La Pieve di Gropina e il pulpito longobardo

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Spoglia la pieve di San Pietro a Gropina, nel Valdarno Superiore, come un albero scosso dal vento d’una mattina in inverno. Nulla si mostra, nulla si compiace, se non la pietra che da secoli regna possente, ivi dentro. Non vi sono pitture, né colori, solo una penombra soffusa che, mite, pervade ogni spazio, di spirituale essenza riempe ogni prospettiva. La pieve romanica non possiede rosone che s’apre sull’austera facciata in arenaria, ma solo due sparute monofore e una piccola bifora; un oculo fu aggiunto nel secolo XVI.

Pieve di Gropina
La pieve di San Pietro a Gropina

E l’abside maestosa, che s’innalza su un doppio loggiato con archi, colonnine e capitelli, ospita soltanto piccoli fori e, presso l’ordine superiore, tre monofore. Sembra quasi che la luce debba da sé scavare i solchi nella pietra. Ma al lento sorgere del sole si rivela, intuita appena, la presenza mistica dell’alabastro, pietra simbolica che diffonde la luce di Cristo. L’abside della Pieve di Gropina è orientata verso Est, sì da cogliere i primi albori del mattino. Si dirada l’oscurità, fuggono le ombre. I raggi del sole beati s’insinuano tra le strette fessurazioni: sono il segno escatologico della vita oltre la morte, del trionfo di Cristo sulle tenebre.

Pieve di Gropina


Gli interni della chiesa si disvelano: la pianta basilicale e gli archi a tutto sesto sul limitare tra le navate; due file di colonne robuste, in numero di otto, e quattro pilastri quadrati, sì da rimembrare tutti insieme il numero della totalità cristiana. Dodici, d’altronde, sono gli apostoli che reggono la chiesa di Cristo, dodici le tribù d’Israele, e le stelle della Vergine nel cielo [1]. La copertura a capriate inaspettatamente s’interrompe presso le ultime campate laterali, lasciando il posto a eleganti volte a crociera.

Pieve di Gropina

I capitelli della Pieve di Gropina

Arcani silenzi periscono agli echi di passi, lenti, lungo le navate. Le due file di colonne si osservano imperscrutabili dai capitelli scolpiti. E timoroso lo sguardo si volge a quelle forme antiche, che maestranze lombarde e francesi [2] scolpirono con ostentato virtuosismo. Ecco che figure di orsi, d’aquile e di leoni emergono dall’ombra, figlie del sentire religioso che fu proprio del Medioevo. Bibbie di pietra scolpite sui capitelli: racconti iconografici per gli uomini di quel tempo, poco avvezzi alla lettura, sospesi tra salvezza e dannazione eterna, bene e male, grazia e peccato. La conoscenza è concepita in funzione di simboli, di metafore dell’umana condizione che trascendono le meccaniche di questa terra.

La simbologia dei capitelli

Le creature del bestiario medievale rimandano a significati complessi, spesso ambivalenti, che si rintracciano in testi vetusti e affascinanti, come il ben noto Physiologus [3]. Non importa quanto siano attinenti alla realtà: l’esistenza di quegli animali è posta su un piano altro, che attiene alla coscienza più che al mondo sovrasensibile, sono essi i demoni interiori dell’uomo, talvolta presi in prestito dal paganesimo, o le trasfigurazioni delle virtù cristiane. L’orso è dunque immagine dell’avidità, ma anche del risveglio dopo la morte apparente del letargo. L’aquila, che afferra un’inconsapevole preda, è un monito ai peccatori, giacché coglie all’improvviso l’eterno riposo; e allo stesso tempo è figura di Cristo che conduce in cielo le anime meritevoli. Il leone è simbolo della superbia, che costringe gli uomini alla triste lotta, e così due fiere scolpite si affrontano con vigore, azzannandosi con le possenti fauci.

I tralci di vite sono segno eucaristico e i cavalieri i difensori della fede [4], ma uno di essi è trasportato suo malgrado dal cavallo, ha forse mollato le redini della rettitudine? Ancora, il lupo che divora l’agnello e la scrofa che allatta i suoi piccoli sono immagini dei vizi. Poco più in là, un volto di diavolo fa capolino tra le foglie d’acanto e un Cristo benedicente è accompagnato dai santi Pietro e Paolo. V’è poi il capitello scolpito con le donne che allattano il drago, simbolo del demonio e, in generale, della lussuria [5]. È questo un motivo figurativo che trova analogie nell’opera di Niccolò presso il Portale dello Zodiaco della Sacra micaelica in Val di Susa, e tradisce influssi della Linguadoca [6]. Sullo stesso gruppo scultoreo un uomo si tiene la barba: ormai giunto nell’età della saggezza, non si lascia trascinare nelle dinamiche del peccato.

