Le navicelle nuragiche: gli antichi Sardi e l’arte della navigazione

in , aggiornato il

Oltre gli altopiani sinuosi e brulli, e le valli dipinte dai colori del mirto odoroso, oltre i templi, i villaggi e le torri di pietra della Sardegna nuragica, dove andare? Dove al di là delle candide spiagge sferzate dal vento di maestrale, delle rocce e delle scogliere di rosso granito, ora irte ora dolci come la culla del tempo? Verso l’orizzonte solcando il mare. Il mare calmo e d’infinito azzurro, quello ruggente e tenebroso, la bianca spuma che cavalca il crinale dell’onda al fragore dell’abbraccio con la terra. Un richiamo soave doveva giungere in Sardegna come in ogni altra isola del Mediterraneo, un invito a oltrepassare le vetuste sponde e a navigare oltre.

Verso il mare guardavano i Nuragici, verso rotte avventurose e commerci fiorenti. Ne abbiamo testimonianza nei ricchi centri emporici riscoperti in Sardegna negli ultimi decenni, nei reperti di culture lontane ivi giunti sin da tempi remoti, nei bronzetti di guerrieri sardi rinvenuti persino in tombe etrusche del continente, ma soprattutto nelle navicelle, gentili manufatti adibiti alle offerte votive che riproducevano vere imbarcazioni.

Vi è un elemento connaturato nell’essere umano, che gli appartiene nell’intimo, ossia il desiderio di oltrepassare i confini, di guardare cosa si cela al di là degli orizzonti. Quale miglior paradigma per spiegare i sentimenti di un popolo vissuto su un territorio che, seppur di grandi dimensioni, ne circoscriveva la cornice culturale entro poche miglia quadrate? Ma il mare può essere affrontato, cavalcato e superato, come la natura stessa dell’Isola dei Nuragici richiedeva in maniera imprescindibile.

Rotte e mercanti

Eppure in passato si è creduto che gli antichi Sardi si compiacessero del confinamento dettato dalla loro terra, rivolti piuttosto alle questioni interne tra differenti clan1. Oggi sappiamo che non fu così. Abbiamo evidenze che i Nuragici possedessero le conoscenze necessarie alla navigazione, come si deduce dall’osservazione delle navicelle bronzee, e che le sfruttassero per fini commerciali. Frammenti di ceramiche nuragiche, prodotte sin dal secolo XIII a.C., sono state rinvenute in Sicilia, a Creta, a Tirinto e a Cipro2. Inoltre, l’incremento dei traffici marittimi, attraverso l’interscambio culturale con altri popoli del Mediterraneo, fornì l’occasione ai Nuragici di affinare le proprie tecniche metallurgiche. Gli antichi Sardi avevano ora la possibilità di selezionare i materiali più idonei facendoli giungere da oltremare, come nel caso dei lingotti di rame oxhide (a pelle di bue), importati da Cipro per essere utilizzati nel locale artigianato fin dal Bronzo recente3.

Inoltre, essi acquisirono dai mercanti ciprioti la tecnica della fusione a “cera persa”, con la quale realizzarono l’ampio campionario di bronzetti a noi noto. La variegata produzione di manufatti, che sovente venivano esportati nel continente, dimostrava che la Sardegna fosse al centro delle più importanti tratte commerciali del Mediterraneo. Bronzetti, navicelle nuragiche e vasi di produzione sarda sono stati recuperati in tombe etrusche a Vulci e Vetulonia come in altri siti4.

I centri emporici della Sardegna nuragica

Sul finire dell’età del Bronzo le coste della Sardegna cominciarono a essere frequentate da mercanti levantini in cerca di materie prime, soprattutto metalli. Con il favore dele popolazioni locali essi prepararono il terreno per costituire sull’Isola, nei secoli successivi, degli approdi impiegati come centri emporici, ossia di commercio e smistamento delle risorse per le aree interne.

A Sant’Imbenia, poco a nord di Alghero e in un’area ricca di risorse minerarie, le attività di scambio sono pienamente attestate già nell’VIII secolo a.C., soprattutto a opera dei commercianti fenici. Qui si rinvengono manufatti in ceramica provenienti dall’Eubea e Pitecusa, mentre le tipiche anfore sarde, prodotte nei centri locali a partire dal IX secolo a.C., sono state riscoperte in gran numero nella Penisola Iberica e nei siti cartaginesi5. Altri centri, attivi nella medesima finestra temporale, sono stati individuati a Olbia e presso il sito archeologico di Othoca nel golfo di Oristano, dove sorgeva l’importante insediamento fenicio di Tharros6.

Le navicelle nuragiche

L’importanza della navigazione nella società nuragica, anche sul piano simbolico-identitario, è testimoniata dal rinvenimento di circa centocinquanta bronzi e un centinaio di manufatti in ceramica che rappresentano vere imbarcazioni7.

Tali “navicelle” permettono di avere un’idea di come fossero i trasporti marittimi di quel tempo, d’immaginare viaggi e rotte, di svelare alcuni dettagli della carpenteria marittima. Non si devono però considerare alla stregua di fedeli riproduzioni miniaturistiche, non era questo l’intento per cui furono realizzate! Si tratta piuttosto di figurazioni mitiche di un ambito culturale di appartenenza, il mare nella sua accezione di risorsa commerciale, ch’era espressione del potere economico e del prestigio di un’élite aristocratica8.

