Adriano, la sensibilità di un imperatore

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L’Historia Augusta, fonte del IV secolo d’ignoto autore, trascrive le parole dell’Imperatore Adriano di fronte alla morte:

“Animula vagula blandula,

hospes comesque corporis

Quae nunc abibis in loca

Pallidula rigida nudula

Nec ut soles dabis iocos”

(Historia Augusta, Adriano)

“Piccola anima smarrita e soave,

compagna e ospite del corpo,

ora t’appresti a scendere in luoghi

incolori, ardui e spogli,

ove non avrai più gli svaghi consueti.”

Traduzione di Lidia Storoni Mazzolani

Circa gli imperatori romani sovvengono alla nostra mente figure di uomini aspri e severi, avvezzi alla politica e alla conquista militare. Ma cosa dire di Adriano e di questo suo breve epigramma? Bisogna ammettere che sorprende, e non poco, il tono così aggraziato delle parole, il loro accarezzare la fragilità dell’essere umano. Non v’è la rudezza del diritto, la vivacità di una elogio militare o la memoria di mille imprese. Al contrario, le parole di Adriano soggiacciono spontanee e sommesse a un destino ineluttabile, come a ricordare che egli fu soprattutto un uomo.

La personalità di Adriano

Eppure le fonti storiografiche non paiono altrettanto gentili nei suoi riguardi, dipingendone sovente i soli tratti di un narcisista. Adriano non fu compreso dai suoi contemporanei – forse nessuno mai ci provò – e la sua personalità è avvolta da una complessità interpretativa senza precedenti.

Era ad un tempo serio e gioviale, affabile e contegnoso, sfrenato e controllato, avaro e generoso, schietto e simulatore, crudele e mite, e sempre in ogni cosa mutevole.

Historia Augusta, Adriano, 14, 11

L’Historia Augusta se da un lato ne decanta le straordinarie capacità intellettive, la passione per l’arte e la letteratura, dall’altra ne sottolinea il carattere incostante e le mutevoli dinamiche dello spirito. L’intera vita di Adriano è segnata da episodi in apparenza contraddittori. Così, egli “vietò che i servi fossero messi a morte dai padroni e ordinò che, ove lo meritassero, fossero condannati dai giudici” [1], ma al contempo Cassio Dione ci racconta che l’Imperatore era capace di condannare a morte chi lo contraddiceva [2].

Le zucche di Adriano

Triste, ad esempio, fu la fine del famoso architetto Apollodoro di Damasco, l’unico in età romana di cui conosciamo l’intera opera. Apollodoro realizzò importanti edifici per Traiano, padre adottivo di Adriano, tra questi si citano i Mercati, le Terme, il Foro con la famosa Colonna Traiana a Roma. Per Adriano rifece il Pantheon, dopo che la precedente costruzione era stata danneggiata nel 110 d.C. Tuttavia, ben presto sorsero tra i due feroci dissidi. Adriano aveva, infatti, l’aspirazione di divenire egli stesso un architetto degno di ammirazione. Lo storico Aurelio Vittore ci tramanda che l’Imperatore era “ambizioso, esibizionista, avido; era esperto di retorica, canto, medicina, si considerava un’artista, pittore, scultore, architetto” [3]. Inoltre, Adriano e Apollodoro di Damasco non condividevano affatto la stessa visione dell’architettura:

“Una volta, mentre Traiano discuteva con lui (Apollodoro, ndr) di qualcuno dei suoi edifici, egli rimbeccò Adriano, che li aveva interrotti con alcune osservazioni, dicendogli “Và a dipingere le zucche, giacché non capisci nulla di queste cose”. Divenuto imperatore si ricordò dell’antica ingiuria

Cassio Dione, Storia Romana

La condanna di Apollodoro di Damasco

Le zucche erano delle cupole che Adriano aveva messo a punto, e di cui doveva andare molto fiero. E di sicuro egli, divenuto imperatore, non tollerò più il dissenso dell’architetto che aveva servito il suo padre adottivo. Gli antichi attriti si rinfocolarono a causa del mastodontico Tempio di Venere e Roma. Ancora Cassio Dione riferisce che Apollodoro, alla visione dei progetti delle statue di culto realizzati da Adriano, esclamò “Ora, se le Dee desiderassero alzarsi e andare fuori, non saranno in grado di farlo”, fu così che “Adriano dapprima mandò in esilio e poi condannò a morte l’architetto Apollodoro” [2].

