La basilica di San Savino a Piacenza ha una storia antica e nobile; i suoi mosaici rivelano intrecci inestricabili tra il sacro e il tempo, rendono manifesta la visione cosmologica medioevale del mutare e del ripetersi di tutte le cose.
Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
Qoelet, 3, 1-2
C’è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
Il sacro non può esistere senza concepire il tempo in quanto le sue ierofanie necessitano di una dimensione definita per manifestarsi all’uomo. I racconti biblici e i miti d’ogni civiltà sono collocati in un tempo arcaico, perduto, ma di cui si ha memoria e da cui discende un epos. Persino la venuta del Cristo, Dio fatto uomo, è inscritta in un ordine temporale, nella storia tangibile di popoli.
Viceversa, l’essere umano concepisce da sempre il tempo come sacro, al fine di dare un senso alla sua caducità. Esso non si può condurre alla ragione giacché è inafferrabile, sfugge nel momento stesso in cui è pensato. Il tentativo di elaborare il tempo attraverso il sacro è espressione del profondo mistero in esso celato. I latini, maestri di sapienza, solevano affermare “tempus fugit” e, a ben vedere, è tutto ciò che si può esprimere. Tempus fugit dunque, fugge al momento presente, costantemente, ma fugit è anche un tempo passato, e già fuggito.
«Ma fugge intanto, fugge irreparabilmente il tempo»
Georgiche, III, 284, Virgilio, traduzione di Clemente Bondi

I cicli del tempo
Il tempo fugge via costantemente e solo in una cornice d’infinito, di eterno o di ciclica rigenerazione può essere accettato ed elaborato. Così, esso è da sempre circoscritto, anche per mezzo di complesse cosmogonie, a un continuo ritorno. Miti, riti e simboli esprimono sovente momenti contrapposti di creazione e distruzione, buio e luce, vuoto e pienezza, morte e resurrezione…
D’altronde, è un’evidenza sensibile che il tempo sia legato al replicarsi di cicli: il sole sorge e tramonta ogni giorno; le stagioni si ripetono sempre uguali e con esse il momento della semina, della mietitura e dei raccolti; la posizione periodica e apparente del Sole durante l’anno, rispetto alle costellazioni, già in età ellenistica aveva ispirato lo Zodiaco e l’astrologia.
La concezione medioevale del tempo
Anche nel Medioevo permangono i retaggi di questa visione sacra e ancestrale del tempo. Lo scorrere dei giorni e delle ore è un’esperienza concreta, e non ancora misurabile. Esso è scandito da cambiamenti tangibili: il tempo del pellegrinaggio, della festa, dell’allungarsi della luce solare, delle stagioni, dell’attesa e della morte.
Ubi sunt qui ante nos fuerunt?
Topos medioevale
Tutto cambia ma tutto torna alla sua origine, il destino dell’uomo è in balia di eventi fortunosi e imprevedibili. Il tempo si può comprendere soltanto come espressione di un momento d’incontro con l’Assoluto: ogni cosa in questo mondo è mutevole, destinata a perire, solo Dio resta. Questa visione esistenziale e teologica si riscontra in numerosi aspetti della vita quotidiana e soprattutto nella simbologia.

La vita è concepita come il ripetersi di cicli regolari tanto sulla Terra quanto delle sfere celesti. Nel calendario della vita contadina a ogni mese è assegnata un’attività agricola, così come un corrispondente momento astrologico. Lo Zodiaco, in particolare, fu reinterpretato in chiave cristiana già dal IX secolo [1], adesso non è più la manifestazione pagana del mito, ma scandisce il tempo secondo la volontà di Dio. Il mutare apparente della volta celeste diviene una metafora della storia di salvezza del Cristianesimo. San Zeno, vescovo di Verona (360-380 d.C.), già nel IV secolo aveva sovrapposto ai segni zodiacali le figure bibliche dei profeti in un noto sermone [2].
I mosaici della Basilica di San Savino a Piacenza
Lo scorrere del tempo è con maestria rappresentato presso la Basilica di San Savino a Piacenza. Ivi è manifesta la sua duplice accezione, terrestre e celeste, ciclica e mutevole. L’edificio fu voluto da San Savino, vescovo di Piacenza dal 375. Inizialmente la chiesa era dedicata ai Dodici Apostoli e solo dopo la morte del vescovo, tumulato presso la cripta, prese il suo nome. Questo primitivo luogo di culto fu distrutto dagli Ungari una prima volta intorno al 902 e nuovamente nel 924. L’attuale Basilica, a tre navate e pianta basilicale, fu fatta riedificare dal vescovo-conte di Piacenza Sigifredo in stile romanico e fu consacrata il 15 ottobre 1107.


