Spoleto, i Longobardi e il senso del bello lungo i secoli

in ,

articolo creato il

e aggiornato il

Non è semplice trovare un luogo, una città ampia, che assume nella sua quasi interezza la valenza di complesso monumentale come a Spoleto1. Si vuole così intendere un sito di rilevanza storica, artistica, etnoantropologica che custodisce e conserva costruzioni di differenti epoche, le quali sono andate integrandosi mirabilmente tra loro. Succede sovente il contrario, invece: l’archeologia dimostra come sia facile rinvenire stratigrafie complesse in cui gli edifici antichi siano stati sovrascritti da quelli più recenti, talvolta dimenticati o persino distrutti. L’idea di una rispettosa conservazione dei beni culturali è soltanto un paradigma moderno, prima appariva assolutamente normale rinnovare il bello secondo i gusti emergenti, riscrivendo le forme architettoniche e topografiche di una città.

I Longobardi e la dimensione del bello universale

Eppure, vi è un’eccezione straordinaria nella storia: è quella dei Longobardi in Italia, popolo dalle lunghe barbe e anche dal grande rispetto per la tradizione degli antichi. I Longobardi dovevano provare un’ammirazione solenne per le opere scultoree ed architettoniche dei Romani, loro che appartenevano da secoli ad una stirpe nomade e le cui abitazioni di legno erano state da sempre transitorie. Gli stilemi classici non erano soltanto associati a una generica percezione del bello, ma assumevano invece la dimensione di una meta ideale da raggiungere, di un grado di civilizzazione grandiosa del passato che bisognava imitare e riscoprire.

Non si spiega altrimenti la tendenza massiva dei Longobardi nel reimpiegare in edifici nuovi tutto ciò che di antico rinvenivano: incisioni, colonne, fregi e capitelli, persino lapidi. In alternativa, giacché aspiravano ad essere eredi della romanità antica più dei bizantini, essi talvolta ne conservavano le architetture nella loro interezza. Di ciò è manifesto chiarissimo l’umbra Spoleto, luogo pertanto eccezionale nella sua monumentalità. Ivi le vestigia romane e quelle longobarde convivono da secoli, e hanno tracciato la via per la convivenza in città di molti stili e differenti visioni dell’arte lungo i secoli.

Si può affermare senza errore che a Spoleto il senso del bello si sia affrancato dalla mera appartenenza a una cultura e abbia assunto una dimensione universale, quasi a volersi ribellare all’etnocentrismo storico imperante tutt’intorno. Spoleto, i suoi edifici romani e longobardi, così come il vicino Tempietto del Clitunno, sono una testimonianza tangibile di integrazione storica e del bello che trascende.

Le origini di Spoleto

Il colle Sant’Elia è un grazioso promontorio collinare situato alle pendici del Monteluco, non lontano dal fiume Clitunno e le sue celebri fonti. Qui, più di tremila anni fa, si dovettero stabilire i primi insediamenti umani. Già nell’età del ferro poi, l’antico popolo degli Umbri colonizzava la zona.

«La popolazione umbra è ritenuta la più antica d’Italia, si crede infatti che gli Umbri fossero stati chiamati Ombrici dai Greci perché sarebbero sopravvissuti alle piogge quando la terra fu inondata.»

Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, III

Ciò è testimoniato da numerosi rinvenimenti archeologici. In particolare, l’usanza degli Umbri di inumare i defunti è confermata dai reperti rinvenuti proprio a Spoleto nella necropoli di Piazza delle Armi (VIII-VI secolo a.C.)2.

Parimenti, l’importanza dell’insediamento antico in città è attestata dai ruderi delle mura dette ciclopiche (V-VIII secolo a.C.) costituite di massi poligonali giganti.

La dominazione romana

Nel corso del IV secolo a.C. gli Umbri dovettero entrare in contatto con i Romani per la prima volta3. A quel tempo la Repubblica Romana rappresentava una potenza in rapida espansione e mirava a stabilire un’egemonia territoriale sul centro Italia. In successione essa era riuscita a sottomettere prima i Sanniti (prima guerra sannitica, 343-341 a.C.) poi i Latini (340-338 a.C.), quindi nuovamente i Sanniti (seconda guerra sannitica, 326-304 a.C.) e infine gli Etruschi (310-309 a.C.)4. Si era pertanto venuto a creare un forte sentimento di ostilità anti-romano, e di giustificato timore, tra le popolazioni dell’Italia centrale.

