Le Tavole Palatine di Metaponto

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Sulla riva destra del fiume Bradano, all’interno dell’area archeologica di Metaponto, sorgono i resti di colonne antiche. Esse paiono aver sfidato il tempo imperiture, immortali con le aggraziate scanalature e gli eleganti capitelli dorici. Sono dette “Tavole Palatine”, retaggio di lontane vicende della storia. Si narra che all’ombra degli alti fusti insegnasse il filosofo e matematico Pitagora, e che qui si riunisse la sua celebre Scuola. A Metaponto le pietre paiono vive: raccontano di millenni trascorsi, di come eravamo e forse di come saremo.

Le Tavole Palatine di Metaponto, molti interrogativi

Innanzi alle colonne di Metaponto, così eleganti da non sembrare affatto rovine, sorgono molte domande. Almeno fino alla fine dell’Ottocento gli abitanti del luogo non sapevano cosa fossero quei resti antichi. Rimasugli di un palazzo di pietra, vestigia di epoche perdute? Da un’errata concezione popolare, che s’intreccia romanticamente con la leggenda, nacque infatti l’appellativo di Tavole Palatine. Si diceva che presso i ruderi si era accampato con il suo esercito, per breve tempo a dir la verità, l’Imperatore Ottone II1.

Correva l’anno 982 e parte del Sud Italia era soggetta alle incursioni dei Saraceni, i quali erano stanziati in Sicilia. L’Isola si trovava sotto il totale dominio islamico, con al comando l’emiro Abu l-Qasim Ali. L’Imperatore del Sacro Romano Impero aveva quindi deciso di recarsi in Italia per scacciare, una volta per tutte, il nemico saraceno2. Ottone II poteva contare sull’aiuto dei ducati Longobardi del Sud e del Papa, speranzoso che la Sicilia potesse ritornare cristiana. Tuttavia, per progredire verso l’Isola l’esercito dell’Imperatore necessitava di traversare la Puglia, la Basilicata e la Calabria, governate ancora dai Bizantini. Ma Basilio II si oppose fermamente alla discesa di Ottone II e comandò alle sue truppe di arroccarsi nelle città, così da resistere il più possibile all’avanzata sassone. Furono quindi condotti gli assedi di Matera, Taranto e Bari, sebbene infruttuosi.

La Mensae

A questo periodo risale lo stanziamento delle truppe ottoniane presso Metaponto. Nell’immaginario collettivo, forse a causa del timore causato dagli assedi, i soldati dell’Imperatore dovevano apparire giganteschi, se non invincibili. Si comincia così a usare l’appellativo di “Tavole Palatine”: il primo sostantivo deriva dall’accezione latina di mensae, ovvero la tavola dove si consuma il pasto; il termine palatino è invece riferito ai soldati di Ottone II. I Paladini erano, già al tempo di Carlo Magno, i cavalieri più importanti dell’esercito, l’élite militare. Nella Chanson de Roland del ciclo letterario carolingio essi incarnano i valori del cavaliere cristiano che combatte le barbarie dei Saraceni.

Dunque i resti delle Tavole Palatine, nella tradizione immaginifica popolare, sarebbero nient’altro che il gigantesco ripiano dove i potenti cavalieri di Ottone consumavano i loro pasti. Sebbene tale visione possa far sorridere il lettore, appare invece rilevante da un punto di vista antropologico e storico. Essa consente di comprendere i timori dei popoli e le dinamiche politiche che s’andavano instaurando, inoltre anticipa le tematiche del ciclo letterario bretone. Si pensi, ad esempio, all’epopea dei Cavalieri della Tavola Rotonda.

Il finale poco glorioso di Ottone II

Per cronaca storica, la spedizione di Ottone non ebbe il successo sperato. Una decisiva battaglia tra i Sassoni e i Saraceni ebbe luogo a Capo Colonna, non lontano da Crotone. Qui, ove giacciono i resti di un altro celebre tempio magnogreco, quello di Hera Lacinia, si consumarono le sorti dell’Italia meridionale. Durante lo scontro violentissimo l’emiro Abu l-Qasim Ali venne ucciso, ma le perdite umane dei germanici e dei longobardi furono così elevate da causarne la sconfitta. Lo stesso Ottone II fu costretto alla rocambolesca fuga, si dice grazie al cavallo fornitogli da un ebreo. “Il fiore della Patria è stato falciato dal ferro. Caduto è l’onore della bionda Germania” scriverà un cronista dell’epoca3.

