Narni Sotterranea, segreti dal passato

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Esuli rimanenze d’antiche mura, travolte da un’erbosa cornice di rovi e selvaggi arbusti, e poi la rupe a strapiombo sul fiume Nera. Cosa si celava oltre quelle pietre in rovina, cosa poteva esservi al di là del Monastero? Quali segreti custodiva ancora il cenobio di San Domenico, ormai in parte abbandonato e sepolto a causa dei vili bombardamenti della guerra, quali Narni sotterranea? Una fune lanciata a mezz’aria, ancorata alla bell’e meglio sul muro dei giardini di San Bernardo, un caschetto in testa e via, giù di botto verso l’ignoto: nel 1979 sei ragazzi si improvvisavano esploratori; si sa che le avventure sono molto meglio della noia.

La scoperta di Narni Sotterranea

Si immagini, parimenti, lo stupore del sig. Ernani Proietti nel veder quei discoli catapultarsi nel proprio orto, così d’improvviso. Ecco, innanzitutto, cosa s’incontrava una volta scavallata la rupe: il sig. Ernani e il terreno di cui aveva preso possedimento! Sembra quasi di vederlo, l’anziano contadino, afferrare il proprio bastone e, con fare minaccioso, puntare verso i malcapitati che gli avevano calpestato l’insalata. I ragazzi, tra cui v’era un giovane Roberto Nini1, con grande spavento presero a balbettare frasi piene di scuse e giustificazioni, si trattava in fondo di una nobile esplorazione per fini di speleologia. Speleologia! E dovettero faticare per spiegare di cosa si trattasse, cosa fosse quel passatempo che spingeva i giovani a infilarsi in anfratti bui e umidi.

Fu allora che accadde, che tutto ebbe inizio, giacché il tempo degli eventi era propizio. Il sig. Ernani rivelò ai sei giovani che davvero, in quel pendio scosceso che precipitava a valle senza grazia, esisteva un’apertura, una specie di finestra attraverso cui la roccia respirava, emetteva dell’aria. Chissà cosa poteva mai contenere, forse un tesoro… Cos’altro c’era da aspettare? La fessura era stretta certo, ma con un po’ d’impegno si poteva allargare, con ingegno vi si poteva passare attraverso: fu un attimo calarsi nell’oscurità come il fuoco d’una candela senza più stoppino.

Narni Sotterranea e la cripta misteriosa

I sei giovani si trovarono in un ambiente sospettosamente ampio. L’acqua colava sulle loro teste ticchettando, e oltre il calcare stratificato sulle pareti s’intravedevano tracce di affreschi misteriosi, occhi che scrutavano l’insondabile. Ora cosa fosse quella strana cripta nessuno a Narni lo sapeva, e neanche invero lo immaginava. Ma i ragazzi ebbero subito il sentore di aver fatto una scoperta sensazionale; decisero così di fondare il Gruppo Speleologico Narnense per esplorare e ripulire quel vano sotterraneo, faticando non poco per ottenere i permessi dal Comune. Ciò che invece non potevano immaginare è che si trattava solo dell’inizio di una lunga avventura.

Molti anni sono trascorsi e Roberto Nini è oggi presidente dell’Associazione “Narni Sotterranea”. Quell’ambiente che egli aveva riscoperto nel 1979 era una chiesa del XII-XIII secolo. L’edificio era stato totalmente dimenticato, apparteneva certo al monastero di San Domenico ma non come ai tempi era conosciuto. Prima ancora che ivi giungessero i Dominicani, infatti, v’era già un complesso di culto più antico, chiamato Santa Maria Maggiore2.

Gli affreschi di Narni Sotterranea

Soprattutto quella chiesa era stata affrescata da ignoti artisti di scuola umbra, bisognava dunque rimuovere la terra, scrostare e restaurare le pareti, riscoprire i colori e l’antico splendore. Molti dei proventi necessari giunsero dagli stessi visitatori – l’associazione di Narni Sotterranea inaugurò il percorso di visita nel 1994 – entusiasti di sentirsi partecipi di una tale impresa.