Aveva una grande passione per la poesia e la letteratura, ed era espertissimo di aritmetica, geometria, pittura. Dava inoltre apertamente saggio della sua perizia nell’arte di suonare e cantare […]. Aveva poi una grande bravura nel campo delle armi e una profonda competenza nell’ambito della strategia militare: e sapeva pure maneggiare le armi da gladiatore.

Historia Augusta, Adriano, 14, 8-10

L’ascesa al potere

Adriano era nato nel 76 d.C, forse in Hispania ad Italica nei pressi di Siviglia. Il padre di Adriano era cugino di Traiano e proprio a questi venne dato in affidamento il giovane, rimasto orfano all’età di dieci anni. Alla sua crescita contribuì Plotina, moglie del suo genitore adottivo, e futuro imperatore. Al seguito di Traiano, Adriano conseguì tutte le cariche del corsus honorum e alla morte vi succedette al trono dell’Impero.

Ha vissuto 62 anni, 5 mesi, 17 giorni. Ha governato 20 anni, 11 mesi. Era alto ed elegante, con i capelli ondulati e la barba a nascondere le imperfezioni del viso. Andava a cavallo e marciava molto, tenendosi allenato nell’uso delle armi.

Historia Augusta, Adriano

Il ruolo di Plotina

Dall’elezione di Nerva nel 96 d.C. era incominciata la linea degli imperatori adottivi: la successione al trono non avveniva più per via familiare ma per una legittima adozione. Sebbene l’adozione di Adriano da parte di Traiano possa oggi apparire scontata, in realtà già le fonti storiografiche di poco successive ne mettevano in dubbio la validità. Si diffuse, infatti, la voce che Plotina avesse ordito un complotto per favorire l’ascesa al trono del nuovo imperatore. Cassio Dione riferisce che:

La morte di Traiano venne tenuta nascosta per alcuni giorni, affinché si diffondesse prima la notizia dell’adozione di Adriano. Ciò fu evidente anche dalle lettere di Traiano al senato, non firmate da lui ma da Plotina.

Cassio Dione, Storia Romana

Un’argomentazione simile è contenuta anche nella Historia Augusta, se possibile ancora più esplicita:

Era invero opinione diffusa che Traiano avesse avuto in animo di lasciare come successore non Adriano, ma Nerazio Prisco, avendo in questo l’approvazione di molti suoi amici, tanto che un giorno ebbe a dire a Prisco: «Affido a te le province, nel caso mi dovesse succedere una qualche disgrazia». Molti poi dicono che la reale intenzione di Traiano fosse – sull’esempio di Alessandro il Macedone – di morire senza nominare un successore […].

Né manca un’altra versione – che fu messa in giro da taluni – secondo la quale Adriano avrebbe ricevuto l’adozione quando Traiano era già morto, in grazia di un’abile manovra di Plotina, consistente nella sostituzione di un’altra persona fatta parlare con voce flebile in luogo di Traiano

Historia Augusta, Adriano

Adriano e l’aeternitas di Roma

Adriano regnò dal 117 al 138 d.C. Egli ebbe una vita eccezionale, ponendosi come interprete dell’essenza ultima di Roma, della religiosità, della grandezza insita negli usi e nelle arti. In particolar modo ne impersonò il carattere accogliente, d’integrazione sul piano culturale e sociale. Per Adriano, Roma non soltanto era la capitale di un vastissimo impero, ma essa era nei sobborghi, nelle provincie più lontane, nel limes da difendere e consolidare. Roma era nelle sue molteplici espressioni, popoli e culture.

La personalità di Adriano era dominata da un impareggiabile amore per l’arte, la poesia e la letteratura. In particolare era nota la sua passione per l’ellenismo, tanto da essere soprannominato in gioventù con il nomignolo poco lusinghiero di greculus. Divenuto imperatore, egli ebbe la cultura come stella polare e cercò di unificare l’impero attraverso l’arte.

Adriano concepì il suo governo come un’ecumene di condivisione, panellenismo e certezza del diritto. Egli tentò di conquistare il mondo non tanto con le armi che conducono solo alla morte e alla distruzione – eppure era stato un validissimo generale – ma con la bellezza delle arti e degli agi. Se chiunque avesse desiderato di adottare lo stile di vita di Roma, di entrare nell’Impero, non ci sarebbe stato più bisogno di combattere. Per tale ragione, Adriano dedicò la gran parte dei suoi sforzi alla propaganda degli usi e dei costumi di Roma, alla promozione di un’esistenza basata sui vantaggi dell’essere romano.

