire grandi porzioni di pavimento e, di conseguenza, sviluppare temi figurativi e simbolici ben più ampi.

La Basilica Patriarcale di Aquileia

Fu questa la complessa sfida che attese i costruttori della primigenia basilica di Aquileia, voluta dal vescovo Teodoro (308-319 circa) negli anni successivi l’Editto costantiniano1. E quei mosaici paleocristiani, sebbene non nella loro totalità, sono giunti sino a noi. Si tratta di un evento eccezionale, soprattutto alla luce delle susseguenti ricostruzioni cui andò incontro l’edificio. Ciò che oggi osserviamo, infatti, è la chiesa romanica voluta dal patriarca Poppone nelle prime decadi dell’XI secolo e consacrata nel 1031, in quanto ampliamento delle preesistenti strutture. La Basilica Patriarcale, intitolata a Santa Maria Assunta, si mostra così a tre navate con pianta a croce latina. L’abside semicircolare fu a quel tempo riccamente affrescata con scene di vita dei Santi di Aquileia e una Madonna con bambino in trono.

Una struttura in pietra, collocata all’inizio della navata sinistra, riproduce il Santo Sepolcro di Gerusalemme mentre gli archi gotici che separano le navate vennero rifatti nel XIV secolo per volontà dei patriarchi Ludovico della Torre e Marquardo di Randeck. L’edificio sorge in asse con il più antico Battistero ottagonale, al quale è connesso per mezzo di un corpo chiamato “chiesa dei pagani”. A sinistra, in posizione isolata, sorge invece l’imponente campanile di settantatré metri d’altezza.

Le ricostruzioni della Basilica di Aquileia

Come detto, la Basilica aquileiese non è sempre stata così: all’epoca del vescovo Teodoro2, o negli anni di poco successivi3, esistevano due aule distinte di pianta rettangolare, più piccole e parallele, connesse da un terzo blocco trasversale con la sede battesimale. È stato ipotizzato pertanto che una delle due strutture fungesse da catechumeneum, mentre l’altra fosse adibita alle funzioni liturgiche4. In seguito alle devastazioni di Attila, giunto ad Aquileia nel 452, l’aula nord andò bruciata e fu infine demolita. È possibile che la Basilica Patriarcale fu ricostruita in questo momento, ampliando la preesistente aula sud. Tuttavia, non è nemmeno escluso che ciò fosse avvenuto già al tempo del vescovo Comazio (388-407)5, il quale fece erigere il Battistero.

Altri rifacimenti si ebbero in epoca carolingia sotto il patriarca Massenzio, tra l’810 e l’840, attraverso l’aggiunta di un’abside semicircolare, un transetto, un portico d’ingresso con due campate a tre navate e la cripta6, poi affrescata in età romanica. Al nono secolo risale anche l’edificazione della chiesa dei pagani – così detta giacché vi si recavano i catecumeni non ancora battezzati -, edificio a due piani, entrambi coperti da volte a crociera e da una calotta impostata su trombe d’angolo. Il fonte battesimale, la piccola chiesa e la Basilica, con la riproduzione del Santo Sepolcro, andavano così a disporsi lungo un asse sacro che trovava ragion d’essere nelle funzioni liturgiche della Pasqua.

Quando Poppone decise di ingrandire tale edificio per realizzare ciò che oggi si si mostra, ordinò il rifacimento anche del piano di calpestio. Il nuovo pavimento in cotto cancellò per secoli la vista degli originali mosaici paleocristiani. Ma tutti sapevano che, ivi sotto, dovesse ancora celarsi almeno un barlume di quell’antico splendore.

I mosaici teodoriani di Aquileia

Così, quando nel 1909 gli archeologi decisero di rimuovere il pavimento popponiano riscoprirono un’autentica meraviglia. Ecco che i mosaici dei primi secoli riaffioravano con tutta la loro forza espressiva lungo le navate: il litostrato dell’aula sud si mostrava ben preservato, disposto lungo una superficie di circa 750 mq.

