La Sindone di Torino, tra scienza, storia e mistero

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Sin dal momento della sua comparsa, la reliquia della Sacra Sindone ha suscitato emozioni, moti d’animo, teorie e convinzioni straordinariamente variegate e contrastanti, e rappresenta tutt’oggi uno dei più grandi e irrisolti misteri dell’umanità. L’enigmatica immagine, impressa su un telo di lino conservato a Torino, possiede oggi un valore simbolico ineguagliabile che va oltre la mera materia. In definitiva, che cos’è la Sacra Sindone? È un oggetto autentico, icona della fede di milioni di persone sparse per il mondo, oppure è un falso? È un enigma scientifico o è un documento storico ancora da indagare fino in fondo?

Ritrovamento e descrizione della Sindone

La vicenda del ritrovamento della Sacra Sindone ha origine nell’anno 1356 a Lirey, cittadina della Francia del Nord, quando il cavaliere crociato Geoffroy de Charny si dichiarò in possesso di un prezioso telo di lino proveniente dall’Oriente. La Sindone venne in seguito donata alla confraternita del luogo, facendo così la sua improvvisa e sconvolgente comparsa nella storia.

I canonici di Lirey ricevettero un ampio pezzo di stoffa, lungo 4,36 metri e largo 1,10 metri circa. Sul tessuto, robusto e spesso 0,34 millimetri, a spina di pesce con rapporto trama-ordito di 1:3, si stagliava una confusa figura d’uomo, quasi che quella macchia indistinta potesse scomparire da un momento all’altro.

La Sacra Sindone e la passione di Cristo

I religiosi, che a stento potevano credere ai loro stessi occhi, videro l’immagine di un uomo deposto nel sepolcro. Si trattava forse della sindone nel quale Cristo era stato avvolto? Che dire di quella figura impressa sul telo, forse in maniera miracolosa? In effetti, la stoffa di lino appariva assai antica e l’immagine dell’uomo pareva su di essa proiettata come d’incanto, e mostrava i segni di una vera crocifissione. Certo, già all’epoca dovevano esservi degli scettici, e non mancò chi sostenne che si trattasse di un clamoroso falso, forse d’una riproduzione pittorica ben eseguita.

La Sacra Sindone e i segni di una crocifissione

Sulla Sindone emergono i tratti di una figura a grandezza naturale, con barba e capelli lunghi. La reliquia mostra sia l’immagine anteriore che posteriore di un corpo, e potrebbe essere assimilabile ad un telo sepolcrale. L’uomo sindonico è disteso con le gambe leggermente flesse, le braccia sono incrociate a livello del bacino e gli occhi dischiusi.

Nonostante l’immagine sia visibile a occhio nudo solo ad una certa distanza (uno-due metri), è possibile osservare alcuni particolari forse rivelatori. Tra questi, secondo i sostenitori dell’autenticità, vi sarebbero i rivoli di sangue sul capo, i quali paiono mimare le ferite dovute ad una corona di spine; alcuni lividi compatibili con colpi di flagello lungo il petto; le lesioni presenti sulla regione sopra-scapolare destra e sinistra, forse causate dal trasporto di un grande peso come fu il patibolo per Cristo; una ferita al costato, similmente a quella che, secondo i Vangeli, avrebbe inferto San Longino; i segni e le piaghe sui polsi; i piedi, che sarebbero stati trafitti come era d’uso nelle crocifissioni romane del I secolo.

L’uomo della Sindone è Gesù Cristo?

Tutti questi elementi suggeriscono che l’uomo della Sindone abbia effettivamente subito un terribile supplizio? In effetti, l’identikit del condannato sembra corrispondere a quello di Gesù Cristo.

Il Vangelo di Giovanni (Gv 19, 1 – 19, 42) narra, infatti, la vicenda della Passio Christi:

Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo […]. Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero […]. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua […]. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura […].

Ciò nondimeno va specificato che, nell’ipotesi che la Sindone sia un falso medioevale, sarebbe stato ancor più semplice per il falsario riprodurre ciò che era già scritto nei Vangeli. La rispondenza tra la Sindone e la vicenda di Cristo, pertanto, non è garanzia della sua autenticità. Circa la reale esistenza di un’immagine così enigmatica, ben altre sono le questioni che devono essere affrontate e dimostrate.

La Sacra Sindone come segno di fede e di contraddizione

La Sindone è un segno di contraddizione, essa incarna l’essenza di un mistero ultra millenario che ha diviso persino l’opinione degli stessi credenti. La Sacra Sindone ha il potere di rivelare il cuore degli uomini: qual è l’approccio di fronte alla fede? Credere in Dio, nell’aldilà, nella veridicità di un oggetto mistico è un processo di completa irrazionalità oppure ha bisogno di testimonianze tangibili e dimostrabili, di segni? Si tratta di un contrasto esistenziale che perdura sin dal suo ritrovamento, quando il vescovo di Troyes Pierre d’Arcis ne vietava l’ostensione, mettendone in dubbio la veridicità. E ancora, la Sindone è questione di fede in quanto oggetto materiale della vicenda del Cristo, o in quanto affidataria di un messaggio simbolico ed evangelico?

Indipendentemente dalla sua natura, nella storia dell’umanità non è mai esistito niente di paragonabile ad essa, niente che potesse rivelare così chiaramente la fede dell’uomo.

La Sacra Sindone è un falso o fu davvero il sudario di Cristo?

L’ampio dibattito sviluppatosi intorno alla Sindone verte sostanzialmente su due tesi contrapposte. Alcuni studiosi sostengono che la reliquia sia un falso, verosimilmente di epoca medioevale. Altri invece ne dichiarano l’autenticità. La questione è stata affrontata attraverso due distinti approcci: lo studio delle fonti storiografiche e una consapevole ricerca tecnico-scientifica.

Se la Sindone è un falso, essa è frutto dell’opera di un genio, ma parimenti si potrebbe dimostrare come e quando sia stata fatta. Nell’ipotesi che sia autentica, invece, si è cercato di ricostruirne il percorso storico e dimostrare l’impossibilità che sia stata realizzata da mano d’uomo. Segue, pertanto, un’approfondita disamina delle fonti storiche e delle argomentazioni scientifiche che hanno tentato di dipanare il mistero di questa incredibile vicenda.

Lo studio delle fonti: alla ricerca dell’origine della Sindone

La storiografia, nel corso del tempo, ha versato fiumi d’inchiostro nel tentativo di comprendere e ricostruire la complessa vicenda della Sindone. Non si è trattato di compito facile, bensì la molteplicità delle fonti, talvolta assai dubbie, ha reso il lavoro degli studiosi estremamente complesso.

La storia della Sindone può essere letta attraverso tre ipotetici momenti documentali: le fonti concernenti il ritrovamento; le attestazioni pervenuteci dalla fine del XIV secolo sino ad oggi; in ultimo, se la Sindone è un falso medioevale le fonti storiografiche si esauriscono qui, ma se essa è autentica occorre rinvenire le tracce di una sua esistenza prima di giungere a Lirey. Appare chiara, dunque, l’importanza di un’onesta e sincera ricerca documentale.

