A ridosso delle colline dell’Appennino tosco-emiliano, fra lo sbocco del fiume Reno e del torrente Savena, si staglia l’antica città di Bologna, le cui origini si collocano a metà tra la storia e la leggenda. Insediamento etrusco prima, fiorente borgo medioevale poi, essa è custode dell’università più antica d’Europa. I suoi misteri si mescolano nel tempo tra ridente illuminismo, esoterismo e leggendarie diaboliche presenze. Bologna è stata una città mai doma, celebre per le dispute con il papato in merito alla costruzione dell’ambiziosa basilica di San Petronio.

Cenni storici
Bologna affonda le proprie radici intorno al IX secolo a.C. circa, quando furono costruiti i primi insediamenti della civiltà villanoviana tra il fiume Idice e il Reno. In epoca etrusca (VII-VI secolo a.C.) la città divenne uno dei centri urbani principali della Pianura Padana con il nome di Felsina. Con la successiva discesa dei Galli Boi, tra il V e il IV secolo a.C., gli etruschi persero progressivamente il loro controllo sulla città.
Il periodo romano
L’antica Felsina divenne poi colonia romana, alla fine del secondo secolo a.C. A essa venne attribuito, mediante votazione da parte del Senato repubblicano nel 189 a.C., il nome di Bonomia. Il significato del toponimo non è univoco, ciò nondimeno alcuni studiosi ritengono che esso possa derivare dal termine celtico Bona (“luogo fortificato”)1.
Il dominio romano trasformò Bonomia in una città fiorente, ricca d’imponenti e ricche costruzioni, impreziosite in epoca augustea con marmi e mosaici. Furono edificate le terme, un teatro, l’arena, e l’acquedotto. È a questo periodo che risale, inoltre, una delle vie di comunicazione più importanti dell’epoca, anche grazie ai traffici commerciali che la interessavano: la via Emilia fu costruita a partire dal 187 a.C per volontà del console Marco Emilio Lepido. Bonomia divenne, pertanto, un fulcro fondamentale della rete viaria romana.
Età paleocristiana
Alla fine del III secolo d.C., a seguito delle invasioni barbariche che causarono la fine dell’impero romano d’Occidente (476), furono edificate le mura della città. In verità esse non racchiudevano l’intero centro urbano, ma escludevano i quartieri più poveri a nord e a ovest. In ogni caso, il vescovo di Milano Ambrogio fece apporre quattro croci di benedizione presso le porte d’ingresso, dedicandole alle vergini, ai santi, agli apostoli e ai martiri. Simboli antichissimi della fede cristiana, esse proteggevano idealmente i bolognesi dai pericoli provenienti dall’esterno. Le quattro croci sono oggi conservate all’interno della Basilica di San Petronio.


Fu proprio in questi anni, inoltre, che sorsero i primi edifici del complesso di Santo Stefano. Fautore preziosissimo di tale opera fu San Petronio vescovo, al quale oggi è dedicata l’omonima basilica.
Nel 727 Liutprando, re dei Longobardi occupò la città di Bologna, che rimase dominio barbarico sino al 774, quando Carlo Magno la restituì alla Santa Sede. Ben presto la città, che aveva vissuto un notevole sviluppo demografico ed economico, si trovò al centro delle feroci lotte per l’investitura a causa del duplice dominio cui era rimasta soggiogata: da una parte il potere papale, dall’altro quello degli imperatori.
Età medioevale
Intorno al XI secolo nacque lo Studium, poi Universitas Scholarium. L’attuale università crebbe talmente in notorietà che Bologna fu appellata come “la dotta”. Alla volontà dell’imperatore Enrico V, invece, mediante una serie di concessioni e un atto ufficiale, è da ascrivere l’istituzione del libero Comune2. Quest’ultimo partecipò alle lotte contro il Barbarossa e, nel 1176, aderì alla Lega Lombarda.