I Sanniti sfruttarono tale orientamento e nel 296 a.C. riuscirono ad assemblare una coalizione italica che si opponeva al potere di Roma. L’alleanza veniva costituita insieme agli Etruschi, i Galli Senoni e gli Umbri. I Piceni, al contrario, si schierarono con i Romani. La battaglia decisiva avvenne a Sentino e decretò la definitiva sconfitta dei popoli italici. Da quel momento Roma cominciò ad espandersi nei territori dell’Italia centrale attraverso la formazione di nuove colonie. A questo processo sottostarono anche gli Umbri, i quali decisero di accettare pacificamente la convivenza con gli invasori. Nel 241 a.C. i Romani fondarono dunque la città di Spoletium.

L’assedio di Annibale a Spoleto

Spoleto è ricordata dagli storici romani per aver evitato la conquista di Roma da parte di Annibale nel corso della seconda guerra punica. L’episodio, narrato da Tito Livio, si svolse allorché il condottiero cartaginese, traversate le Alpi con una moltitudine di soldati e persino con qualche decina di elefanti, raggiunse le porte della città.

Annibale per la via più breve attraversa l’Umbria e arriva a Spoleto. Dopo aver devastato il suo territorio, cerca di occupare la città; respinto dopo una carneficina dei suoi soldati, e ritenendo dal poco successo del tentativo contro una piccola colonia, che una città come Roma gli avrebbe opposto ingenti forze, si dirige verso il Piceno […].”

Tito Livio, Ab urbe Condita, Libro XXII, 9

Roma ricompensò la fedeltà di Spoletium lungo i secoli con il titolo di municipium nel 90 a.C.

Le vestigia romane di Spoleto

Il passato romano di Spoleto è tutt’oggi ancora ben visibile. All’interno delle mura cittadine si conservano, infatti, i resti dell’antico teatro (I secolo a. C.) a pianta semicircolare, dotato di cavea e al quale si accedeva attraverso tre vie d’ingresso.

Inoltre in città, lungo il tracciato della via Flaminia, una delle più importanti vie consolari che collegavano Roma e Rimini, vi è l’Arco dedicato a Druso e Germanico.

L’Arco di Druso e Germanico

Il monumento fu eretto in onore del figlio naturale e del figlio adottivo dell’imperatore Tiberio nel 23 d.C. per commemorare la loro morte, come riporta l’iscrizione posta sopra il fornice:

“[GERM]ANICO CAESARI TI(beri) AUGUST[I F(ilio) DRUS]O CA[ESARI TI(iberi) AUGUSTI F(ilio)]
[DIVI]AUGUSTI N(epoti) DI[VI I]ULI PRO N(epoti) DIVI AUGUST[I N(epoti) DIVI IULI PRO N(epoti)]
[CO(n)S(uli) II] IMP(eratori) II AUG(uguri) FLAMINI AUG(usti) CO(n)S(uli) II TRIB(unicia) POT(estate) II PO[NT(ifici)]
EX S(enatus) C(consulto)”.

L’arco, realizzato con pietra calcarea del luogo in opus quadratum, presenta un fornice e un unico piedritto, in quanto quello posto sul lato sinistro è ormai divenuto parte integrante della abitazioni circostanti. Originariamente il fornice era decorato con capitelli corinzi e lesene; l’Arco rappresentava l’ingresso al foro della città ed era inoltre ornato da una trabeazione tipicamente dorica con fregi e metope. Esso dava accesso al cardo maximus.

Il tempio romano di Spoleto

In prossimità dell’arco di Druso e Germanico sorge il cosiddetto tempio romano, oggi incorporato tra le mura della chiesa di Sant’Ansano. L’edificio con ogni probabilità, faceva parte dell’antico foro cittadino. Esso era provvisto di una cella rettangolare e un elegante peristilio, in parte ancora visibile. A tutt’oggi risulta ignota la divinità cui era dedicato.

L’Arco di Monterone e altre vestigia romane

L’antico ingresso alla città di Spoleto è testimoniato ancora dalla presenza dell’Arco romano di Monterone. Esso era collocato proprio lungo la via Flaminia e rappresentava la più importante porta d’ingresso della città in direzione sud. L’arco risale al III-II secolo a.C. ed è costruito in travertino e calcare. A unico fornice, il monumento ci è giunto in buone condizioni di conservazione e permette di immaginare come dovesse apparire Spoleto agli occhi dei cittadini romani che vi si recavano.