La data del ritrovamento della Sindone e le prime controversie

Negli anni che seguirono il suo ritrovamento, la Sacra Sindone suscitò già grandi dibattiti e perplessità. Esse divenne oggetto di grande venerazione in tutta la regione, richiamando a Lirey pellegrini dall’Europa intera. Ma, d’altra parte, il vescovo di Troyes, Pierre d’Arcis, ne vietò l’ostensione ritenendola un falso. Nell’ambito della controversia che ne seguì, i canonici di Lirey richiesero l’intervento dell’antipapa Clemente VII, all’epoca in Francia creduto il legittimo pontefice [1].

A quegli anni (1389-1390) risale, infatti, uno scambio epistolare tra lo stesso antipapa e il vescovo [2], fondamentale per le ricostruzioni storiografiche della reliquia. Pierre d’Arcis riferì in una missiva che la prima ostensione della Sindone fosse avvenuta esattamente 34 anni prima, e che l’indagine da lui condotta suggeriva che non potesse essere autentica giacché “se sul lenzuolo funebre di Cristo fosse stata visibile un’impronta, i Vangeli ne avrebbero parlato senza dubbio”. La lettera si soffermava inoltre sull’avarizia dei canonici di Lirey, e soprattutto attestava che un pittore dell’epoca avesse dichiarato di averla dipinta. Sarebbe stato quest’ultima confessione a causare il nascondimento della reliquia per i successivi anni.

La bolla di Clemente VII e il medaglione parigino

Ciò nondimeno, Pierre d’Arcis non fu in grado di fornire prove tangibili a sostegno delle sue affermazioni. Clemente VII, al secolo Roberto di Ginevra, rispose con quattro bolle datate 1390. Con esse permetteva l’ostensione della Sindone, a patto che essa fosse dichiarata espressamente come una pictura seu tabula, vale a dire un’opera pittorica frutto dell’ingegno dell’uomo. In buona sostanza, veniva negata l’autenticità e la dimensione sovrannaturale della reliquia [3]. 

Un reperto storico sembra effettivamente comprovare la storicità di quanto fin qui espresso. Si tratta di un medaglione di piombo trovato nella Senna nel 1855 (oggi conservato a Cluny). Esso contiene gli stemmi di Geoffroy de Charny, di sua moglie e l’immagine della Sindone. Considerando che Geoffroy morì nel 1356 durante la battaglia di Poitiers, la reliquia doveva essere stata esposta quand’egli era ancora in vita.

Critica storiografica

La missiva di Pierre d’Arcis a Clemente VII ha rappresentato, nei secoli scorsi, il più importante documento che gli scettici hanno citato a supporto della loro posizione. In particolare, lo storico Ulysse Chevalier (1841-1923) fu un acceso sostenitore della tesi che la reliquia fosse un falso. Egli, sebbene cattolico, aveva l’intenzione di liberare la società e la Chiesa da false credenze e congetture non dimostrabili. Ciò nondimeno, la lunga serie di documenti che egli produsse non riuscì fino in fondo a convincere la controparte. Tra questi, il salesiano Luigi Fossati mise in evidenza come la lettera di Pierre d’Arcis non fosse una fonte storica attendibile, in quanto era gravata dall’imparzialità di chi l’aveva sottoscritta.

Dal ritrovamento ai Savoia, il legame tra la Sindone e la città di Torino

La Sindone ricomparve nel 1418, quando il conte Humbert de La Roche ne fece menzione in una ricevuta rivolta ai canonici di Lirey. Egli aveva ottenuto in custodia la reliquia e gli arredi della chiesa, a causa di alcuni risvolti della guerra dei cent’anni. Lirey era considerata una zona poco sicura e ciò fu il pretesto affinché la Sindone non venisse mai più resa ai canonici, nemmeno quando i religiosi si rivolsero al tribunale ottenendo esito favorevole in giudizio (1443).

Tale vicenda ebbe un inaspettato colpo di scena nel 1453, allorché la vedova di Humbert, Marguerite, affidò la reliquia ad Anna di Lusignano, consorte del duca di Savoia, Ludovico. La decisione improvvisa le attirò addirittura la scomunica, ma Marguerite preferì morire fuori dalla grazia di Dio piuttosto che restituire il telo di lino alla chiesa di Lirey. Ai canonici non restò che l’estremo tentativo di appellarsi direttamente al duca di Savoia. Il nobile rispose con una missiva datata 6 febbraio 1464, in cui rifiutava la restituzione della Sindone e offriva in cambio di versare ogni anno un contributo pecuniario. La città di Chambéry ospitò così la reliquia.

La venerazione della Sindone e l’incendio del 1532

L’inizio della venerazione pubblica della Sindone risale al 1506, giacché Papa Giulio II, grande innovatore delle arti e fautore del Rinascimento romano, ne approvò una liturgia propria e un ufficio.

Appena ventotto anni più tardi, la Sacra Sindone rischiò di andare perduta per sempre a causa di un incendio: le fiamme divamparono il mattino tra il 3 e il 4 dicembre 1532, all’interno della Sainte-Chapelle del castello di Chambery, dov’era conservata. Il telo fortunatamente resistette, ma fu marchiato da una serie di bruciature simmetriche che decorrono ancora oggi per tutta la lunghezza, in parte dovute al colare dell’argento fuso del reliquiario che la conteneva. Le suore clarisse del luogo rattopparono le parti bruciate con della stoffa dell’epoca cercando di riparare il danno (1534). Inoltre, sistemarono la Sindone su un supporto più resistente, costituito di tela d’Olanda.

La Sacra Sindone era già stata danneggiata dal fuoco?

L’immagine sindonica è oggi indubbiamente caratterizzata dalle bruciature causate dall’incendio del 1532, dagli aloni lasciati dall’acqua utilizzata per soffocarlo, nonché dai rattoppi a cui fu sottoposta. Ci sono evidenti testimonianze, inoltre, che la Sindone fosse già venuta a contatto con il fuoco, forse a causa delle candele poste nelle sue immediate vicinanze. Se ne ha testimonianza attraverso alcuni aloni di bruciatura circolare a livello delle mani. Questi segni sono stati riprodotti su un dipinto del 1516, attribuito da taluni ad Albrecht Durer, che raffigura la reliquia. Se ne deduce che dovessero comparire sulla Sindone ben prima dell’incendio di Chambéry. 

Bruciature e rammendi hanno reso particolarmente difficoltose le analisi di natura scientifica, e in particolare le datazioni al carbonio-14 (vedi infra).

L’arrivo della Sindone a Torino

Il cardinale San Carlo Borromeo, nel 1578, aveva espresso il desiderio di vedere la Sindone. La tradizione, infatti, narra che egli avesse fatto voto di venerare la reliquia se Milano fosse stata liberata dalla peste. Tuttavia, al cessare dell’epidemia, l’alto prelato era stanco e affaticato. Fu così che il duca Emanuele Filiberto di Savoia ordinò che il telo di lino fosse trasportato a Torino affinché San Carlo Borromeo potesse sciogliere il suo voto. Da quel momento, la Sacra Sindone non lasciò mai più la città piemontese.

