Noto, la città splendente e la città sepolta

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 Tutti dovettero avere una grande superbia, un grande orgoglio, un alto senso si sé, di sé come individui e di sé come comunità, se subito dopo il terremoto vollero e seppero ricostruire miracolosamente quelle città, con quelle topografie, con quelle architetture barocche: scenografiche, ardite, abbaglianti concretizzazioni di sogni, realizzazioni di fantastiche utopie.» 

Vincenzo Consolo, saggista.

Cenni storici

L’antico insediamento di Neasio Neeton potrebbe risalire all’Età del bronzo, come peraltro si può evincere dai numerosi ritrovamenti archeologici rinvenuti presso l’altura della Mendola, nella Sicilia sud-orientale. Successivamente, il famoso condottiero netino, Ducezio, spostò il centro urbano in una nuova sede, sebbene tale evento sia oggetto di ampio dibattito storiografico. Noto fu dunque collocata sul monte Alveria, una posizione maggiormente difendibile dagli invasori greci. 

Non vi sono invece dubbi sul fatto che Noto divenne una colonia della greca Siracusa, durante la prima metà del terzo secolo avanti Cristo. È a questo periodo che risalgono i reperti archeologici netini, ascrivibili ad un’arte propriamente ellenica, come i templi, le necropoli e il ginnasio.

Soltanto nel 214 a. C. la città siciliana divenne formalmente alleata dei Romani, che la ribattezzarono col nome latino di Neetum. Tale alleanza conferì a Noto un’importanza crescente, tanto da ottenere un proprio senato e potersi fregiare della dicitura SPQN (Senatus PopolosQue Netinum). Nonostante ciò, le testimonianze archeologiche del periodo tardo-romano sono ad oggi assai scarse. 

Noto antica

Le più concrete testimonianze di Noto antica, risalgono soltanto al IX secolo, allorché la città fu conquistata dagli invasori arabi (864 d.C.). Questi ultimi tennero in altissima considerazione la città siciliana, tanto da chiamarla con l’odierno nome. Il termine “Noto”, infatti, aveva lo stesso significato che gli attribuiamo oggi, ovvero la famosa, l’illustre Noto. I Netini vissero due secoli di dominazione araba, in cui la loro città venne dichiarata capovalle ed estremamente fortificata. Soltanto nel 1091, con l’avanzare dei Normanni in Sicilia per mano di Ruggero d’Altavilla, Noto fu costretta a trattare la resa.

Al periodo della dominazione normanna si deve la costruzione di numerosi edifici di architettura religiosa, il cui scopo era principalmente quello di rivitalizzare la fede cristiana dopo i secoli “arabi” . Esempio concreto è il monastero cistercense di Santa Maria dell’Arco.

Il due aprile del 1282, Noto, insieme a buona parte della Sicilia, si ribellò alla dominazione angioina, partecipando ai famosi vespri siciliani. E’ in questi anni che la città passò sotto il dominio degli Aragonesi. La nuova dinastia riuscì a mantenerne il controllo, nonostante l’imperversare di una sanguinosa guerra civile contro i partigiani angioini di Roberto d’Artois.

Da Federico II al XVII secolo

Il quattordicesimo secolo vide i Netini ricevere illustri visite: quella di Federico II del 1335 e del re Ludovico nel 1353. Anche il nobile Corrado Confalonieri di Piacenza raggiungerà Noto in quegli anni. Diverrà il santo patrono dei Netini.

Il 1400 fu per Noto un secolo di forte prosperità. Nel 1503 la città fu insignita del titolo di civitas ingeniosa e continuò la sua ascesa culturale e demografica. Tuttavia, nel 1522 venne colpita da una grave pestilenza che pose un freno alla crescita vertiginosa.

Il XVII secolo fu, al contrario, un periodo di lieve decadenza. Noto conservò intatto l’enorme patrimonio artistico accumulato in secoli di gloria. Tuttavia, la città continuò a crescere dal punto di vista militare, tanto da ospitare una nutrita forza di spedizione durante la guerra franco spagnola.  