La Pieve di Gropina tra romanico e longobardo

Tutto, nella Pieve di Gropina, pare inscritto in un’imperturbabile quiete, fissato in un ordine statuario, immutabile dinanzi allo scorrere del tempo. Eppure la luce rivelatrice, dietro l’armonia apparente, coglie imperfezioni, asimmetrie, errori di progettazione. È il caso delle colonne che, tra la fila di destra e quella di sinistra, non si fronteggiano a perfezione. Sghemba è la facciata, e il portale principale, con la bifora, non sono in asse rispetto al tetto. È questo il frutto di un forzato adattamento strutturale giacché la chiesa, posta sulla cima d’una fertile collina, sorse su edifici preesistenti, vani misteriosi nascosti nell’ombra.

Si udirono d’improvviso, sotto il piano di calpestio, quegli echi rumorosi, rimbombi di un passato lontano e ormai dimenticato, che prepotente si ridestava dall’oblio del tempo. Alla fine degli anni Sessanta si scoprì che l’attuale Pieve di San Pietro non fosse primigenia del luogo, e altresì che un pezzo di storia fosse ancora lì sepolto. Qualche sospetto, d’altronde, doveva pur esserci già, poiché un Diploma di Carlo Magno del 780, conservato presso l’Archivio abbaziale di Nonantola [7], attestava che la Pieve di Gropina fosse stata affidata al monastero modenese, ma l’attuale edificio romanico di San Pietro sorse soltanto a partire dal XII secolo.

Gli edifici preesistenti

Gli scavi archeologici, effettuati tra il 1968 e il 1972 permisero di rintracciare la precedente chiesa, con due navate absidate separate da colonne, sorta non prima della rinascenza liutprandea (712-744). Ecco il riemergere di tombe, plutei e croci di stile longobardo, e così l’evidenza che la navata di destra fu un’aggiunta del secolo XI [2]. Tutto finalmente era stata svelato? Nemmeno in sogno, poiché accanto all’edificio longobardo giaceva un’altra chiesa, all’epoca degli scavi ignota, composta da un’unica aula con abside, di sicura epoca paleocristiana (VI secolo?). E ancora: il ritrovamento della base di un’anfora romana suggeriva che qui dovesse anticamente sorgere una domus romana…

I costruttori della Pieve romanica di Gropina, pertanto, dovettero fare i conti con la secolare stratificazione del luogo, il sorgere del nuovo si modellò sulla base del vecchio. Di certo, la precedente chiesa longobarda rimase integra e in funzione per decenni mentre, tutt’intorno, si andavano innalzando le architetture di San Pietro.

Ciò da ragione delle imperfezioni e delle asimmetrie della Pieve, e tuttavia rende assai difficile collocare nel tempo le fasi costruttorie. È evidente che l’edificio si possa attribuire al XII-XIII secolo, ma alcune sue parti tradiscono differenti momenti lavorativi. Fu forse innalzata come di consueto prima l’abside [6] oppure, in via del tutto eccezionale la facciata con la navata principale [8]? Ancor più enigmatico è il caso del pulpito, unicum per architettura e componenti stilistiche, in bilico tra arte longobarda e romanica. I lavori di costruzione della Pieve comunque non si protrassero oltre il 1233, terminus ante quem apposto su un una pietra esterna del campanile, attestandone il compimento.

Il pulpito longobardo e le colonne annodate

Addossato alla quarta colonna di destra, il pulpito della Pieve trasmette un’inquietudine sottile. È la sensazione che coglie di fronte al vago, l’incerto. Il manufatto sembra provenire da una dimensione altra, allotria, in quanto non ne conosciamo altri simili. Alcuni studiosi hanno attribuito il pulpito a uno stile pre-romanico, ma nell’ottica di un’evoluzione artistica in situ si dovrebbe piuttosto parlare di tardo-longobardo. Così si esprimeva in merito Mario Bucci [9]:

“Quando il romanico grezzo è sulla strada longobarda, è longobardo; è un pre-romanico di fonte longobarda”

Il pulpito della Pieve di Gropina

L’ambone, infatti, proviene dalla preesistente chiesa di Gropina, dalla quale fu smontato e riassemblato nell’attuale sede, forse perché ritenuto di particolare importanza artistica. Troviamo conferma di questo procedimento nei supporti posteriori, costituiti da blocchi di reimpiego, sui quali si rintracciano malandati bassorilievi con spirali, fiori della vita e figure animalesche.

Fiori della vita e spirali

Il basamento del pulpito e le colonne ofitiche della Pieve di Gropina

Nella parte anteriore, invece, il basamento del pulpito è costituito da due colonne tra loro annodate, sormontate da un capitello insolito, che ospita dodici figuri con le braccia rivolte al cielo. Un alto abaco contiene dei motivi geometrici ripetuti, forse la stilizzazione di lingue di fuoco. È questa la chiave che ci permette di comprendere la rappresentazione figurativa del basamento: i dodici apostoli, scolpiti presso il capitello, ricevono la Pentecoste in atteggiamento orante.