La reliquia fu inizialmente collocata nella chiesa di San Lorenzo, fu poi traslata presso il Duomo di San Giovanni Battista, e infine riposta nella cappella della Sacra Sindone di Guarino Guarini (1694). Contestualmente, il beato Sebastiano Valfrè eseguì un nuovo rattoppò della stoffa.

Ultimi anni

Nel 1983, con la morte di Umberto II di Savoia, la proprietà della Sindone passò direttamente alla Santa Sede per volontà testamentaria. Ciò nondimeno, papa Giovanni Paolo II decise che la reliquia dovesse restare a Torino. Appena cinque anni più tardi, fu finalmente possibile prelevare un frammento di stoffa per eseguire alcune analisi di tipo scientifico, e in particolare una stima della datazione, operata con il metodo del radiocarbonio-14.

Nel 1997 la Sindone rischiò nuovamente di andare perduta, giacché a prendere fuoco fu stavolta la cappella del Guarini. Provvidenzialmente, qualcuno aveva traslato l’immagine al centro del coro del Duomo in quanto la retrostante cappella era sottoposta a procedure di restauro.

Nel 2002 la Sindone è stata oggetto di un restauro conservativo con cui sono state rimosse le toppe inserite dalle suore di Chambery nel 1354.

Ipotesi circa la presunta esistenza della Sindone prima del suo ritrovamento

Se la Sacra Sindone fosse autentica dovrebbe essere possibile ricostruirne, anche per sommi tratti, il percorso storico antecedente alla sua comparsa in Francia. Sarebbe impensabile, infatti, che una reliquia di siffatta importanza possa comparire dal nulla, né ricevere menzioni per oltre tredici secoli dalla sua origine. Nell’ipotesi che essa sia effettivamente il sudario che avvolse Cristo durante la deposizione, deve essere stata, nel tempo, oggetto di enorme venerazione. Ci si aspetterebbe, pertanto, di rinvenire copiosi scritti su di essa.

In verità, tale circostanza non si è verificata, ma ciò potrebbe essere dovuto a molteplici motivi. Un’ipotesi, propugnata dai sostenitori dell’autenticità, è che possa trattarsi di una questione etimologica. In particolare, la parola con cui è appellata la reliquia potrebbe essere stata adottata solo contestualmente al ritrovamento medioevale. D’altro canto il termine “sindone” (dal greco sindon) veniva generalmente utilizzato per indicare un panno, un lenzuolo. Se la Sacra Sindone fosse autentica, è possibile che nell’antichità ci si riferisse ad essa con un altro nome? In sostanza, è nota dalle fonti storiografiche una qualche reliquia che potesse in realtà essere la Sindone?

Sull’iconografia di Cristo

La prima evidenza dell’esistenza della Sindone in un’epoca antecedente a quella medievale, sostenuta dai “sindonologi” [4], è quella relativa all’iconografia di Cristo. Questa, infatti, trasporrebbe dall’immagine del Buon Pastore adolescente dei primi secoli a una figura di uomo adulto e barbuto, talvolta persino nell’atto di uscire dal sepolcro (imago pietatis), che deriverebbe proprio dalla tradizione sindonica.

In particolare, quest’ultima espressione iconografica si sarebbe affermata durante il regno di Teodosio a Ravenna (379-395), sebbene alcuni edifici coevi e successivi presentino ancora un Cristo imberbe.

Lo sfida storica dei sostenitori dell’autenticità è rivolta all’identificazione di quella reliquia, conosciuta attraverso altro nome, e di cui si ha cognizione storica, che sarebbe stata in realtà la Sindone prima del suo ritrovamento di Lirey. Nonostante il salto logico appaia oggettivamente notevole, sono state proposte due icone “candidate”. Affinché un’icona possa essere “candidata” deve possedere almeno tre caratteristiche: la sua esistenza deve essere deducibile attraverso comprovate fonti storiche, deve essere compatibile con la Sindone in quanto a dimensioni e fattezze, dev’essere oggi scomparsa o perduta.

Il Velo della Veronica

La prima icona “candidata” è il cosiddetto Velo della Veronica, volto santo venerato a Roma almeno fino al 1608, quando se ne persero le tracce contestualmente alla costruzione della nuova Basilica di San Pietro. Si trattava di un panno che, secondo la tradizione, mostrava il vero volto di Cristo; lo stesso nome di Veronica, la donna che pulì con una stoffa il volto sanguinante di Cristo durante la salita al Calvario, nient’altro è che una contrazione latina dei termini vera icona. Una consistente parte della critica ritiene che il velo della Veronica, in realtà, né sia andato perduto e né si trovi a Torino: esso sarebbe stato invece traslato a Manoppello, dove è ancora venerata una reliquia molto simile chiamata il Volto Santo.

Il Mandylion di Edessa

Differenti vicende storiche attengono invece al cosiddetto Mandylion di Edessa. L’immagine di Cristo su un telo è storicamente attestata presso la città turca almeno dal 544 [5]. Tale reliquia era considerata acheropita e portatrice di molti miracoli. Le riproduzioni pittoriche del Mandylion, oggi perduto, rappresentano un panno con un volto barbuto. È possibile che proprio questa figura abbia contribuito alla diffusione dell’immagine del Cristo con la barba, secondo il modello bizantino del Cristo Pantocrator? Si è ipotizzato che il Mandylion fosse la Sindone ripiegata, sì da esporre all’interno di un reliquiario il solo volto.

Il Mandylion è menzionato durante il Concilio di Nicea II del 787 e persino negli scritti di Giovanni Damasceno [6], giacché si tentò di preservarlo dalla distruzione. Correvano, infatti, gli anni della feroce lotta iconoclasta.

Nel 944 il generale bizantino Giovanni Curcuas prelevò il Mandylion per trasportarlo a Costantinopoli. Ivi, durante la quarta crociata, se ne persero le tracce poiché la città subì un pesante assedio nel 1204.

La nascita della tradizione del Mandylion

Eusebio di Cesarea fu un grande storico, i cui scritti sono preziose testimonianze dei primi secoli del Cristianesimo. Tuttavia, egli incomincia la sua Storia Ecclesiastica riferendo di una lettera che Gesù avrebbe inviato al re di Edessa, Abgar (sovrano tra il 13 e il 50 d.C). Il Cristo in persona assicurava ad Abgar che gli avrebbe mandato un discepolo per guarirlo da una malattia che lo affliggeva. Eusebio di Cesarea (263-339 d.C) non menziona alcun Mandylion né volto sacro, ma il suo racconto potrebbe aver contribuito in maniera determinante alla nascita della tradizione dell’icona acheropita di Edessa. Infatti, è curioso come alcune fonti storiografiche sul Mandylion finiscano per citare la suddetta lettera di Gesù, traslando un qualche tipo di potere miracoloso dalla missiva all’icona sacra.

Tra queste, gli Atti di Taddeo, uno scritto del VI-VII secolo, il quale per primo attesta la presenza di una reliquia miracolosa a Edessa. Il testo narra che il re infermo Abgar avesse inviato un pittore per dipingere dal vivo il volto di Cristo. Il sovrano, infatti, sperava che il dipinto potesse guarirlo. Ciò nondimeno, il pittore non fu in grado e Gesù, impietositosi, gli donò un panno che portava impresso il suo volto.