Di notevole interesse sono, inoltre, la domus romana situata sotto la piazza del municipio, e i resti dell’anfiteatro romano, non lontani da Porta Garibaldi, entrambi del I secolo d.C.

Spoleto longobarda e il reimpiego del bello antico

Dopo un periodo di transizione, in seguito alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente e il dominio bizantino, Spoleto rifiorì sotto i Longobardi. La città, infatti, fu il capoluogo dell’importante ducato, centro di potere e di culto della Langobardia minor. I Longobardi non sovrascrissero gli ideali del bello e della civiltà romana ma li integrarono attraverso nuove prospettive. Ne è testimonianza a Spoleto l’eccezionale Basilica di San Salvatore. Tale tendenza artistica si sviluppò lungo tutta la storia del Ducato, il quale fu istituito sin dagli anni successivi alla discesa di Alboino in Italia (568) e perdurò ben oltre la fine del Regno longobardo (774). Le fonti storiche identificano in Faroaldo il primo duca di Spoleto5.

La Basilica di San Salvatore

Poco fuori le mura medievali, in prossimità dell’odierno cimitero monumentale, sorge la Basilica di San Salvatore. Essa fu edificata nell’VIII secolo sui resti di un’antica chiesa di origine paleocristiana. Il primitivo edificio, risalente alla fine del IV secolo, era dedicato a San Concordio e Senzia, martiri durante l’impero di Marco Aurelio e ivi sepolti. A entrambi i santi gli spoletini riconoscevano il “potere miracoloso” della guarigione.

Con l’arrivo dei Longobardi l’edificio fu ricostruito e assunse, con ogni probabilità, la denominazione di San Salvatore, giacché essa è attestata già in un documento benedettino dell’8156. A un’attenta analisi si denota un massiccio reimpiego di elementi architettonici di epoca classica, a testimonianza proprio del rispetto e dell’ammirazione per il bello antico dei nuovi arrivati.

Gli interni della chiesa

San Salvatore ha un impianto basilicale a tre navate senza transetto; il presbiterio è tripartito ed è coperto da una volta a base ottagonale. Una ricca trabeazione con fregio dorico decorre lungo le navate ed è sorretta da colonne doriche, o corinzie presso il presbiterio.

L’abside è invece affiancata da due ambulacri: si tratta di un elemento architettonico di tradizione liturgica siriaca che testimonia la presenza di influssi stilistici orientali. Inoltre, essa ospita una nicchia affrescata con una croce gemmata, tipica longobarda, con l’Alpha e l’Omega. Lateralmente sono dipinte riquadrature marmoree fittizie che racchiudono clipei, al pari di quanto si osserva nella cella del Tempietto del Clitunno. Più recente è invece il dipinto cinquecentesco del Cristo in Croce, ragion per cui la chiesa venne detta “del crocifisso” sino al Novecento.

La facciata di San Salvatore

La facciata di San Salvatore risale all’VIII secolo e fu realizzata anch’essa a partire da materiali di reimpiego romani. Ad oggi sopravvivono gli originali portali con trabeazione riccamente scolpita e la primitiva disposizione spaziale, la quale è scandita da lesene ed è strutturata su due ordini separati da una cornice marcapiano. Altresì sono originali le tre finestre dell’ordine superiore con pilastrini scanalati e capitelli a motivi fitoformi. Tutto ciò conferisce alla facciata di San Salvatore un’importante verosimiglianza classicheggiante, la quale è un elemento caratteristico dell’arte longobarda nel suo complesso7.

Il Duomo raccoglie la tradizione di integrazione monumentale

Il percorso di integrazione artistica e storica iniziato a Spoleto dai Longobardi ha trovato, lungo i secoli, il massimo compimento nel meraviglioso Duomo cittadino. Non è un caso che l’odierna costruzione sorga su un primitivo edificio proprio di matrice longobarda, il quale è stato arricchito nel tempo di elementi architettonici nuovi e appartenenti a differenti stili. E, pur tuttavia, l’edificio non avrebbe potuto raggiungere maggior grado di monumentale perfezione, attraverso un’armonia di straordinaria ricercatezza.

