L’abbazia di Sant’Antimo, sulla via della luce

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Si giunge all’abbazia di Sant’Antimo percorrendo un retto sentiero, che lento si distende tra le pendici di colli nient’affatto canuti, ornati di ulivi e cipressi secolari, e distese di verdi vigneti. Sono esse le nobili coltivazioni del Brunello: vanitose si distendono al sole di Montalcino, e così accade nella frazione di Castelnuovo dell’Abate. Ma il cammino del visitatore deve esser retto anche in altro senso, ossia rivestito almeno di buone intenzioni. Non si giunge a Sant’Antimo per caso. Lungo il sentiero l’Abbazia sorge isolata e si eleva nel mezzo della vallata del torrente Starcia, non v’è nulla intorno, se non la terra da governare e il cielo verso cui sollevare lo sguardo.

Si transita qui soltanto per scelta, dunque, e il luogo è via di pellegrinaggio sin dal Medioevo quando costituiva un punto nevralgico della Via Francigena. Molti viandanti che intendevano raggiungere Gerusalemme si fermavano presso Sant’Antimo, onde trovare ristoro materiale e spirituale. Il cammino presupponeva l’abbandono e l’incertezza, il lasciare alle spalle le sicurezze della vita e sfidare l’avvenire. Era questa la via dell’illuminazione, il percorso interiore per giungere alla pienezza dell’esistenza, che solo Cristo Lumen gentium poteva donare. Così oggi chi decide di recarsi nell’abbazia di Sant’Antimo può ancora percorrere la “via della luce”, come i monaci con sapienza hanno denominato la visita guidata dell’edificio. E quale guida migliore della luce che tutto disvela e riveste di splendore?

La storia dell’abbazia di Sant’Antimo

La tradizione vuole che l’abbazia di Sant’Antimo venne fondata dall’Imperatore Carlo Magno sul finire dell’VIII secolo1. Si narra che il sovrano, mentre ritornava da Roma con il suo seguito lungo la Via Fran­cigena, dovette fronteggiare un’improvvisa epidemia di peste e decise di sostare nella Val di Starcia. Allorché il flagello cessò per grazia ricevuta, Carlo Magno volle fondare l’abbazia di Sant’Antimo come scioglimento del voto. È questa con ogni probabilità una leggenda, la quale deve tuttavia tenere in sé alcuni elementi del vero. La storiografia suggerisce che un primitivo cenobio a Castelnuovo dell’Abate potesse esistere già dal 770, quando i Longobardi avevano affidato all’abate pistoiese Tao la gestione dei beni del territorio e la costruzione di un’abbazia benedettina2.

Tao un tempo abate e Tanimundo abate del predetto monastero lo costruirono e colà con il favore di Dio aggregarono un gruppo di monaci

Diploma di re Berengario II e re Adalberto all’abate Betto datato 12 marzo 951 o 952, Archivio di Stato di Siena

Siamo a conoscenza, inoltre, che nell’814 il monastero ricevette una donazione da parte di Ludovico il Pio, che di Carlo Magno era il quarto figlio3. Un privilegio spedito il 29 dicembre di quell’anno da Aquisgrana, e diretto all’abate Apollinare, conferiva all’abbazia di Sant’Antimo il territorio di Montalcino. Essa dovette sin da subito beneficiare degli ampi privilegi economici dettati dal rango imperiale – l’abate stesso era insignito del titolo di Conte del Sacro Romano Impero – crescendo in prestigio e potenza. Le successive concessioni ricevute da parte di Giovanni XV nel 992 e dell’imperatore Enrico III nel 1051 andavano a confermare il ruolo centrale che l’abbazia di Sant’Antimo rivestiva nel quadro politico e religioso dell’epoca4. Alla soglia dell’anno Mille i territori abbaziali si estendevano sino a Lucca e a Orbetello5, e si contavano circa centottanta possedimenti tra castelli, mulini, fondi, hospitalia, chiese e monasteri.

Chi era Sant’Antimo?

