Altomonte e il gotico angioino in Calabria

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Il borgo di Altomonte è collocato su un promontorio che domina l’ampia valle del fiume Esaro, a circa 455 metri d’altezza sul livello del mare, tra la piana di Sibari e le grandi vette della Sila. L’odierno impianto urbano ricalca l’organizzazione delle strutture difensive erette nel Medioevo, che comprendono ancora le rimanenze delle mura e alcune case-torri, ma l’abitato ha origini molto più antiche. Di certo doveva esservi un insediamento già al tempo dei Romani, come dimostrano alcuni rinvenimenti archeologici risalenti al I secolo d.C. La cittadina corrispondeva, con buona probabilità, alla Balbia citata da Plinio il Vecchio, di cui lo storico decantava la produzione di un pregiato vino, appellato giustappunto come Balbino1.

Le prime fonti documentarie vere e proprie si rintracciano, tuttavia, solo in epoca normanna. Al momento della conquista della Calabria da parte degli Altavilla, Altomonte era indicato nei testi storiografici con il nome di Brahalla, toponimo forse di derivazione arabo-saracena. I Normanni gettarono le basi dell’odierno nucleo abitativo, vi collocarono il castello feudale e soprattutto edificarono nel 1052 l’importante chiesa di Santa Maria dei Franchi.

Filippo Sangineto

Altomonte divenne possedimento svevo sotto Federico II e quindi passò agli Angioini nel 1266, quando Carlo I sconfisse Manfredi di Sicilia. Nel 1309 salì al trono del Regno di Napoli Roberto d’Angiò, già Duca di Calabria dal 1296; si tratta questo di un evento che avrà dirette ripercussioni anche sul piccolo borgo di Altomonte. Tra i nobili fedeli al sovrano vi era infatti Filippo Sangineto, terzogenito del signore di Belvedere e Sangineto, Ruggero. Filippo, infatti, combatterà come capitano al fianco di Roberto d’Angiò nella spedizione contro gli aragonesi in Sicilia, e per questo sarà ricompensato proprio con il feudo di Altomonte. In un atto datato 8 agosto 1319, e oggi conservato nei registri vaticani, egli è chiamato “nobilis vir Philippus de Sangineto, Brahallae et Bollitae dominus2.

Filippo Sangineto non fu per Roberto d’Angiò soltanto un valoroso uomo d’arme, ma ricoprì il ruolo di alto funzionario della corte reale; per almeno un decennio, a partire dal 1330-1331, fu inviato come siniscalsco in Provenza e Forcalquier3. Ciò gli diede l’opportunità di entrare in contatto con le vivaci declinazioni artistiche d’oltralpe, e presto dovette maturare in lui il desiderio di portare in Calabria un po’ di quello stile austero ed elegante che oggi definiamo gotico.

Filippo fece di Altomonte uno dei più fiorenti centri culturali della Calabria, ampliandone il tessuto urbano e invitando artisti da tutta Italia. Nel 1336 cambiò il nome del borgo da Brahalla in Altofiume e ancora nel 1343, per volere della regina Giovanna, in quello odierno. Non ultimo, ordinò di rinnovare la chiesa di Santa Maria dei Franchi, con l’intenzione di innalzare un edificio ancor più maestoso che potesse fungere da mausoleo della famiglia Sangineto.

Altomonte e Santa Maria della Consolazione

Vero punto nevralgico del piccolo borgo, divenne così la nascente chiesa di Santa Maria della Consolazione. L’edificio nacque secondo i dettami dell’architettura gotico-angioina, e doveva essere in costruzione già nel 1336; in quell’anno è citato in un testamento che Filippo Sangineto redasse in Provenza come destinatario di lasciti per il completamento4. Alla morte, infatti, sopraggiunta tra il 1348 e il 1349, il signore di Altomonte troverà riposo nella sua chiesa, come da lui fortemente voluto, all’interno di un monumento sepolcrale realizzato da un allievo di Tino di Camaino.

Una scalinata slargata, di realizzazione tarda, introduce all’ingresso della chiesa, la quale si erge in posizione dominante sulla piazza cittadina. La facciata appare massiccia e austera, al modo dell’architettura mendicante dei Cistercensi. Un portale strombato con arco gotico a sesto acuto e fregi fitomorfi si apre sul livello inferiore, sormontato da un rosone maestoso che si compone di 16 colonnine con capitelli. Con ogni probabilità la sua realizzazione fu avviata in Francia, per poi essere completata da maestranze locali. Presso due nicchie laterali del prospetto, invece, erano anticamente collocate alcune statue, oggi ammirabili presso il Museo Civico di Altomonte.