Con i primi restauri del duemila tornarono alla luce i dipinti due-trecenteschi del presbiterio: un’Incoronazione della Vergine, e sull’arcone absidale, una serie di clipei raffiguranti Cristo con i quattro Evangelisti. Appena più in basso si liberavano dal calcare che li incatenava due maestose figure di San Michele Arcangelo: a sinistra in veste di comandante delle Milizie Celesti e sauroctono, ossia colui che uccide il Drago; a destra in quanto psicagogo, mentre conduce la psicostasia delle anime. La volta della chiesa era invece affrescata con un meraviglioso cielo stellato, richiamo figurativo alla corona che ammanta il capo della Vergine nelle Sacre Scritture3.

La dedicazione a San Michele Arcangelo

A San Michele era dunque dedicato l’edificio di culto, e non a caso giacché il locale ipogeo, scavato nella roccia, rappresenta il santuario dell’Arcangelo per eccellenza. La chiesa di Narni fu costruita ad instar Gargani, ossia a imitazione della Grotta micaelica di Monte Sant’Angelo, da dove il culto si era diffuso in tutta Europa. La leggenda vuole che vi sia una linea sacra che congiunga i principali luoghi dedicati a San Michele: da Mont Saint-Michel in Francia, passando per la Sacra in Val di Susa e il Santuario sul Gargano, fino al Monastero del Monte Carmelo. Ebbene, anche la chiesa di Narni si trova collocata su questa direttrice.

Tutto ciò non era ancora noto quando, nel duemila, si riconsacrava la chiesa sotto il nome di Santa Maria della Rupe, per via della sua impervia posizione. Inoltre, fatto rilevantissimo per ricostruire la genesi di quel misterioso luogo di preghiera, gli archeologi condussero alcune indagini stratigrafiche sul piano di calpestio, oggi visibili attraverso un plexiglass, e si scoprì che lì sotto giacevano strutture ben più antiche. Venne alla luce, ad esempio, una cisterna romana dell’antica Narnia, forse appartenente a una domus, e poco più in là ecco i perduti resti dell’acquedotto della Formina, voluto da Tiberio nel 27 d.C..

I locali segreti di Narni Sotterranea

I sei giovani non avevano trovato un tesoro, ma poco importava: poteva almeno dirsi soddisfatta la loro sete di avventura. La scoperta della chiesa sotterranea li aveva catapultati in un mondo sconosciuto ed emozionante, fatto di cunicoli e ambienti nascosti, misteriosi. Lì sotto si poteva percorrere un discreto percorso, un corridoio antico. Ecco ancora quegli spelelogi in erba avanzare al tremolio luminoso delle torce, nel lontano 1979; un passo dopo l’altro con la luce radente alle pareti, e un brivido lungo la schiena.

D’improvviso i ragazzi videro qualcosa: notarono un’irregolarità sul muro, come fosse un’ostruzione. Una porta murata!? Al bussare sulla pietra il rumore era sordo, come se vi fosse dall’altro lato un ambiente vuoto. In effetti, la parete sembrava celare uno stipite: un vano si apriva un tempo attraverso quella porta, ma i ragazzi la trovavano sbarrata, inaccessibile. Possibile che un altro mistero fosse custodito tra quelle mura, un segreto che qualcuno aveva voluto nascondere?

La “banda del buco

I giovani pensarono, senza indugio figurarsi, di abbattere il setto murario che ostruiva il passaggio. Ma c’era un grosso problema: il vano confinava con un’abitazione civile e gli inquilini, Alberto e Rosita, non erano affatto d’accordo, temevano infatti che potessero esserci dei crolli strutturali. Bisognava dunque desistere? Giammai. In fondo si trattò solo di una paziente attesa: giunto il sabato sera del corteo della Corsa all’Anello, i vicini uscirono di casa e tutti gli abitanti del paese si recarono all’evento; tutti tranne Roberto Nini e i ragazzi della Narni Sotterranea. Era il momento di agire, la famigerata “banda del buco” non poteva aspettare oltre! I giovani, di soppiatto, s’erano di nuovo recati innanzi alla porta misteriosa e, giacché nessuno poteva udirli, iniziarono con gran frastuono a colpire il muro con un martello.