Infine, Evagrio lo Scolastico [5] testimonia la presenza del Mandylion a Edessa durante l’assedio del 544. L’icona “di fattura divina, che le mani degli uomini non fabbricarono, ma Cristo nostro Dio inviò ad Abgar” protesse la città. Si tratta di un’altra evidente citazione della leggenda di Abgar riferita da Eusebio e contenuta negli Atti di Taddeo.

Il Mandylion è la Sacra Sindone?

Non si ha la certezza storica che il Mandylion sia andato perduto. Oltre alla già citata immagine di Manoppello, si è sostenuta la tesi che esso possa trovarsi a Genova (icona presso la chiesa di San Bartolomeo degli Armeni, ma è probabile che si tratti di una copia), a Roma in Vaticano (il Mandylion di Roma, che tuttavia è dipinta su tavola e non su tela) e infine che fosse proprio la Sindone. Quest’ultima è l’ipotesi preferita dagli studiosi che ritengono autentica la reliquia di Torino.

La tesi di Ian Wilson

Il primo a sostenere la tesi è stato il giornalista Ian Wilson nel 1978 [7]. Egli ha messo in evidenza i punti in comune tra le due reliquie e le rispettive tradizioni. In particolare, secondo Wilson, il Mandylion era la Sindone ripiegata in larghezza tre volte. In questo modo sarebbe stato possibile mostrarne il solo volto attraverso un apposito reliquiario. A sostegno della sua tesi, Wilson ha dichiarato di aver rilevato alcune piegature presenti sul telo di Torino per mezzo di fotografie a raggi X. Gli Atti di Taddeo narrano di un telo piegato quattro volte doppio (ῥάκος τετράδιπλον) e, in effetti,sovrapponendo la Sindone per tre volte in larghezza essa risulta ripiegata proprio in otto parti.

Ancora Wilson riporta le parole dell’arcidiacono Gregorio (944) secondo cui il Mandylion non sarebbe opera pittorica, ma soltanto “splendore, impressa delle gocce del sudore di Cristo” [8]. Per Gregorio tali erano “gocce di sangue sgorgate dal suo fianco”, lasciando intendere che l’immagine fosse ben più estesa del solo volto.

Chi si oppone alla tesi di Wilson sostiene che Gregorio si riferisse all’immagine di un vivo, cosa che sarebbe incompatibile con un telo mortuario.

Il racconto di Roberto di Clary

Nell’ipotesi che il Mandylion di Edessa fosse la Sindone, parte della critica ha tentato di ricostruire il percorso storico che l’avrebbe condotta a Lirey. Le fonti attestano che il Mandylion si trovasse a Costantinopoli almeno fino al 1204, quando gli assedianti della città lo prelevarono per portarlo via. A partire da tal data esso scomparve.

Un cronista dell’epoca, Roberto di Clary, si riferisce ad una reliquia perduta, forse proprio il Mandylion, non come un mero volto, ma come un telo sindonico: “C’era un altro dei monasteri che si chiamava Mia Signora Santa Maria di Blakerne, dove la Sindone, dove Nostro Signore fu avvolto, si trovava, che ciascun venerdì si drizzava tutta dritta, così che vi si poteva ben vedere la figura di Nostro Signore. E nessuno sa, né greco né francese, che cosa a questa sindone accadde quando la città fu presa” [9].

La Sacra Sindone e i Cavalieri Templari

Roberto di Clary racconta di una la straordinaria somiglianza tra il Mandylion e la Sacra Sindone (sebbene alcuni autori sostengano che si riferisse ad altra reliquia [10]), e ciò ha permesso di ipotizzare che i due fossero in realtà lo stesso telo. A tal proposito alcuni studiosi hanno suggerito che a trafugare il Mandylion-Sindone nel 1204 durante la quarta crociata, e a condurla a Lirey, sarebbero stati i Cavalieri Templari. L’Ordine del Tempio fu sciolto appena un secolo dopo a causa dell’adorazione di un idolo barbuto, il Bafometto, che rassomigliava proprio all’immagine della Sindone. In realtà, vi furono ben altre motivazioni storiche e politiche che condussero al tragico scioglimento dell’Ordine dei Templari.

Il manoscritto Pray di Budapest

Una presnuta prova dell’esistenza della Sindone, prima del suo ritrovamento a Lirey, è costituita da un manoscritto della Biblioteca Nazionale Széchényi di Budapest, il cosiddetto Codice Pray del 1192-1195 [11]. Il testo raffigura un’immagine della sepoltura di Cristo simile all’impronta della Sacra Sindone. La miniatura assomiglia alla reliquia di Torino nella postura del defunto, il quale ha le braccia incrociate a livello del pube e i pollici flessi non visibili. Il telo raffigurato nel codice di Budapest, inoltre, mimerebbe le bruciature circolari e persino il disegno a spina di pesce del tessuto sindonico.

Come di consueto, si suggerisce anche un’ipotesi alternativa: quello raffigurato potrebbe non essere affatto un telo, ma una stilizzazione della superficie di pietra di un sepolcro. Ai lettori lasciamo il compito di giudicare l’immagine e scegliere l’interpretazione che ritengono più giusta.

Le analisi scientifiche

Il dibattito sulla veridicità della Sacra Sindone, quale telo che avvolse il corpo del Cristo o falso medievale, non può prescindere da una seria analisi scientifica del reperto. Con l’evolversi della tecnica, il telo di lino è stato sottoposto a molteplici approfondimenti: dalla celebre analisi al radiocarbonio ai test medico-legali, sino ad una dettagliata disamina della stoffa e delle matrici organiche presenti su di essa. Ognuna di queste analisi è stata discussa dalla comunità scientifica, talvolta divenendo oggetto di un’aspra controversia tra i cosiddetti sindonologi, sostenitori dell’autenticità, e la più ampia parte della critica.

Vengono ora passati in rassegna i diversi approcci scientifici a cui la reliquia è stata sottoposta.

Perizie e analisi medico-legali

In primis sono state condotte numerose perizie medico-legali sulla Sindone per cercare di stabilire se si tratti di un’immagine compatibile con quella di un uomo, oppure soltanto di una rappresentazione. Si è cercato di comprendere se l’uomo della Sindone fosse realmente morto, in quanto il riscontro di elementi non compatibili con il rigor mortis comproverebbe l’ipotesi di un falso.

La tesi dei sindonologi

La tesi dei sindonologi può essere riassunta dagli studi di Pierluigi Baima Bollone [12], anatomopatologo presso l’Università di Torino. Bollone sostiene che l’immagine impressa sulla Sindone corrisponda a quella di un uomo appena deposto dalla croce, in stato di rigidità cadaverica. Egli rileva la lieve flessione del capo e delle ginocchia, la fissità del collo e dei muscoli facciali.

La perizia medico-legale di Garlaschelli

Tuttavia, che l’immagine impressa sulla Sindone corrisponda davvero a quella di un morto, è stato messo in dubbio da Garlaschelli, noto chimico dell’Università di Pavia [13]. La perizia medico-legale dell’esperto afferma che la disposizione del corpo lungo il telo di lino non sarebbe compatibile con uno stato di rigor mortis. I segni sul telo (ad esempio le mani sul pube) sarebbero, infatti, riferibili ad una posizione forzata degli arti, che in condizioni di vera morte tenderebbero invece a ritrarsi a livello dello stomaco.