Successivamente, con la pace di Costanza del 1183, la quale segnò la fine degli scontri tra l’imperatore e la Lega, Bologna ricevette l’autorizzazione a coniare la propria moneta. In questo periodo il comune conobbe un grande sviluppo, sia sul piano politico, con l’abolizione della schiavitù feudale e i tentativi di estendere il proprio territorio verso Modena, la Romagna e Pistoia, sia sul piano dell’edilizia, attraverso l’edificazione delle numerose torri – di cui quella degli Asinelli è una delle più note- e dei vari canali che garantivano un ingente flusso commerciale. Si stima che tra il XII e il XIII secolo a Bologna sorgessero ben cento torri!

Alla fine del XIII secolo, con i suoi 60000 abitanti, Bologna divenne la quinta città europea per popolazione, oltre che il più importante centro tessile italiano. La crescita demografica della città rese necessaria la costruzione di una nuova cinta muraria, nota come cresta. Fu proprio in questi anni che Piazza Maggiore si circondò di nuovi palazzi e chiese, tra cui quella di San Francesco e la basilica di san Domenico.


Dai Bentivoglio ai nostri giorni
Bologna non fu risparmiata dalle lotte tra i guelfi, rappresentati dalla famiglia dei Geremei, e i ghibellini, identificabili nella famiglia dei Lambertazzi. Il conflitto si concluse solo alla fine del XIV secolo, con la restaurazione della “Signoria del popolo e delle arti”. La città fu altresì sottoposta al dominio dei Bentivoglio, che durò circa un secolo, sino alla loro cacciata agli inizi del XVI secolo. Ai Bentivoglio va il merito di aver garantito, almeno per qualche decennio del XV secolo, un certo equilibrio e l’apertura della città al Rinascimento. Bologna passò quindi sotto il dominio della Chiesa e vi rimase per ben tre secoli.
Con la discesa napoleonica in Italia, entrò a far parte della Repubblica Cisalpina; durante il Risorgimento dovette arrendersi al dominio austriaco, per poi essere annessa al neonato regno d’Italia nel 1861.
I rapporti di Bologna con la Chiesa: l’influenza sul patrimonio artistico
È indubbio come gran parte della storia bolognese sia segnata da una certa rivalità nei confronti del papato e la città di Roma. Le cronache narrano di conflitti lungo diversi secoli, e mai realmente sanati. Dal 1316, anno dell’insediamento di Giovanni XII sul soglio pontificio, i rapporti tra la Santa Sede e la popolazione bolognese furono piuttosto tesi. Il nipote del Papa, nonché legato pontifico, Bertrand du Pouget, infatti, iniziò a progettare di costituire Bologna come capitale papale in Italia.
Il contesto storico
Soltanto qualche anno prima, nel 1309, la residenza della Santa Sede era stata trasferita da Roma ad Avignone. Questo periodo storico della Chiesa, che durerà fino al 1377, è noto come “cattività Avignonese”. Si trattò sostanzialmente di una scelta politica. Papa Bonifacio VIII, durante il suo pontificato, aveva finito per inasprire fortemente i rapporti con le famiglie nobiliari romane, tra cui i Colonna, e il re di Francia Filippo il Bello. Le tensioni con i Colonna culminarono con l’episodio noto come “Schiaffo di Anagni”; trentaquattro giorni dopo Bonifacio VIII morì, lasciando la Chiesa in una forte situazione di instabilità.
Filippo il Bello, nel frattempo, si era apertamente schierato contro l’autorità del papato, minacciando di dichiarare Bonifacio VIII come eretico e occultista, nonché di operare uno scisma della chiesa transalpina. Papa Clemente V scelse di risolvere le tensioni, scendendo a compromessi con il re francese. In cambio della promessa di non operare un processo contro Bonifacio VIII, Clemente, nel 1307, accettò di sciogliere l’Ordine dei Cavalieri Templari, e due anni più tardi decise di trasferire la Santa Sede ad Avignone. I Templari furono dichiarati eretici e dissolti tra il 1312 e il 1314. L’intero patrimonio pecuniario dell’Ordine fu trasferito nelle casse del Re di Francia, che lo utilizzò per risanare i debiti della nazione.
I conflitti con il papato
In questo contesto si inseriscono le lotte di potere tra il papato e il popolo Bolognese. Il 3 febbraio 1327 Bologna fu dichiarata capitale papale in Italia. Fu iniziata la costruzione di un enorme palazzo, il castello di Porta Galliera, che costituì solo per qualche anno la residenza del Papa. Nel 1333, infatti, a causa delle elevate tasse, i bolognesi si rivoltarono e assediarono il castello, radendolo al suolo. Papa Giovanni XII fu costretto alla fuga verso Avignone. Non è certo se all’interno della demolita fortificazione fossero esposte addirittura opere del pittore Giotto, andate perdute per sempre.
Nel 1390 iniziarono a Bologna i lavori per l’edificazione della basilica di San Petronio. L’intento era piuttosto ambizioso: costruire un edificio che avrebbe dovuto superare in dimensioni la basilica romana di San Pietro, come segno di dispetto e di distacco verso l’autorità di Roma. Dal 1404, i legati pontifici che si susseguirono ordinarono più volte la ricostruzione del già distrutto castello papale, presso Porta Galliera. Tuttavia, nel 1411 e 1416 esso fu nuovamente raso al suolo. Un nuovo castello fu edificato ancora nel 1436, per ordine di papa Eugenio IV, ma resistette fino al 1443, allorché i bolognesi distrussero anche quello.

Il papato di Giulio II
Nel 1508 Giulio II fece erigere una sua gigantesca raffigurazione in bronzo, ad opera di Michelangelo, di fronte la facciata della basilica di San Petronio, come segno di potere e predominio. Nel 1511 i bolognesi distrussero persino la statua, certamente un grande rimpianto per il patrimonio artistico nazionale!

Nel 1514 la basilica di San Petronio non era ancora terminata. Il progetto di completamento prevedeva che dovesse superare i 224 metri di lunghezza, rendendola di fatto l’edificio religioso più grande d’Italia. Papa Pio IV, per evitare che raggiungesse tali dimensioni, e superasse pertanto le dimensioni di San Pietro, decise di finanziare la costruzione dell’Archiginnasio proprio nei pressi del cantiere di San Petronio, in modo da sovrapporsi all’area di edificazione della basilica. Per tali ragioni, le dimensioni di San Petronio sono oggi appena la metà di quelle ipotizzate nel progetto originale.
La Basilica di San Petronio
La chiesa gotica di San Petronio, edificata in mattoni rossi, che ne rivestono ancora per metà la facciata incompiuta, è uno degli edifici religiosi tra i più importanti della città di Bologna. Situata in una delle più note piazze italiane, piazza Maggiore, la basilica fu eretta a partire dal 1390, e la sua costruzione si protrasse per quasi tre secoli, sino alla metà del 1600. Soltanto allora, infatti, il governo pontificio impose la costruzione del portico del Pavaglione, arrestandone l’estensione per evitare che superasse nelle dimensioni la basilica di San Pietro a Roma.
Uno degli aspetti più originali, in primis, riguarda l’orientamento dell’edificio, con abside a sud e facciata a nord (contrariamente agli orientamenti a est e ovest), che permette la penetrazione della luce solare all’interno dell’edificio per tutto il giorno.

La facciata
Ciò che maggiormente attira lo sguardo dell’osservatore è la facciata, la cui suddivisione in due fasce orizzontali, contrastanti tra loro, è emblema dell’incompiutezza della stessa. La parte inferiore, in stile tardo-gotico, si caratterizza per l’alternanza tra la pietra bianca d’Istria e il marmo rosso di Verona. Essa ricorda il motivo bicromo dello stile tosco-fiorentino e si apre attraverso tre portoni. Quello maggiore fu realizzato dal senese Jacopo della Quercia, che scolpì le formelle a bassorilievo. Sugli stipiti vi sono raffigurate le Storie della Genesi. L’architrave, invece, è impreziosito con Scene del Nuovo Testamento, mentre nella lunetta sono scolpite una Madonna col Bambino e i santi Petronio e Ambrogio. Anche i portali laterali sono decorati con meravigliose sculture: nei pilastri sono rappresentate Scene bibliche, mentre negli architravi Storie del Nuovo Testamento. La lunetta del portale di sinistra è decorata con Scene della Resurrezione, un Cristo deposto e altri personaggi biblici.
Le dimensioni dell’edificio
La basilica presenta imponenti dimensioni: 132 metri di lunghezza e 66 di larghezza, con un’altezza della volta che raggiunge i 44 metri. La facciate è alta 51 metri. Il progetto originario dell’edificio, andato purtroppo perduto, fu elaborato dal maestro Antonio di Vincenzo con la consulenza di padre Andrea Manfredi da Faenza. La sua struttura, a croce latina, prevedeva una lunghezza di 183 metri ed un transetto largo 13, con tre cappelle laterali e ben 17 campate, 10 per la lunghezza e 7 per il transetto. I lavori procedettero lentamente e ad intervalli nel tempo: alla morte di Antonio di Vincenzo, tra il 1401 e il 1402, erano state compiute solo due campate, le navatelle e quattro cappelle laterali.
L’allora legato pontificio Baldassarre Cossa, nemico del comune, fece pertanto vendere i vari materiali edili dell’edificio, ma i lavori di costruzione continuarono lo stesso.
La cupola mai realizzata
Agli inizi del XVI secolo l’architetto incaricato di proseguire i lavori, Arduino Arriguzzi, curò la decorazione marmorea della facciata, oltre ad avviare la fase di progettazione di una grandiosa cupola, ispirata a quella fiorentina del Brunelleschi. Essa si sarebbe dovuta poggiare su otto enormi pilastri, e sarebbe stata dotata di un ampio deambulatorio e dodici cappelle radiali. Il progetto non fu mai portato a termine.
L’interno
A partire dalla metà del XVI secolo, per volontà del papa Pio IV, i finanziamenti furono ridotti, per cui si procedette alla chiusura della navata centrale e alla realizzazione delle volte. L’interno, sebbene non completato come originariamente previsto, è di grande fascino: vi sono sei campate a pianta quadrata; le navate sono separate da possenti pilastri in mattoni.

Eccezionali e misteriosi sono i dipinti interni, attribuibili a Giovanni da Modena, tra cui spicca l’Inferno, nel quale è rappresentato curiosamente il profeta Maometto.

Il campanile
Il campanile di Giovanni da Brensa, alto 65 metri, si staglia in corrispondenza dell’undicesima cappella di destra. Nella torre campanaria sono collocate quattro campane del XV secolo conosciute come la grossa, la mezzanella, la piccola e la mezzana. La mezzanella, era anche nota come la scolara, perché scandiva l’inizio delle lezioni universitarie dell’Archiginnasio.
La meridiana di San Petronio
La basilica di San Petronio ospita al suo interno la meridiana più grande del Mondo. Fu fatta costruire per la prima volta nel 1576 dal perugino Egnazio Danti, domenicano e professore di matematica presso l’università di Bologna. Tuttavia, l’originale meridiana andò distrutta nel 1693 durante i lavori di ampliamento della Chiesa. L’esemplare che osserviamo oggi è, infatti, opera dell’astronomo Gian Domenico Cassini che la costruì per motivi di studio.

Con tale strumento è possibile ottenere soltanto l’istante in cui il sole è in meridie, vale a dire a mezzogiorno. I raggi solari penetrano da un foro posto sulla sommità di una volta della navata sinistra e, formando un cono di luce, si proiettano sul pavimento della basilica dove è presente un lunghissimo tracciato.

I Misteri di Bologna
Molti sono i misteri cui è possibile imbattersi percorrendo le vie di Bologna. Si tratta perlopiù di leggende, ma supportate persino da clamorosi ritrovamenti, il cui significato è ancora oggi avvolto nell’incertezza. Nota è, inoltre, la fama della città felsinea per i suoi numerosi riferimenti all’occultismo, lungo le vie cittadine o a causa delle storie che vi si narrano.
Le torri di Bologna
La prima leggenda riguarda proprio i monumenti “simbolo” di Bologna. Si racconta, infatti, che le Torri degli Asinelli e della Garisenda siano state costruite in una notte dal diavolo in persona. Questa fama potrebbe essere dovuta alla particolare pendenza della seconda, causata da un cedimento del terreno pochi anni dopo l’edificazione. Persino Dante, nel XXXI canto dell’Inferno, ne decanta la proverbiale inclinazione
Qual pare a riguardar la Garisenda
Dante Alighieri, XXXI canto dell’Inferno
Sotto ‘l chinato, quando un nuvol vada
Sovr’essa sì, ched ella incontro penda:
Tal parve Anteo a me che stava a bada
I portici e il diavolo
La nomina di città “diabolica”, è dovuta anche ad un curioso conteggio, relativo al portico più lungo del Mondo. Bologna è, infatti, la città dei portici: numerosissimi, sono presenti praticamente in tutto il centro cittadino. Nel Medioevo, il rapido espandersi della popolazione costrinse gli architetti dell’epoca ad ampliare i piani superiori degli edifici preesistenti. Queste modifiche strutturali furono rese possibili proprio per mezzo di colonne in rovere, che avevano il compito di distribuire il peso esternamente. Ecco, pertanto, comparire i portici. Sebbene le colonne lignee siano state successivamente sostituite con altre in laterizio, è ancora oggi possibile osservare l’originario impianto medioevale in alcune aree.

A Bologna è quindi presente il portico più lungo del Mondo. Conduce da porta Saragozza al santuario di San Luca e ha una particolarità: è composto esattamente da 666 archi.
Come se questo non bastasse, numerose sono le raffigurazioni scultoree proprio del Diavolo, disseminate per la città.

La Pietra di Bologna
Un curioso rinvenimento, dalla datazione incerta, è stato nei secoli oggetto di numerose interpretazioni che hanno coinvolto, tra gli altri, autorevoli personalità del tempo come Carl Gustav Jung, Michelangelo Mari o Richard White. Si tratta del cosiddetto enigma di Aelia Laelia Crispis: la Pietra di Bologna.

