Sulla via per Assisi un uomo stanco, a cavallo, si interrogava sul proprio futuro. Aveva veduto in sogno uno splendido palazzo, pieno di armi e scudi, riflesso delle gesta e della fama ch’egli si aspettava di ricevere in Puglia, dove aveva intenzione di farsi cavaliere al servizio di un certo conte Gentile1. D’altronde, le fonti storiche raccontano che Francesco avesse già esperienza in fatti di guerra. Qualche anno addietro, nel 1202, aveva combattuto per la sua città e per i ghibellini contro il nemico di sempre, la guelfa Perugia2. Con la battaglia di Collestrada l’avventura si era risolta in una disfatta anche personale. Francesco d’Assisi era stato fatto prigioniero dai perugini e gettato in un carcere per un anno, finché tra i comuni rivali non era ritornata la pace.
Questa volta invece, possiamo immaginare, egli era convinto di essere sulla strada giusta. Vestito di tutto punto e d’ogni armamento, come la ricca famiglia di mercanti gli aveva concesso, si era diretto verso sud. Ma giunto a Spoleto una voce lo aveva turbato nel profondo:
Leggenda dei tre compagni, 1241-12463.
“Perché dunque abbandoni il padrone per servire il servo, e il principe per il suddito?”.
Solo allora Francesco aveva intuito che la sua vita sarebbe stata destinata a ben altra missione e, tirate le briglie del cavallo, aveva invertito la direzione per fare ritorno a casa. La fama eterna sarebbe infine giunta davvero, ma non per la gloria e le gesta in battaglia, non per i piaceri mondani e la superbia; per l’umiltà del cuore Francesco diventerà il grande santo di cui narrano le agiografie medievali. Per l’obbedienza che egli volgerà a Dio, vero e unico padrone: a quella voce che lungo il cammino della vita gli aveva chiesto di servirlo.

Francesco d’Assisi nelle fonti storiche
L’immagine che oggi abbiamo di Francesco d’Assisi dipende dalle fonti storiche che ci parlano di lui e della sua vicenda personale. Alcune furono scritte di suo pugno, come il biglietto per frate Leone conservato presso la cattedrale di Spoleto o la Chartula fr. Leoni data, contenente una lode a Dio e una benedizione per lo stesso compagno. Gli autografi in latino di Francesco rivelano una personalità risoluta ma la scrittura è incerta e goffa, segno che non fosse molto letterato.
Le biografie di Tommaso da Celano
Altri scritti furono invece composti da chi aveva condiviso con lui parte della vita. Tra di loro v’era Tommaso da Celano, che venne incaricato da papa Gregorio IX di redigere una biografia di Francesco all’indomani del processo di canonizzazione. L’Assisiate morì il 3 ottobre del 1226 e il 16 luglio 1228 veniva già proclamata la sua santità. Che Francesco fosse un grande santo, infatti, era già chiarissimo a tutti sin da quand’era in vita. Con il poco tempo a disposizione Tommaso raccontò nella Vita prima ciò che si ricordava: fatti, miracoli e aneddoti4. È qui contenuto il ritratto forse più genuino che possediamo di Francesco, in cui emerge una personalità complessa a volte dolce e a volte dura e intransigente, traspaiono dubbi e timori, si rivela una fede incrollabile e risoluta.
La Vita prima ebbe un grande successo ma era un testo troppo lungo da leggere durante la liturgia delle ore. Così il ministro generale dell’Ordine, Elia da Cortona, commissionò a Tommaso da Celano una versione più breve. Entro il 1239 il religioso redasse un compendio biografico di Francesco, la Vita brevior5.
Ancora Tommaso da Celano fu il prescelto dal Capitolo Generale del 1244, presieduto dal ministro Crescenzio di Jesi, per redigere un’altra biografia che includesse tutti gli eventi e i miracoli del santo tramandati oralmente, in modo da integrare le precedenti. Con questo fine, i frati e i cittadini di Assisi furono invitati a mettere per iscritto le proprie memorie su Francesco e inviarle all’Ordine per essere vagliate. Sulla base del variegato corpus di testimonianze raccolte Tommaso da Celano realizzò una Vita secunda6.