Le evidenze archeologiche

Rilevazioni archeologiche hanno dimostrato che l’area, sulla quale sorgono oggi le Tavole Palatine, doveva essere interessata dalla presenza di un sito abitativo già dal Neolitico. Sono stati, infatti, rinvenute in loco tracce di un villaggio preesistente. La fertilità della zona, posta in prossimità del fiume Bradano, deve aver favorito l’insediamento umano sin dai primordi. È in questo contesto che si inseriscono i nuclei abitativi di età magnogreca. D’altronde non lontane erano le colonie di Siris ed Heraclea, mentre l’achea Metapontum distava soltanto pochi chilometri. Il sito di ubicazione delle Tavole, da ricostruzioni planimetriche, doveva collocarsi sul limitare tra il tessuto urbano e le aree agricole. Era caratterizzato pertanto da un temenos sacro, stabilendo un confine ideale ed apotropaico tra la città e l’area non antropizzata. Ivi sorgeva un tempio di culto greco, il cui ptèron è proprio ciò che per secoli è stato identificato come “Tavole Palatine”.

Il tempio di Hera

Di esso si preservano 15 colonne sullo stilobate, con scanalature e capitelli in stile dorico. Il tempio, del VI secolo a.C., doveva essere in origine periptero a 32 colonne, di cui 6 sui lati corti. Della trabeazione, del timpano e delle restanti parti rimangono scarne tracce in quanto il calcare locale impiegato per la costruzione non ha resistito alla prova del tempo. Della decorazione fittile, risalente al V secolo a.C., permangono invece numerose testimonianze. Resti di doccioni e protomi in ceramica policroma sono esposti al Museo archeologico nazionale di Metaponto, dove sono giunti in seguito agli scavi del 19264.

Interessanti rivelazioni si evincono anche dalla planimetria del tempio. La cella che ospitava la statua della divinità, il naos, doveva essere fornita posteriormente di un apposito locale detto adyton. Esso era riservato agli officianti del culto per lo svolgimento di riti misterici. Anteriormente si disponeva invece il pronao, dalle tracce archeologiche ben visibili.

Si credeva inizialmente che il tempio fosse dedicato al culto della dea Atena. Ciò nondimeno, durante i medesimi scavi del 1926, furono rinvenute delle statuette raffiguranti la dea Hera, oltre a un frammento di un vaso con un’iscrizione a lei dedicata5. Hera, moglie di Zeus, veniva considerata la dea protettrice del matrimonio e del parto; per estensione anche della fertilità, sovente richiamata dalla rappresentazione della melagrana. La statua della divinità, in genere crisoelefantina, era raffigurata indossante il polos, copricapo cilindrico ed emblema della dea madre. Non deve stupire che il santuario metapontino, situato in prossimità dell’area rurale, fornisse un così potente richiamo alla fertilità della terra.

Le Tavole Palatine e la Scuola Pitagorica

È noto che i resti del tempio di Hera a Metaponto, già Tavole Palatine, venissero anche chiamate con il nome di “Scuola di Pitagora”. In effetti, le fonti storiografiche antiche riferiscono che il filosofo si trasferì in questa colonia magnogreca dopo che la sua dimora a Crotone era stata incendiata6. Qui trasferì la sua celebre Scuola, e nei pressi del tempio di Hera riprese i suoi insegnamenti sino alla morte (495 a.C).

Porfirio, filosofo greco del 232-305 d.C., riferisce che Pitagora:

Abbia trovato la morte nella comunità di Metaponto, dopo essersi rifugiato nel piccolo tempio dedicato alle Muse, dove rimase quaranta giorni privo del necessario per vivere. Altri autori affermano che i suoi amici, nell’incendio della casa dove si trovavano riuniti, gettatisi nelle fiamme aprirono una via di uscita al maestro, formando con i loro corpi una sorta di ponte sul fuoco. Scampato dall’incendio Pitagora, raccontano ancora, si diede la morte, per il dolore di essere stato privato dei suoi amici“.

Porfirio, Vita di Pitagora

Samuele Corrente Naso

Mappa dei luoghi

Note

  1. A. Canino, Basilicata, Calabria, Touring Editore, 1980. ↩︎
  2. K. Uhlirz, Jahrbücher des Deutschen Reiches unter Otto II. und Otto III, Legare Street Press, 2022. ↩︎
  3. Bruno di Querfurt, Brunonis Vita S. Adalberti, S.205. ↩︎
  4. E. Lippolis, M. Liviadotti e G. Rocco, Architettura greca. Storia e monumenti del mondo della polis dalle origini al V secolo, PBM Editori, 2007. ↩︎
  5. E. M. De Juliis, Metaponto, Edipuglia, 2001. ↩︎
  6. Porfirio, Vita di Pitagora (ΜΑΛΧΟϒ Η ΒΑΣΙΛΕΩΣ ΠϒΘΑΓΟΡΟϒ ΒΙΟΣ), traduzione a cura di S. Fumagalli, Mimesis Edizioni, Milano, 1996. ↩︎

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