Lo studio evidenzia come persino i segni della flagellazione, come fu per Cristo, apparirebbero alquanto irrealistici giacché le lacerazioni sono troppo simmetriche e regolari rispetto. Allo stesso modo, i rivoli di sangue in corrispondenza del capo, che la tradizione associa alle ferite dovute a una corona di spine. Essi, infatti, dovrebbero decorrere verso il basso e lungo i capelli secondo gravità, fenomeno che evidentemente nella Sindone non si verifica.

La tesi di Bernardo Hontanilla Calatayud

Una tesi similare è sostenuta dal professore Bernardo Hontanilla Calatayud dell’Università di Navarra. Egli, in una pubblicazione sulla rivista Scientia et Fides, ha tentato di dimostrate che la posizione semiflessa del collo, quella delle ginocchia e delle caviglie, non sarebbero compatibili con la rigidità cadaverica. Tuttavia, Hontanilla azzarda una tesi ulteriore e suggestiva: la Sacra Sindone sarebbe l’immagine di un vivo. Il professore è giunto a questa conclusione attraverso un’analisi dei tempi necessari per il rigor mortis, accelerati dalle percosse subite dall’uomo. L’immagine impressa sul telo di lino raffigurerebbe pertanto un individuo e, secondo Hontanilla, Cristo risorto mentre si alza dal sepolcro, al termine dei tre giorni.

La posizione dei chiodi

Anche la posizione delle ferite inferte dai chiodi potrebbe permettere di verificare l’autenticità della Sindone. Secondo la tradizione cristiana la crocifissione sarebbe avvenuta attraverso il palmo della mano. Tuttavia, è ampiamente condivisa l’opinione che un uomo così crocifisso non potrebbe rimanere a lungo nella sua posizione. I tessuti molli, infatti, tenderebbero a lacerarsi, facendolo cadere. Il medico francese Pierre Barbet ritiene più verosimile che i chiodi siano stati conficcati nel polso, in corrispondenza del cosiddetto spazio di Destot. In effetti, l’immagine della Sindone è compatibilmente priva dei pollici: l’inserimento dei chiodi lederebbe il nervo mediano di ciascuna mano, causando la flessione del pollice verso il palmo.

Il problema del volto

Il professor Garlaschelli fa notare che, se il telo sindonico fosse stato effettivamente posto sul viso di una persona reale, l’impronta ricavata sarebbe stata più larga. È il cosiddetto effetto della Maschera di Agamennone. L’uomo della Sindone, invece, mostra un viso troppo proporzionato, di cui è visibile solo la parte anteriore.

Garlaschelli suggerisce che questa mancanza sia dovuta all’utilizzo di un bassorilievo piuttosto che di un cadavere. Un falsario avrebbe potuto imbrattare il supporto con ocra rossa prima di apporvi il telo di lino.

L’obiezione dei sindonologi è che non si conosce l’esatto meccanismo di formazione dell’immagine. Un’ipotesi è che essa non si sia formata per contatto, come dice Garlaschelli, ma per irradiazione. Se così fosse, la porzione del viso impressa durante un processo di questo tipo sarebbe solo quella frontale, per questioni di proiezione prospettica.

Esame al radiocarbonio

Nel 1988 la Santa Sede ha autorizzato l’esecuzione di un’analisi al carbonio 14 sulla Sacra Sindone. L’esame mirava a identificare lo spettro delle frequenze isotopiche del carbonio per stimare una possibile datazione del reperto.

Un atomo di carbonio, infatti, è un elemento chimico con massa atomica pari a 12, tuttavia è presente anche in forma isotopica come carbonio 13 o carbonio 14. Quest’ultimo, in particolare, è radioattivo e ha un tempo di decadimento di 5570 anni, al termine del quale diviene azoto 14. Attraverso una stima dell’abbondanza relativa del carbonio 14 è possibile così risalire al periodo di formazione di un oggetto che presenta tessuto organico.

A questo scopo, Franco Testore, docente di tecnologia dei tessuti presso il Politecnico di Torino, e Giovanni Riggi di Numana, microanalista, hanno prelevato alcune strisce di tessuto di circa 10 mm x 70 mm. I campioni sono stati confrontati con altri nove reperti di controllo attribuibili ad una sepoltura nubiana del 1100 d.C, al mantello di San Luigi d’Angiò (datato tra XIII e XIV secolo) e ad una mummia egiziana del II secolo d.C. Gli esperti li hanno collocati all’interno di cilindri metallici non identificabili, al fine di rendere oggettiva e non falsificabile l’analisi. I campioni sono stati quindi testati con la tecnica della spettrometria di massa, attraverso un protocollo ben definito, presso: i laboratori di Radiodatazione dell’Università di Oxford; i dipartimenti di Geoscienze e Fisica dell’Università dell’Arizona; il dipartimento di Fisica del Politecnico di Zurigo.

Risultati dell’indagine

Nell’ottobre del 1988 il cardinale Ballestrero, accompagnato da una crescente attesa dell’opinione pubblica, ha annunciato gli esiti degli esami al radiocarbonio 14. I tre frammenti analizzati hanno restituito una stima ricompresa tra l’anno 1260 e il 1390, con un intervallo di confidenza statistico del 95% e un margine d’errore di 10 anni. I tre laboratori sono giunti alle stesse identiche conclusioni, pur lavorando indipendentemente: la Sindone sarebbe di origine medioevale. Inoltre, la datazione stimata è compatibile con la sua misteriosa comparsa a Lirey.

Critiche all’analisi al radiocarbonio

La principale obiezione sulla stima ottenuta è quella di una possibile contaminazione. Secondo questa teoria, il lino avrebbe acquisito una maggiore percentuale di isotopi durante i secoli di prolungata ostensione, nonché a causa dei fumi dell’incendio di Chambery. Inoltre, potrebbero aver avuto un ruolo determinante nella contaminazione anche il supporto di tela d’Olanda e le toppe, entrambe aggiunte dalle suore che l’avevano in custodia nel 1534. 

Secondo queste ipotesi, i laboratori avrebbero analizzato un frammento della Sindone tra i più contaminati, poiché prelevato in prossimità delle bruciature o dei rattoppi. A tal proposito, Dmitri Kouznetsov, direttore dei E.A. Sedov Biopolymer Research Laboratories di Mosca, avrebbe verificato sperimentalmente che un telo di lino di età compresa tra il 100 a.C e il 100 d.C, se sottoposto ai fumi di un incendio, possa essere datato al XI secolo attraverso la datazione al radiocarbonio.

Altre obiezioni

Un ricercatore di microbiologia dell’Università di San Antonio, in Texas, Garza Valdés, ha affermato di aver rilevato la presenza di Lichenotelia sui fili della Sindone. Si tratta di un complesso di microrganismi, sostanzialmente funghi e batteri, che potrebbero aver alterato le percentuali isotopiche del carbonio durante la spettrometria di massa. 