Il Duomo di Spoleto lungo i secoli

L’area in cui sorge il Duomo, a ridosso della cinta muraria, è nota per essere stata dapprima utilizzata dai Romani come postazione di difesa. Essa sorge, infatti, in prossimità di un pendio scosceso, il quale rendeva difficoltoso attaccare la città da quella parte. Indagini archeologiche e topografiche hanno permesso di dimostrare che, a partire dal VII secolo, la spianata dovesse essere stata impiegata, invece, come centro di culto.

Ciò si evince da elementi architettonici decorativi situati sotto l’attuale portico, in particolare alcuni frammenti di plutei. Inoltre, gli studiosi sono oggi concordi nel sostenere che in quest’area dovesse sorgere già a quel tempo una domus episcopi, che comprendeva la chiesa di Santa Maria del Vescovato e un martyrium dedicato a San Primiano. Quest’ultimo locale è ancora visitabile e corrisponde alla cripta, posta inferiormente al Duomo, con decorazione pittorica del IX secolo.

La ricostruzione romanica e i rifacimenti barocchi del Duomo

La Cattedrale fu poi ricostruita tra il 1151 e il 1227 in stile romanico. Alla tipica facciata a capanna, divisa in due ordini, con archetti ciechi e otto rosoni si aggiunse l’appariscente portico rinascimentale del 1491. L’ordine superiore ospita, nella nicchia centrale, il mosaico Cristo in trono fra la Madonna e San Giovanni Evangelista, capolavoro di Solsterno del 1207. È interessante notare come essa, ad ogiva, abbracci delle forme gotiche in una facciata romanica.

L’interno del Duomo è invece in stile barocco del XVII secolo, cui si aggiungono differenti cappelle neoclassiche del XVIII secolo, opere di Giuseppe Valadier.

A croce latina, la Cattedrale è disposta su tre navate con transetto e cupola.

L’abside è invece rinascimentale e ospita un ciclo di affreschi di fra Filippo Lippi: le Storie della Vergine. Il celebre pittore fiorentino morì a Spoleto e dipinse questo straordinario capolavoro negli ultimi anni della sua vita, venendo infine sepolto proprio all’interno del Duomo.

Tra gli straordinari tesori artistici in esso custoditi, difficile citarli tutti, vi sono gli affreschi del Pinturicchio (1497) che si possono ammirare nella cappella del vescovo Eroli, posta all’inizio della navata di destra.

Il campanile del Duomo, d’impronta romanica, fu terminato alla fine del XIII secolo e ingloba in sé elementi di reimpiego dell’antichità classica. Tra questi vi sono metope, triglifi, fregi e persino alcuni falli alati scolpiti provenienti dal vicino teatro romano.

Il Duomo di Spoleto ha raggiunto nei secoli un punto di equilibrio universale tra differenti stili e culture, tra il bello antico e nuove prospettive, erede di quell’integrazione storica e artistica inaugurata dai Longobardi.

Samuele Corrente Naso

Note

  1. La nozione è mutuata dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42). ↩︎
  2. L. Manca, J. Weidig (a cura di), Spoleto 2700 anni fa. Sepolture principesche dalla necropoli di Piazza d’Armi. Guida alle mostre, Spoleto 2014. ↩︎
  3. S. Moscati, Archeologia delle regioni d’Italia, Edizione CDE, 1985. ↩︎
  4. Tito Livio, Ab urbe condita. ↩︎
  5. S. Rovagnati, I Longobardi, Milano, Xenia, 2002; Jörg Jarnut, Storia dei Longobardi, Torino, Einaudi, 2002. ↩︎
  6. The Longobards in Italy. Places of power (568-774 A.D.), Dossier di candidatura UNESCO 2010. ↩︎
  7. P. De Vecchi, E. Cerchiari, L’arte nel tempo, Milano, Bompiani, 1991. ↩︎

Autore

Samuele

Samuele è il fondatore di Indagini e Misteri, blog di antropologia, storia e arte. È laureato in biologia forense e lavora per il Ministero della Cultura. Per diletto studia cose insolite e vetuste, come incerti simbolismi o enigmatici riti apotropaici. Insegue il mistero attraverso l’avventura ma quello, inspiegabilmente, è sempre un passo più in là.

error: