Mi piace pensare che a Grado, un tempo, le campane suonassero lente, che i rintocchi si susseguissero placidi, come mistiche emanazioni al ritmo del mare nella laguna. L’incenso si diffondeva dai turiboli di Sant’Eufemia sin nella piazza, mentre svaniva per un istante la delicata presenza odorosa della salsedine. I motivi aggraziati dei mosaici bizantini nella Basilica suscitavano sensazioni d’Oriente, e una silenziosa quiete s’impadroniva della coscienza. Ivi dentro, tra il fuoco danzante delle candele al crepuscolo, si risvegliava un arcano sentire, quella nostalgia profonda che si percepisce dinnanzi al sacro soltanto.

Lo scisma
Eppure, tormenti di fede affliggevano i cristiani di Grado quando Elia dedicava a Sant’Eufemia, martire di Calcedonia, l’edificio di culto più importante dell’Isola. Era il 3 settembre del 579 [1], molti avevano gridato “scisma!” e qualcuno lo aveva fatto davvero; soprattutto era il tempo delle grandi dispute teologiche. Da una parte i monofisiti, secondo cui Cristo non possedeva altro che un’unica natura, physis come dicono i filosofi, dall’altra i seguaci di Nestorio, che invece aveva sì sostenuto la duplice natura del Salvatore, umana e parimenti divina, ma come s’egli possedesse in sé due distinte persone.
La questione finì per concilii: a Calcedonia (451) i monofisiti furono accusati d’eresia, ma tempo dopo, lungi dall’essere debellati, convinsero Giustiniano a condannare i nestoriani. Con l’editto dei Tre Capitoli [2], l’Imperatore tentava di ammorbidire la posizione della Chiesa verso il monofisismo (543-544), cui peraltro apparteneva sua moglie Teodora [3]. E quando persino Papa Vigilio fu costretto, sotto minaccia, a firmare la condanna dei Tre Capitoli (553), si consumò lo scisma. Molti si posero in contrasto con Roma e Costantinopoli, non condividendo l’editto e, tra questi, il vescovo di Aquileia, Paolino I, si proclamò patriarca. Ora accadde, sembrò quasi per divino intervento, che i Longobardi sconfinarono in Italia (568) e, per sfuggire all’orda di Alboino, si trasferì in fretta e furia la Chiesa d’Aquileia in territorio bizantino [4]. Christe eleison, fu così che lo scisma giunse a Grado.
Il patriarca Elia e la Basilica di Sant’Eufemia a Grado
Nell’Anno Domini 571 fu eletto il patriarca Elia; appena otto anni più tardi egli consacrava la nuova Basilica cittadina, da lui stesso voluta. L’intitolazione dell’edificio a Sant’Eufemia di Calcedonia racchiudeva un messaggio esplicito: voleva sottolineare la fedeltà a quel Concilio che, nell’ottica degli scismatici, era stato dimenticato [5]. Da allora, né la dedicazione né l’architettura della Basilica mutarono in qualche modo, nemmeno quando, nel 607, il patriarcato di Grado si affrancò da Aquileia per ritornare all’ortodossia cattolica.

Le architetture preesistenti e l’auletta di Petrus
La basilica di San Eufemia non sorse de novo, ma fu edificata su una chiesa preesistente, probabilmente una pieve cimiteriale, che risaliva agli anni in cui Attila aveva assediato e distrutto Aquileia (452). Anche in quel caso il rifugio dell’episcopato aquileiense era stata l’Isola di Grado. Così, il vescovo Niceta aveva fatto inglobare in un edificio più grande la serie di sarcofagi e cappelle funerarie presenti nella piazza cittadina. Un’auletta fu poi aggiunta all’inizio del VI secolo per ospitare la sepoltura di un certo Petrus, figlio del giudeo Olimpio; essa è ancor oggi rintracciabile grazie a un’iscrizione posta inferiormente alla navata centrale della Basilica:
“Hic requiescit / Petrus qui Papa/rio fil(ius) Olimpii Iu/daei solusque / ex gente sua ad Chri(sti) meruit / gratiam perveni/re et in hanc s(an)c(t)am / aulam digne sepul/tus est sub d(ie) pr(i)d(ie) / id(us) iul(is) ind(ictione) quarta”
G. Brusin, Grado. L’epigrafe musiva di ”Petrus”, Notizie degli scavi di antichità, 1947
Elia rimaneggiò l’edificio costruito al tempo di Niceta: vi fece aggiungere un’abside con prothesis e diakonikon, richiese l’apertura di due ordini di monofore lungo i muri perimetrali e organizzò gli spazi come oggi li osserviamo. Le tre navate del corpo basilicale furono delimitate da dieci coppie di colonne in marmi policromi, con capitelli scolpiti a motivi fitoformi risalenti al IV-V secolo.
Il pavimento musivo
Elia fece poi innalzare il piano di calpestio della Basilica, ponendo il nuovo pavimento tessellato circa un metro sopra l’antico cocciopesto. Dal presbiterio della chiesa, cinto da plutei decorati con il Chi Rho e il pavone, metafora di Cristo, dipartiva probabilmente una solea verso la navata centrale.