Alle difficoltà inerenti una possibile ricostruzione storica dei primi secoli dell’Abbazia, dovute al fatto che gran parte della documentazione è andata bruciata in un incendio, si aggiunge l’incertezza sull’identità del santo titolare, Antimo. Ancora la tradizione vuole che Carlo Magno, all’atto della fondazione, donò ai monaci le sue reliquie, insieme a quelle di Sebastiano, ricevute da papa Adriano I. Nel Martyrologium Hieronymianum Antimo è ricordato sotto la data dell’11 maggio, con la dicitura “Via Salaria miliario vigisimo secundo natale sancti Antimi6

In effetti a Roma, lungo la via Salaria, visse tale santo, e fu martirizzato durante le persecuzioni di Diocleziano7. Non v’è dunque evidenza certa sul perché l’Antimo romano trovi in Toscana una venerazione così importante. È assai più probabile, invece, che la dedicazione originaria dell’Abbazia fosse rivolta a un altro santo omonimo, di cui si perse nel tempo la memoria con il trascorrere dei secoli e le vicissitudini storiche della diocesi. Nella Passio Donati del VI secolo viene citato un diacono di Arezzo, martirizzato nel 362 sotto l’imperatore Giuliano l’Apostata, e chiamato anch’egli Antimo8.

Nel racconto agiografico, San Donato vescovo e i suoi diaconi stavano celebrando una santa messa ad Arezzo quando alcuni pagani irruppero nella chiesa, rompendo il calice di vetro della comunione. Ma Antimo, noncurante che la coppa fosse in frantumi, continuò a servire il vino senza che alcuna goccia precipitasse al suolo. A tale vista i pagani si convertirono, e tuttavia incominciarono le persecuzioni: San Donato fu martirizzato in loco, mentre il diacono riuscì a fuggire. Si ritiene, tuttavia, che Antimo venne infine raggiunto e ucciso nella Val di Starcia. È possibile che sul luogo della sepoltura fosse eretto un piccolo oratorio paleocristiano, e ciò spiegherebbe perché Tao ricevette disposizioni di costruire un monastero proprio a Castelnuovo dell’Abate.

L’attuale abbazia di Sant’Antimo

L’abbazia di Sant’Antimo, come oggi la osserviamo, è il risultato di una grandiosa ricostruzione in forme romaniche realizzata nel secolo XII. Un’iscrizione, apposta presso il pavimento del presbiterio e il pilastro alla sua sinistra, attesta che nel 1117 il monastero ricevette una ricchissima donazione da parte del conte Bernardo degli Ardengheschi9. Già nell’anno successivo l’abate Guidone iniziava i lavori di rifacimento, che trovavano ispirazione nel monastero benedettino di Cluny. Presso il cantiere di Sant’Antimo giunsero di certo quotati artisti d’oltralpe: tra i capitelli che sormontano le colonne ve n’è uno di eccezionale fattura che raffigura Daniele nella fossa dei leoni, opera di un anonimo scultore francese a noi noto come Maestro di Cabestany.

L’ampliamento del complesso abbaziale, che previde tra le altre cose l’aggiunta del chiostro, dovette tuttavia richiedere ingenti somme, tanto che nella seconda metà del XII secolo la comunità religiosa di Sant’Antimo si trovava ad affrontare grosse difficoltà economiche. Il declino definitivo sopraggiunse insieme ai contrasti con Siena, che prese ad appropriarsi dei territori abbaziali per rivaleggiare in potenza con la nemica Firenze. Nel 1291 l’abbazia di Sant’Antimo fu affidata da papa Nicolò IV all’ordine dei Guglielmiti11 e infine venne soppressa nel 1462 per volontà di Pio II, che ne assegnava i beni alla nascente diocesi di Pienza e Montalcino12. Dopo alterne vicende l’Abbazia sperimentò un lungo periodo di abbandono e degrado, e solo con i restauri di fine Ottocento poté ritornare all’antico splendore.

Sulla via della luce

L’odierna Abbazia si erge lungo tre navate, scandite da pilastri cruciformi e colonne con capitelli su archi a tutto sesto. La navata centrale, con soffitto a capriate lignee, spicca per l’accentuato verticalismo, esaltato dalla luce essenziale e mistica che, dalle monofore dell’abside e dei fianchi, ne trafigge gli spazi senza esitazioni. La luce racconta, rivela la presenza dei matronei e del cleristorio, scolpisce le volte a crociera delle navate laterali. Essa è assoluta e incontrastata protagonista, s’insinua radiosa nel deambulatorio che corre intorno al presbiterio.