La Leggenda dei tre compagni
Alcuni scritti confluirono invece nella Leggenda dei tre compagni7. Secondo la tradizione, tale biografia fu redatta negli stessi anni a partire dai racconti dei frati anziani Leone, Angelo e Rufino, che meglio avevano conosciuto Francesco. Tuttavia, la storiografia ha appurato che si tratta di un’opera più tarda, realizzata da ignoti cittadini di Assisi8.
Il Testamento di Francesco d’Assisi
Le prime biografie a opera di Tommaso da Celano nascevano per assecondare il gran fermento e la devozione popolare che si erano sviluppati dopo la morte di Francesco. Si cercava così di fissare nella memoria collettiva un ricordo del santo, il più possibile rispondente al vero, affinché tutti potessero conoscerne gesti e pensieri. Ma con il passare degli anni l’Ordine religioso da lui fondato, i Francescani, in principio composto da pochi e umilissimi mendicanti, era divenuto una grande e potente realtà in tutta Europa. Nel 1260 i frati si erano ormai in parte clericalizzati, avevano costruito numerosi conventi e si contavano a migliaia. Inoltre, molti avevano deciso di studiare, di possedere libri e insegnare nelle università. Bonaventura da Bagnoregio, ministro generale dell’Ordine, era uno di questi.
Una parte minoritaria di frati chiedeva invece il rispetto del Testamento che Francesco aveva lasciato prima di morire9 e, sopra ogni cosa, di poter seguire quell’ascetismo radicale che Tommaso da Celano aveva raccontato nelle Vitae.
“Si guardino bene i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e tutto quanto viene costruito per loro, se non fossero come si addice alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre dimorandovi da ospiti come forestieri e pellegrini”.
Dal Testamento di Francesco, 122610.
La Legenda Maior
In tale situazione di contrasti il Capitolo Generale, riunito a Narbona nel 1260, decise che fosse necessaria una biografia ufficiale e definitiva del santo fondatore, adatta ai “nuovi tempi”. Bonaventura da Bagnoregio si incaricò del compito e redasse la Legenda Maior11, da quel momento unico testo riconosciuto. Ma cosa fare di tutte le precedenti biografie su Francesco, così schiette nel mostrarne la personalità intransigente, diffuse in numerose copie nelle biblioteche dei frati? Non senza turbamenti, Bonaventura dovette prendere una decisione drastica per il bene dell’Ordine: con una circolare ordinò che venissero distrutte tutte, affinché non vi fossero più interpretazioni sulle volontà del santo! Non avremmo mai saputo tanti aspetti di Francesco se qualche manoscritto con le Vitae di Tommaso da Celano non fosse scampato alle fiamme. Per secoli gli storici hanno ignorato l’esistenza di questi testi, relegati negli angoli polverosi di alcuni monasteri e riscoperti solo a partire dall’Ottocento.
La vicenda di Francesco d’Assisi
Le fonti storiche non si soffermano molto sui primi anni di Francesco. Brevi cenni ci informano che nacque ad Assisi – intorno al 1181/1182 – e che sua madre lo aveva fatto battezzare Giovanni in assenza del padre, il mercante Pietro di Bernardone12. Non è chiaro nemmeno da dove venisse il nome Francesco, insolito per l’epoca, ma è plausibile che fosse un omaggio alla Francia, terra che stava facendo la fortuna dei commerci familiari.
Le biografie non esitano invece a descrivere la gioventù scapestrata di Francesco, che pensava ed agiva secondo le consuetudini del mondo e del suo tempo:
“[…] cercava di eccellere sugli altri ovunque e con smisurata ambizione: nei giochi, nelle raffinatezze, nelle parole scurrili e sciocche, nei canti, nelle vesti sfarzose e fluenti. E veramente era molto ricco, ma non avaro, anzi prodigo; non avido di denaro, ma dissipatore; mercante avveduto, ma munificentissimo per vanagloria;”.
Tommaso da Celano, Vita Prima, 1228-122913.