I pregevoli mosaici di Sant’Eufemia ospitano motivi marini e geometrici, tra cui il ben noto simbolismo del Nodo di Salomone. Potrebbe non essere un caso, giacché il nodo esprime in ambito paleocristiano l’unione inseparabile tra Dio e l’uomo e, pertanto, le due nature del Cristo, terrestre e celeste, che convergono in un’unica persona. In questo senso, il pavimento musivo della Basilica rimarca proprio la posizione teologica che fu alla base dello scisma, e per cui Elia dedicò a Sant’Eufemia l’edificio. D’altronde, l’opera del patriarca è attestata presso il centro figurativo del tessellato, ove compare un grande clipeo recante la scritta:
“Servus Iesu Christi Helias episcopus Aquileiensis, Dei gratia auxilioque fundator ecclesiae huius, votum solvit“.

Gli affreschi del presbiterio e la Pala d’oro di Grado
Pregevole e significativo è l’affresco presso il catino absidale (secolo XV), dove è assiso Cristo Pantocratore in una mandorla. Ai suoi lati vi sono figure di santi e la rappresentazione del tetramorfo.

Poco più sotto, ecco rilucere di raffinata bellezza la Pala d’oro di Grado. D’autore sconosciuto, il prezioso manufatto è in realtà realizzato in argento dorato, con tecnica a sbalzo, su tre registri sovrapposti. I riquadri, racchiusi in cornici polilobate, ospitano ancora un Cristo Pantokrator, San Marco, un’Annunciazione e i quattro Evangelisti. Il nobile veneziano Donato Mazzalorsa donò la Pala alla chiesa nel 1372.
Il pulpito
L’alto pulpito, che svetta sul lato sinistro della navata centrale, fu scolpito nell’XI secolo, ma alcuni motivi stilistici tradiscono aggiunte successive. L’ambone poggia su sei esili colonne, delle quali due sono tortili, sormontate da capitelli con motivi vegetali. Cinque pannelli convessi, di fattura artistica mirabile, ospitano in rilievo i simboli degli evangelisti e una croce patente.

Una graziosa cupola, che ricorda le architetture moresche, ricopre superiormente la struttura per mezzo di archi sinuosi. Tra i motivi decorativi in rosso e bianco, e l’alternanza geometrica propria della scacchiera, spicca la presenza del Fiore della vita. È questo il segno cristiano della resurrezione, come il narciso che, al sopraggiungere della primavera, per primo nella valli alpine si risveglia.
La facciata di Sant’Eufemia e il Battistero di Grado
La facciata a salienti, in mattoni, spoglia e tripartita, si apre all’esterno attraverso due portali e tre ampie monofore. Il campanile cuspidato, che sorge alla sua destra, risale al XV secolo.
Appena a nord della Basilica, il Battistero paleocristiano, in cotto, si affaccia timidamente sulla piazza, spoglio d’orpelli e di superflue architetture. La forma è ottagonale, come consuetudine imponeva all’epoca, e otto sono le finestre che s’aprono verso l’esterno. È questo un rimando simbolico al dì della vita eterna, che segue la creazione e i suoi sette giorni biblici. Dell’edificio è perduto l’originale ingresso, così come il portico, che anticamente doveva accogliere i catecumeni che s’approssimavano al battesimo.
Gli ariosi spazi interni del Battistero sono coronati da un abside profonda, di fronte alla quale si erge l’altare maggiore racchiuso da plutei e, in asse, la vasca esagonale con rivestimento marmoreo.