Straordinaria peculiarità dell’edificio, infatti, è il materiale impiegato per la sua costruzione: i blocchi squadrati sono costituiti in travertino con venature alabastrine, di provenienza locale. La pietra, così, pare racchiudere in sé l’essenza stessa della luce, giacché l’alabastro si lascia attraversare e permette alla materia di rifulgere. Presso il deambulatorio, quando al mattino i raggi del sole s’affacciano dalle monofore delle absidiole, un vibrante gioco di colori riempie gli spazi di mistica atmosfera.

Il deambulatorio

Il deambulatorio è la vera novità architettonica di Sant’Antimo, brillante derivazione dei modelli francesi, come si osserva nella chiesa di Saint’Etienne a Vignory nello Champagne (XI secolo). La chiesa abbaziale era meta di pellegrinaggio lungo la Via Francigena: edificio di culto e di transito, dunque, perciò era necessario permettere ai pellegrini di pregare sulle reliquie dei martiri senza interferire con le funzioni liturgiche, che si svolgevano nell’altare maggiore. Il deambulatorio, con le sue tre cappelle radiali disposte lungo il semicerchio absidale, doveva fungere proprio a tale scopo.

La Cappella Carolingia, la struttura più antica dell’abbazia di Sant’Antimo

Sant’Antimo non possiede transetto, ma al suo posto si erge sul fianco nord il campanile quadrato e sull’altro, quasi in corrispondenza, il nucleo più antico del complesso monastico, una chiesetta absidata denominata Cappella Carolingia. Si tratta di una piccola aula quadrangolare, su due livelli, oggi adibita a sacrestia. Al suo interno si possono ammirare dei pregevoli affreschi realizzati da Giovanni D’Asciano nel XIV secolo, raffiguranti scene della vita di san Benedetto. Al di sotto della cappella giace poi la cripta, divisa in tre navate da quattro colonne con pulvini in porfido.

Il chiostro, la sala capitolare e la farmacia monastica

Dalla Cappella Carolingia il visitatore può raggiungere il livello dei matronei della chiesa abbaziale, attraverso una scala interna, o dirigersi all’esterno, traversando la farmacia monastica. Si giunge così al chiostro, o quantomeno a ciò che ne rimane: sparuti resti, e un paramento con trifora della sala capitolare. Sul chiostro si affaccia il portale laterale della chiesa, di pregevolissima fattura, rimanenza forse della precedente fase costruttiva.

La facciata

Percorrendo il fianco sud della chiesa si giunge, infine, innanzi alla facciata. Il prospetto è a salienti spezzati e appare incompleto, forse a causa del gravoso impegno economico richiesto dai lavori di ampliamento nel XII secolo, cui i monaci benedettini non riuscirono più a fare fronte. Dall’alto verso il basso si susseguono una bifora e una monofora, mentre il registro inferiore reca tracce di un portico crollato. Il portale d’accesso è infatti affiancato da semicolonne, con capitelli scolpiti, che dovevano costituirne il supporto.

L’ingresso fu, con ogni probabilità, ricostruito dai monaci guglielmiti dopo il 1291, allorché l’Abbazia doveva già essere in condizioni di deperimento e un cedimento strutturale aveva interessato il portico e parte della facciata13. A tal fine fu utilizzato materiale di reimpiego, come è evidente dai conci scolpiti sulla sommità dei piedritti, sui quali si distinguono una protome leonina e il corpo di una fiera. L’architrave è decorato con eleganti volute fitoformi, richiamo alla simbologia dell’albero della vita, immagine di Cristo. Dalla parte della controfacciata esso reca un’iscrizione in caratteri latini, la quale rivela che un tale Azzone da Porcari fu auctor praevius istius egregiae aulae, mastro costruttore della chiesa14.