La politica di pace di Adriano

Così si spiega la sua politica volta alla difesa dei confini piuttosto che alla conquista. Adriano rinunciò a molti dei possedimenti acquisiti da Traiano, ritenendoli indifendibili o stimando controproducente il loro mantenimento. In Mesopotamia ritirò le truppe, mentre in Britannia costruì il celebre Vallo per difendere il limes dalle tribù dei Pitti. Contestualmente, pur limitando l’espansionismo di Roma, riformò l’esercito per il mantenimento della pace. In definitiva, si può affermare che Adriano barattò l’utopia di un imperium sine fine, che era stata propria di Traiano e prima ancora di Alessandro Magno, con l’aeternitas. Roma era destinata ad essere un baluardo di civiltà nei secoli a venire attraverso la sicurezza dei confini e la stabilità politica.

L’opera di propaganda della romanità si espresse anche attraverso la figura stessa dell’imperatore: di Adriano possediamo circa centocinquanta ritratti in marmo e bronzo. Essi, loricati o come pontifex maximus, mostrano l’imperatore con la barba e i riccioli sulla fronte, secondo l’usanza greca. Le raffigurazioni tradiscono un ascendente stilistico di derivazione flavia e un volto asciutto e severo. Adriano, nelle sue versioni scultoree, è colto nell’atto del pensiero, con le sopracciglia corrugate secondo l’esempio della torvitas pliniana.

Animula vagula blandula, la ricerca spirituale e materiale di Adriano

Animula vagula blandula è il congedo prima di attraversare la soglia, di intraprendere un ultimo e incerto viaggio. Adriano riconosceva nell’anima il principio ultimo dell’intelletto che sopravvive al corpo, ma senza il quale è perduto in una dimensione inconoscibile, “incolore e spoglia”. Egli concepiva l’esistenza come una profonda ricerca spirituale. La sua inclinazione verso l’arte e la filosofia greca lo condusse ad Atene dove aveva già ricevuto la più alta carica della città, quella di arconte, e dove nel 125 fu iniziato ai culti misterici eleusini di Demetra e Persefone.

Al contempo, a Roma fu promotore della riscoperta del culto delle origini, ma tollerò chi aveva differenti credenze. Per Adriano era sì necessario che l’Impero facesse memoriale del suo passato, legato alla vicenda eroica di Romolo e alla religione pagana, ma anche che si aprisse verso nuove prospettive e filosofie dell’esistenza. A tal fine era Roma stessa ad essere celebrata nella sua sfera divina, contenitore onnicomprensivo di tutti i culti e di tutte le divinità. Questo atteggiamento si tradusse tanto nella riedificazione del Pantheon quanto nell’innalzamento del maestoso tempio di Venere a Roma.

Il Pantheon

Il termine Pantheon indica il “tempio di tutti gli dei”, ed è significativo che proprio ad Adriano si debba la sua ricostruzione più celebre e compiuta. Un primo edificio templare era stato fondato da Marco Vipsanio Agrippa, genero di Augusto, nel 27 a.C. Tuttavia, dopo che alcuni incendi lo avevano danneggiato nell’80 e nel 110 d.C., si era resa necessaria una completa ricostruzione (112-124 d.C.). Sebbene il primitivo tempio di Agrippa fosse a pianta rettangolare, sotto Adriano il Pantheon acquisì forme nuove e una spazialità innovativa. Apollodoro di Damasco, a cui il progetto è attribuito, concepì un pronao ottastilo connesso, per mezzo di un avancorpo, a un’imponente cella rotonda con cupola.

Un tempio universale

L’interno dell’edificio inscrive una perfetta sfera di 43,44 m di diametro, interamente rivestito di lastre e marmi colorati. La sfera dà origine ad una cupola con soffitto a cassettoni, in numero di ventotto, che si apre in cima attraverso un oculo. Questa figura geometrica ben racchiude l’idea di un tempio cosmico, giacché la sfera è sinonimo dell’armonia del tutto. L’oculus rappresenta l’unica fonte di luce dell’edificio e idealmente poneva in connessione il Pantheon direttamente con il cielo, la Terra con l’Universo. Adriano volle un tempio dedicato a tutti gli dei, non solo quelli della religiosità di Roma, e che abbracciasse l’umanità nella sua interezza.

L’interno del Pantheon si sviluppa lungo un ampio cilindro su due livelli. Presso il livello inferiore si aprono sei grandi nicchie, scandite da lesene ed edicole con colonne in porfido e timpani, mentre il secondo è caratterizzato dalla presenza di finestre cieche. Le nicchie – ve n’è un’altra contenuta all’ingresso – ospitavano le divinità planetarie Venere, Saturno, Giove, Mercurio, Marte, il Sole e la Luna.