Il terremoto e la ricostruzione di Noto

La città, mai conquistata con la forza,  si dovette arrendere, tuttavia, l’11 gennaio del 1693 a uno spaventoso terremoto, che la rase praticamente al suolo. Circa 1000 persone persero la vita sotto le macerie. La situazione apparve da subito così irrecuperabile che il Duca Giuseppe Lanza di Camastra decise di ricostruire Noto da cima a fondo in un’altra sede. Le macerie dell’abitato sul monte Alveria vennero così completamente abbandonate.

Ben presto fu organizzato un grandioso progetto di costruzione urbanistica da attuare circa dieci chilometri più a valle. Vi parteciparono le più grandi personalità dell’epoca. I migliori capimastri, scultori, pittori e architetti vennero arruolati per l’epica impresa e il risultato fu sorprendente! La nuova Noto, che possiamo ammirare tutt’oggi, appare come un gioiello barocco di incommensurabile valore… una città splendente!

Noto, Città Splendente

L’odierna Noto nacque, dunque, in seguito al 1693. E sorse così meravigliosa e spettacolare che viene oggi considerata patrimonio dell’Unesco e capitale europea del Barocco! Per la sua costruzione, gli estrosi architetti Rosario Gagliardi, Vincenzo Sinatra e Paolo Labisi utilizzarono uno splendente tufo giallo, di estrazione locale. Il risultato fu un’armonia urbanistica di primissimo livello, dove ogni palazzo, chiesa, campanile segue il medesimo stile sfarzoso senza mai discostarsene minimamente.

Il barocco di Noto

Il barocco netino, appariscente come da tradizione, assume però valenze architettoniche più ardite: facciate concave e convesse e cupole spettacolari fanno da cornice ad un insieme quasi accecante di fregi e ornamenti.

Meno appariscente, quasi candida, è la cura decorativa degli interni, fatte dovute eccezioni.

Il corso Vittorio Emanuele

Il corso Vittorio Emanuele è il cuore pulsante della Noto barocca, dove si accumulano e si distribuiscono la maggior parte delle opere architettoniche di rilievo. Vi si accede, simbolicamente, dalla Porta Reale a est: un vero e proprio arco di trionfo, edificato in stile neoclassico per celebrare la venuta del Re Federico II Borbone nel 1838. La Porta sorregge tre sculture: un cane, un pellicano e una torre, a rappresentare rispettivamente i valori della fedeltà, del sacrificio e della potenza militare.

Proseguendo lungo il corso Vittorio Emanuele ci si imbatte nelle innumerevoli chiese, ognuna spettacolare!

Si giunge così sino alla Piazza del Municipio, dove sorge il Palazzo Ducezio, oggi sede del Comune di Noto. L’edificio, dal bellissimo portico, presenta due livelli. Il progetto del piano inferiore risale al 1746, mentre il piano superiore è della prima metà del novecento. Il Palazzo Ducezio al suo interno ospita la famosa “Sala degli Specchi”: si tratta di un ampio vano arredato con lo stile del XV secolo francese, abbellito con numerosi e giganti specchi e riccamente decorato.

Proprio di fronte a Palazzo Ducezio, in cima ad un’alta scalinata, si staglia la Cattedrale di San Nicolò, forse il monumento simbolo della Noto barocca.

La Cattedrale di San Nicolò

Terminata la grandiosa costruzione nel 1703, la Cattedrale di San Nicolò, oggi basilica minore, fu rimaneggiata in seguito più volte. La cupola, in particolare, fu ricostruita ben due volte: in seguito ai terremoti del XIX secolo e dopo un rovinoso crollo nel 1996. Un difetto di costruzione latente, infatti, aggravato dall’aggiunta di una copertura latero-cementizia sulla navata centrale, fece collassare uno dei pilastri di supporto della cupola. La navata destra, quella centrale, nonché la cupola stessa crollarono al suolo. L’intera ricostruzione fu eseguita magistralmente, riprendendo le antiche tecniche settecentesche.

Palazzo Nicolaci di Noto

Lateralmente alla Piazza del Municipio, sulla sinistra del Duomo, si inerpica via Nicolaci. Qui, ogni anno, la terza domenica di maggio, ha sede un evento principe della tradizione netina: la famosa “Infiorata”.