A ciò si connetteva anche la loro valenza religiosa e l’utilizzo a scopo votivo sebbene, a differenza di quanto accadeva per i tipici bronzetti figurativi, non venivano apposte soltanto nei santuari. Le navicelle nuragiche, infatti, erano impiegate nelle abitazioni e costituivano esse stesse dei piccoli luoghi deputati alle offerte. Non sappiamo con precisione a cosa servissero ma è possibile che fossero impiegate come lucerne votive a olio per mezzo dell’aggiunta di uno stoppino, tenuto da un ciottolo sul fondo della vasca.

Le navicelle nuragiche in bronzo

Le navicelle nuragiche in bronzo, per la natura della materia che le costituisce, sono più dettagliate, finemente lavorate, rispetto alle corrispettive in ceramica. Tali oggetti in metallo sono realizzati con tecniche raffinate. Il prodotto abbozzato con la cera persa subiva infatti dei procedimenti di rifinitura, in particolare di martellinatura, brasatura e saldatura. Si comprende, pertanto, come dovessero essere alti i costi di produzione, evidenza che conferma come le navicelle bronzee fossero appannaggio soltanto dei ceti sociali abbienti.

In esse si possono distinguere differenti forme dello scafo, a cui dovevano corrispondere imbarcazioni reali. Una raffigurazione dell’animale totemico e delle sue protomi era quasi sempre collocata a prua, mentre sull’albero o sulle murate si era soliti collocare degli uccelli. Le barche “cuoriformi”, prodotte sin dal Bronzo finale, sono forse la riproduzione di chiatte a remi, senza albero, e possiedono un lungo manico terminante con delle protomi di ariete. Navi “a fondo piatto” con sezione trapezoidale erano probabilmente da bordeggio o da cabotaggio, per la pesca o piccoli spostamenti di uomini. Le imbarcazioni da corsa s’identificavano dallo scafo stretto e allungato e dalla presenza dell’albero, che indicava l’utilizzo delle vele. Infine, quelle da carico venivano rappresentate con una vasca molto profonda9.

La vocazione marinara dei Nuragici

Le rappresentazioni zoomorfe collocate sulle navicelle nuragiche sono coerenti con l’iconografia e gli stili della bronzistica figurativa. Sulla prua venivano apposte riproduzioni stilizzate di animali domestici o selvatici. Caprini, bovini, ovini o cervini, sono da mettere in relazione con l’esistenza di una polena nelle imbarcazioni reali.

Tra gli altri elementi di decoro ritroviamo motivi puramente ornamentali, quali spirali e globi, e altri che appartengono al mondo della navigazione. Si citano a titolo d’esempio le rappresentazioni di alberi, murate, legature, sartie, polene e coffe. Le navicelle permettono così di comprendere la familiarità che i Nuragici avevano nei confronti della navigazione e la loro spiccata vocazione marinara. In tal senso, un dettaglio rivelatorio è la presenza, nei modelli bronzei, di uccelli sulla sommità dell’albero, talvolta sull’apparato di sospensione ad anello, o sui margini dello scafo. Sappiamo da numerose fonti storiche che gli antichi solevano portare seco, nelle imbarcazioni, dei volatili terrestri, in particolar modo colombe, sì da conoscere la vicinanza della terraferma. Soltanto degli esperti marinai potevano essere a conoscenza di tale usanza.

Samuele Corrente Naso

Mappa dei luoghi

Note

  1. G. Lilliu scriveva ne La civiltà dei sardi dal paleolitico all’età dei Nuraghi, 1988: “Le sue genti, come non riuscirono mai ad evadere egemonicamente dalla stretta dell’isola, espandendosi verso altre terre, limitarono più spesso il loro mondo e le loro conoscenze alla minuta cerchia geografica d’un altopiano di poche miglia quadrate”. ↩︎
  2. F. Campus, V. Leonelli, F. Lo Schiavo, La transizione culturale dall’età del bronzo all’età del ferro nella Sardegna nuragica in relazione con l’Italia tirrenica, 2010. ↩︎
  3. F. Lo Schiavo, La produzione metallurgica. Nel volume: A. Moravetti, P. Melis, L. Foddai, E. Alba, La Sardegna Nuragica. Storia e materiali, Corpora delle antichità della Sardegna, Carlo Delfino editore & C., 2014. ↩︎
  4. Ibidem nota 2. ↩︎
  5. M. Botto, Ripensando i contatti fra Sardegna e Penisola Iberica all’alba del I millennio a.C. Vecchie e nuove evidenze, in Onoba. Revista de Arqueología y Antigüedad, n. 3, 2015. ↩︎
  6. M. Gras, Sardegna e Mediterraneo. Nel volume: A. Moravetti, P. Melis, L. Foddai, E. Alba, La Sardegna Nuragica. Storia e materiali, Corpora delle antichità della Sardegna, Carlo Delfino editore & C., 2014. ↩︎
  7. A. Depalmas, Le navicelle di bronzo della Sardegna nuragica, Cagliari, 2005. ↩︎
  8. G. Salis, Navicelle nuragiche. Nel volume: A. Moravetti, P. Melis, L. Foddai, E. Alba, La Sardegna Nuragica. Storia e materiali, Corpora delle antichità della Sardegna, Carlo Delfino editore & C., 2014. ↩︎
  9. Ibidem nota 3. ↩︎

Autore

Avatar Samuele
error: Eh no!