All’epoca dell’edificazione risalgono i pregevoli tappeti musivi del presbiterio e della cripta, eccezionale caso di conservazione in situ d’area romanica lombarda, che condividono il tema del continuo mutare del tempo, dell’uomo e delle stagioni.
Il Signore del Tempo della basilica di San Savino
Il mosaico pavimentale del presbiterio, malgrado molte tessere siano andate perdute, conserva ancora l’originale impostazione stilistica e iconografica. Il litostrato si estende lungo la navata centrale, a livello della prima campata, su un’ampia porzione del piano di calpestio – circa 3 per 4,16 metri – ma il disegno doveva essere ancor più vasto [3]. Esso è oggi inscritto in una cornice, di più tarda fattura, che ne ha interrotto alcune scene figurative e ha reso ancor più torbido il messaggio che l’opera desiderava tramandare.
Il mosaico, con tessellato in marmo, bianco e nero, è dominato da una figura centrale che, ammantata di vesti sontuose e assisa su un trono regio, mantiene la sfera del sole e della luna. Il sedente è inserito all’interno di una ruota, sorretta più in basso da un Telamone ignudo. Nella fascia circolare vi sono coppie d’animali e fiere che si contrappongono: grifi, basilischi, cani e cavalli. Alla ruota si aggrappano quattro persone, con mani e piedi: questi figuri, vestiti con una tunica e un berretto frigio, danno l’impressione di poter scivolare via da un momento all’altro.

Il mosaico di Piacenza raffigura la personificazione del Tempo, un tema iconografico tipico nel Medioevo. La figura centrale regge le sfere celesti, da cui dipende l’alternarsi del giorno e della notte, e con le mani ne regola il movimento. Il Signore del Tempo è collocato all’interno di ruote concentriche: è un chiaro riferimento cosmologico, confermato dalla presenza di Atlante che regge il cielo. Agli angoli, invece, i figuri rappresentano i quattro venti, metafora del movimento cosmico.

La personificazione dei mesi: la cripta della basilica di San Savino
Il significato simbolico del mosaico si evince dal raffronto stilistico con opere similari, anche se non corrispondenti in toto. Un esempio è il tessellato della Cattedrale di Aosta, dove compare la raffigurazione dell’Anno – interpretazione corroborata dalla presenza della scritta Annus – e il sedente è circondato da dodici clipei contenenti le personificazioni dei mesi. Si potrebbe obiettare che a Piacenza manchi del tutto il riferimento alla ciclicità delle stagioni, dovendosi intendere le fiere contrapposte e l’atlante come mere rappresentazioni delle costellazioni, ma non è esattamente così. Infatti, un’analoga composizione musiva al tappeto aostano, con i mesi e i segni zodiacali, è collocata presso la cripta, e suggerisce una certa unità tematica con il mosaico del presbiterio.

Il tessellato della cripta, sebbene molto compromesso in alcuni suoi punti, permette di cogliere i due aspetti preponderanti della concezione del tempo nel Medioevo: i clipei contengono la raffigurazione dei mesi attraverso l’attività agricola associata a ciascuno di essi, e il segno zodiacale corrispondente. Luglio, ad esempio, è il periodo del Cancro e della falciatura, Agosto del Leone, e quello in cui si preparano le botti per la vendemmia… Ogni medaglione, inoltre, è contornato da un verso con lettere capitali, che proviene da un’ecloga di Ausonio [4].

I clipei sono immersi in un mare figurativo, composto di onde e flutti, nel quale nuotano esseri mostruosi, come un tritone e una sirena bicaudata. La fascia decorativa inferiore del mosaico rivela scene bibliche di non facile deduzione; si possono osservare cavalieri, duellanti, e una dama con una fiera, forse un unicorno.

La simbologia della cripta è arricchita dalle raffigurazioni scultoree presso i capitelli, dove si rinvengono alcuni Nodi di Salomone e altri ornamenti spiraliformi.

I riquadri laterali del mosaico presbiteriale
Ritornando al mosaico presbiteriale, la personificazione del Tempo è inserita nel riquadro più esteso del tappeto musivo, da cui decorrono differenti fasce geometriche con nodi e motivi vegetali. Tali decorazioni si frappongono anche fra le scene laterali del litostrato, e delimitano una banda superiore, purtroppo mutila, con scene di lotta tra cavalieri in sella ad animali di fantasia.
Quattro riquadri minori si dispongono ai fianchi del Tempo: in alto a sinistra si osserva un combattimento tra soldati con scudi e mazze, abbigliati con corte tuniche; appena più in basso, alcuni uomini sembrano giocare ai dadi, mentre un altro ha in mano una coppa; sulla destra v’è un re, con corona e scettro, assiso su un trono, e innanzi a lui un uomo inginocchiato indica un libro su un leggio, mentre campeggia l’iscrizione “rex iudex lex“; infine, in basso a destra, due giocatori di scacchi si sfidano, e curiosamente sembrano muovere entrambi i pezzi neri.