Nel 2000 i ricercatori in chimica Joseph Marino e Mervyn Benford [14] hanno ipotizzato che il campione sottoposto all’esame del carbonio 14 faccia parte di un lembo di tessuto sindonico non originale. La tesi, che tuttavia appare assai fantasiosa, si baserebbe su uno scambio di porzioni tissutali: Margherita d’Austria, duchessa consorte di Savoia, avrebbe donato un pezzetto della Sindone ad una chiesa da lei fondata. In seguito avrebbe fatto sostituire la parte mancante con dei fili di tessuto più recenti. Nondimeno, si cita tra tutti lo studio della dottoressa Flury-Lemberg [15], esperta di tessuti antichi. In occasione del restauro della Sindone eseguito nel 2002, l’esperta ne ha minuziosamente esaminato il telo senza rinvenire alcun rammendo sostitutivo.

Analisi sulla stoffa della Sacra Sindone

Differenti studiosi hanno condotto analisi comparative sulla tessitura della Sindone, soprattutto per verificare se la stoffa di cui è composta possa essere originaria del I secolo oppure del Medioevo. Il telo di lino presenta una tessitura rudimentale, detta spigatura o a spina di pesce, con rapporto ordito-trama 3:1 in diagonale. Questa tipologia di lavorazione è stata oggetto di studio e di approfondita ricerca.

La Sindone di Torino è stata comparata con lenzuoli mortuari di epoca giudaica. Tra questi, la cosiddetta Sindone di Akeldamà, datata al I secolo e rinvenuta dall’archeologo Shimon Gibson. Il sudario fu scoperto insieme ad un fazzoletto, che in epoca giudaica veniva posto sul volto del defunto per contenere il flusso sanguigno ed evitare l’evaporazione degli unguenti aromatici. Il rinvenimento di Akeldamà presenta notevoli differenze rispetto al telo sindonico. Si distingue, innanzitutto, per un rapporto tra ordito e trama di 1:1. Tale intreccio è certamente più compatibile con altri teli mortuari rinvenuti nell’area mediorientale, i quali presentano il medesimo rapporto 1:1, o talvolta 2:2, e filatura ad S [16].

La Sacra Sindone sembra più simile a tessuti di epoca medioevale, risalenti proprio al XIV secolo e che hanno spigatura a spina di pesce con rapporto ordito-trama 3:1. Uno di questi teli è custodito al Victoria and Albert Museum di Londra [17]. 

Di contro, le argomentazioni dei sindonologi, riguardo l’origine del telo sindonico al I secolo, sono piuttosto labili e prive di un reale riscontro scientifico. Tali tesi sono state analizzate a fondo e confutate, tra gli altri, da Gian Carlo Rinaldi, cui rimandiamo [18].

La misteriosa esistenza delle monete romane

Nel 1931, in occasione del matrimonio tra il principe Umberto II di Savoia e la principessa Maria José, la Sacra Sindone fu esposta al pubblico. Il fotografo Giuseppe Enrie fu quindi autorizzato a realizzare una serie di fotografie. Le immagini, in bianco e nero, sono state nel tempo analizzate e scansionate in vece dell’originale telo di lino.

Uno studio condotto tramite l’osservazione di tali fotografie è quello del professor Francis Filas, docente presso la Loyola University of Chicago [19]. Nel 1979 egli ha annunciato di aver osservato sull’occhio destro dell’uomo sindonico una moneta. Nei suoi scritti, Filas assicura di essere stato in grado di riconoscere quel conio. Esso risalirebbe all’epoca di Ponzio Pilato e a un arco temporale compreso tra il 29 e il 32 d.C. Il docente sostiene di aver riconosciuto il bastone lituus, effige dell’imperatore Tiberio, e le lettere UCAI.

Sulla scia di questa affermazione si inseriscono gli studi di Baima Bollone e Nello Balossino. I due studiosi hanno cercato di comprovare la veridicità della scoperta di Filas, inoltre hanno dichiarato di aver osservato la presenza di un’altra moneta romana, coeva alla precedente, anche sul sopracciglio sinistro dell’uomo sidnonico. Questa moneta conterrebbe un simpulum.

Filas ha in seguito affermato di aver rinvenuto due monete di Pilato compatibili con quella presente sull’occhio destro della Sindone, e che presenterebbe persino gli stessi errori ortografici.

Quali monete?

In questa sede non si vuole approfondire l’enorme caos mediatico generato dall’annuncio di Filas. Ciò nondimeno, è necessario soffermarsi ed analizzare alcune questioni che suggeriscono quanto gli studi di Filas e di Bollone siano scientificamente poco robusti. In primis, le presunte monete sarebbero state identificate entrambe su una singola fotografia in bianco e nero del 1931, e non sull’originale sindonico. Quest’ultimo, in ogni caso, ha una risoluzione troppo limitata – circa mezzo centimetro – affinché possano essere identificati degli elementi di appena pochi millimetri, come un lituus o delle lettere [20]. E se ciò non è possibile sull’originale, figurarsi sulle riproduzioni.

Per quanto attiene le monete rinvenute da Filas, in verità, non vi è concordanza di pareri nemmeno tra i sindonologi. Alcuni di loro, infatti, hanno affermato che la corrispondenza con la presunta moneta sulla Sindone sia in senso destrorso, altri in senso sinistrorso. Ciò sarebbe dovuto a presunte erronee sostituzioni di lettere. La dicitura sulle monete coniate sotto l’imperatore Tiberio era di Tiberiou Kaisaros, stringa di lettere in cui non compare la C intravista da Filas [21]. I sindonologi hanno pertanto ipotizzato, di volta in volta, svariati errori di conio, senza mai trovare un effettivo punto di convergenza.

In ogni caso, nelle fotografie più recenti della Sindone e persino nelle scansioni tridimensionali, non v’è traccia di moneta alcuna, come persino lo stesso Bollone ha dovuto ammettere in seguito [22]. Si è trattato solo di un fenomeno di pareidolia?

Pollini e vegetali

Il criminologo di Zurigo Max Frei Sulzer ha condotto nel 1973 una controversa analisi sulle polveri e i pollini, in quanto oggetto di repertazione sulla Sindone. L’analisi, condotta tramite microscopia elettronica, avrebbe permesso di identificare 60 differenti specie di pollini, di cui 21 originarie della Palestina e 1 di Costantinopoli [11]. L’autore dello studio conclude che tale distribuzione palinologica sia compatibile con la storia della Sindone, o quantomeno con quella presunta tale. 

La bontà dell’analisi di Max Frei Sulzer è stata messa in dubbio, in quanto non avrebbe tenuto conto delle contaminazioni occorse durante i secoli [23]. Inoltre, appare inverosimile poter identificare un numero così elevato di specie vegetali in quanto, attraverso lo studio dei pollini, è già piuttosto difficile riconoscerne il genere.

Sulla possibilità di tracce ematiche

Come si è formata l’immagine della Sacra Sindone? È questa una domanda fondamentale per comprendere il mistero della sua autenticità. Se la Sindone fosse l’immagine di un morto, allora si dovrebbero rinvenire le tracce ematiche che hanno imbrattato il telo durante la deposizione. In aggiunta, vi sarebbero troppi elementi indiziali per non affermare che si tratti effettivamente di Cristo. Ciò nondimeno, se essa fosse un falso, tale opera sarebbe chiaramente ispirata dalla medesima vicenda del Messia crocifisso. Un falsario potrebbe aver utilizzato di un manichino, o persino un modello umano ancora vivo. In entrambi i casi, può comunque essere stato utilizzato del sangue, le cui tracce si dovrebbero in ogni caso rinvenire.