L’abbazia di Sant’Antimo, andare incontro alla luce

Ogni pietra, ogni più intima essenza dell’abbazia di Sant’Antimo richiedeva al pellegrino un cammino interiore, di andare incontro alla luce. Non per caso, i maestri costruttori benedettini avevano orientato l’edificio a est. Il fedele, percorrendo le navate fino all’abside, procedeva in direzione del luogo da cui sorge il sole e, in senso metaforico, verso Cristo, luce del mondo che nacque a Oriente.

Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo“.

Vangelo di Giovanni 1,9

Questo movimento – da intendersi in senso fisico, in relazione ai sacrifici del pellegrinaggio, ma soprattutto dell’animo – era necessario all’uomo per rifuggire dalle tenebre, da quell’oscurità di morte e di peccato che celava il senso dell’esistenza. Nella teologia medioevale la conoscenza era possibile soltanto attraverso un’illuminazione da parte di Dio; Agostino d’Ippona, nelle Confessioni, aveva sostenuto l’impossibilità dell’uomo di trovare da solo l’orientamento della propria vita. Così, a Sant’Antimo il fedele volgeva lo sguardo a Oriente, e incontro alla luce conosceva la salvezza.

Samuele Corrente Naso

Mappa dei luoghi

Note

  1. A. Canestrelli, L’abbazia di S. Antimo, monografia storico-artistica, Tipografia Lazzeri, Siena, 1910-1912. ↩︎
  2. Diploma datato 12 marzo 951 o 952 di re Berengario II e re Adalberto all’abate Betto e oggi conservato nell’Archivio di Stato di Siena, trascrizione in E. Duemmler, Italienische Koenigsurkunden des zehnten Jahrhunderts, in Forschungen zur deutschen Geschichte, Verlag der Dieterichschen Buchhandlung, Goettingen, 1875. ↩︎
  3. G. Tigler, Toscana romanica, Milano 2006. Il documento originale è conservato presso l’Archivio di Stato di Siena. ↩︎
  4. Ibidem nota 1. ↩︎
  5. M. Salmi, Chiese romaniche della Toscana, Electa, Milano, 1961. ↩︎
  6. H. Delehaye, Commentarius perpetuus in Martyrologium Hieronynianum ad recensionem H. Quentin, in Acta Sanctorum XXIV Novembre 11, II, Bruxelles, 1931. ↩︎
  7. Passio sancti Anthimi presbiteri et martiris, mense Maii die XI , et aliorum sanctorum, Bibliotheca hagiographica latina (BHL 561). ↩︎
  8. La “Passio” di san Donato vescovo di Arezzo. Edizione critica, traduzione e commento a cura di Pierluigi Licciardello, Firenze, 2018. ↩︎
  9. W. Kurze, Zur Geschichte der toskanischen Reichsabtei S. Antimo im Starciatal, in Gerd Tellenbach zum 65. Geburstag dargebracht von Freunden und Schülern, Freiburg, Basel, Wien, 1968. Si riportano le parole dell’iscrizione: Bernardus Comes filius Bernardi Comitis dedit et confirmavit Ildibrando filio Rustici totum quod habebat, aut alii per illum habebant in toto Regno Italico, […] Ildebrandus […] sicut recepit a supradicto Bernardo omnia supradicta in hoc monasterio S. Antimi universa jure
    proprietatis germanus ejus Fortis et arid […] in perpetuum
    . ↩︎
  10. Di Sailko, CC BY-SA 3.0, immagine. ↩︎
  11. Bolla di Nicolò IV del 22 agosto 1291. ↩︎
  12. Ibidem nota 1. ↩︎
  13. E. Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, ed. Emanuele Repetti, Firenze, 1833. ↩︎
  14. A. Peroni, G. Tucci, Nuove ricerche su Sant’Antimo, Alinea editrice, 2008. L’iscrizione completa recita: Vir bonus in Christo magnis virtutibus Azzo cenobii monachus pater postique decanus istius egregiæ fuit auctor previus aulae atque libens operis portavit pondera tanti progenie tuscus Pocorum sanguine cretus pro quo christicole cuncti Deum rogitate det sibi perpetue cum sanctis gudia vite martir et eximus sit custos Antimus eius. ↩︎

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