Ma ecco d’improvviso la chiamata, momento cardine che scuote la vita di Francesco: “perché dunque abbandoni il padrone per servire il servo?”14. Sulla via per le Puglie egli udiva una voce differente, un suggerimento a pensare al contrario rispetto a quel mondo che lo aveva fagocitato, alla con-versione. Francesco invertiva la rotta del suo cavallo non solo in senso materiale ma soprattutto metaforico. Egli rinunciava alla gloria del cavaliere, ai desideri di potere e ricchezza per tornare ad Assisi, luogo eletto della sua santità.
L’incontro con il lebbroso e la conversione
Tuttavia non era ancora la conversione vera e propria. Francesco d’Assisi in persona, nel Testamentum dettato prima di morire, indicò invece il momento preciso che cambiò definitivamente la sua vita, ossia l’incontro con il lebbroso:
“Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo”.
Dal Testamento di Francesco, 122615.
Tale evento segnava il superamento di tutti i limiti personali, fisici e morali per volgersi all’altro nella totalità dell’amore. Perché “se voleva diventare soldato di Cristo doveva prima di tutto vincere se stesso”16.
“Fra tutti gli orrori della miseria umana, Francesco sentiva ripugnanza istintiva per i lebbrosi. Ma ecco, un giorno ne incontrò proprio uno, mentre era a cavallo nei pressi di Assisi. Ne provò grande fastidio e ribrezzo; ma per non venire meno alla fedeltà promessa, come trasgredendo un ordine ricevuto, balzò da cavallo e corse a baciarlo”.
Tommaso da Celano, Vita Seconda, 124717.
L’esistenza di Francesco non poteva più essere la medesima di prima, qualcosa dentro di lui era mutato nel profondo. Il bacio del lebbroso significava soprattutto il rifiuto delle logiche del mondo e delle sue sicurezze. Con tale gesto di ribellione il santo si schierava dalla parte degli ultimi, i poveri e i lebbrosi giustappunto, stimando meno importante il rischio di essere contagiato dalla malattia. Egli oltrepassava così un confine irreversibile, rivelando già i primi segni di quella carità radicale che lo guiderà per tutta la vita.
Il Crocifisso di San Damiano
Nel 1205, mentre si trovava in preghiera nella derelitta chiesa di San Damiano, Francesco udì nuovamente la voce che lo aveva scosso qualche anno prima mentre era sulla via per le Puglie. Le fonti agiografiche raccontano che il Cristo dipinto sul crocifisso, muovendo le labbra, iniziò a parlare:
“Francesco, – gli dice chiamandolo per nome – va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina”.
Tommaso da Celano, Vita Seconda, 124718.
L’Assisiate prese, naturalmente, alla lettera il comando. Venduta una quantità di stoffe del padre e persino il suo cavallo, offrì i soldi al sacerdote di San Damiano affinché l’edificio potesse essere ristrutturato. E quando il consacrato rifiutò per paura dei suoi genitori, Francesco in persona si mise al lavoro per rimetterlo in sesto, pietra dopo pietra19. Ciò nondimeno, il santo capì soltanto in seguito che vi fosse ben altra casa che il Signore gli aveva chiesto di riparare. Si trattava della Chiesa stessa, che andava sempre più rovinando a causa della corruzione, dei contrasti politici e delle eresie di quel tempo.

La casa in rovina
La vicenda di Francesco d’Assisi si svolge in un contesto di forte mutamento della società. Nel Duecento v’è l’affermazione dei liberi Comuni cittadini e della borghesia, è un’epoca di grande crescita economica ed espansione demografica. Inoltre si sviluppano le università, importanti centri culturali di dibattito filosofico e teologico. La Chiesa non è immune da questo fermento ed è animata da molte e contrastanti spinte. Il XIII secolo segna infatti il culmine della teocrazia papale, sotto Innocenzo III, ma anche una diffusa decadenza dei costumi che gli intellettuali non esitano a denunciare. È poi l’evo delle crociate in Terra Santa, alle quali Urbano II aveva dato avvio nel 1095, così come delle eresie che sconvolgono l’Europa, prima fra tutte quella dei Catari francesi.
La gerarchia ecclesiastica è impegnata in un eterno scontro con il potere temporale e appare sempre più distante dalle esigenze del popolo. In molti ambienti, definiti pauperistici, cresce il disappunto per la troppa ostentazione della ricchezza; i vescovi sono eletti tra le famiglie nobiliari più importanti. I monaci, chiusi nelle loro abbazie, sembrano isolati dalle nuove dinamiche sociali che si sviluppano nei grandi centri urbani e mercantili. Il monachesimo, infatti, è confinato negli ambienti rurali da cui trae il sostentamento ed è contraddistinto da una struttura feudale. Nasce così il bisogno di una Chiesa nella città, vicina ai fedeli, di una fraternità più povera e popolare senza stabilitas loci. Francesco è chiamato a essere interprete di questa necessità, a rinnovare la Chiesa, “riparare la casa”, secondo le dinamiche sociali del suo tempo.

Il processo ad Assisi e la rinuncia ai beni materiali
Quando Pietro di Bernardone seppe che suo figlio stava investendo tempo e soldi per ristrutturare la chiesa di San Damiano, divenne furente. Nella segreta speranza che il figlio si ravvedesse, nel gennaio del 1206 decise di denunciarlo di fronte alle autorità cittadine, minacciandolo di togliergli l’eredità. Francesco accolse la richiesta come una liberazione. Giunto innanzi al cospetto del vescovo di Assisi e, secondo la tradizione popolare, dell’intera cittadinanza, il santo si spogliò di tutti i suoi vestiti, gettandoli per terra. Quindi, con voce fiera, si rivolse direttamente a Pietro di Bernardone:
“Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d’ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro che sei nei cieli, perché in lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza”.
Bonaventura da Bagnoregio, Legenda Maior, 126320.