Volli che questo santuario di tutti gli dei rappresentasse il globo terrestre e la sfera celeste, un globo entro il quale sono racchiusi i semi del fuoco eterno, tutti contenuti nella sfera cava.

Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano

Il tempio di Roma e Venere

La tendenza di Adriano a celebrare il culto delle origini e, contestualmente, a considerare Roma come divinità ecumenica fu evidente nel tempio da lui stesso progettato e inaugurato nel 135. Egli disegnò l’edificio di culto più grande di tutta l’urbe: il tempio di Venere e Roma fu collocato nel cuore storico dell’Impero, su un podio presso il Foro e proprio innanzi al Colosseo. La costruzione sorse sull’area in cui era collocato l’atrio della Domus Aurea con il famoso Colosso di Nerone, che per l’occasione fu ricollocato e consacrato alla divinità solare.

Il tempio di Venere e Roma aveva un peristilio costituito da oltre duecento colonne. Internamente l’edificio conteneva due celle disposte l’una di fronte l’altra. Esse ospitavano le statue delle divinità più importanti secondo Adriano: la Venus Felix, che secondo il mito era stata la madre di Enea e la progenitrice della gens Iulia, come volle Giulio Cesare; e la Roma Aeterna, personificazione dello Stato romano.

Antinoo, perduto amor

La ricerca spirituale di Adriano può essere paragonata a un affascinante viaggio. Tertulliano lo definiva omnium curiositatum explorator [4]. Questa dimensione del viaggio si manifestò tanto attraverso la filosofia quanto un vero peregrinare lungo i confini dell’Impero.

La sua passione per i viaggi era tale che tutto quello che aveva letto sulle diverse regioni del mondo, lo volle vedere di persona

Historia Augusta, Adriano

L’incontro con Antinoo

Durante una visita in Bitinia nel 123 Adriano conobbe un giovinetto di tredici anni e se ne invaghì profondamente. Sebbene a noi oggi una relazione di questo tipo appaia scandalosa, era invece comunemente in uso presso la Grecia antica a cui l’Imperatore voleva ispirarsi. Si intende, infatti, per pederastia il rapporto tra due uomini di età differente che si esplicava a quel tempo attraverso forme rituali altamente codificate.

La propensione di Adriano al lusso e alla lascivia, scatenò molte voci ostili sul suo libertinaggio e sulla sua ardente passione per il suo famoso paggio Antinoo.

Aurelio Vittore, Epitome de Caesaribus

Antinoo fu per Adriano una presenza fondamentale sia da un punto di vista spirituale sia da quello erotico e materiale. Alcuni autori, tra cui Lambert [5], hanno messo in evidenza come la compagnia del giovane fosse per l’Imperatore un bisogno necessario che si traduceva in un equilibrio psichico. Inoltre, le fonti storiche sottolineano che Adriano avesse un pessimo rapporto con la moglie Sabina che definiva morosa et aspera (capricciosa e intrattabile) [6].

Antinoo rimase al seguito dell’Imperatore sino al 130 quando, durante una navigazione sul Nilo, cadde nel fiume e annegò. Tale evento segnò profondamente la vita di Adriano, che da quel momento inasprì il suo carattere.

Durante una navigazione sul Nilo perse Antinoo e lo pianse come una donna. Alcuni insinuarono ciò che la bellezza del giovane e la sensualità di Adriano lasciano immaginare.

Historia Augusta, Adriano

La morte di Antinoo, un mistero irrisolto

La morte di Antinoo suscitò già all’epoca numerosi interrogativi. Non fu mai chiarito se il giovinetto fosse annegato a causa di un banale incidente, oppure se la sua morte fosse legata a motivi più oscuri. In effetti, a tale tragico evento Adriano reagì con un comportamento sospetto: Antinoo fu divinizzato e da quel momento fu oggetto di culto in tutto l’Impero. Sul luogo della morte venne costruita la città di Antinopoli e persino un fiore e una stella presero il nome del giovane. Le raffigurazioni scultoree di Antinoo si moltiplicarono, ad esempio nelle vesti di Bacco o Apollo.