Un colpo e un altro ancora fino a formare un grosso foro, e soprattutto a intravedere ciò che dietro si celava. V’era un altro corridoio e infine una serie di vani molto strani, con dei graffiti incisi sulle pareti, tanto da far pensare a delle carceri. Un’idea balenò nella testa dei giovani, bizzarra certo ma non impossibile. Bastò ricollegare i pezzi del mosaico: un convento dei dominicani, una prigione nascosta e dei graffiti: possibile che a Narni vi fosse una sede del Santo Ufficio, della temuta Inquisizione Romana?

Il bigamo

Eppure, ancora una volta, tutto sembrava obliato, disperso, persino assurdo. Come poteva esservi stata la Santa Inquisizione a Narni se in nessun documento, in nessuna fonte se ne faceva menzione alcuna? La questione rimase irrisolta a lungo, almeno finché non si manifestò la provvidenza, in verità come tante altre volte in questa incredibile storia. Tra una visita e l’altra alla Narni Sotterranea ecco giungere un funzionario dell’Archivio Segreto Vaticano, un ambasciatore della Santa Sede, poi finanche un monsignore: si spalancarono così, di volta in volta, le porte degli archivi dell’Inquisizione. E lì, tra quelle carte ingiallite dal tempo, c’era la storia del tribunale del Sant’Uffizio di Narni.

Presso il monastero dei Dominicani era davvero esistita l’Inquisizione, ma per qualche ragione oscura tutto era stato cancellato, le porte murate e i documenti fatti sparire quasi tutti… Quasi, giustappunto, giacché qualcosa si era miracolosamente salvato. I rapporti degli Archivi Vaticani riferivano, infatti, di un certo Domenico Ciabocchi che sarebbe stato incarcerato a Narni dall’Inquisizione4. Si trattava di poche righe, sufficienti tuttavia per rivelare che lo stesso prigioniero era citato nientemeno che in alcune carte del Trinity College di Dublino5. E sorpresa: in quei documenti c’era il resoconto dell’intero processo contro Domenico Ciabocchi.

La “stanza dei tormenti”

Dunque, si scoprì che l’uomo era stato incarcerato una prima volta dal Sant’Uffizio in quanto bigamo. Già di per sé, si trattava di un’accusa grave, una violazione sacramentale, perché l’uomo si era sposato con due donne differenti. Ma soprattutto, nel 1726, Ciabocchi aveva commesso un omicidio; aveva, infatti, strangolato con una corda la guardia che gli portava il pranzo, riuscendo ad evadere dalla cella carceraria. Tutto ciò era accaduto proprio all’interno della camera che Roberto Nini e gli altri ragazzi avevano riscoperto. E un brivido dovette loro salire lungo la schiena al leggere com’era chiamato quel vano, nelle carte di Dublino: la “stanza dei tormenti”.

Era dunque quello il luogo della tortura, dove una fune serviva per costringere i prigionieri ai terribili tratti di corda. La stanza si collegava direttamente a due celle al pian terreno, di cui una deputata a un regime carcerario più duro, come peraltro attestano i numerosi graffiti incisi dai prigionieri sulle pareti. Ancora un’altra cella si trovava al piano di sopra, e così pure pure l’appartamento dell’Inquisitore6. In quanto al bigamo Domenico Ciabocchi, infine, le carte del processo raccontano che venne riacciuffato a causa di una missiva inviata alla sua seconda moglie. Ah, l’amore! Nuovamente rinchiuso, e stavolta incatenato, nella cella del Sant’Uffizio di Narni, fu condannato ai remi per il resto della vita.

Lombardini e i simboli della Massoneria

Tra coloro che a Narni furono incarcerati dal Sant’Uffizio, Giuseppe Andrea Lombardini non era il solito galeotto. Le fonti attestano che fosse un Caporale dei birri della stessa Inquisizione e che prestasse servizio presso la sede di Spoleto, dalla quale dipendeva anche il Vicariato di Narni7. Per ragioni mai chiarite, tuttavia, fu accusato di tradimento in quanto reo di aver favorito il tentativo di fuga di un prigioniero8.