Il lupo di Gubbio
Dopo questo fatto Francesco iniziò a vivere come un mendicante, esprimendo nel concreto, in modo assoluto, la rinuncia ai beni materiali. Trovandosi a Gubbio, un vecchio amico lo riconobbe e gli diede una tunica fatta con materiali poverissimi. Ancora nella stessa città si colloca il celebre episodio del lupo. V’era infatti una bestia feroce che terrorizzava gli abitanti del luogo e abitava in un bosco vicino. Fu richiesto pertanto l’aiuto di Francesco: il santo, senza pensarci due volte, andò incontro al lupo e lo ammansì dicendogli:
“Vieni qui, frate lupo, io ti comando dalla parte di Cristo che tu non facci male né a me né a persona”.
Dai Fioretti di San Francesco, XIV secolo21.
Santa Maria della Porziuncola
Ritornato ad Assisi, Francesco prese a riparare con le sue mani una chiesetta situata a valle del monte Subasio, in un luogo dedicato a Santa Maria degli Angeli. L’edificio, che la tradizione fa risalire al IV secolo e attribuisce a maestranze eremitiche della Palestina, sorgeva su un piccolo appezzamento di terra e perciò era detto Porziuncola. La chiesa apparteneva ai Benedettini ma l’abate del vicino monastero di San Benedetto al Subasio non ebbe nulla in contrario che il santo la restaurasse. Anzi, qualche anno più tardi ne fece dono alla piccola comunità di frati riunita attorno a Francesco, che qui assisteva alle funzioni liturgiche.

Il 24 febbraio del 1208 il santo d’Assisi stava ascoltando nella Porziuncola il passo del vangelo di Matteo: “E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone”22. Tommaso da Celano racconta che, all’udire queste parole, Francesco:
“[…] si scioglie immediatamente dai piedi i calzari, abbandona il suo bastone, si accontenta di una sola tunica, sostituisce la sua cintura con una cordicella. Da quell’istante confeziona per sé una veste che riproduce l’immagine della croce, per tener lontane tutte
Tommaso da Celano, Vita Prima, 1228-122923.
le seduzioni del demonio; la fa ruvidissima, per crocifiggere la carne e tutti i suoi vizi e peccati, e talmente povera e grossolana
che il mondo non avrebbe mai potuto desiderarla”.
Fu soltanto allora che Francesco comprese la sua vera vocazione, la missione a cui la voce del Signore lo stava chiamando. Indossò quindi il saio e, per obbedienza alla parola ricevuta, incominciò a predicare. Alcuni compagni attratti dal suo esempio decisero di seguirlo nell’impresa, costituendo così una prima e genuina fraternità francescana. Tra di essi le fonti citano i frati Bernardo, Egidio e Filippo24.

L’approvazione della prima regola
L’anno successivo i frati erano già divenuti dodici e Francesco cominciò a preoccuparsi affinché tutti seguissero le stesse norme di vita in povertà, obbedienza alla Chiesa e in castità. Pertanto, fattosi coraggio, il santo decise di recarsi a Roma al cospetto del Papa per chiedere l’approvazione di un semplice Propositum Vitae, ossia la prima Regola da lui composta che conteneva alcuni precetti pratici e altri spirituali.
“Vedendo che il numero dei frati a poco a poco cresceva, il servitore di Cristo scrisse per sé e per i suoi frati, con parole semplici, una formula di vita nella quale, posta come fondamento imprescindibile l’osservanza del santo Vangelo, inserì poche altre cose che sembravano necessarie per vivere in modo uniforme”.
Bonaventura da Bagnoregio, Legenda Maior, 126325.
Ma quando Innocenzo III vide quell’uomo vestito di stracci aggirarsi nelle sale del Palazzo in Laterano, lo scacciò come un miserabile qualunque. Così narra Girolamo d’Ascoli, successore di Bonaventura come ministro generale, in un’aggiunta alla Legenda Maior26. Il pontefice, prosegue il racconto agiografico, la notte successiva fu turbato da un sogno: la Basilica del Laterano era sul punto di crollare ma un uomo, poverello e di piccola statura, la sosteneva con le sue spalle affinché non rovinasse al suolo. Al mattino Innocenzo III fece subito richiamare Francesco e questa volta prestò ascolto alle sue richieste.
“Veramente – concluse il pontefice – questi è colui che con la sua opera e la sua dottrina sosterrà la Chiesa di Cristo”.
Bonaventura da Bagnoregio, Legenda Maior, 126327.
Il Papa approvò oralmente la Regola di Francesco e conferì il mandato di predicare a tutti i frati28. Innocenzo III aveva intuito che accogliere quei mendicanti nella Chiesa poteva rappresentare una risposta ai movimenti pauperistici, promotori di una maggiore povertà, e dunque limitare il fiorire delle eresie tra il popolo. L’Ordo fratum minorum così sancito iniziò ad accogliere sempre più uomini che volevano seguire l’esempio di Francesco. I frati si stabilirono a gruppi in differenti città, servendo soprattutto i poveri e i lebbrosi.