Differente valore probante sarebbe invece dimostrare che di sangue sulla Sindone proprio non ce n’è. In quest’ultimo caso, si avrebbe la certezza che si tratti di un falso. I numerosi test condotti sul telo sindonico hanno rinvenuto del ferro, ma nessuno studioso è ancora stato in grado di dimostrare se tale elemento sia il risultato di un processo di degradazione dell’emoglobina ematica oppure derivi da qualche tipo di colorante, come l’ocra rossa. Inoltre, le macchie che formano l’immagine sindonica sono di due tipologie: quelle più scure parrebbero rivoli di sangue, ma le macchie più chiare non si sa come si siano formate, e corrispondono alla quasi totalità dell’immagine.

Infine, non si può scartare, per mero scetticismo, un processo di formazione dell’immagine che sfugge alla nostra comprensione, o che la scienza debba ancora appurare. V’è sempre la possibilità, per fede, che la Sindone sia davvero il risultato di un miracolo di risurrezione.

Gli esami ematici sulla Sindone

Non si possono affrontare dettagliatamente, in questa sede, i numerosissimi esami compiuti sulla Sacra Sindone per rilevare la presenza di tracce ematiche. Si riporta un rapido resoconto delle principali.

I primi studi

I primi a ricercare la presenza di tracce ematiche sulla Sindone sono stati il docente di anatomia Guido Filogamo e il suo collaboratore Alberto Zina (1969). Gli esami da loro condotti non rilevano la presenza né di globuli rossi né di altri elementi corpuscolati del sangue [24]. Gli scienziati hanno invece riferito di aver trovato residui di sostanze coloranti. Alle stesse conclusioni è giunto il professor Frache che nel 1973 ha analizzato alcuni filamenti di tessuto sindonico presso il laboratorio di analisi forensi di Modena. I risultati dell’esame parimenti non hanno individuato tracce ematiche ma residui di coloranti [25].

Il test di Walter McCrone

Walter McCrone, all’epoca microscopista consulente dello STURP (Shroud of Turin Research Project, 1980), ha affermeto di aver rilevato la presenza di tracce di ossido di ferro sulla Sindone. Lo studioso ha attribuito il rinvenimento del minerale al processo di degradazione dell’ocra rossa, un pigmento di origine vegetale [26]. Tuttavia, lo STURP non concorda con le conclusioni di McCrone, in quanto sostiene che non sarebbe stata adottata una corretta metodologia d’analisi. I ricercatori affermano che i campioni prelevati dalla Sindone, analizzati tramite microscopia a luce polarizzata, fossero contaminati da un nastro adesivo utilizzato per il trasporto, e non siano stati mai purificati.

La replica dello STURP

I medesimi campioni di McCrone sono stati quindi analizzati dai chimici John Heller e Alan David Adler dello STURP. Contrariamente a quanto affermato dal loro collega, essi sostengono che la presenza di ferro sia dovuta alla degradazione di tracce ematiche. Se così non fosse, secondo gli studiosi, si sarebbero dovuti rinvenire anche altri elementi presenti nell’ocra rossa, come alluminio, zolfo, potassio, calcio, etc.

Heller e Adler, inoltre, affermano che sul telo sindonico vi siano residui di emoglobina, albumina e bilirumina [27]. Essi sono giunti a tale conclusione in quanto le macchie della Sindone scompaiono se sottoposte a enzimi proteolitici. Tuttavia, gli studiosi hanno anche rilevato la presenza di piccole tracce di coloranti, come il cinabro. La maggiore critica allo studio di Heller e Adler è la scarsa specificità del test eseguito, che secondo Garlaschelli restituirebbe un esito positivo anche per un vegetale.

Esami di immunoistochimica

Anche Baima Bollone, Maria Jorio e Anna Lucia Massaro hanno rinvenuto tracce di ferro sulla Sindone, in una ricerca del 1982. Lo studio, di tipo immunologico, è giunto alla conclusione che le macchie della Sindone siano compatibili con sangue umano di gruppo AB [28]. Anche in questo caso i limiti dell’analisi potrebbero essere rappresentati dalla specificità, sebbene Bollone abbia garantito che il test sia tarato per l’individuazione di una specifica tipologia di emoglobina, la metemoglobina acida. 

Altra critica allo studio di Bollone è quella di Vittorio Pesce Delfino, docente di antropologia all’Università di Bari. Il professore ha ribadito che il ferro rinvenuto sulla Sindone non necessariamente derivi dall’emoglobina (1982), ma potrebbe essere sempre riferibile all’ocra rossa [29].

Giulia Moscardi e la microscopia Raman

Una dottoranda in Chimica presso il Dipartimento di Chimica dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, Giulia Moscardi, ha affermato di aver individuato la presenza di ossidi di ferro non cristallini (2008) attraverso la tecnica della microscopia Raman. Anche in questo caso potrebbe trattarsi di prodotti derivanti dalla degradazione del sangue come di pigmenti impiegati in pittura. [30]. L’autrice dello studio propende per la prima ipotesi, adducendo a contaminazioni i pigmenti non emoglobinici.

Un test di Bloodstain Pattern Analysis

Nel 2018 Matteo Borrini dell’università di Liverpool e Luigi Garlaschelli del Comitato per il Controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze (Cicap), hanno replicato con tecniche forensi di Bloodstain Pattern Analysis la distribuzione delle tracce ematiche sulla Sindone. Lo studio ha suggerito che esse non siano compatibili con la posa di un corpo reale, sia eretto che disteso [31].

La tesi di Simone Scotto di Carlo

L’ingegner Simone Scotto di Carlo, attraverso un’attenta analisi sulle presunte tracce ematiche della reliquia, rileva che esse potrebbero essere, in realtà, residui di un composto chimico con le stesse caratteristiche del sangue; un acido sarebbe stato invece utilizzato per riprodurre le macchie più superficiali [32]. Lo studioso conclude che la reliquia sia un falso medioevale, realizzato da un’equipe di eccezionali falsari dalle molteplici competenze.

Conclusioni e ipotesi

Il dibattito sulla Sacra Sindone, nel corso dei secoli, si è radicato su posizioni sempre più assolutistiche. Ai sindonologi, fautori di un’aprioristica autenticità, si oppongono i difensori del metodo scientifico, della non oggettivabilità dello stesso. Non basta, infatti, proporre uno studio, condotto in parvenza sotto i dettami della tecnica e della scienza; è necessario anche che tale analisi possa essere replicata, e che conduca sempre ai medesimi risultati. La scienza non è una persuasione, non è soggezione. Se si afferma la presenza dell’impronta di una moneta romana su un telo di lino antico, bisogna rendere le condizioni di dimostrabilità affinché tutti, per tramite dei medesimi strumenti, siano in grado di rilevarla.