Ma Lombardini non si dichiarò mai colpevole e sin dalla sua incarcerazione, avvenuta il 4 dicembre 1759, continuò a sostenere di essere stato vittima di un complotto. Sull’intonaco di una parete della cella, accanto al suo nome, scrisse a chiare lettere la parola “innocente”, oggi leggibile solo con luce radente perché qualcuno l’abrase, la cancellò; con ogni probabilità le guardie carcerarie dei Dominicani.

Il prigioniero comprese allora che non era conveniente scrivere in maniera così esplicita i propri messaggi, piuttosto doveva celarli, renderli occulti attraverso i simboli, affinché soltanto potesse leggerli chi era iniziato. Lombardini, da quel momento, utilizzò il complesso linguaggio della Massoneria per incidere la quasi totalità delle porzioni parietali intonacate della sua cella. Graffiti misteriosi di ogni genere, numerologie, cristogrammi e figure di santi, si mostravano alla vista dei Dominicani come semplici testimonianze cristiane. E tuttavia, dietro le apparenze nascondevano significati più oscuri, doppie letture e interpretazione esoteriche.

Il significato manifesto

Lombardini era un Caporale delle guardie del Sant’Uffizio, ma era anche segretamente un massone. È possibile che qualcuno se ne fosse accorto? Che l’avesse fatto imprigionare per questa ragione con un pretesto? L’acredine del prigioniero si rivolgeva in particolare contro i Dominicani, e in maniera tale da far sospettare motivi ideologici. Ad esempio, egli evitò accuratamente di impiegare la lettera “D” nei suoi messaggi parietali, come segno di disprezzo verso l’Ordine. Leggiamo così “Il Paratiso Santo”, “Tio mio” e finanche il suo nome è scritto come ” Giuseppe Antrea Lobartini”. Lombardini voleva lasciare un messaggio a chi sarebbe giunto dopo di lui, intendeva rendere manifesta l’ingiustizia a cui veniva sottoposto.

Così, in ogni parete, egli scrisse il monogramma di San Bernardino IHS sormontato da una croce. Ad esso si accompagnavano i tre chiodi della Passione: era questa la raffigurazione canonica del simbolo presso i Gesuiti, ordine che in quegli anni subiva una feroce e ingiustificata persecuzione, fino alla soppressione del 1773. È evidente che Lombardini si immedesimasse in tale dolorosa vicenda; nella sua visione, una parte della Chiesa corrotta opprimeva i giusti. Alcune colombe, simbolo di pace, sono infatti incatenate all’albero della vita e, appena più in basso, un falconiere minaccia di liberare il suo rapace. Al monogramma IHS apposto sulla parete d’ingresso si opponeva in maniera speculare, come da tradizione massonica, quello rovesciato sulla volta del soffitto. Anche le cifre dell’anno di incarcerazione, 1759, venivano scritte all’incontrario e, così lette, si trasformavano nella scritta “ESCI”.

Il tempo della prigionia e della passione

Le raffigurazioni del sole e della luna esprimevano il principio e l’attesa della fine della prigionia. I simboli furono affiancati dalle scritte “ORA 720, 1759” e “ORA 1440, 1760”, a indicare con un computo orario il tempo che Lombardini trascorreva in cella, concetto a cui rimanda l’orologio solare iscritto in prossimità di una finestra. L’idea di un’ingiusta persecuzione era manifestata per mezzo di differenti motivi simbolici, e non è ardito pensare che egli si paragonasse a questo in Cristo: l’immagine di un gallo rimanda al tradimento, mentre quattordici croci raffigurano le stazioni della via Crucis. San Nicola è raffigurato nell’atto di liberare i tre ufficiali incarcerati iniquamente da Costantino.