Con gran sorpresa, venivano rinvenute anche alcune porzioni di tessellato dell’aula nord, sopravvissute agli scavi per realizzare le fondazioni del campanile medioevale. Quest’area, chiamata oggi “cripta degli scavi”, e che può essere raggiunta dalla navata sinistra, ospita parimenti i resti musivi di una domus romana tardoimperiale.

Il contesto storico-artistico

Il contesto storico-artistico dei mosaici collocati presso l’antica aula sud è attestato da un’iscrizione dedicatoria rivolta a Teodoro, che fu posta in un clipeo nell’area presbiteriale:

“Felice te Teodoro poiché con l’aiuto di Dio Onnipotente e del gregge che ti ha affidato hai potuto costruire questa chiesa e consacrarla solennemente”

La dedica a Teodoro presso i mosaici della Basilica Patriarcale di Aquileia

Pertanto quelli di Aquileia, collocabili intorno alla seconda decade del IV secolo, sono i più antichi litostrati cristiani di tutto l’Occidente, oltre che i più estesi.

Come detto, essi sono il frutto della fiorente tradizione locale sviluppatasi in tempi remoti, evidenza che si riscontra tanto negli aspetti tecnici e figurativi quanto in quelli simbolici. Il mosaico aquileiese dei primi secoli riprende e amplia i motivi geometrici, le decorazioni e i contenuti iconografici dell’arte romana imperiale, recependo dall’esterno le innovazioni stilistiche dettate dal Cristianesimo. Ad esempio, si osserva nei mosaici di età teodoriana un visionario rifiuto del realismo cromatico e della rigidità formale. L’utilizzo del colore è ora più libero, rompe gli schemi, diviene indipendente dalle unità compositive. Così anche l’evoluzione della tecnica in favore dell’opus tessellatum, ovvero un mosaico composto di cubi che rendono le figure più geometriche e contrastate.

In seguito ai tragici eventi del V secolo, tra i quali annoveriamo le invasioni barbariche con l’arrivo di Attila e lo spopolamento progressivo della città, i musivari di Aquileia tenderanno a realizzazioni meno innovative e più artigianali. Si osserva cioè uno scadimento dell’arte in favore di una mera tecnica esecutiva, che si orienterà soprattutto verso espedienti decorativi7.

L’aula nord

Su gran parte dell’aula nord voluta dal vescovo Teodoro in età romanica, oggi visitabile nella cosiddetta Cripta degli scavi, sorse il campanile. Quel che resta dell’antico tessellato, tuttavia, non ha mancato di suscitare un grande dibattito tra gli studiosi. Se infatti, come si vedrà più avanti, i mosaici dell’aula sud si inscrivono a pieno nel fervente stile costantiniano coevo a Teodoro, quelli di una porzione dell’aula settentrionale ricordano l’arte del periodo tetrarchico. È stato dunque ipotizzato che potessero essere preesistenti al complesso basilicale, venendo in esso inglobati all’atto della sua edificazione8, piuttosto che l’opera di una differente bottega.

I soggetti raffigurati in tale porzione musiva, a nord-est dell’ambiente, sono costituiti da animali, a riposo o in attività, racchiusi entro motivi geometrici floreali. Si tratta dell’eredità di quei campi elisi e pascoli che in età romana imperiale erano connessi al concetto di felicità eterna, ora ammantati nel Cristianesimo di nuovi significati legati alla salvezza dell’anima. Ecco dunque apparire nel tappeto musivo dell’aula nord un ariete, un asino, dei capretti e vari altri volatili, tra cui un pappagallo, dei merli e dei fagiani. Una nidiata di pernici è simbolo della Chiesa che accoglie i propri fedeli. Un’aragosta invece figura la resurrezione giacché tale animale è capace di rigenerare il proprio carapace.