Salendo lungo via Nicolaci, sulla sinistra è situato l’omonimo Palazzo, residenza di una delle più importanti famiglie nobiliari di Noto, al quale si può accedere tramite un grande portale delimitato da semicolonne. Elemento caratteristico della facciata sono i sette balconi riccamente scolpiti con figure inquietanti e grottesche: centauri, cavalli alati, sirene, leoni, bambini e chimere. L’interno si caratterizza invece per la presenza di ben novanta vani, ognuno riccamente decorato.

 

Proseguendo il percorso, si giunge sino alla graziosa chiesa di Montevergini, sita in cima alla via Nicolaci.

La chiesa di San Carlo Borromeo

Riprendendo il corso Vittorio Emanuele ci si imbatte nella chiesa di San Carlo Borromeo, la cui facciata concava è esempio di un altissimo livello stilistico e di un barocco settecentesco innovativo.

La chiesa di San Domenico e il Teatro

Al termine del corso Vittorio Emanuele è infine situata la piazza XXIV Maggio, in cui si affaccia l’elegante e dorata chiesa  di San Domenico, realizzata tra il 1703 e il 1727 ad opera dell’architetto siracusano Roberto Gagliardi. Tutt’oggi l’edificio religioso, una delle principali testimonianze del barocco netino, appare perfettamente conservato.

Nelle vicinanze della Chiesa di San Domenico si trova il Teatro Vittorio Emanuele II, oggi denominato “Tina di Lorenzo”. Di chiaro stile neoclassico, risale alla seconda metà del 1900.

Il “Piano Alto”

Le bellezze barocche della città siciliana non si limitano all’area limitrofe al corso Vittorio Emanuele. Degno di nota è, infatti il cosiddetto “Piano Alto”,  la porzione più elevata della città dai caratteristici vicoli strettissimi, splendido esempio del barocco netino, che trova il suo esempio più eloquente nell’imponente chiesa del Santissimo Crocifisso.

La facciata, mai completata, trasmette un’eleganza e una linearità del tutto particolari.  

La cupola, edificata solo nel 1901, è identica a quella della Cattedrale. Per questo si dice che la città barocca siciliana di Noto possegga due cupole gemelle! All’interno della chiesa del Santissimo Crocifisso sono custoditi dei rari reperti recuperati da Noto Antica. In una teca, inoltre, pare sia conservata una spina della corona che cinse il capo a Gesù. 

L’eremo di San Corrado

Lasciando il centro cittadino, e seguendo la strada che si addentra tra le tipiche montagnole dell’entroterra siciliano, è possibile giungere dopo qualche chilometro all’eremo del santo Corrado Confalonieri, patrono del centro barocco. Qui, infatti,  egli  si ritirò in preghiera all’interno di una celletta e vi rimase fino alla morte.

Solo successivamente, nel 1748, fu costruito nelle vicinanze il santuario di San Corrado Fuori le Mura. Si tratta di un luogo molto suggestivo. Il santuario è addossato ad un’enorme parete rocciosa, la quale è scavata internamente e partecipa all’architettura dell’edificio stesso; un escamotage affascinante, che richiama alla mente talune grandiose costruzioni di matrice araba.

La Città Sepolta

A circa dodici chilometri dall’attuale città, su un’altura del Monte Alveria, circondata da due profonde cave, si trovano i resti monumentali di Noto antica. Si tratta di un luogo dalla storia straordinaria, testimoniata dalle incantevoli chiese medioevali, dai castelli inespugnabili e dal notevolissimo patrimonio artistico, che tuttavia giace sotto terra. Dal 1693, infatti, anno del terribile terremoto che la rase al suolo, Noto antica non è più stata ricostruita. Anzi, quella che viene altresì chiamata come la “Pompei medioevale” è rimasta sepolta sotto la terra, quasi come fosse ancora oggi quel lontano undici gennaio.

Il primo quesito che ci poniamo è perché a nessuno sia mai venuto in mente di riportare alla luce Noto antica. Davvero è tutto definitivamente perduto?