In particolar modo, il ragazzo fu rappresentato come il dio egizio Osiride che, secondo il mito, era morto annegato nel Nilo ed era stato riportato in vita dalle sorelle Iside e Nefti. La somiglianza tra l’evento mitico e quello tragico lascia immaginare che potrebbe non essersi trattato soltanto di un incidente. Aurelio Vittore racconta che “secondo alcuni la ragione era che Adriano voleva allungare la sua vita e che quando chiese un volontario che si sacrificasse al posto suo tutti si ritrassero tranne Antinoo che si offrì di farlo. Questo spiegherebbe gli onori che gli sono stati dedicati”. In quest’ottica si sarebbe dunque trattato di un rituale che, sulle basi del mito di Osiride, avrebbe allungato la vita all’Imperatore.

Non mancò, infine, chi sostenne che Antinoo fu assassinato, forse per volontà di Sabina, per timore che egli divenisse l’erede al trono imperiale.

Villa Adriana

Come detto, per Adriano aveva parimenti una profonda dignità l’aspetto materiale dell’esistenza, che si esplicava attraverso le relazioni amorose, e si manifestava negli agi, nei lussi e nelle ville. D’altro canto, i due aspetti erano considerati tra loro intimamente legati, giacché considerava l’anima senza il corpo “piccola, smarrita”.

“Navigò verso la Sicilia e scalò il monte Etna per vedere l’Alba che, dicono, è dai mille colori come un arcobaleno”.

Historia Augusta, Adriano

Icona del tempo dedicato all’otium era per l’Imperatore la villa magistrale che aveva progettato e fatto edificare a Tibur. Villa Adriana era una sorta di compendio che doveva idealmente racchiudere l’essenza ultima di Roma. Essa ospitava un corpus di edifici che si estendevano su una superficie di circa 120 ettari e richiamavano i luoghi visitati da Adriano presso le province dell’Impero.

Fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell’impero, come il Liceo, l’Accademia, il Pritaneo, la città di Canopo, il Pecile e la valle di Tempe; e per non tralasciare proprio nulla, vi aveva fatto raffigurare anche gli inferi.

Historia Augusta, Adriano, 21,5

Gli edifici della Villa

A Villa Adriana è ancora possibile ammirare il Canòpo, riproduzione dell’omonimo ramo del Nilo presso il Delta; il Pecile che prendeva ispirazione dalla stoà poikìle: si trattava del portico dipinto di Atene presso il quale si svolgevano le attività politiche e culturali; e l’Antinoeion, luogo di culto dedicato alla memoria di Antinoo.

Il Teatro Marittimo, invece, così chiamato per la presenza di una vasca d’acqua circolare con portico, era in realtà la ricchissima residenza dell’Imperatore. Non mancavano gli edifici dedicati allo svago come un teatro greco, un ippodromo, le Piccole e Grandi Terme. Per finalità di studio e di accrescimento culturale Adriano aveva fatto costruire una sala per la riunioni, detta dei Filosofi, e diverse biblioteche. Le funzioni di culto erano officiate presso i templi di Venere e di Apollo.

L’eredità di Adriano

Adriano aveva incominciato i lavori per un imponente mausoleo funebre a Roma, che oggi dopo numerosi rifacimenti chiamiamo Castel Sant’Angelo, ma scelse di morire a Baia. L’imperatore si spense il 10 luglio del 138 a 62 anni di età, dopo aver governato per circa 21 anni. La sua personalità è rimasta impressa nella storia sino ai nostri giorni ed è grazie a figure storiche come Adriano che comprendiamo l’importanza dell’arte, della letteratura, dell’integrazione culturale e della pace. Di lui Marguerite Yourcenar ha tratteggiato un’appassionata autobiografia, seppur talvolta romanzata, che ha il merito di centrare il dibattito sull’uomo Adriano [7].

Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo […]. Volevo che l’immensa maestà della pace romana si estendesse a tutti, insensibile e presente come la musica del firmamento nel suo moto.

Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano

Spesso, infatti, dimentichiamo che dietro i fatti della storia, e i documenti consunti delle fonti, c’è un’umanità nascosta. Così accade che la figura possente e maestosa di un imperatore possa invero celare una piccola animula vagula blandula.

Samuele Corrente Naso

Note

[1] Historia Augusta, Adriano, 18, 7

[2] Cassio Dione, Storia Romana, LXXII 23, LXIX 1,3, LXIX 10.

[3] Pseudo-Aurelio Vittore, Epitome de Caesaribus, XIV 8.

[4] Tertulliano, Apologeticum, V, 197.

[5] Royston Lambert, Beloved and God: The Story of Hadrian and Antinous, London, Weidenfeld & Nicolson, 1984.

[6] Historia Augusta, Adriano, 11,3

[7] Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano, Giulio Einaudi Editore, 2014.

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