L’Aelia Laelia Crispis è una lapide contenente una particolarissima incisione latina. Si tratterebbe, secondo un’opinione diffusa, di una falsa iscrizione funeraria, i cui soggetti sarebbero in realtà degli pseudonimi. Si narra che sia stata rinvenuta intorno al 1550 presso la villa di Casaralta, di proprietà di un certo Achille Volta, Gran Maestro dell’Ordine dei cavalieri Gaudenti.
Dal momento del ritrovamento in tanti si sono cimentati nel tentativo di decifrarne il senso, attraverso svariate chiavi di letture. Una copia dell’originaria pietra, ad opera dello stesso Achille Volta, è oggi conservata presso il Museo Civico Medioevale di Bologna.
Il testo
Di seguito viene riportato il testo dell’incisione. Si noti la dedica iniziale D.M., che sta per Diis Manibus, un’invocazione agli spiriti dei defunti:
D.M.
AELIA LAELIA CRISPIS
NEC VIR NEC MVLIER NEC ANDROGYNA
aNEC PVELLA NEC IVVENIS NEC ANVS
NEC CASTA NEC MERETRIX NEC PVDICA
SED OMNIA
SVBLATA
NEQVE FAME NEQVE FERRO NEQVE VENENO
SED OMNIBVS
NEC COELO NEC AQVIS NEC TERRIS
SED VBIQVE IACET
LVCIVS AGATHO PRISCIVS
NEC MARITVS NEC AMATOR NEC NECESSARIVS
NEQVE MOERENS NEQVE GAVDENS NEQVE FLENS
HANC
NEC MOLEM NEC PYRAMIDEM NEC SEPVLCHRVM
SED OMNIA
SCIT ET NESCIT CVI POSVERIT.
Originariamente, prima della trascrizione operata dal Volta, dovevano appartenere alla pietra anche i seguenti versi, che altro non sono se non la traduzione di un antico epigramma greco, dedicato a Niobe:
HOC EST SEPVLCRVM INTUS CADAVER NON HABENS
HOC EST CADAVER SEPVLCRVM EXTRA NON HABENS
SED CADAVER IDEM EST ET SEPVLCRVM SIBI
La traduzione
La cui traduzione risulterebbe:
D.M.
Aelia Laelia Crispis
né uomo, né donna, né androgino
ne bambina, né giovane, né vecchia
né casta, né meretrice, né pudica
ma tutto questo insieme.
Uccisa né dalla fame, né dal ferro, né dal veleno,
ma da tutte queste cose insieme.
Né in cielo, né nell’acqua, né in terra,
ma ovunque giace,
Lucio Agatho Priscius
né marito, né amante, né parente,
né triste, né lieto, né piangente,
questa né mole, né piramide, né sepoltura,
ma tutto questo insieme
sa e non sa a chi è dedicato.
Questo è un sepolcro che non contiene alcuna salma
Questa è una salma non contenuta in alcun sepolcro
ma la salma e il sepolcro sono la stessa cosa
Le interpretazioni dell’iscrizione
L’iscrizione, piuttosto enigmatica, scatenò la fantasia di numerosi studiosi che tentarono di decifrarla. Carl Gustav Jung, nel Mysterium Coniuctionis, affermò che l’epigrafe contenga la definizione dell’irrazionale. L’enigma rappresenterebbe pertanto uno strumento di introspezione, di proiezione inconscia, in cui ogni ognuno può vedervi una parte di se stesso.
Michelangelo Mari (XVI secolo) suggerì che la soluzione dell’enigma dovesse essere l’elemento naturale dell’acqua piovana.
Richard White di Basingstoke propose, al contrario, diverse interpretazioni: la mitologica Niobe oppure alcuni concetti della filosofia antica, come l’anima razionale o l’idea platonica.
N. Barnaud, nel 1597, arrivò a ipotizzare persino che l’Aelia Laelia Cripis nascondesse in se il segreto alchemico della Pietra Filosofale.
Pietro Luigi Cocchi, nel 1838, invece, mise in relazione l’epigrafe con la storia dei Cavalieri Gaudenti. La scritta nasconderebbe, infatti, l’anagramma del nome del cardinale Giovanni Borgia, il quale fu l’artefice delle disgrazie dell’Ordine.
Gian Gaspare Gervasio, identificò il protagonista dell’incisione nella divinità Amore.
Vincenzo Totano Della Rocca, in uno scritto del 1856, affermò che Aelia Laelia Crispis fosse una donna realmente esistita e che l’epigrafe, autentica, potesse riferirsi al rito funebre della pira, che ne avrebbe ridotto il corpo in cenere.
L’ipotesi oggigiorno più accreditata è invece quella del professor Bacchelli, il quale sostiene che l’Aelia Laelia Crispis sia in realtà un’opera scherzosa dello stesso Achille Volta, che ne avrebbe inscenato il finto ritrovamento.
Samuele Corrente Naso
Note
- D. Vitali, Bononia/Bologna, in Celtic Culture: A Historical Encyclopedia. ↩︎
- G. Arnaldi, A Bologna tra maestri e studenti, in Roberto Greci (a cura di), Il pragmatismo degli intellettuali: origini e primi sviluppi dell’istituzione universitaria: antologia di storia medievale, I Florilegi, V, Torino, Scriptorium, 1996. ↩︎