Il gallo e la tartaruga

Tra le scene raffigurate v’è il celebre combattimento tra il gallo e la tartaruga, collocato in prossimità dell’altare maggiore. Per Egger la rappresentazione trae origine dalla tradizione mitraica: il gallo, annunciatore della prima luce al mattino, si scaglia contro la testuggine, simbolo delle tenebre9.

Sullo sfondo una colonna regge un’anfora, meritato premio del vincitore. Il richiamo metaforico a Cristo e al trionfo sulla morte, così come alla lotta interiore che attende il cristiano, è evidente. L’agognato premio per chi sconfigge l’oscurità del peccato è la vita eterna. Per meglio chiarire la scena musiva, Egger ricorre all’etimo greco del termine tartaruga ταρταροῦχος (tartaroûkhos), ossia abitante del Tartaro, che si credeva infestato da entità maligne associate al mondo dell’Ade. A onor del vero, bisogna dire che almeno fino al IV secolo la tartaruga era chiamata testudo10.

L’aula meridionale

I resti musivi dell’aula sud, risalenti al periodo teodoriano, si estendono ancor oggi lungo tutta la Basilica Patriarcale romanica e ci sono pervenuti quasi intatti. Un’estesa decorazione a girali d’acanto suddivide la pavimentazione in differenti settori. Alcuni ospitano una serie di ritratti minori, appartenenti ai benefattori della Basilica. All’interno di grandi clipei qualche autore ha voluto intravedere i volti di Costantino, di Elena e di altri membri della famiglia imperiale11.

Il simbolismo escatologico dell’aula sud

Ampi settori del pavimento contengono poi un numero sterminato di nodi di Salomone, motivi geometrici, un variegato bestiario cristologico e le protomi delle stagioni. Si può riconoscere nell’insieme un simbolismo escatologico legato alla risurrezione. Il ripetersi delle stagioni nel corso dell’anno – del mosaico di Aquileia ci sono giunte solo l’estate e la primavera – prefigura la rinascita del cristiano dopo la morte. Il nodo di Salomone, invece, evoca quel legame tra Dio e l’uomo che si concretizza nel disegno di salvezza. Il repertorio zoomorfo esprime metaforicamente le qualità del Cristo.

La lotta tra il gallo e la tartaruga nell’aula meridionale

Poco più innanzi all’ingresso della Basilica si incontra una riproposizione più tarda della lotta tra il gallo e la tartaruga. La composizione della scena, più ariosa ma con meno forza espressiva della precedente, si distingue per la mancanza di un premio “materiale”. La ricompensa eterna del vincitore è infatti espressa per mezzo del simbolo “dell’infinito”, invero in età imperiale indicante il mille o una grande quantità12, ma qui reso come un nodo senza né fine né inizio. La scritta CCC ricorda che ciò deve passare dalla Croce: il numero trecento si indicava in greco antico con la lettera tau.

Il Buon Pastore e la Vittoria Eucaristica

Lungo la navata destra figura il Buon Pastore, che regge una pecora sulle spalle e un flauto, affiancato da una gazzella e un cervo. Ancora, la Vittoria Eucaristica, alata, mentre sostiene la corona e la palma, è il segno del Cristianesimo che trionfa sulla religione dei pagani negli anni seguenti l’Editto di Costantino. La palma è immagine del trionfo attraverso il martirio; si credeva che la pianta morisse generando i frutti. La Vittoria è accompagnata da una ventina di riquadri ottagonali con volatili e fanciulli offerenti. I giovinetti porgono spighe di frumento, grappoli d’uva e altri alimenti.

Le storie di Giona

Infine un mare ondoso smisurato, pieno di pesci, di mostruose creature degli abissi e di pescatori, attornia le scene della vita di Giona. Il profeta, inviato da Dio a Ninive per annunciare la distruzione della città, si rifiuta e diviene dunque sventurato. Nel mosaico di Aquileia è raffigurato mentre viene gettato in acqua dalla nave che sta naufragando per colpa sua, quindi è inghiottito da un gigantesco pistrice; trascorsi tre giorni viene sputato dal mostro marino; Giona può infine riposarsi, disteso sotto una pergola avvolta da piante di zucca.