La minorità del cuore secondo Francesco d’Assisi
Il modo di vivere che Francesco chiedeva ai suoi frati, attraverso quell’umiltà che egli denominava minorità del cuore, era ascetico e radicale. Il santo proclamava la povertà assoluta, facendo divieto di possedere qualunque bene materiale. I suoi compagni erano chiamati a vivere come pellegrini in terra, nella precarietà fisica. Francesco ad esempio vietava ai frati di costruire case in mattoni. Tommaso da Celano riferisce:
“Una volta si doveva tenere il capitolo presso Santa Maria della Porziuncola. Mentre era imminente il tempo fissato, il popolo di Assisi osservò che non vi era un’abitazione adatta e, all’insaputa dell’uomo di Dio assente in quel periodo, costruì una casa per il capitolo, nel minor tempo possibile. Quando il padre ritornò, guardò con meraviglia quella casa e ne fu molto amareggiato e addolorato. Subito, per primo, si accinse ad abbatterla. Salì sul tetto e con mano vigorosa rovesciò lastre e tegole”.
Tommaso da Celano, Vita Seconda, 124729.
Figurarsi l’avversione per il denaro! Francesco non voleva nemmeno che i frati osassero toccarlo e per questo talvolta li sgridava con durezza. Quando uno di loro prese con le mani l’offerta di un fedele:
“Il santo lo accusò e rimproverò aspramente per avere toccato il denaro e gli comandò di togliere con la bocca la moneta dalla finestra e di deporla sempre con la bocca fuori casa, su sterco d’asino”.
Tommaso da Celano, Vita Seconda, 124730.
Nella visione del santo il voto di povertà imponeva anche di non possedere libri, né egli consigliava di studiare troppo, nemmeno al ministro generale dell’Ordine “per non sottrarre all’ufficio il tempo che dedica allo studio”31.
“Non diceva questo perché gli dispiacessero gli studi della Scrittura, ma per distogliere tutti da una premura eccessiva di imparare, e perché preferiva che fossero tutti buoni per carità piuttosto che saputelli per curiosità”.
Tommaso da Celano, Vita Seconda, 124732.
Finanche i libri liturgici non facevano eccezione, i quali dovevano essere a uso di tutta la comunità e mai appartenere ad alcuno.
“Un frate laico desiderava aver un salterio e ne chiese licenza a Francesco. Ma egli, invece del salterio, gli presentò della cenere”.
Tommaso da Celano, Vita Seconda, 124733.
La vocazione di Santa Chiara d’Assisi
La proposta evangelica di un’esistenza al servizio degli ultimi e dei bisognosi accese un fuoco nell’animo di una giovane nobile di Assisi, Chiara, figlia di Favarone di Offreduccio degli Scifi e Ortolana Fiumi. La fanciulla rimase affascinata dallo stile di vita di Francesco e dei suoi confratelli, tanto da desiderare senza esitazioni di poterne seguire le orme. È un anonimo autore, spesso identificato con Tommaso da Celano, a tramandarci la biografia della santa nella Legenda S. Clarae Virginis, composta nel 1255 e voluta dal papa Alessandro IV all’indomani della sua canonizzazione34. Chiara incominciò a far visita a Francesco di nascosto poiché all’epoca una simile frequentazione tra una nobildonna e un uomo mendicante era ritenuta scandalosa. Né poteva esservi la minima speranza che la sua famiglia l’approvasse. Su consiglio di Francesco, narra la fonte angiografica, Chiara fuggì di casa la notte successiva alla domenica delle Palme.
“Quindi, abbandonati la casa, la città e i parenti, si affrettò verso Santa Maria della Porziuncola, dove i frati, che vegliavano pregando nella piccola cappella, accolsero la giovane Chiara con lumi accesi”.
Legenda S. Clarae Virginis, 125535.

