L’Uomo-leone, la statuetta più antica del Mondo

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La grotta di Hohlenstein-Stadel, in Germania, era già stata interessata da differenti scavi archeologici sin dal XIX secolo. L’importanza del sito era dunque ben nota, ma quando Robert Wetzel e Otto Völzing avviarono una nuova campagna tra il 1937 e il 1939, non potevano immaginare ciò che avrebbero trovato. Il 25 di agosto del 1939, infatti, iniziarono a riemergere dalla terra circa duecento frammenti in avorio di mammuth. Ciò nondimeno, il momento storico era dei più turbolenti: appena una settimana dopo prendeva avvio la Seconda Guerra Mondiale, gli scavi a Hohlenstein-Stadel venivano interrotti e i pezzi rinvenuti consegnati al Museo di Ulm, andando quasi dimenticati1. Trascorsero, infatti, trent’anni prima che Joachim Hahn, nel 1969, pensò di ricomporre quei frammenti d’avorio. E con gran meraviglia, ecco che essi combaciavano tra loro, s’incastravano e ricongiungevano fino a riplasmare una piccola statuetta, che fu chiamata l’Uomo-leone2.

Oggi si è consapevoli che l’eccezionalità della scoperta di Hohlenstein-Stadel non dipenda soltanto dalle curiose fattezze del reperto, ma soprattutto dalle sue origini antichissime. La scultura, infatti, possiede almeno trentacinquemila anni di età ed è la più antica mai rinvenuta4. È interessante chiedersi, pertanto, cosa possa aver spinto i nostri antenati alla creazione di un oggetto così misterioso. Non si tratta di una domanda banale invero, essa concerne il senso stesso dell’esistenza, ed è necessario incominciare dalle origini della nostra umanità per dipanare le profonde ragioni che condussero a rappresentare un essere metà uomo e metà leone.

Cosa differenzia l’essere umano dagli altri esseri viventi?

Cosa differenzia l’essere umano dagli altri esseri viventi? È questa la domanda di natura essenziale che da sempre anima gli studi di filosofi e antropologi. È innegabile che la specie Homo sapiens, le cui origini risalgono a 300.000 anni fa, sia contraddistinta da una morfologia e una biologia non dissimile da quella di altri esemplari del regno animale. In accordo con il modello evoluzionistico di Darwin, il genere Homo discende, infatti, dalle scimmie antropomorfe. Lo storico Noah Harari coniò a tal proposito l’iconica espressione:

Appena sei milioni di anni fa, un’unica scimmia femmina ebbe due figlie. Una fu la progenitrice di tutti gli scimpanzé, l’altra la nostra nonna”.

Noah Harari, Sapiens. Da animali a dei: breve storia dell’umanità, 2014

Zoe e Bios

Tuttavia, sebbene ciò sia evidente nei tratti istintivi che ci contraddistinguono, nessuno di noi potrebbe affermare di essere meramente un animale. Gli antichi filosofi greci definivano con il termine zoe il semplice fatto di vivere, lo stato comune a tutti gli esseri viventi. Ma la capacità di pensiero e la razionalità ci pongono su di un piano differente, di metacognizione: è possibile interrogarsi sul pensiero stesso5. È evidente come questa caratteristica sia propria dell’essere umano, ma non degli animali; questi ultimi, al contrario, si realizzano pienamente nell’azione istintiva che stanno compiendo.

Un’altra differenza è che gli animali sono contraddistinti da una perfetta correlazione, biologicamente determinata, con l’habitat in cui vivono, si pensi all’orso polare al Polo Nord. L’essere umano, al contrario, non ha un habitat naturale, ma si è dovuto adattare in maniera peculiare a contesti diversi. E poiché fino a 40.000 anni fa era totalmente immerso nella sola dimensione zoe, si trovava in una situazione di forte svantaggio evolutivo6.

L’uomo, infatti, non possiede né ali, né pelliccia, né artigli, né altro che avrebbe potuto sottrarlo alla naturale catena alimentare. Tuttavia, la specie umana riuscì a colonizzare ogni angolo del mondo, differenziandosi in una molteplicità di gruppi antropologicamente diversificati. Il termine greco bios definisce al meglio tali differenti modi di vivere, è la forma che esprime la vita propria di un singolo o di un gruppo. Bios, nelle sue manifestazioni culturali, ha consentito di elevare l’uomo oltre lo stato di natura e permetterne la sopravvivenza.

Il concetto di cultura

La cultura è intesa, pertanto, come una seconda natura. Gran parte delle cose che facciamo, e che riteniamo essere naturali, sono invece derivanti da un processo di inculturazione che recepiamo inconsapevolmente nel corso della vita. Si pensi al modo di mangiare, di dormire, al pianto… Un abitante della Guinea Equatoriale e uno degli Stati Uniti, ad esempio, avranno usi e comportamenti differenti, dettati dal contesto culturale in cui vivono: il senso del gusto e del disgusto alimentare, dei canoni estetici e così via. È a tal proposito che Geertz definisce la cultura come quellarete di significati che gli individui hanno creato e continuano a ricreare, restandone così invischiati7.

In altri termini, la cultura, e le sue particolari rappresentazioni, costituiscono lo strumento di risposta evolutiva attraverso il quale l’essere umano ha cercato di porre rimedio alla sua imperfezione, alla mancanza biologica originaria. La vita bios è proprio ciò che ci differenzia dagli animali.