Nel bel mezzo della facciata, tra il rosone e il portale, non può che collocarsi lo stemma litico di Filippo Sangineto, committente della chiesa. La massiccia torre campanaria, in origine con coronamento merlato, si adagia sulla destra del prospetto, reso così asimmetrico, e si caratterizza per la presenza di una finestra bifora.

Gli interni dell’edificio

Gli interni di Santa Maria della Consolazione sono ammantati da quell’aura di pace e mistero che solo l’architettura gotico-cistercense sa trasmettere. L’edificio ha pianta a croce latina, a navata unica, coronata da due cappelle laterali presso il transetto. L’una, voluta dai Principi di Bisignano, con altare ligneo barocco e stucchi dorati, è dedicata a san Michele Arcangelo, l’altra conduce alla sacrestia. L’aula ha copertura a capriate lignee, la quale contribuisce a trasmettere una sensazione di austerità e semplicità, e termina con un coro a vela. L’altare maggiore è realizzato con marmi policromi.

Sulla parete absidale, in corrispondenza di una grande monofora, è addossato il ben noto sepolcro di Filippo Sangineto, che si colloca tra le sculture del Trecento più rilevanti della Calabria. Un vero mistero, invece, rappresenta il monumento funerario del cavaliere ignoto, che si fa risalire alla prima metà del XIV secolo. Nonostante accurate ricerche archeologiche e storiografiche, nessuno studioso è ancora riuscito a individuare l’identità di colui che ivi fu sepolto.

In ogni caso, si riconosce nell’armamento del cavaliere giacente e nello stile scultoreo, d’impronta francesizzante, un’appartenenza alla prima metà del secolo XIV5. È possibile che in tale tomba venisse sepolto un altro facoltoso membro della famiglia Sangineto.

Uno scrigno d’arte

La chiesa di Santa Maria della Consolazione fu realizzata secondo gli innovativi stilemi gotici di importazione francese, rompendo con la precedente tradizione normanna. Filippo Sangineto, con l’assenso del re di Napoli Roberto d’Angiò, volle donare al borgo un monumento grandioso che fosse espressione di un nuova dinastia e potesse preservare la sua memoria nei secoli a venire. A tal fine furono coinvolti importanti artisti per la realizzazione dei fregi e degli affreschi, tra i quali spiccano i nomi dei toscani Simone Martini, che dipinse su una tavoletta un San Ladislao, oggi al Museo Civico, e Bernardo Daddi.

Di pregevolissima fattura, e non poteva essere altrimenti, è il monumento sepolcrale della famiglia Sangineto, voluto dal committente Filippo, collocato presso la parete absidale. Di esso sopravvive la sola struttura interna, ma un tempo era di certo ornato da un baldacchino. Le personificazioni scultoree delle tre Virtù Teologali sorreggono il sarcofago, sul quale si adagia la figura giacente di Filippo Sangineto, e ancor più su svetta un gruppo di statue composto dai santi Nicola e Battista, e dalla Madonna con bambino.

Samuele Corrente Naso

Note

  1. Plinio il Vecchio, Naturalis Historia. ↩︎
  2. F. Russo, Regesto vaticano per la Calabria, Roma 1974-1995. ↩︎
  3. L. De Franco, Una pagina di vita medievale: i due testamenti di Filippo di Sangineto, signore di Altomonte, in Calabria nobilissima, XLII-XLIII, 1990-1991. ↩︎
  4. Ibidem. ↩︎
  5. M. P. Di Dario Guida, Il Museo di S. Maria della Consolazione ad Altomonte, Cosenza, 1980. ↩︎

Autore

Samuele

Samuele è il fondatore di Indagini e Misteri, blog di antropologia, storia e arte. È laureato in biologia forense e lavora per il Ministero della Cultura. Per diletto studia cose insolite e vetuste, come incerti simbolismi o enigmatici riti apotropaici. Insegue il mistero attraverso l’avventura ma quello, inspiegabilmente, è sempre un passo più in là.

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