Ovviamente non è possibile dare una risposta a questa domanda, ma che tutto non sia andato perduto è ben evidente. In primo luogo, è possibile individuare un tratto dell’originale cinta muraria. La presenza di un’edificazione fortificata che circondava la città è un chiaro segno dell’importanza che la città rivestiva nell’epoca medioevale.

Il perimetro murario era intervallato da due ampi archi d’ingresso, siti rispettivamente a Nord e a Sud, accompagnati da altri sette ingressi minori. 

La Porta della Montagna

La  Porta della Montagna, collocata a Nord, rappresentava l’ingresso principale alla vecchia città. Di forma arcuata, al di sopra di essa è attualmente collocata una targa commemorativa in onore di Ducezio, il fondatore di Noto. Inoltre, sempre sopra la porta, è presente un’epigrafe marmorea, ivi collocata il 10 maggio 1970 dall’Istituto per lo Studio e la Valorizzazione di Noto e delle sue antichità. Essa recita: “Netum Ingeniosa Urbs Numquam ivi Capta”, ovvero “Noto, città ingegnosa, mai conquistata con la forza”, chiaro riferimento al fatto che la città cedette solo alla forza brutale e naturale del terremoto.  

Ai lati della porta sono presenti due piccole feritoie, che probabilmente avevano funzioni difensive, e dei vani ricavati dalla pietra calcarea: alcuni ritengono venissero utilizzati come cabine per le guardie oppure come magazzino.

Reperti lungo la via

Lungo il percorso vi sono numerosi rinvenimenti appartenenti alle varie epoche storiche e dominazioni che l’antica Noto visse: massi sparsi, fregi perduti, bassorilievi, tombe a grotticella, e tanti reperti che ancora meritano di essere portati alla luce. Al contempo, ciò che è emerso mostra chiaramente quanto Noto antica fosse estesa. Pare, infatti, che si trattasse di una grande città, che ospitava addirittura quattordicimila case!

Il Castello Reale di Noto

Uno degli edifici più imponenti, non andati completamente distrutti, è sicuramente il Castello Reale. Situato sopra un masso roccioso, come a dominare le vicine vallate, esso fu fatto costruire dal Duca Giordano, figlio di Ruggero d’Altavilla, nel 1091, per essere poi potenziato più volte successivamente, soprattutto in epoca aragonese.  L’intero impianto presenta una struttura quadrilatera, composta da una torre principale, la torre “maestra”, che si erge imponente all’interno della struttura di fortificazione, e tre torri di cui una centrale e due angolari, site nel lato meridionale del quadrilatero.

Il Castello Reale fu fatto costruire dal Duca Giordano, figlio di Ruggero d’Altavilla, nel 1091. Fu inoltre potenziato più volte successivamente.

Le incisioni murali e la Triplice Cinta

Nella zona retrostante il castello sono situati dei locali che, un tempo, erano utilizzati come carceri. Ulteriori resti di strutture ormai andate perdute sono rinvenibili all’interno dell’area archeologica: pavimenti di vecchi edifici, basi di colonne (che forse erigevano antichi templi), incisioni murali tra le quali spicca la ben nota Triplica Cinta.

Le stesse persone, rinchiuse nelle carceri, potrebbero aver fatto anche le altre incisioni non ben riconoscibili.

Da subito ci appare tutto come un gran mistero. Si tratta di incisioni autentiche? O soltanto gli scherzi di qualche buontempone?

I monaci Cistercensi a Noto

La presenza di un monastero cistercense a Noto Antica, Santa Maria dell’Arco, potrebbe far propendere verso l’ipotesi per cui tali incisioni abbiano un significato simbolico – si veda ad esempio la Triplice Cinta – strettamente collegata al citato ordine religioso.

Inoltre, nella grotta del carciofo, situata nella parte Nord-Est della necropoli e attualmente recintata, vi è la scalfittura di una Menorah, la lampada a sette bracci che veniva accesa nell’antico Tempio di Gerusalemme, chiara testimonianza della presenza ebraica in epoca medioevale. 

 Samuele Corrente Naso e Daniela Campus

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