Il significato esoterico e il Tempio massonico

Eppure, dicevamo, nel leggere le iscrizioni lasciate da Andrea Lombardini non bisogna fermarsi soltanto alle prime considerazioni, ma cercare di guardare oltre. Si scoprirà che il prigioniero di Narni aveva trasformato la sua cella in un vero e proprio tempio massonico, stante la simbologia. Nel segno mariano nascose la squadra e il compasso che s’intrecciano, mentre nel monogramma di San Bernardino s’intravede il Delta, ossia l’occhio scrutatore del Grande Architetto dell’Universo. Ad esso si riferisce probabilmente anche la sequenza palindroma 7244270 che Lombardini incise più volte sull’intonaco9. Il sole e la luna, nella simbologia massonica, sono invece associati alle colonne del Tempio di Salomone, Joachim e Boaz, in quanto figurazione di opposti principi: giorno e notte, caldo e freddo, secco e umido, vita e morte, bene e male.

In sostituzione della “D” il prigioniero utilizzò una “T” simile a una tau: segno che rimanda alla croce e sigillo che spetta al Maestro Venerabile della loggia. Ancora, è presente l’esoterismo massonico nella ricorrenza del numero sette, che si realizza attraverso l’unione del tre, ossia della dimensione divina, con i quattro elementi della materia. Così appare nella prigione che ospita gli ufficiali liberati da San Nicola e nei gradini della scala Santa di Giacobbe.

La condanna e la grazia

Grazie agli archivi della Congregazione per la Dottrina della Fede, è possibile ricostruire gli eventi che seguirono l’incarcerazione di Andrea Lombardini10. Si scopre così che, nonostante egli si dichiarasse innocente, il tribunale dell’Inquisizione lo condannò al pubblico ludibrio e all’esilio. I decreti del Santo Ufficio rivelano che la sentenza avvenne in data 30 gennaio 1760; il prigioniero fu quindi trasferito a Spoleto, dopo aver trascorso circa sessanta giorni a Narni. Infine, sappiamo che ottenne la grazia con decreto del 28 dicembre 176311. Tuttavia, Lombardini era stato ormai duramente provato dalla prigionia, dalla tortura, dai tormenti interiori e infine dall’esilio. Era forse divenuto un uomo differente da quello che, tre anni prima, aveva trasformato una spoglia cella carceraria in un misterioso ed esoterico tempio.

Samuele Corrente Naso

Ringraziamo l’Associazione Culturale Subterranea per la visita e la gentile concessione delle immagini.

Mappa dei luoghi

Note

  1. Gli altri ragazzi erano Marco Bartolini, Massimo Frezza, Mauro Mazzoli, Mauro Montini e Giovanni Nini. ↩︎
  2. C. Longo, Agli inizi dell’insediamento domenicano a Narni, in Atti del Convegno “La chiesa di S. Maria Maggiore e i Domenicani a Narni”, Narni 29/30 Settembre 2006. Il relatore riferisce dell’esistenza di un documento del 1304 attestante la donazione del complesso di Santa Maria Maggiore ai Dominicani, da parte di Benedetto XI, alla fine del XIII secolo. ↩︎
  3. Libro dell’Apocalisse 12. ↩︎
  4. Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, ex Santo Officio. ↩︎
  5. R. Nini, Alla ricerca della verità – Sulle tracce dell’Inquisizione per scoprire il mistero dei sotterranei di Narni, Arrone (Tr), 2009. ↩︎
  6. R. Nini, Il Sant’Uffizio di Narni, dagli Atti dei convegni dell’Accademia dei Lincei “A dieci anni dall’apertura dell’archivio della congregazione per la dottrina della fede: storia e archivi dell’Inquisizione”, Roma, 21-23 febbraio 2008. ↩︎
  7. R. Nini, Una missione da compiere – I sotterranei dell’Inquisizione a Narni, Arrone (Tr), 2002. ↩︎
  8. Si trattava del birro Pietro Milli, rinchiuso nel carcere di Spoleto per aver insultato il vicario di Piediluco. ↩︎
  9. A.G.D.G.A.D.U. è l’acronimo di “Alla Gloria Del Grande Architetto Dell’Universo”; le lettere corrispondono in frequenza alle cifre della sequenza numerica, resa palindroma. ↩︎
  10. Decreta S.Offici, 1548-1769. ↩︎
  11. Ibidem nota 6. ↩︎

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