Chiara e le Clarisse
Era il 18 marzo del 121236 e in quel giorno la fanciulla riceveva nella Porziuncola l’abito religioso da Francesco. Chiara, in segno di penitenza e di rinuncia al mondo, accettò di tagliarsi i lunghi capelli biondi; quindi rimase ospite per un periodo presso la chiesa di San Paolo. La famiglia d’origine, come si può immaginare, non prese di buon grado la decisione e il padre Favarone tentò in ogni modo di riportarla a casa. Ma nonostante ripetuti tentativi, racconta l’anonimo della Legenda S. Clarae Virginis, Chiara non desistette, perseverando nella sua fede. Anzi, l’esempio della santa fu seguito da altre donne, prima fra tutte la sorella Agnese, che così potevano dirsi Clarisse.
Le giovani donne furono alloggiate presso la Chiesa di San Damiano, là dove il Crocifisso aveva parlato a Francesco. La Chiesa, tuttavia, non poteva approvare un ordine femminile mendicante; dopo la morte di Francesco, il papa Gregorio IX convinse Chiara ad accettare una regola monastica sì che le Clarisse potessero pregare in clausura all’interno dei conventi.

Il Perdono d’Assisi e la missio in Terra Santa di Francesco
Nel 1217 l’Ordine fondato da Francesco contava numerosi membri ed era così grande che si rese necessaria una suddivisione in province. È questo, infatti, l’anno del primo Capitolo Generale dei Francescani con valore normativo, tenutosi alla Porziuncola, incontro in cui fu deciso peraltro l’invio di missionari in Europa e nel Medio Oriente. Lo stesso Francesco due anni più tardi decise di imbarcarsi per la Terra Santa, dove era in corso la Quinta Crociata. Non sappiamo se l’Assisiate condividesse gli ideali della guerra d’Oltremare, lui che per primo aveva rinnegato i valori cavallereschi. Di certo per Francesco la missio cristiana avrebbe dovuto avvicinare gli uomini attraverso la fede e non dividerli per mezzo delle armi:
“Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: «Il Signore ti dia la pace!»”.
Dal Testamento di Francesco, 122637.
Anche per questo, nel 1216, aveva richiesto al neo eletto Onorio III il Perdono d’Assisi, l’indulgenza plenaria ottenibile presso la Porziuncola nei primi due giorni di agosto. Il Perdono concesso dal pontefice costituiva un’importante novità in quanto non richiedeva il pagamento di un obolo né lunghi pellegrinaggi come la missio in Terra Santa, condizioni queste sino ad allora imprescindibili perché fosse concessa l’indulgenza dalla Chiesa.

“Voglio, se piace a sua santità, che quanti verranno in questa chiesa confessati e pentiti e, come è conveniente, assolti dal sacerdote, vengano liberati dalla pena e dalla colpa in cielo e in terra […]”.
La richiesta di Francesco a Onorio III nel Diploma del vescovo Teobaldo, 131038.
In tal modo Francesco offriva una possibilità di perdono anche ai poveri e soprattutto a chi non aveva intenzione di andare a combattere a Gerusalemme. Tuttavia, non si può affermare che il santo fosse contrario alla crociata; doveva in un certo senso apprezzarne le finalità, vale a dire la riconquista dei luoghi santi e la conversione dell’Islam, senza condividerne i modi violenti39.
L’incontro di Francesco d’Assisi con il Sultano
Ad ogni modo, nel settembre del 1219, a Damietta, riuscì a farsi ricevere dal sultano d’Egitto al-Malik al-Kāmil, innanzi al quale diede una fervente testimonianza di fede. Francesco chiese al sovrano di convertirsi al Cristianesimo nella segreta speranza, dicono le fonti, di venire martirizzato. Dopo un cortese e lungo dialogo, al-Malik al-Kāmil ebbe profonda ammirazione di Francesco e lo fece rilasciare verso gli accampamenti crociati40.

La Regola non bollata e la Regola bollata
Al ritorno ad Assisi, Francesco iniziò a preoccuparsi dell’Ordine da lui fondato, che diveniva sempre più numeroso. Il santo temeva che con l’aumentare dei frati lo spirito iniziale si diluisse; già a quel tempo sorgevano le prime divergenze perché molti frati volevano studiare e vivere in conventi. Inoltre, l’Assisiate si preoccupava di cosa sarebbe successo dopo la sua morte, quando cioè la figura carismatica che guidava l’Ordine sarebbe venuta meno. Sotto questa luce si comprendono sia la rinuncia alla carica di ministro generale nel 1220, momento in cui Francesco fu sostituito da frate Pietro Cattani, sia la volontà di redigere una Regola ufficiale e normativa. L’anno successivo, durante il cosiddetto Capitolo delle stuoie, venne approvato un testo contenente il Propositum, cui si aggiunsero varie citazioni bibliche.
Tale Regola non bollata, in quanto non fu mai sottoposta al sigillo papale41, venne contestata da una parte dei frati perché ritenuta troppo severa. Francesco fu quindi convinto a rilasciare un’altra e definitiva Regola, meno rigida nelle norme di vita, infine approvata da papa Onorio III nel 1223 con la bolla Solet Annuere42.
I timori di Francesco di una spaccatura dell’Ordine dopo la sua morte si concretizzarono lo stesso. Una parte dei Francescani detti “spirituali”, volendo seguire la radicale precarietà delle origini, adottarono la Regola non bollata. Coloro che invece si rispecchiavano nella Regola bollata, ossia quei frati desiderosi di studiare e vivere in conventi, furono detti “conventuali”.
Gli ultimi anni di vita di Francesco d’Assisi
Il 14 settembre del 1224, mentre si trovava a pregare presso il Monte della Verna, luogo eletto per l’incontro intimo con Dio, Francesco ricevette da lui le stimmate. Il santo ebbe la visione di un serafino in croce che preannunciava il comparire delle ferite mistiche sul suo corpo.
“Subito infatti, nelle sue mani e nei suoi piedi, incominciarono ad apparire segni di chiodi, come quelli che poco prima aveva osservato nell’immagine dell’uomo crocifisso” .
Bonaventura da Bagnoregio, Legenda Maior, 126343.
Sul Monte della Verna, secondo le fonti agiografiche, Francesco diveniva compiutamente, nello spirito e nella carne, un secondo Cristo. Le stimmate rappresentavano la manifestazione di una piena santità, erano il segno che fosse conforme all’esempio e alla missione del figlio di Dio, doloroso preludio della salita al cielo.

L’eredità di Francesco: il Cantico delle creature
Gli ultimi anni di Francesco furono vissuti in una sofferenza profonda, alla quale contribuirono la malattia e la cecità. Ciò non gli impedì di rendere lode a Dio fino all’ultimo momento. È in questo periodo che il santo dettò il Cantico delle creature, componimento poetico che esalta il creato in quanto riflesso benigno del creatore. Francesco, come ultima eredità, insegnava a vedere il sommo bene in ogni cosa, esaltando il carattere divino della creazione. Alcune dottrine ereticali del tempo, come quella dei Catari, rifiutavano l’idea che Dio avesse potuto generare un mondo malvagio, composto da esseri corruttibili e destinati a perire.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tutte le Tue creature,
Dal Cantico delle creature, 1224-122644.
spezialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significazione.