I riquadri laterali sono stati tagliati a causa dell’aggiunta della cornice esterna: in origine erano più estesi in senso orizzontale. Come detto, ciò ha reso più difficoltoso comprendere il senso unitario dell’opera musiva, peggiorando la lettura delle scene già notevolmente compromesse. In particolare, è il caso del riquadro con i giocatori di dadi, deduzione che deriva dalla presenza di alcune tessere bianche sul pavimento. Del gruppo di uomini presenti nella scena, se ne distinguono a sufficienza giusto tre – un astante, con bastone, che riceve o porge una coppa al vicino, di cui spicca soltanto la testa, un braccio e la tunica, e un altro figuro seduto per terra – ma non è chiaro se ce ne fossero altri. Anche il riquadro inferiore sulla destra ha subito delle rimozioni, giacché sopravvive un solo giocatore di scacchi, mentre la presenza dell’altro è intuibile dal solo braccio destro.
Tempo, valori e virtù
Alcuni autori, tra questi Malchiodi [5] e Cecchi Gattolin [4], hanno visto nei pannelli laterali l’espressione delle quattro virtù cardinali: la fortezza nei guerrieri che combattono; la giustizia nel re che amministra la legge; la temperanza nell’uomo con il bastone e la coppa; la prudenza nei giocatori di scacchi.
Questa interpretazione non è stata unanimemente accettata dagli studiosi e invero le scene possono essere soggette a tutt’altra lettura iconografica. I riquadri laterali potrebbero simboleggiare gli opposti valori della vita, che l’uomo, in relazione al tempo dell’esistenza, sceglie di perseguire [6]. Così, all’impulsività e alla brutalità della guerra si contrappone l’esercizio della virtù nell’amministrazione della legge e della giustizia; all’immoralità del gioco dei dadi, espressione del fato, e all’ebbrezza dettata dal bere, si alternano la ragione e la conoscenza.

Le rappresentazioni musive degli scacchi nel XII secolo erano piuttosto rare; tuttavia, si evince da alcuni manoscritti, coevi o del secolo successivo, come fossero associati a tali virtù. La legge e l’insegnamento degli scacchi sono i temi fondamentali sui quali si basa un importante trattato sui giochi di ambito lombardo, il Liber de moribus hominum et officiis nobilium (Solacium ludi Scacorum) di Jacopo de’ Cessolis [7]. La Scacchiera, inoltre, possedeva nel Medioevo un significato escatologico, a causa del dualismo insito nella sua rappresentazione. Ciò non solo era metafora della lotta universale tra il bene e il male, ma figurava il combattimento che ogni uomo doveva affrontare al fine di raggiungere la virtù e la salvezza dell’anima.
Samuele Corrente Naso
Note
[1] Codice lat. 387 della Österreichische Nationalbibliothek di Vienna, figura a pagina 90v, link.
[2] De duodecim signis, San Zeno.
[3] Il Campi riferisce dell’esistenza, presso il mosaico presbiteriale, di un labirinto con Minotauro. Sotto di esso erano presenti le seguenti parole «Hunc mundum typice labyrinthus denota iste / intranti largus redeunti sed nimis artus…»
[4] E. Cecchi Gattolin, I mosaici romanici della basilica di S. Savino, in R. Salvini, La basilica di S. Savino e le origini del romanico a Piacenza, 1975.
[5] G. Malchiodi, Memorie Critico-Storiche della Basilica di S. Savino in Piacenza, in La Regia Basilica di San Savino in Piacenza, Piacenza, 1903.
[6] W. L. Tronzo, Moral Hieroglyphs: Chess and Dice at S. Savino in Piacenza, Gesta, 1977.
[7] M. Vaccaro, La scacchiera del mosaico di San Savino. Due letture della virtù, in Gli scacchi e il chiostro. Atti del convegno nazionale di studi, Brescia, 10 febbraio 2006, in Civiltà Bresciana, a. XVI (2007), n. 1-2, pp. 129-154.

Samuele è il fondatore di Indagini e Misteri, ragion d’esser forse filosofica, vagamente esistenziale e antropologica quanto basta. È laureato in scienze biologiche e biologia forense. Per diletto cerca il trascendimento attraverso cose insolite e vetuste, come incerti simbolismi o enigmatici riti apotropaici. Insegue il mistero attraverso l’avventura ma quello, inspiegabilmente, è sempre un passo più in là.