La criticità, in fondo, non è se la Sindone sia una questione di fede o di scienza, ma che fede e scienza vengano mescolate in siffatto brutale modo. Non che esse siano incompatibili, beninteso! Ma che si debba credere alla scienza per fede o viceversa, questo appare quantomeno singolare. Ma non si creda che ciò valga solo per taluni sindonologi, l’altra faccia della medaglia è lo scientismo: la cieca convinzione che la scienza sia assoluta e infallibile verità, che pare anch’essa una forma d’approccio fideistico. In realtà la scienza funziona finché non è falsificabile e falsificata. Lo sa bene il tacchino induttivista di Russell e Popper come essa sia perfetta soltanto fino alla vigilia di Natale!

Un dibattito destinato a durare a lungo

Ecco in estrema sintesi le tormentate vicende sui dibattiti sindonici. Non esistono prove scientifiche, né tanto meno storiche a ben vedere, abbastanza robuste da mettere la parola fine alle discussioni sulla sua autenticità. Qualcuno obietterà che il quadro indiziario possa far propendere verso uno dei due opposti poli, ma ciò sarà vero fino alla prossima analisi, fino alla prossima ricerca storica, chissà.

La Sacra Sindone, in fondo, non è autentica, e non è nemmeno falsa. O meglio, è autentica nella misura in cui essa debba essere creduta autentica; è falsa fino a prova contraria. Il suo valore trascende l’importanza del contesto, come accade per i simboli.

La Sindone è un simbolo di umanità, in quanto supera il mero valore dell’oggetto. Essa è uno specchio: ogni uomo può proiettarvi e scoprire ciò in cui davvero crede, può vedervi se stesso e il suo modo di approcciarsi al mondo. La Sindone è quella pagina di bianco infinito che lo scrittore fissa silenzioso, prima di chiedersi cosa voglia narrare della vita. 

Samuele Corrente Naso e Daniela Campus

Note – 1

[1] Erano gli anni dello scisma d’Occidente, che la Chiesa visse in seguito alla fine della cattività avignonese. 

[2] Si evince dagli scambi epistolari tra l’antipapa Clemente VII e il vescovo di Troyes, Pierre d’Arcis che la Sindone fosse stata collocata a Lirey da Geoffroy de Charny intorno al 1356. 

[3] Bolla dell’antipapa Clemente VII all’indirizzo dell’archivio di Stato: https:// archiviodistatotorino. beniculturali.it/ SalaStudio/ dettaglio_inventari.php?id =457510 

[4] Sostenitori dell’autenticità.

[5] Evagrio lo Scolastico, Storia Ecclesiastica; Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica.

[6] É riportato in uno scritto del teologo Giovanni Damasceno: “Si narra che Gesù prese un panno e pressandolo sul suo volto, lasciò la sua immagine sul telo”.

[7] Ian Wilson, Holy Faces, Secret places, 1991; The Shroud of Turin, 1979.

[8] Sermone di Gregorio Referendario, all’arrivo della reliquia a Costantinopoli.

[9] Roberto di Clary, citato in Luigi Garlaschelli, Processo alla Sindone.

[10] Thomas Madden, Donald Queller (1997). The forth crusade: the conquest of Constantinople. University of Pennsylvania Press, Second Edition.

[11] Sindone, un’immagine impossibile, Emanuela Marinelli, 1998, Edizioni San Paolo.

[12] P. Baima Bollone: Sindon, giugno 2000.

[13] Luigi Garlaschelli, Micromega, 4/2010. 

[14] Joseph G. Marino, M. Sue Benford (2008). Discrepancies in the radiocarbon dafing area of the Turin shroud. Chemistry Today 26(4). 

[15] Mechthild Flury-Lemberg, The Invisible Mending of the Shroud, the Theory and the Reality.

Note – 2

[16] Antonio Lombatti, La Sindone e il giudaismo al tempo di Gesù. 

[17] Donald King, and Santina Leve,The Victoria & Albert Museum’s Textile Collection: Embroidery in Britain from 1200 to 1750 (1993).

[18] http://sindone.weebly.com / uploads/ 1/2/2/0/ 1220953/2018 _rinaldi_le_fonti_ di_emanuela _marinelli _per_il_tessuto _della_sindone.pdf

[19] https://www.sindone.org / pls/ diocesitorino/ v3_s2ew  _consultazione.mostra  _paginawap?id  _pagina= 24099

[20] Gian Marco Rinaldi (2018). Le fonti di Emanuela Marinelli per il tessuto della Sindone; Luigi Gonella, fisico del Politecnico di Torino e consulente scientifico del cardinale Ballestrero, citato in Mariano Tomatis, “Sindone di Torino”CICAP.

[21] https://www.cicap.org/n/ articolo.php?id=273767

[22] P. Baima Bollone: Sindon, giugno 2000, p. 133, citato in Gian Marco Rinaldi, “La farsa delle monetine sugli occhi”.

[23]  Bernard Ruffin, The Shroud of Turin: the most up-to-date analysis of all the facts regarding the Church’s controversial relic, Our Sunday Visitor Publishing, 1999; Paul Craddock, Scientific investigation of copies, fakes and forgeries, Butterworth-Heinemann, 2009.

[24] Filogamo, G., Zina, A. (1976). Esami microscopici sulla tela sindonica. Supplemento rivista diocesano torinese: 1-53.

[25] G. Frache, E. Mari Rizzati, E. Mari (1976). Relazione conclusiva sulle indagini d’ordine ematologico praticate su materiale prelevato dalla Sindone, suppl. Rivista diocesana Torinese.

Note – 3

[26] McCrone, Walter C. (1987). Microscopical study of the Turin Shroud. Wiener Berichte über Naturwissenschaft in der Kunst.

[27] John H. Heller e Alan D. Adler. (1980). Blood on the Shroud of Turin. Applied Optics, vol. 19, n. 16, pp. 2742-2744.

[28] Bollone, P.B., Jorio, M., Massaro, A.L. (1981) La dimostrazione della presenza di tracce di sangue umano sulla Sindone. Sindon, vol. 5, n. 30.

[29] Delfino, V.G. (1987). E l’uomo creò la Sindone. Feltrinelli.

[30] Moscardi, G. (2008). Analysis by Raman Microscopy of Powder Samples Drawn from the Turin Shroud, poster presentato alla Ohio Shroud Conference, Columbus, Ohio.

[31] Borrini, M., Gargaschelli, L. (2018). A BPA Approach to the Shroud of Turin, in 66th Annual Scientific Meeting of the American Academy of Forensic Sciences, February 17‐22, 2014, Journal of Forensic Sciences, Seattle, 10 luglio 2018. 

[32] Simone Scotto di Carlo (2021). Se questo è un falso. La Sindone come falso medioevale.

[a] http://biblicalcoins. wordpress.com e https://www.cicap.org/ n/articolo. php?id =273767# prettyPhoto

[b] By Jordi – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons. wikimedia.org/ w/index.php? curid=61221288

Autore

Samuele

Samuele è il fondatore di Indagini e Misteri, blog di antropologia, storia e arte. È laureato in biologia forense e lavora per il Ministero della Cultura. Per diletto studia cose insolite e vetuste, come incerti simbolismi o enigmatici riti apotropaici. Insegue il mistero attraverso l’avventura ma quello, inspiegabilmente, è sempre un passo più in là.

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