Pieve di Gropina

Essi poggiano su due colonne annodate, figurazione del mistero della Trinità [4]; lo Spirito Santo è il nodo che unisce nell’amore Dio padre e Cristo suo figlio. La colonna ofitica è un motivo simbolico ricorrente nell’arte romanica, ma il pulpito di Gropina, come visto, è precedente; potrebbe trattarsi, pertanto, dell’utilizzo più antico, che di essa conosciamo. Ancora due colonne annodate furono collocate in seguito presso l’abside, di stile pisano-lucchese [10], tra gli archi a sesto rialzato della loggia esterna.

I simboli del tetramorfo

“Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo […]”.

Atti degli Apostoli 2,3

Il brano della Pentecoste, narrato negli Atti degli Apostoli, è opera dell’evangelista Luca. E difatti ritroviamo sull’abaco, tra le lingue di fuoco, la sola rappresentazione del bue, mentre il resto del tetramorfo è collocato nella porzione superiore, introdotta da una fascia decorativa con rami e foglie di quercia. I simboli degli altri evangelisti, il leone marciano, l’angelo di Matteo e l’aquila di Giovanni, disposti in colonna reggono il leggio.

Pieve di Gropina
I simboli del Tetramorfo

Tale gruppo scultoreo riveste particolare interesse non solo per l’aspetto figurativo: sul cartiglio posto tra le mani dell’angelo è stata individuata una scritta, che potrebbe permettere di datare il pulpito. L’epigrafe, purtroppo, è incompleta, ma si riporta qui la ricostruzione di Carlo Fabbri [11], che vi vede lo stile scrittorio in uso presso l’abbazia di Nonantola:

[…]q[…] [presbit]erv(m) Bernard(vm)[…] m(ise)r(i)chord(em) a(nno) D(ominice) i(ncarnationis) DC[CC]XXV I.R.f(ecit).

C. Fabbri, Il pulpito della pieve di Gropina, in Le balze. Una storia lunga centomila anni nella valle dell’Arno, Firenze, Editoriale Tosca, 1996.

Si scopre, così, che il manufatto potrebbe essere stato commissionato dall’abate Bernardo nell’825.

Il corpo del pulpito

Il corpo del pulpito, circolare, è completato da cinque specchiature a bassorilievo. Esse furono rimontate in epoca romanica, non necessariamente nell’ordine originale, ma la rappresentazione simbolica d’insieme si è comunque preservata. Il tema iconografico attiene alla salvezza dell’anima, e in senso escatologico vanno interpretate le raffigurazioni dei peccati e delle tentazioni, che l’ascolto della Parola di Dio permette di allontanare.

Personificazione della lussuria è la sirena bicaudata di uno dei pannelli: la sua natura maligna è espressa attraverso l’immagine di un peccatore divorato da serpenti. Al male si contrappone l’opera salvifica del Cristo, nel pannello adiacente rappresentato nelle vesti dell’Agnus Dei e del grifone, che fanno capolino tra le sei grandi ali di un serafino [12]. Il grifone, creatura mitica che nell’iconografia possiede il capo di un leone e il corpo di un’aquila, rappresenta la doppia natura del figlio di Dio [5], terrestre e celeste, umana e divina.

Non mancano poi i motivi decorativi legati alla creazione: fiori, spirali e una raffigurazione di Cristo come sol invictus. Egli è colui che illumina la Pieve al ridestarsi del mattino, che dirada l’oscurità del peccato e della morte. Dal sole si dipartono quattro raggi in direzione dei punti cardinali: la Parola di Dio, che da questo pulpito veniva proclamata, reca la salvezza in tutti gli angoli della Terra.

Samuele Corrente Naso

Note

[1] Libro dell’Apocalisse 12

[2] G. Tigler, Precisazioni sull’architettura e la scultura del medioevo, in Arte a Figline. Dal Maestro della Maddalena a Masaccio, 2010.

[3] Anonimo, Physiologus, scritto ad Alessandria d’Egitto tra il II e il III secolo.

[4] V. Moretti, Il pulpito longobardo e i capitelli romanici della pieve di Gropina, Cortona, Calosci, 2004

[5] C. Fabbri e L. Fornasari, La pieve di Gropina. Arte e storia, Fiesole, Servizio Editoriale Fiesolano, 2005.

[6] F. Gandolfo, San Pietro a Gropina, in W. Angelelli, F. Gandolfo, F. Pomarici, La scultura delle pievi. Capitelli medievali in Casentino e Valdarno, Roma, Viella, 2003

[7] Archivio abbaziale di Nonantola, Chartae Latinae Antiquores 29, n. 883

[8] M. Salmi, La pieve di Gropina, in Rivista d’Arte, XXIX, 1955

[9] M. Bucci, Introduzione alla pittura e alla scultura in diocesi di Fiesole, in AA.VV., Fiesole. Una diocesi nella storia: saggi, contributi, immagini, Fiesole, Servizio Editoriale Fiesolano, 1986

[10] M. Salmi, Civiltà artistica della terra aretina, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1971.

[11] C. Fabbri, Il pulpito della pieve di Gropina, in Le balze. Una storia lunga centomila anni nella valle dell’Arno, Firenze, Editoriale Tosca, 1996.

[12] Isaia 6,2-3:”Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali: con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo: Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria”.

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