La sera del 3 ottobre 122645 Francesco d’Assisi fu colto da sorella morte mentre era in preghiera presso la Porziuncola. Il corpo fu sepolto inizialmente nell’antica chiesa di San Giorgio e solo quattro anni più tardi trasferito nell’attuale Basilica di San Francesco.
Laudato si’, mi’ Signore,
Dal Cantico delle creature, 1224-122646.
per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po’ skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ’l farrà male.
Appena due anni più tardi, il 16 luglio 1228, Francesco veniva proclamato santo da Papa Gregorio IX. Il giorno seguente lo stesso pontefice posava la prima pietra della Basilica assisiate, destinata a diventare la chiesa madre dell’Ordine Francescano.
Samuele Corrente Naso
Note
- Ignoto assisiate, Legenda trium sociorum (Leggenda dei tre compagni), 1241-1246. Già nota e predente negli Acta Sanctorum, octobris, II, Anversa 1768. ↩︎
- Tommaso da Celano, Vita Seconda, 1247. Traduzione a cura di S. Colombarini, in E. Caroli, Memoriale nel desiderio dell’anima (FF 583), Fonti Francescane, Nuova Edizione, 2004. ↩︎
- Leggenda dei tre compagni, 1241-1246. Traduzione a cura di V. Gamboso, C. Paolazzi in E. Caroli, Leggenda dei tre compagni (FF 1395), Fonti Francescane, Nuova Edizione, 2004. ↩︎
- Tommaso da Celano, Vita beati Francisci (Vita prima), 1228-1229. Una versione è presente nel manoscritto della Bibliothèque nationale de France, Parigi, Lat. 3817, ff. 255r-282v. ↩︎
- Tommaso da Celano, Vita beati patris nostri Francisci (Vita brevior), 1232-1239. Nel manoscritto della Bibliothèque nationale de France, Parigi, Nouv. acq. lat., 3245. ↩︎
- Tommaso da Celano, Memoriale in desiderio animae de gestis et verbis sanctissimi Patris nostri (Vita secunda), 1247. Nel Codex Massiliensis, Archivio Generale dei Frati Minori, Roma. ↩︎
- Ibidem nota 1. ↩︎
- J. R. H. Moormann, The sources for the life of St. Francis, Manchester 1940. ↩︎
- Testamentum, 1226. Nel manoscritto della Biblioteca Comunale di Assisi, Fondo antico 338. ↩︎
- Testamento di Francesco, 1226. Traduzione di F. Olgiati, C. Paolazzi in E. Caroli, Testamento (FF 110), Fonti Francescane, Nuova Edizione, 2004. ↩︎
- Bonaventura da Bagnoregio, Legenda Maior, 1263. ↩︎
- Ibidem nota 2. ↩︎
- Tommaso da Celano, Vita Prima, 1228-1229. Traduzione a cura di A. Calufetti, M. Cerra, in E. Caroli, Vita del beato Francesco (FF 317), Fonti Francescane, Nuova Edizione, 2004. ↩︎
- Ibidem nota 3. ↩︎
- Ibidem nota 10. ↩︎
- Bonaventura da Bagnoregio, Legenda Maior, 1263. Traduzione a cura di S. Olgiati, in E. Caroli, Leggenda maggiore (FF 1027), Fonti Francescane, Nuova Edizione, 2004. ↩︎
- Ibidem nota 2. ↩︎
- Ibidem nota 2. ↩︎
- Ibidem nota 16. ↩︎
- Ibidem nota 16. ↩︎
- Anonimo, Fioretti di San Francesco, XIV secolo. Traduzione a cura di V. Gamboso, F. Sartorio, in E. Caroli, I fioretti di San Francesco (FF 1826), Fonti Francescane, Nuova Edizione, 2004. ↩︎
- Vangelo di Matteo 10, 7-10. ↩︎
- Ibidem nota 13. ↩︎
- Ibidem nota 13. ↩︎
- Ibidem nota 16. ↩︎
- Si veda FF 1063 in E. Caroli, Leggenda maggiore (FF 1027), Fonti Francescane, Nuova Edizione, 2004. ↩︎
- Ibidem nota 16. ↩︎
- F. Cardini, Francesco d’Assisi, Milano, A. Mondadori, 1989. ↩︎
- Ibidem nota 2. ↩︎
- Ibidem nota 2. ↩︎
- Ibidem nota 2. ↩︎
- Ibidem nota 2. ↩︎
- Ibidem nota 2. ↩︎
- Anonimo autore (Tommaso da Celano?), Legenda S. Clarae Virginis, 1255. Nel manoscritto della Biblioteca Comunale di Assisi, Fondo antico 338. ↩︎
- Anonimo autore (Tommaso da Celano?), Legenda S. Clarae Virginis, 1255. Traduzione di M. Bartoli, in E. Caroli, Vita di Santa Chiara vergine (FF 3154), Fonti Francescane, Nuova Edizione, 2004. ↩︎
- Si segue qui la data proposta nelle Fonti Francescane, ma secondo un altro computo la fuga di Chiara sarebbe avvenuta il 29 marzo del 1211. ↩︎
- Ibidem nota 10. ↩︎
- Diploma del vescovo Teobaldo, 1310. Traduzione a cura di F. Olgiati, C. Cargnoni, in E. Caroli, Indulgenza della Porziuncola (FF 2706/10), Fonti Francescane, Nuova Edizione, 2004. ↩︎
- F. Cardini, Francesco e il sultano. La storia e il messaggio, in Francesco d’Assisi, otto secoli di storia (1209-2009), Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, 2009. ↩︎
- Ibidem nota 16. ↩︎
- Regola non bollata, 1221. Traduzione di F. Olgiati, C. Paolazzi, in E. Caroli, Regola non bollata (FF 1), Fonti Francescane, Nuova Edizione, 2004. ↩︎
- Regola bollata, 1223. Traduzione di F. Olgiati, C. Paolazzi, in E. Caroli, Regola bollata (FF 73a), Fonti Francescane, Nuova Edizione, 2004. ↩︎
- Ibidem nota 16. ↩︎
- Cantico delle Creature, 1224-1226. Traduzione di F. Olgiati, C. Paolazzi, in E. Caroli, Cantico di frate Sole (FF 263), Fonti Francescane, Nuova Edizione, 2004. ↩︎
- Il 4 di ottobre secondo il computo medioevale che faceva iniziare il giorno al tramonto della sera prima. ↩︎
- Ibidem. ↩︎