La superficie pavimentale del Battistero è per intero ricoperta da un tappeto musivo, ma si tratta perlopiù di una ricostruzione poiché dell’originale tessellato, apposto nel VI secolo, sono sopravvissute solo poche porzioni perimetrali. I motivi decorativi superstiti includono fiori a quattro petali, nodi di Salomone, pelte e girali [6].

I lavori per l’edificazione del Battistero furono avviati da Probino (569-571), come attesta un monogramma scolpito sull’altare marmoreo [7], e quindi completati dal ben noto patriarca Elia.
Santa Maria delle Grazie e la Basilica della Corte
Al tempo di Elia, allorché il patriarca decideva di rinnovare la vetusta basilica di Sant’Eufemia, v’erano già, ivi nell’antico castrum romano di Grado, chiese più antiche. La Basilica della Corte, i cui resti sono situati nell’odierna piazza della Vittoria, sorse nella seconda metà del IV secolo [8]. Quando alcuni cittadini di Aquileia giunsero a Grado per fuggire dall’invasione di Alarico (inizio secolo V) – ad aquas gradatas appelleranno l’Isola [9], descrizione gentile dei dolci declivi sabbiosi che s’aggettano nella laguna a nord – la chiesa divenne sede episcopale. La Basilica della Corte, in origine a unica navata e pianta rettangolare, ma in seguito ampliata, andò distrutta a causa di ripetuti incendi. Oggi non ne restano che ruderi, tra cui alcune porzioni della pavimentazione musiva.

La chiesa di Santa Maria delle Grazie, invece, dovette sorgere nel V secolo, come attesta una porzione di tessellato che si snoda su un livello inferiore presso la navata destra, ma ben presto fu interessata dal corposo rinnovamento architettonico perpetrato da Elia. Certamente l’edificio, situato sul Campo dei Patriarchi nei pressi di Sant’Eufemia, fu rimaneggiato dopo il 579 [10] e solo allora assunse le attuali forme, a pianta quadrata con tre navate.


A Santa Maria delle Grazie la presenza dell’iconostasi, davanti il presbiterio, funge da limen sacro. Essa delimita uno spazio riservato al sacerdote, alla maniera del drappo che nel Debir del Tempio di Salomone a Gerusalemme nascondeva alla vista l’Arca dell’Alleanza. Sul propiziatorio di tale reliquia preziosissima, nel giorno dello Yom Kippur, gli Israeliti versavano il sangue di un capro, detto espiatorio, affinché Jahvè concedesse loro il perdono dei peccati. Ma ora non v’è più bisogno di sacrifici: è Cristo l’agnello senza macchia, colui che sulla Croce redime l’umanità intera. Cristo, vero Dio e vero uomo in un’unica ipostasi, come a Calcedonia fu stabilito.
Note
[1] Andrea Dandolo, Chronica per extensum descripta, VI, 1, 10
[2] L’opera del teologo di Antiochia Teodoro di Mopsuestia, maestro di Nestorio; alcuni scritti di Teodoreto di Cirro; una missiva di Iba di Edessa al patriarca di persia Mari.
[3] Charles Diehl, Teodora: Imperatrice di Bisanzio (trad. di Angelo Fattorini), LIT EDIZIONI,
[4] Paolo Diacono, Historia Langobardorum, II, 10; Bertacchi, 1980
[5] Attilio Previtali, Vicenza paleocristiana: cenni storici, Vicenza, 1991
[6] La pavimentazione musiva del battistero di Grado: schemi geometrici e motivi riempitivi, di Giovanna Ferri, in Antichità Altoadriatiche, vol. XCII, Editreg Trieste 2020. Link
[7] P.L. Zovatto, Il battistero di Grado, RivAC 23-24, 1947-1948
[8] L. Bertacchi, Grado, in Da Aquileia a Venezia (Antica Madre), Milano 1980
[9] Andrea Dandolo, Chronica per extensum descripta, V, 1, 12: “ad aquas veniunt gradatas: et in litore castrum spectabile construxerunt, quod ab aquarum nomine Gradus appellatur“.
[10] L. Bertacchi, Le origini del duomo di Grado, Aquileia nostra 42, 1971

Samuele è il fondatore di Indagini e Misteri, ragion d’esser forse filosofica, vagamente esistenziale e antropologica quanto basta. È laureato in scienze biologiche e biologia forense. Per diletto cerca il trascendimento attraverso cose insolite e vetuste, come incerti simbolismi o enigmatici riti apotropaici. Insegue il mistero attraverso l’avventura ma quello, inspiegabilmente, è sempre un passo più in là.