La cultura come conoscenza simbolica

In definitiva, l’uomo è un animale culturale in quanto attribuisce un significato a ciò che fa. Attraverso questa significazione della vita, egli supera il timore di adattamento all’ambiente, alla vita, al mondo. La paura più profonda dell’essere umano non è, infatti, quella della morte, ma è legata piuttosto al vivere nella sola dimensione zoe. Per l’uomo primitivo, nel periodo del Paleolitico, ciò corrispondeva a dover fronteggiare i pericoli della natura, di un habitat ostile e inospitale. Per tale ragione, la natura è sovrascritta attraverso un sistema di particolari segni codificati e riconoscibili. In quest’ottica, assume importanza fondamentale la concezione del simbolo, nella sua accezione culturale e di appartenenza a una specie, un gruppo, un’etnia. La cultura è simbolica.

L’essere umano adotta sistemi di simboli per mantenersi nel mondo, per “comprendere l’esperienza e imporre un ordine all’universo, che assumerebbe altrimenti l’aspetto di una enorme confusione”8. La conoscenza simbolica permette di superare il senso di smarrimento e impotenza che si avverte di fronte alla natura, oggi come quarantamila anni fa.

L’Uomo-Leone di Hohlenstein

La prima manifestazione simbolica dell’essere umano è proprio quella statuetta di soli 30 centimetri, realizzata in avorio ricavato da zanne di mammut, e rinvenuta nella grotta di Hohlenstein-Stadel. L’Uomo-Leone fu scolpito da un abile cacciatore-raccoglitore, e il suo significato è ancora misterioso.

Analisi e ipotesi sull’Uomo-leone di Hohlenstein-Stadel

L’Uomo-Leone ha una testa leonina, quantunque senza criniera, con gli arti superiori tipicamente animaleschi, mentre la metà inferiore raffigura tratti umani.

L’antropologa Elisabeth Schmid ritiene si tratti di una figura femminile10. È possibile, quindi, intravedere una connessione con il matriarcato delle società primitive. In primo luogo, l’ombelico della statuetta sembra recare i segni del parto. Si nota, infatti, la presenza di una piega orizzontale lungo la parte inferiore dell’addome. Schmid sostiene che la statuetta avesse inizialmente i seni, che sarebbero poi andati perduti.

Tuttavia, questa non è l’unica ipotesi sul manufatto. È stato suggerito, ad esempio, che la statuetta dell’Uomo-Leone raffiguri uno sciamano11.

Significazione dell’Uomo-Leone

Le prime rappresentazioni religiose, di carattere sostanzialmente totemico12, al pari di quelle odierne sono già incentrate su complessi sistemi di simboli. D’altronde, l’etimologia del termine simbolo rivela il perché: esso deriva dal greco συμβάλλω (symbàllo) e ha il significato di “mettere insieme” due distinte parti. Non a caso, il termine antitetico di simbolo è diavolo, il quale è “colui che divide”,  dal greco Διάβολος (diabàllo). Il simbolo, quindi, è ciò che rende l’appartenenza a un gruppo, che definisce una credenza religiosa comune. E pertanto, in quanto sapere condiviso, permette di esprimere concezioni complesse, di portare alla coscienza quelle dinamiche profonde dell’essere che altrimenti rimarrebbero celate, represse.

La statuetta dell’Uomo-Leone si connota, difatti, di un forte significato simbolico. La rappresentazione di una figura metà uomo e metà animale indicava, nella comunità di uomini che la realizzarono, la volontà di superare la paura atavica verso la natura. Essa possedeva un valore apotropaico in quanto il tentativo di umanizzare il leone, di inquadrare i pericoli dell’ambiente in un sistema codificato di segni, aiutava l’uomo primitivo ad accettare la sua incompiutezza biologica.

La statuetta dell’Uomo-Leone rappresenta la realizzazione dell’essere umano in quanto tale, definisce un primo momento in cui esso si differenzia simbolicamente dagli animali. In definitiva, l’Uomo-Leone segna la nascita dell’umanità come oggi la conosciamo.

Samuele Corrente Naso

Note

  1. C. Kind, Das Lonetal – eine altsteinzeitliche Fundlandschaft von WeltrangArchäologie in Deutschland, WBG, 2016. ↩︎
  2. J. A. Lobell, New life for the Lion ManArchaeology, 2012. Link al documento. ↩︎
  3. By Dagmar Hollmann – Own work, CC BY-SA 3.0, link all’immagine. ↩︎
  4. Ibidem nota 1. ↩︎
  5. E. Kant, Antropologia pragmatica, 1798. ↩︎
  6. A. Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, 1940; Helmuth Plessner, I gradi dell’organico, 1928. ↩︎
  7. C. Geertz, Interpretazione di culture, 1973. ↩︎
  8. Ibidem. ↩︎
  9. Fronte: Dagmar Hollmann – Own work, CC BY-SA 3.0, link all’immagine; retro: Thilo Parg – Own work, CC BY-SA 3.0, link all’immagine. ↩︎
  10. M. Schulz, Puzzle im Schutt, Der Spiegel, Hamburg, 2011. ↩︎
  11. N. J. Conard, Palaeolithic ivory sculptures from southwestern Germany and the origins of figurative art, Nature, 2003. ↩︎
  12. J. Frazer, Il ramo d’oro 1890. ↩︎

Autore

Samuele

Samuele è il fondatore di Indagini e Misteri, blog di antropologia, storia e arte. È laureato in biologia forense e lavora per il Ministero della Cultura. Per diletto studia cose insolite e vetuste, come incerti simbolismi o enigmatici riti apotropaici. Insegue il mistero attraverso l’avventura ma quello, inspiegabilmente, è sempre un passo più in là.

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