Giona è pertanto figura di Cristo che proprio in tre giorni risorge, che torna dagli abissi della morte.

Come fu Giona nel ventre del cetaceo tre giorni e tre notti, così sarà il figlio dell’uomo nel cuore della terra tre giorni e tre notti.

Vangelo di Matteo 12, 40

Ma l’acqua è anche l’immagine del Battesimo attraverso cui passa la rinascita spirituale del cristiano, la genesi dell’uomo nuovo. Le scene di pesca, costituite da uomini su scogli o imbarcazioni, alludono invece alla missione di evangelizzazione della Chiesa.

Samuele Corrente Naso

Mappa dei luoghi

Note

  1. Della vita di Teodoro si conosce solo la data del 314 in quanto il vescovo partecipò quell’anno al sinodo di Arles convocato contro i donatisti, con la firma di: Theodorus episcopus, Augustus (o Agathon) diaconus de civitate Aquileiensium, provincia Dalmatia. Si veda in S. Tavano, Teodoro, vescovo di Aquileia, in C. Scalon, Dizionario biografico dei Friulani, vol. 1: Il Medioevo, Nuovo Liruti, Udine, 2006. ↩︎
  2. P. Testini, “Basilica”, “domus ecclesiae” e aule teodoriane di Aquileia, in Antichità Altoadriatiche, 22, 1982. ↩︎
  3. S. Tavano, Aquileia e Grado. Storia – cultura – arte, Trieste, 1986. ↩︎
  4. R. Bratož, La basilica di Aquileia nelle fonti letterarie dal IV al VII secolo, in G. Cuscito, T. Lehmann, La basilica di Aquileia. Storia, archeologia ed
    arte
    , Atti della XL Settimana di Studi Aquileiesi 7 – 9 maggio 2009, vol. 1, Trieste 2010. ↩︎
  5. S. Tavano, La basilica patriarcale, in Aquileia e Grado, Centro di Antichità Altoadriatiche, Atti della Settimana di studi Aquileiesi, Aquileia, 1972. ↩︎
  6. Carlo Magno donava nell’811 a Massenzio alcuni dei beni confiscati ai longobardi Rotgaudo e Felice affinché il patriarca opportunius atque decentius atria vel reliquas constructiones, quae ad honorem illius loci pertinerent, secundum quod ipse provida mente tractaverat etiam adimplere valeret. In S. Tavano, La basilica patriarcale, in Aquileia e Grado, Centro di Antichità Altoadriatiche, Atti della Settimana di studi Aquileiesi, Aquileia, 1972. ↩︎
  7. G. C. Menis, I mosaici paleocristiani di Aquileia, in Antichità Altoadriatiche, I, 1972. ↩︎
  8. Ibidem. ↩︎
  9. R. Egger, Ein altchristliches Kampfsymbol, in Fünfundzwanzig Jahre Römisch-Germanische Kommission, Berlin und Leipzig 1930. ↩︎
  10. L. Pasquini, Il gallo e la testuggine nel mosaico pavimentale della basilica teodoriana: qualche spiraglio di luce sul noto tema iconografico, in C. Angelelli, C. Salvetti, Atti del XV Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico, AISCOM, 2010. ↩︎
  11. H. Kahler, Die Stieftermosaiken in der konstantinischen Sudkirche von Aquileia, Koln, 1962; R. Mambella e Lucia S. Mastrocinque, Itinerari archeologici-Le Venezie, Newton Compton editori, 1986. ↩︎
  12. B. Clegg, A Brief History of Infinity: The Quest to Think the Unthinkable, Constable & Robinson Ltd, 2003. ↩︎

Autore

Avatar Samuele
error: Eh no!