Le sabbie della Giordania, morbide e chiare, sottili e avvolgenti, per secoli hanno nascosto un grande segreto. In quest’angolo del Medio-Oriente il deserto, a perdita d’occhio disteso su sfumati orizzonti di luce e dune, si è rivelato un fedele guardiano del tempo. Così per l’antica città romana di Gerasa, sepolta e dimenticata, custodita dall’abbraccio della sabbia fino ad oggi, quasi fosse immune dal trascorrere dei giorni. Eppure qui sorgeva un centro fiorente, ricco di commerci e carovane, teatri e templi, un luogo magnifico dalle mille colonne e le mura impenetrabili. Gerasa, “sacra e inviolabile” come le fonti storiche tramandano per via dell’antico Tempio di Zeus, che svettava da un’altura su uno scenografico foro ovale.
Il destino della città aveva in serbo, tuttavia, un terribile flagello. Almeno due sismi, nel 747 e nel 749, distrussero gran parte dei suoi edifici, facendo sì che venisse abbandonata e inghiottita dal deserto. Se oggi possiamo osservare ciò che resta di Gerasa è solo grazie alla forza del vento, di quei granelli di sabbia che tutto ricoprirono e protessero con cura.
Storia antica di Gerasa
Un tempo nel nord della Giordania non v’era affatto il deserto. Una fertile vallata, placida e verdeggiante, affiancava il fluire del fiume d’oro, il Chrysorrhoas, così chiamato dagli antichi giacché ricco di sabbie aurifere. Era questo il luogo ideale per fondare un insediamento, nondimeno per il fatto che si trovasse sulla via utilizzata dai carovanieri per raggiungere la ricca Petra dei Nabatei1. È possibile che per primi si insediarono nell’area alcuni popoli semiti. Così fanno sospettare il nome di Gerasa, attestato nell’antichità già da Plinio il Vecchio2, e la pratica di un culto dedicato al signore del cielo Ba‛alshamīn3.
La città ellenistica
Una vera e propria fondazione si ebbe tuttavia solo in età ellenistica, sebbene le fonti storiche e archeologiche non concordino sul momento in cui ciò si realizzò. Alcune iscrizioni di età romana situate presso l’area archeologica fanno riferimento ad Alessandro Magno e al suo generale Perdicca4, il quale vi avrebbe stanziato i veterani di guerra macedoni (γεροντες) intorno al 331 a.C., espressione forse di una tradizione mitica locale. Infatti, non si può trascurare che nella prima metà del III secolo a.C. il sovrano d’Egitto, il macedone Tolomeo II, conquistava la vicina capitale degli Ammoniti – Amman che dista meno di cinquanta chilometri verso sud – la convertiva in un centro ellenistico e la rinominava Philadelphia. L’altro nome greco con cui Gerasa era conosciuta, Antiochia sul Chrysorrhoas (̓Αντιόχεια πρὸς τῷ Χρυσορρόᾳ), sembra invece ricondurne le origini al re Antioco IV dei Seleucidi (175-164 a.C.), segno quantomeno di una rifondazione.
L’abitato venne presto fortificato, soprattutto per difenderlo dalle razzie delle tribù del deserto. Lo storico semitico Flavio Giuseppe racconta che il tiranno di Philadelphia, Teodoro, avesse nascosto tutto il suo tesoro nel tempio di Giove a Gerasa poiché tale edificio era così ben protetto e sacro che nessuno avrebbe osato entrarvi5. Ma si sbagliava: gli ori vennero rubati e la città conquistata dal re di Giudea Alessandro Ianneo, che governò a Gerusalemme tra il 103 e il 76 a.C.6. Il centro ellenistico subì gravi devastazioni e, per tale ragione, l’impianto urbano che ancor oggi si può ammirare a Gerasa è quello ricostruito dai Romani.
La città romana di Gerasa
Nel 63 a.C. ivi giunsero infatti le legioni di Pompeo, l’intera regione fu annessa alla Repubblica e la città venne assegnata alla provincia di Siria7. A quel tempo Gerasa veniva annoverata nella Decapolis, una lega di insediamenti dalla lunga tradizione ellenistica e romana, in una regione ch’era invece di cultura semitica8. Da quel momento visse un periodo di crescita economica e sociale favorito dalla fertilità della valle e, nondimeno, dai ricchi commerci che ivi transitavano dall’Arabia, dalla Giudea e da Damasco9. Sotto il dominio di Roma, Gerasa visse un profondo rinnovamento architettonico e urbanistico. Tra il 50 e il 75 d.C. fu edificata un’imponente cerchia muraria, lunga circa tremilacinquecento metri, composta da più di cento torri di avvistamento e cinque porte d’accesso10.
Il più ampio sviluppo si ebbe dopo il 106 d.C., anno della conquista di Petra da parte di Traiano e dell’istituzione della provincia d’Arabia, nella quale confluì anche Gerasa11. L’Imperatore creò un’apposita rotta commerciale che, in maniera esclusiva, collegava la città ai più importanti centri del Medio Oriente. La Via Traiana Nova permetteva ai carovanieri il trasporto di merci preziose, prodotti aromatici e spezie provenienti dall’Arabia, da Aqaba fino a Bostra in Siria.
L’Arco di Adriano
L’impianto urbano di Gerasa era suddiviso dal fiume d’oro in due aree distinte e con diverse funzionalità. Gli edifici pubblici erano collocati oltre la sponda occidentale, mentre l’area residenziale si estendeva a est. Provenendo da Philadelphia i viaggiatori a cammello, nonché i carovanieri con le loro merci, potevano accedere alla città traversando l’imponente arco di trionfo che Adriano aveva fatto innalzare nel 129 d.C. L’edificio, a tre fornici, situato fuori dalle mura, serviva a celebrare una visita dell’Imperatore. La sua imponenza è ancora intatta, i caldi colori della pietra d’ocra si accendono al sorgere del sole e permettono di ammirarne i dettagli e le decorazioni.
Il fornice centrale, più elevato, doveva accogliere a Gerasa i viandanti e i soldati. Possiamo immaginare che quelli laterali permettessero il passaggio dei mercanti a cammello, ciascuno in una direzione. In origine dovevano esservi quattro arcate minori. Il prospetto dell’arco è ingraziato da colonne con capitelli di ordine corinzio, posti sulla sommità, e altri ornati a foglie d’acanto presso la base, influsso stilistico derivante dalla tradizione nabatea. La struttura terminava con un attico, di cui oggi rimane solo il frontone esornativo. Le grandi ed eleganti edicole collocate sopra i fornici laterali, con timpani e trabeazioni, ospitavano delle statue ormai perdute. La posizione dell’Arco, distante dalla cinta muraria, si deve al progetto di Adriano di espandere la città in quella direzione, volontà che tuttavia non ebbe mai seguito.
L’Ippodromo di Gerasa
Oltrepassato l’Arco di Adriano, il viaggiatore poteva ammirare alla sua sinistra il rinomato Ippodromo, il quale permetteva a più di quindicimila spettatori di assistere alle corse delle bighe. Di tale grandioso circus di Gerasa ci sono pervenute, in ottimo stato di conservazione, alcune porzioni delle stalle e delle scuderie che accoglievano i cavalli e parti delle gradinate. La struttura venne completata sul finire del III secolo, quando ormai i disegni di espansione a sud del tessuto urbano non avevano avuto più seguito. Posti sotto le gradinate, alcuni vani erano impiegati come magazzini o botteghe per gli avventori dell’Ippodromo.
Il Foro cittadino
L’ingresso vero e proprio a Gerasa, per chi proveniva da Amman, era rappresentato dalla Porta Sud, eretta a tre fornici nel II secolo d.C. Si era dunque accolti dal foro e dalle sue cinquantasei colonne di ordine ionico, il fulcro della vita sociale, politica e religiosa della città. La piazza, lastricata in pregiata pietra calcarea, ha forma ellittica. Si tratta di un caso eccezionale dovuto alla necessità di mettere in collegamento il cardo massimo con il vicino Tempio di Zeus. Il foro doveva dunque servire non solo come luogo di incontro per le attività commerciali e amministrative, ma anche per accogliere le cerimonie religiose e cultuali per la divinità. Al centro della piazza ovale v’era un podio: se fosse il piedistallo di una statua o un’ara rivolta al Tempio non è dato saperlo.
Il Tempio di Zeus
Tale sacro edificio dedicato a Zeus si ergeva su un’altura a sinistra del Foro e incombeva, con la sua monumentale presenza, sulle quotidiane attività di Gerasa. Gli scavi archeologici condotti nell’area hanno dimostrato che il tempio fu ricostruito più volte12. D’altronde, sappiamo dalle fonti storiche che il culto di Zeus in città fosse molto antecedente all’arrivo dei Romani, tanto che Gerasa era chiamata “ιερα και απυγος“, “sacra e inviolabile”. Le rovine dell’edificio oggi visibili risalgono a un periodo di poco successivo al 161 d.C. La struttura era periptera con colonne di ordine corinzio alte quindici metri. Collocata su un alto podio, vi si giungeva tramite una scenografica scalinata d’accesso di cui sopravvivono alcune decorazioni con melograni e tralci di vite.
Il cardo massimo
Proseguendo dal Foro si veniva accompagnati da una doppia fila di colonne lungo il cardo massimo, strada principale dell’urbe lunga circa ottocento metri, fino alla Porta Nord. La via, tracciata alla metà del primo secolo nell’arco di tempo di alcuni decenni, conserva ancora la pavimentazione originale in blocchi di calcare. Le circa cinquecento colonne appaiono di altezza diversa tra loro. Dovevano infatti adattarsi al prospetto degli edifici che si affacciavano sul cardo, come le botteghe e il mercato della carne (macellum). Le colonne, in principio, erano tutte in stile ionico, al pari di quanto osservabile presso il foro; nel II secolo ne furono aggiunte alcune di ordine corinzio.
Le fontane e le terme di Gerasa
La via era abbellita da grandiose fontane, costatazione che stride con il paesaggio desertico dei nostri tempi. Tra le fonti d’acqua più importanti v’era il Ninfeo, monumento costituito da un’esedra semicircolare con due ordini di nicchie e una vasca centrale di granito rosa, circondata da sculture a forma di teste leonine. Il Ninfeo, preceduto da un portico, era dedicato alle ninfe acquatiche ed era sormontato da una semicupola a forma di conchiglia. Altre fontane ornamentali erano site presso il Tetrapylon Nord, un arco quadrifonte che segnava l’intersezione tra il cardo massimo e uno dei due decumani principali.
Come in tutte le più importanti città romane, a Gerasa non potevano mancare le terme. I locali del calidarium, tepidarium e frigidarium accoglievano i patrizi presso le ampie strutture occidentali. La plebe, invece, poteva ususfruire delle terme minori situate nella parte orientale del centro abitato.
La Cattedrale e le chiese bizantine
Dal cardo massimo si aveva poi accesso al Tempio di Dioniso. Risalente al II secolo d.C, i cristiani lo demolirono per far posto alla Cattedrale del IV secolo. Dell’edificio di culto bizantino, sede di un’importante diocesi e centro di una nutrita comunità religiosa13, sopravvivono sparute rovine. Ciò nondimeno, la grandiosità dell’originale impianto architettonico si può ancora intuire dal portale d’accesso e dalle sue decorazioni scultoree. L’ingresso introduceva a una solenne scalinata, parte della quale recuperata dal vecchio tempio pagano, e a un ambiente a tre navate con con abside e iconostasi, come si usava a quel tempo.
A Gerasa la Cattedrale non era l’unico edificio di culto in età bizantina. Poco al di sopra di essa svettava la chiesa di San Teodoro (494) e nella parte alta dell’abitato sorgevano le chiese di Santi Cosma e Damiano, San Giorgio e San Giovanni Battista, erette quasi in contemporanea (529-533). Si citano infine la basilica dei Profeti, apostoli e martiri (465) e quella dedicata ai santi Pietro e Paolo (metà VI secolo).
I teatri di Gerasa
La città romana possedeva tre teatri, testimonianza della vivacità del luogo e del suo prestigio. Le sabbie di Gerasa hanno restituito, in straordinario stato di conservazione, l’edificio ubicato a meridione e quello a settentrione. Il teatro sud, posto su un’altura alle spalle del Tempio di Giove, risale al tempo di Domiziano (81-96 d.C.). L’arena era in grado di ospitare fino a cinquemila persone distribuite su due piani. Della cavea si conserva solo il primo livello costituito da trentadue file di posti a sedere. Del teatro meridionale si possono osservare il proscenium e la parte inferiore del meraviglioso frontescena con nicchie, colonne e porte monumentali. In tale luogo gli attori inscenavano i grandi spettacoli in maschera della drammaturgia latina.
Il teatro che s’incontrava lungo il decumano nord, più piccolo, era invece destinato all’oratoria, all’arte poetica e ai comizi politici. Tale edificio fu costruito nel 164-165 d.C. e in seguito venne ampliato fino a contenere circa duemila spettatori. Sei rampe di scale permettevano di accedere alle quattordici file di gradini della cavea. Un massiccio restauro ha permesso di recuperare la scaenae frons e di ricostruire la pavimentazione, riportando il teatro alle sue originali fattezze.
L’imponente Tempio di Artemide
Il visitatore che si recava a Gerasa non poteva mancare di rendere omaggio alla protettrice della città, Artemide, e recarsi in visita al suo tempio. La struttura era collocata su un alto poggio, all’interno del témenos sacro, e dominava l’intera vallata del Chrysorrhoas14. Verosimilmente, la costruzione del tempio fu avviata in seguito alla terza guerra giudaica, rivolta terminata nel 136 d.C., e completata dall’imperatore Antonino Pio nel 150 d.C. La dedicazione ad Artemide serviva a compiacere la numerosa popolazione ellenistica risiedente nell’urbe, che alla dea della caccia rivolgeva la continuità del culto di una preesistente divinità semitica.
Si accedeva al tempio per tramite del propileo d’ingresso e dell’ampia scalea, che conducevano a un portico esastilo corinzio. La cella, decorata con pregiati marmi policromi, ospitava in una nicchia la statua della divinità. Il podio della struttura era costituito da un ingegnoso sistema di volte e corridoi. Presso il cortile si trovavano invece l’ara del sacrificio e i bacini lustrali impiegati per le abluzioni.
Con l’avvento del Cristianesimo e l’editto imperiale di Tessalonìca del 380, i culti pagani vennero proibiti e il santuario di Artemide spogliato dei suoi beni. I Bizantini rimossero i preziosi marmi e tramutarono la cella in una sala per le attività pubbliche. Nel 614 giunsero a Gerasa i Sasanidi dalla Persia e quindi i Musulmani nel 636. Il Tempio di Artemide, ormai privato delle sue funzioni religiose, continuò a essere impiegato come fortezza dagli Omayyadi.
L’oblio
Un terribile flagello si abbatté su Gerasa: le fonti storiche ricordano con sgomento i terremoti che distrussero la città tra il 747 e il 74915. I pochi edifici che resistettero al sisma si trovarono circondati dalle rovine e dalla disperazione. Gerasa, ormai ridotta a un cumulo di macerie, venne abbandonata dalla popolazione. Nel XII secolo, in età delle Crociate, sopravviveva solo un flebile barlume dello splendore e dei fasti che avevano ammantato l’antico centro ellenistico. Le guarnigioni arabe di Ẓahīr al-Dīn Ṭoghtigīn vi stanziarono una roccaforte nel 1121-1222, fatto attestato da Guglielmo di Tiro16 e motivo per il quale Baldovino II, al comando delle armate cristiane, diede alle fiamme quanto restava delle mura e delle colonne monumentali. I sacri templi, il Foro ovale, le vivaci fonti e i teatri caddero nell’oblio e con loro tutta Gerasa, da quel momento destinata al caldo abbraccio con le sabbie del deserto.
Samuele Corrente Naso
Mappa dei luoghi
Note
- M. Cattaneo, Sulle vie commerciali dell’antica Giordania, Le Scienze, n. 380, 2000. ↩︎
- Plinio il Vecchio, Naturalis historia, Libro V, XV. ↩︎
- H. Guthe, “Gerasa”, Das Land der Bibel, Bd. iii, Heft 1–2, Hinrichs, 1919. ↩︎
- Un’iscrizione riferisce dell’esistenza in città di una statua del generale Perdicca, creduto quindi il fondatore, un’altra iscrizione rivela che tra i primi abitanti di Gerasa vi fosse un gruppo di Macedoni, si veda C. B. Welles iscrizioni n. 137 e n. 78 in C. Kraeling, Gerasa: City of the Decapolis, American Schools of Oriental Research, 1938. ↩︎
- Giuseppe Flavio, Guerra giudaica, I,104; Antichità giudaiche, XIII, 393. ↩︎
- Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, XIII, 398. ↩︎
- Tolomeo, Geografia, V, 15, 23; V, 14, 18. ↩︎
- Per Plinio il Vecchio, Naturalis historia, V, XV, le dieci città erano: Gerasa, Gadara, Philadelphia, Pella, Damasco, Scythopolis, Hippos, Dion, Raphana, Canatha. ↩︎
- C. Bonnet, Sguardi incrociati sul commercio carovaniero: da Cumont a Rostovtzeff, in MediterrAnt, 6, 2003. ↩︎
- I. Kehrberg-Ostrasz, J. Manley, The Jarash City Walls Project, Excavations 2001 – 2003: Final Report, University of Sydney, 2019. ↩︎
- Si veda l’iscrizione C. B. Welles iscrizioni n. 252-257 in C. Kraeling, Gerasa: City of the Decapolis, American Schools of Oriental Research, 1938. ↩︎
- J. Seigne, De la grotte au périptère. Le sanctuaire de Zeus à Jerash Topoi, Orient-Occident, 1997. ↩︎
- Notitia Episcopatuum, VI secolo, in Echos d’Orient X, 1907. ↩︎
- M. C. Bitti, Archeological Research in the Sanctuary of Artemis: the Area of the Temple Stairway, Jerash Archaeological Project 1981-1983, I, Amman, 1986. ↩︎
- I. Karcz, Implications of some early Jewish sources for estimates of earthquake hazard in the Holy Land, Annals of Geophysics, 47, 2004. ↩︎
- Guglielmo di Tiro, Historia Rerum in Partibus Transmarinis Gestarum; R. Pierobon, Guglielmo di Tiro e il castrum di Gerasa, Prospettive Settanta, 1983. ↩︎